2005-05-03 08:43:44

Oggi è la giornata mondiale della libertà di stampa, ma nel 2004 sono stati 53 i giornalisti morti mentre svolgevano il loro lavoro
 


(03-05-05 - RV) Si celebra oggi la 15.ma giornata mondiale della libertà di stampa indetta dalle Nazioni Unite. L’obiettivo è ricordare, soprattutto ai governi, che informare ed essere informati attraverso i media rappresenta un diritto fondamentale per lo sviluppo della democrazia e per la pacifica convivenza fra i popoli. Ma nel 2004 sono stati 53 i giornalisti che hanno perso la vita mentre svolgevano il loro lavoro, 19 quelli di cui non si ha più notizia e oltre 150 quelli finiti in prigione. In questo contesto l’organizzazione internazionale Reporter Senza Frontiere ha presentato oggi il rapporto annuale “Il giro del mondo della libertà di stampa 2004”. Ma cosa emerge da questo bilancio? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Domenico Affinito, vice presidente dell’organizzazione. RealAudioMP3
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R. – Emerge che il 2004 è stato l’anno peggiore degli ultimi 10. Nel 2004 abbiamo tutti i dati in aumento. Ma la cosa drammatica sono i dati che danno la salute della libertà di stampa nel mondo: 907 i giornalisti arrestati, 1146 minacciati, 622 media censurati. La situazione è estremamente grave.
D. – Quali sono i Paesi maggiormente a rischio?

R. – L’Iraq, per quanto riguarda il numero dei giornalisti uccisi, tra cui il nostro Enzo Baldoni. Per quanto riguarda l’Asia, la situazione peggiore si registra in Bangladesh, Filippine e Sri Lanka. Tra l’altro, il Bangladesh è uno Stato democraticamente eletto. Un’altra zona molto difficile è quella dell’Africa. E poi per quanto riguarda il continente americano, la situazione peggiore è sicuramente quella della Colombia.

D. – Ci sono anche dei Paesi in cui è difficile distinguere fra informazione e propaganda?


R. – Ne segnaliamo uno su tutti, la Corea del Nord, insieme a Cuba e la Cina. In questi Paesi non è possibile neanche parlare di giornalismo, nel senso che il giornalismo è di fatto soltanto la glorificazione di leader che detengono il potere. La stessa cosa si verifica ad esempio in Turmenistan.

D. – Quali sono, secondo lei, le cause?

R. – La cosa interessante è che non dipende dalle condizioni economiche. Ci sono Paesi poverissimi dell’Africa, come il Benin, dove c’è un buon livello di libertà di stampa ed altre realtà del mondo occidentalizzato dove la situazione è peggiorata. Diciamo che la libertà di stampa, però, quella che noi consideriamo accettabile, riguarda una quarantina di Paesi al mondo, sui 190 esistenti. Quindi, è un affare che riguarda poco più di un miliardo di persone, contro i 6 che abitano la terra.

D. – Cosa risponde a chi si batte per il pluralismo nel sistema dei media, lasciando forse sullo sfondo il problema dell’autonomia del giornalista?

R. – La libertà di informazione è un bene assoluto dell’uomo, in quanto essere umano, e si abbina a due cose fondamentali: la pluralità delle voci di formazione – quindi l’informazione deve essere in mano a più persone – e l’autonomia dei giornalisti. I giornalisti devono poter raccontare quello che vedono in modo autonomo, non condizionato da pressioni politiche, economiche o da ricatti.

D. – Cosa si può fare per risolvere il problema?

R. – 11 giornalisti sono stati uccisi dal 1° gennaio 2005, e quattro di loro solo in Iraq. Quindi, la situazione continua ad essere molto difficile a Cuba, nell’Africa centrale, nel sud-est asiatico, ed anche in alcune parti della nostra Europa, dove sono passate leggi che obbligano i giornalisti a rivelare le loro fonti, cosa per noi inaccettabile. Per cui noi chiediamo che l’opinione pubblica stia attenta e vigile, perché è l’unico modo, ed è l’unica forza reale, per i giornalisti. I giornalisti sono veramente autonomi nel momento in cui chi legge i giornali, vede le tv o ascolta la radio, chiede informazione libera, informazione corretta.
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