2005-04-18 15:35:37

Ieri la Messa pro eligendo Papa


Una Chiesa “matura”, non sballottata dalle onde delle ideologie relativistiche ma saldamente fondata in Cristo, “misura del vero umanesimo”. Una Chiesa con una “fede chiara”, libera, animata dalla “santa inquietudine” di portare la fede al mondo, di testimoniare la carità nella verità. Una Chiesa, infine, capace di seminare frutti destinati all’eternità, dove la terra e le sue miserie si trasfigurano in “giardino di Dio”, grazie alla guida di un Papa “pastore”. Richiami spirituali e teologici alle verità basilari del cristianesimo, ma anche immagini simboliche e auspici: sono i contenuti e i toni autorevoli sui quali il cardinale decano Joseph Ratzinger ha calibrato ieri mattina, nelle sue vesti di celebrante, l’omelia della Missa pro eligendo Romano Pontifice, nella Basilica di San Pietro. La solenne celebrazione ha costituito l’atto pubblico immediatamente precedente l’inizio del Conclave. Il servizio di Alessandro De Carolis per il radiogiornale delle 14 di ieri: RealAudioMP3

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(canto iniziale)

Una Basilica di San Pietro completamente gremita, dominata da macchie di colore ordinate e convergenti verso l’altare della Cattedra: il rosso emiciclo dei cardinali e, sul lato opposto del baldacchino del Bernini, il violaceo e il bianco delle vesti episcopali e sacerdotali, e la lunga coda scura delle migliaia di fedeli. Con questo colpo d’occhio, e in un’atmosfera di grande raccoglimento, i massimi responsabili della vita della Chiesa - dopo i giorni della commozione e del ricordo di Giovanni Paolo II - hanno imboccato questa mattina, pochi minuti prima delle dieci, la strada che guarda al futuro. Una celebrazione riassumibile, quasi, in un’unica e ripetuta invocazione allo Spirito Santo per il dono del nuovo Pastore universale: “Un Pontefice – ha letto il celebrante levando a Dio la preghiera della Colletta – che sia a te accetto per santità di vita, interamente consacrato al servizio del tuo popolo”.

(canto)

Prima dell’inizio della Messa – alla quale erano presenti personalità istituzionali e politiche italiane, tra cui il presidente della Camera dei deputati, Pierferdinando Casini – i presenti e le centinaia di milioni di telespettatori di tutto il mondo hanno assistito alla processione dei cardinali: una scena che ha fornito un “assaggio” di ciò che avverrà nel pomeriggio, quando i 115 elettori sfileranno di nuovo per chiudersi nel ritiro del Conclave. Ma prima di questo atto cruciale, il cardinale Ratzinger ha richiamato l’attenzione dei suoi confratelli del Collegio: “In quest’ora di grande responsabilità – è stata la sua affermazione d’esordio all’omelia, durata circa 20 minuti - ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice con le sue stesse parole”.

(canto)

Il primo spunto al cardinale decano lo ha fornito la celebre lettura del profeta Isaia sul Messia venuto ad annunciare “l’anno di misericordia del Signore”. Quella misericordia divina, osserva subito riecheggiando Giovanni Paolo II, che “pone un limite al male” perché impersonata da Cristo stesso, modello di ogni membro dell’Ordine:

“Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore”.

Il passo del profeta Isaia è lo stesso che Gesù legge nella sinagoga attribuendolo a se stesso e suscitando lo sdegno degli ebrei. Ma nel testo della Scrittura vecchio di secoli, parlando della promulgazione dell’anno di grazia, c’è una frase conclusiva, all’apparenza contraddittoria, che Gesù non pronuncia: “Un giorno di vendetta per il Signore”. Cosa significa? Il cardinale Ratzinger, sostenendo che la “misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato”, spiega:

“Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo”.

Dalla misericordia alla “maturità di Cristo”: a questo punto, il celebrante si sofferma sulla Lettera di Paolo agli Efesini, dedicata ai diversi carismi nella Chiesa. La maturità di Gesù, asserisce, è quella “cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede:

“Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” Una descrizione molto attuale!”

E’ il preludio ad uno dei passaggi più forti dell’omelia. Il cardinale decano getta uno sguardo al passato, ai “venti di dottrina” e alle “correnti ideologiche” che hanno soffiato nel corso della storia, elencandole quasi con puntiglio – “dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo - dice - dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. E nelle onde agitate dall’alternanza di queste concezioni, il cardinale Ratzinger è netto nel criticare la debolezza sovente dimostrata dai fedeli, che lui chiama “la piccola barca del pensiero di molti cristiani”:

“Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

“Noi invece, abbiamo un’altra misura – obietta subito il celebrante – il Figlio di Dio, vero uomo:

“É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo”.

Il concetto dell’amicizia di Gesù con i suoi fratelli, introdotto a questo punto dal cardinale decano, viene dal brano del Vangelo di Giovanni. E’ una pagina che parla di un’amicizia fondata sulla “fiducia” di Cristo verso l’uomo, al quale rivela la conoscenza di Dio e verso il quale mostra un “amore appassionato” che arriva “alla follia della Croce”. Ma è anche un’amicizia la cui cifra è rintracciabile nella “comunione delle volontà”. Anch’essa conquistata da Gesù nel mistero della Passione:

“Nell’ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 21, 39). In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio”.

Ma c’è anche un altro elemento nel Vangelo che riguarda la missionarietà della Chiesa e che al cardinale Ratzinger preme sottolineare: il dovere di annunciare Cristo e di radicarlo nel cuore dell’umanità:

“Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri – siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga”.

Ma giacché, si chiede il porporato, “tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga”, che cos’è che davvero rimane? Non il denaro, esclude. E nemmeno la cultura dei libri. “Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa, che rimane in eterno - afferma - è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità:

“Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza, la fede, il gesto capace di toccare il cuore, la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio”.

Per la costruzione di questo giardino, dunque, contano i doni elargiti da Dio alla Chiesa, attraverso Cristo e quindi il ministero del sacerdozio. Un ministero che, in quest’ora di scelte fondamentali, fa concludere il Cardinale Ratzinzer con una preghiera e un auspicio:

“In questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia”.

Un applauso dell’assemblea ha suggellato l’omelia, per una Messa che –terminata verso le 11.35 – ha visto alcuni cardinali trattenersi ancora in preghiera sul luogo dove sono custodite le spoglie di Giovanni XXIII. Forse un’ulteriore richiesta di luce, attraverso un Pontefice che ha cambiato il corso degli eventi ecclesiali, divenendo egli stesso un modello di quella santità che la Chiesa ha sempre cercato e cerca nella sua guida suprema.

(canto)

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