Iraq e Medio Oriente e ancora il ruolo delle religioni per costruire un futuro di
pace nel discorso del Papa al Corpo diplomatico
La guerra non risolve mai i conflitti tra i popoli: è la riflessione offerta ieri,
da Giovanni Paolo II ai membri del Corpo diplomatico presso la Santa Sede, ricevuti
in Vaticano per il tradizionale scambio d’auguri d’inizio anno. Il Papa si è soffermato
sulla difficile situazione in Iraq e Medio Oriente e ancora sul ruolo delle religioni
per costruire un futuro di pace e della distinzione tra laicità e laicismo. Non ha
poi mancato di ribadire la necessità per l’Europa di riconoscere il valore delle proprie
radici cristiane.
E’ il Medio Oriente, regione di contrasti e guerre, ad essere
in primo piano nei pensieri di Giovanni Paolo II che ad esso dedica la prima parte
del discorso al corpo diplomatico. Tutti, ha sottolineato, conoscono i numerosi sforzi
compiuti dalla Santa Sede per evitare il conflitto in Iraq. Oggi, però, è importante
che la comunità internazionale “aiuti gli iracheni, sbarazzatisi del regime che li
opprimeva” ad essere messi in condizione di “riprendere le redini del proprio Paese
e determinare democraticamente un sistema economico e politico, conforme alle loro
aspirazioni”, affinché l’Iraq torni ad essere una “parte credibile della comunità
internazionale”.
Ha così rivolto l’attenzione al conflitto israelo-palestinese,
“fattore di destabilizzazione permanente per tutta la regione” e causa di “indicibili
sofferenze per le popolazioni israeliane e palestinesi”. Mai smetterò di ripetere
ai leader dei due popoli, ha detto, che “la via delle armi, il ricorso da una parte
al terrorismo e dall’altra alle rappresaglie, e ancora l’umiliazione dell’avversario,
la propaganda dell’odio non portano da nessuna parte”. La pace durevole non può ridursi
“a un semplice equilibrio” tra le forze in campo. Solo il “rispetto delle reciproche
aspirazioni e il ritorno al tavolo dei negoziati”, ha avvertito, possono condurre
ad una reale soluzione della crisi. Il Papa non ha poi mancato di ricordare i tanti
conflitti che insanguinano il continente africano, dove “agli effetti della violenza
si sommano quelli della povertà” che getta interi popoli nella disperazione. Né ha
tralasciato di mettere in guardia sul pericolo rappresentato dalla produzione e commercio
delle armi.
Il Pontefice ha reso omaggio al nunzio in Burundi, Micheal Courtney,
ucciso il 29 dicembre vicino Bujumbura, nel servizio alla causa della pace e del dialogo.
E con lui, ha voluto ricordare Sergio Vieira de Mello, rappresentante speciale dell’Onu
in Iraq, morto in un tragico attentato a Baghdad. Sottolineando quindi l’urgenza di
rendere più efficace il sistema di “sicurezza collettiva” delle Nazioni Unite, ha
nuovamente condannato il terrorismo internazionale. Questo, ha affermato, “seminando
paura, odio e fanatismo disonora tutte le cause che pretende di servire”. Per questo,
ha aggiunto, non possiamo “accettare passivamente di vedere la pace tenuta in ostaggio
dalla violenza”. D’altro canto, ha sottolineato come proprio la fede sia una forza
per costruire la pace. Le comunità dei credenti, per le quali ogni persona ha ricevuto
dal Creatore una dignità unica, sono allora mezzi per l’edificazione di un mondo pacificato.
Dovunque la pace è in pericolo, ha rilevato, “ci sono dei cristiani che nelle parole
e nei fatti attestano che la pace è possibile”.
Quindi, ha parlato del ruolo
della religione nella società, ha constatando con preoccupazione che, ultimamente,
in certi Paesi dell’Europa, si registra “un’attitudine che potrebbe mettere in pericolo
l’effettivo rispetto della libertà religiosa”. La difficoltà ad accettare la dimensione
religiosa nello spazio pubblico, ha constatato, si è manifestata in maniera emblematica
nel recente dibattito sulle radici cristiane dell’Europa. Alcuni, ha detto hanno “riletto
la storia attraverso il prisma di ideologie riduttrici, dimenticando ciò che il cristianesimo
ha dato alla cultura e alle istituzioni del continente: la dignità della persona umana,
la libertà, il senso dell’universale, la scuola e l’università, le opere di solidarietà”.
Pur non sottostimando le altre tradizioni religiose, non si può negare che “l’Europa
si è affermata nel momento stesso che è stata evangelizzata”. Non solo, promuovendo
la libertà e i diritti dell’uomo i cristiani hanno contribuito alla “trasformazione
pacifica dei regimi autoritari e alla restaurazione della democrazia nell’Europa orientale”.
Sovente,
ha affermato, si invoca il “principio della laicità”, che è in sé legittimo se è compreso
come la distinzione tra la comunità politica e le religioni. “Ma distinzione non vuol
dire ignoranza, la laicità non è il laicismo”. Un sano dialogo tra Stato e Chiese
può infatti senza dubbio “favorire lo sviluppo integrale della persona umana e l’armonia
della società”. Infine, il Pontefice ha ricordato il suo impegno ecumenico. Sono convinto,
ha detto, che “se i cristiani superassero le loro divisioni, il mondo sarebbe più
solidale”. Tutti insieme, ha concluso, possiamo contribuire efficacemente al rispetto
della vita e alla salvaguardia dei diritti inviolabili dell’uomo.
La Santa
Sede intrattiene attualmente relazioni diplomatiche piene con 174 Stati. Le ultime
relazioni diplomatiche sono state stabilite, nel corso del 2002, con la Repubblica
di Timor Est e con lo Stato di Qatar.Inoltre, la Santa Sede ha relazioni diplomatiche
anche con l’Unione europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta. Infine, ha relazioni
di natura speciale con la Federazione Russa e con l’Organizzazione per la Liberazione
della Palestina.La Santa Sede partecipa a differenti Organizzazioni e Organismi intergovernativi
internazionali come la Fao e l’Unesco. Ancora, partecipa a differenti Organizzazioni
e organismi intergovernativi regionali tra i quali l’Organizzazione per la Sicurezza
e la Cooperazione in Europa (Osce), la Lega Araba, l’Organizzazione degli Stati Americani
e l’Organizzazione per l’Unità Africana.