Benedetto XVI in preghiera sulla tomba di Paolo Il testo integrale dell'omelia
(26 aprile 2005 - RV) Bagno di folla ieri alla Basilica romana di San Paolo fuori
le Mura per la prima uscita ufficiale dal Vaticano di Benedetto XVI: oltre 20 mila
persone ad accogliere il Papa, che si è recato a pregare sulla tomba dell’apostolo
delle genti. C’era per noi Giada Aquilino: Al termine del
rito, Gabriella Ceraso ha raccolto alcune impressioni sull’omelia di Benedetto XVI
da parte dei fedeli presenti:
TESTO
INTEGRALE DELL'OMELIA
Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato
e nel Sacerdozio, cari Fratelli e Sorelle nel Signore! Rendo grazie a Dio che,
all’inizio del mio ministero di Successore di Pietro, mi concede di sostare in
preghiera presso il sepolcro dell’apostolo Paolo. E’ questo per me un pellegrinaggio tanto
desiderato, un gesto di fede, che compio a nome mio, ma anche a nome della diletta
Diocesi di Roma, della quale il Signore mi ha costituito Vescovo e Pastore, e della
Chiesa universale affidata alle mie premure pastorali. Un pellegrinaggio, per così
dire, alle radici della missione, di quella missione che Cristo risorto affidò
a Pietro, agli Apostoli e, in modo singolare, anche a Paolo, spingendolo ad annunciare
il Vangelo alle genti, fino a giungere in questa Città, dove, dopo avere a lungo
predicato il Regno di Dio (At 28,31), rese con il sangue l’estrema testimonianza
al suo Signore, che lo aveva “conquistato” (Fil 3,12) e inviato. Prima ancora che
la Provvidenza lo conducesse a Roma, l’Apostolo scrisse ai cristiani di questa
Città, capitale dell’Impero, la sua Lettera più importante sotto il profilo dottrinale.
Ne è stata proclamata poc’anzi la parte iniziale, un denso preambolo in cui l’Apostolo
saluta la comunità di Roma presentandosi quale “servo di Cristo Gesù, apostolo
per vocazione” (Rm 1,1). E più avanti aggiunge: “Per mezzo di lui [Cristo] abbiamo
ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte
di tutte le genti” (Rm 1,5). Cari amici, come Successore di Pietro, sono qui per
ravvivare nella fede questa “grazia dell’apostolato”, perché Dio, secondo un’altra
espressione dell’Apostolo delle genti, mi ha affidato “la sollecitudine per tutte
le Chiese” (2 Cor 11,28). E’ dinanzi ai nostri occhi l’esempio del mio amato e
venerato predecessore Giovanni Paolo II, un Papa missionario, la cui attività così
intensa, testimoniata da oltre cento viaggi apostolici oltre i confini d’Italia, è
davvero inimitabile. Che cosa lo spingeva ad un simile dinamismo se non lo stesso
amore di Cristo che trasformò l’esistenza di san Paolo (cfr 2 Cor 5,14)? Voglia
il Signore alimentare anche in me un simile amore, perché non mi dia pace di fronte
alle urgenze dell’annuncio evangelico nel mondo di oggi. La Chiesa è per sua natura
missionaria, suo compito primario è l’evangelizzazione. Il Concilio Ecumenico Vaticano
II ha dedicato all’attività missionaria il Decreto denominato, appunto, “Ad gentes”,
che ricorda come “gli Apostoli… seguendo l’esempio di Cristo, «predicarono la parola
della verità e generarono le Chiese» (S. Aug., Enarr. in Ps. 44,23: PL 36,508)”
e che “è compito dei loro successori dare continuità a quest’opera, perché «la parola di
Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1) e il Regno di Dio sia annunciato e stabilito
in tutta la terra” (n. 1). All’inizio del terzo millennio, la Chiesa sente con
rinnovata vivezza che il mandato missionario di Cristo è più che mai attuale. Il
Grande Giubileo del Duemila l’ha condotta a “ripartire da Cristo”, contemplato
nella preghiera, perché la luce della sua verità sia irradiata a tutti gli uomini,
anzitutto con la testimonianza della santità. Mi è caro qui ricordare il motto che san
Benedetto pose nella sua Regola, esortando i suoi monaci a “nulla assolutamente anteporre all’amore
di Cristo” (cap. 4). In effetti, la vocazione sulla via di Damasco portò Paolo proprio a
questo: a fare di Cristo il centro della sua vita, lasciando tutto per la sublimità
della conoscenza di lui e del suo mistero d’amore, ed impegnandosi poi ad annunciarlo
a tutti, specialmente ai pagani, “a gloria del suo nome” (Rm 1,5). La passione
per Cristo lo portò a predicare il Vangelo non solo con la parola, ma con la stessa
vita, sempre più conformata al suo Signore. Alla fine, Paolo annunciò Cristo con
il martirio, e il suo sangue, insieme a quello di Pietro e di tanti altri testimoni
del Vangelo, irrigò questa terra e rese feconda la Chiesa di Roma, che presiede alla comunione
universale della carità (cfr s. Ignazio Ant., Ad Rom., Inscr.: Funk, I, 252). Il
secolo ventesimo è stato un tempo di martirio. Lo ha messo in grande risalto il Papa Giovanni
Paolo II, che ha chiesto alla Chiesa di “aggiornare il Martirologio” e ha canonizzato e
beatificato numerosi martiri della storia recente. Se dunque il sangue dei martiri
è seme di nuovi cristiani, all’inizio del terzo millennio è lecito attendersi una
rinnovata fioritura della Chiesa, specialmente là dove essa ha maggiormente sofferto
per la fede e per la testimonianza del Vangelo. Questo auspicio affidiamo all’intercessione
di san Paolo. Voglia egli ottenere alla Chiesa di Roma, in particolare al suo Vescovo,
e a tutto il Popolo di Dio, la gioia di annunciare e testimoniare a tutti la Buona
Novella di Cristo Salvatore.