2005-04-26 07:53:11

Benedetto XVI in preghiera sulla tomba di Paolo
Il testo integrale dell'omelia


(26 aprile 2005 - RV) Bagno di folla ieri alla Basilica romana di San Paolo fuori le Mura per la prima uscita ufficiale dal Vaticano di Benedetto XVI: oltre 20 mila persone ad accogliere il Papa, che si è recato a pregare sulla tomba dell’apostolo delle genti. C’era per noi Giada Aquilino: RealAudioMP3
Al termine del rito, Gabriella Ceraso ha raccolto alcune impressioni sull’omelia di Benedetto XVI da parte dei fedeli presenti: RealAudioMP3


TESTO INTEGRALE DELL'OMELIA
 
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Fratelli e Sorelle nel Signore!
Rendo grazie a Dio che, all’inizio del mio ministero di Successore di Pietro, mi concede di
sostare in preghiera presso il sepolcro dell’apostolo Paolo. E’ questo per me un pellegrinaggio
tanto desiderato, un gesto di fede, che compio a nome mio, ma anche a nome della diletta Diocesi
di Roma, della quale il Signore mi ha costituito Vescovo e Pastore, e della Chiesa universale
affidata alle mie premure pastorali. Un pellegrinaggio, per così dire, alle radici della missione,
di quella missione che Cristo risorto affidò a Pietro, agli Apostoli e, in modo singolare, anche
a Paolo, spingendolo ad annunciare il Vangelo alle genti, fino a giungere in questa Città, dove,
dopo avere a lungo predicato il Regno di Dio (At 28,31), rese con il sangue l’estrema
testimonianza al suo Signore, che lo aveva “conquistato” (Fil 3,12) e inviato.
Prima ancora che la Provvidenza lo conducesse a Roma, l’Apostolo scrisse ai cristiani di
questa Città, capitale dell’Impero, la sua Lettera più importante sotto il profilo dottrinale. Ne è
stata proclamata poc’anzi la parte iniziale, un denso preambolo in cui l’Apostolo saluta la
comunità di Roma presentandosi quale “servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione” (Rm 1,1).
E più avanti aggiunge: “Per mezzo di lui [Cristo] abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per
ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti” (Rm 1,5).
Cari amici, come Successore di Pietro, sono qui per ravvivare nella fede questa “grazia
dell’apostolato”, perché Dio, secondo un’altra espressione dell’Apostolo delle genti, mi ha
affidato “la sollecitudine per tutte le Chiese” (2 Cor 11,28). E’ dinanzi ai nostri occhi l’esempio
del mio amato e venerato predecessore Giovanni Paolo II, un Papa missionario, la cui attività
così intensa, testimoniata da oltre cento viaggi apostolici oltre i confini d’Italia, è davvero
inimitabile. Che cosa lo spingeva ad un simile dinamismo se non lo stesso amore di Cristo che
trasformò l’esistenza di san Paolo (cfr 2 Cor 5,14)? Voglia il Signore alimentare anche in me un
simile amore, perché non mi dia pace di fronte alle urgenze dell’annuncio evangelico nel mondo
di oggi. La Chiesa è per sua natura missionaria, suo compito primario è l’evangelizzazione. Il
Concilio Ecumenico Vaticano II ha dedicato all’attività missionaria il Decreto denominato,
appunto, “Ad gentes”, che ricorda come “gli Apostoli… seguendo l’esempio di Cristo,
«predicarono la parola della verità e generarono le Chiese» (S. Aug., Enarr. in Ps. 44,23: PL
36,508)” e che “è compito dei loro successori dare continuità a quest’opera, perché «la parola
di Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1) e il Regno di Dio sia annunciato e stabilito in tutta la
terra” (n. 1).
All’inizio del terzo millennio, la Chiesa sente con rinnovata vivezza che il mandato
missionario di Cristo è più che mai attuale. Il Grande Giubileo del Duemila l’ha condotta a
“ripartire da Cristo”, contemplato nella preghiera, perché la luce della sua verità sia irradiata a
tutti gli uomini, anzitutto con la testimonianza della santità. Mi è caro qui ricordare il motto che
san Benedetto pose nella sua Regola, esortando i suoi monaci a “nulla assolutamente anteporre
all’amore di Cristo” (cap. 4). In effetti, la vocazione sulla via di Damasco portò Paolo proprio
a questo: a fare di Cristo il centro della sua vita, lasciando tutto per la sublimità della conoscenza
di lui e del suo mistero d’amore, ed impegnandosi poi ad annunciarlo a tutti, specialmente ai
pagani, “a gloria del suo nome” (Rm 1,5). La passione per Cristo lo portò a predicare il Vangelo
non solo con la parola, ma con la stessa vita, sempre più conformata al suo Signore. Alla fine,
Paolo annunciò Cristo con il martirio, e il suo sangue, insieme a quello di Pietro e di tanti altri
testimoni del Vangelo, irrigò questa terra e rese feconda la Chiesa di Roma, che presiede alla
comunione universale della carità (cfr s. Ignazio Ant., Ad Rom., Inscr.: Funk, I, 252).
Il secolo ventesimo è stato un tempo di martirio. Lo ha messo in grande risalto il Papa
Giovanni Paolo II, che ha chiesto alla Chiesa di “aggiornare il Martirologio” e ha canonizzato
e beatificato numerosi martiri della storia recente. Se dunque il sangue dei martiri è seme di
nuovi cristiani, all’inizio del terzo millennio è lecito attendersi una rinnovata fioritura della
Chiesa, specialmente là dove essa ha maggiormente sofferto per la fede e per la testimonianza
del Vangelo.
Questo auspicio affidiamo all’intercessione di san Paolo. Voglia egli ottenere alla Chiesa
di Roma, in particolare al suo Vescovo, e a tutto il Popolo di Dio, la gioia di annunciare e
testimoniare a tutti la Buona Novella di Cristo Salvatore.
 







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