Numerose reazioni nel mondo al discorso di ieri di Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico:il
commento del giurista Antonio Papisca, dello storico Pietro Scoppola e di mons. Vincenzo
Paglia
Rafforzare le Nazioni Unite per rafforzare la pace mondiale. Nel discorso al corpo
diplomatico di ieri, Giovanni Paolo II è tornato a mettere l’accento sul sistema di
sicurezza collettiva quale strumento primario per la risoluzione pacifica delle controversie
internazionali. Un richiamo forte quello del Papa su cui si sofferma Antonio Papisca,
professore di Relazioni Internazionali all’Università di Padova:
R. – Quando
si dice ruolo centrale delle Nazioni Unite, si sottolinea anche che l’ordine mondiale
deve essere costruito su ciò che legittima l’esistenza e la centralità del ruolo dell’Onu,
cioè la Carta delle Nazioni Unite e tutto il diritto internazionale che ha il suo
nucleo forte nelle convenzioni internazionali sui diritti umani. Non ci sono vie alternative
per un ordine di pace. Come detto anche dal Papa nel messaggio per la Giornata della
pace, si tratta di prendere sul serio la riforma delle Nazioni Unite, per potenziarle
e democratizzarle.
Nel discorso, ricco di spunti e riflessioni sui temi caldi
dell’attualità internazionale dalla crisi israelo-palestinese alla situazione in Iraq,
il Papa ha anche sottolineato il ruolo del dialogo ecumenico e interreligioso quale
fattore di pace. Ecco su questo passaggio la riflessione di mons. Vincenzo Paglia,
vescovo di Terni-Amelia, tra i fondatori della Comunità di Sant’Egidio:
R.
– A me pare che obbedire al Vangelo spinga tutti i cristiani a ritrovarsi sul cammino
della pace e quindi dell’incontro, del dialogo, della capacità di convivere anche
tra diversi, perché questo è la pace. La pace che noi siamo chiamati a costruire è
quell’arte di costruire la convivenza tra persone diverse, tra culture diverse, tra
fedi diverse e anche tra Chiese che in qualche modo debbono ancora ritrovare l’unità.
Il cammino della pace, a questo punto, non è distinto dall’impegno ecumenico. Il richiamo
del Papa è un richiamo tutt’altro che formale e dovrebbe sconvolgere i nostri spiriti,
i nostri cuori e gli stessi nostri metodi di incontro.
Il Santo Padre non ha
mancato, d’altro canto, di richiamare l’Europa al riconoscimento delle sue radici
cristiane, avvertendo che, ultimamente, in diversi Paesi del Vecchio Continente si
confondono i concetti di laicità e laicisma. Una distinzione che va invece sottolineata
come ci spiega lo storico Pietro Scoppola:
R. – Mi sembra una distinzione quanto
mai opportuna. Di fatto esistono nella storia dell’Occidente democratico due concezioni
della laicità: quella di origine francese, per la quale lo Stato è portatore di una
sua ideologia, l’ideologia laica, e lo sentiamo anche in questi giorni negli atteggiamenti
che la Francia ha assunto su tanti problemi. L’altra tradizione della laicità è di
origine anglosassone, soprattutto americana, per cui lo Stato è incompetente in materia
di religione, non può intervenire a vietare o ad imporre nulla sul piano religioso.
La laicità non significa che lo Stato è soggetto attivo di una concezione, ma lo Stato
è garante della libertà, delle espressioni, dell’esperienza religiosa, di cui riconosce
l’importanza, ne garantisce appunto l’espressione e ne riconosce l’importanza ai fini
della vita sociale, della stessa vita politica.