2004-01-13 14:05:42

Iraq e Medio Oriente e ancora il ruolo delle religioni per costruire un futuro di pace nel discorso del Papa al Corpo diplomatico


La guerra non risolve mai i conflitti tra i popoli: è la riflessione offerta ieri, da Giovanni Paolo II ai membri del Corpo diplomatico presso la Santa Sede, ricevuti in Vaticano per il tradizionale scambio d’auguri d’inizio anno. Il Papa si è soffermato sulla difficile situazione in Iraq e Medio Oriente e ancora sul ruolo delle religioni per costruire un futuro di pace e della distinzione tra laicità e laicismo. Non ha poi mancato di ribadire la necessità per l’Europa di riconoscere il valore delle proprie radici cristiane.

E’ il Medio Oriente, regione di contrasti e guerre, ad essere in primo piano nei pensieri di Giovanni Paolo II che ad esso dedica la prima parte del discorso al corpo diplomatico. Tutti, ha sottolineato, conoscono i numerosi sforzi compiuti dalla Santa Sede per evitare il conflitto in Iraq. Oggi, però, è importante che la comunità internazionale “aiuti gli iracheni, sbarazzatisi del regime che li opprimeva” ad essere messi in condizione di “riprendere le redini del proprio Paese e determinare democraticamente un sistema economico e politico, conforme alle loro aspirazioni”, affinché l’Iraq torni ad essere una “parte credibile della comunità internazionale”.


Ha così rivolto l’attenzione al conflitto israelo-palestinese, “fattore di destabilizzazione permanente per tutta la regione” e causa di “indicibili sofferenze per le popolazioni israeliane e palestinesi”. Mai smetterò di ripetere ai leader dei due popoli, ha detto, che “la via delle armi, il ricorso da una parte al terrorismo e dall’altra alle rappresaglie, e ancora l’umiliazione dell’avversario, la propaganda dell’odio non portano da nessuna parte”. La pace durevole non può ridursi “a un semplice equilibrio” tra le forze in campo. Solo il “rispetto delle reciproche aspirazioni e il ritorno al tavolo dei negoziati”, ha avvertito, possono condurre ad una reale soluzione della crisi. Il Papa non ha poi mancato di ricordare i tanti conflitti che insanguinano il continente africano, dove “agli effetti della violenza si sommano quelli della povertà” che getta interi popoli nella disperazione. Né ha tralasciato di mettere in guardia sul pericolo rappresentato dalla produzione e commercio delle armi.

Il Pontefice ha reso omaggio al nunzio in Burundi, Micheal Courtney, ucciso il 29 dicembre vicino Bujumbura, nel servizio alla causa della pace e del dialogo. E con lui, ha voluto ricordare Sergio Vieira de Mello, rappresentante speciale dell’Onu in Iraq, morto in un tragico attentato a Baghdad. Sottolineando quindi l’urgenza di rendere più efficace il sistema di “sicurezza collettiva” delle Nazioni Unite, ha nuovamente condannato il terrorismo internazionale. Questo, ha affermato, “seminando paura, odio e fanatismo disonora tutte le cause che pretende di servire”. Per questo, ha aggiunto, non possiamo “accettare passivamente di vedere la pace tenuta in ostaggio dalla violenza”. D’altro canto, ha sottolineato come proprio la fede sia una forza per costruire la pace. Le comunità dei credenti, per le quali ogni persona ha ricevuto dal Creatore una dignità unica, sono allora mezzi per l’edificazione di un mondo pacificato. Dovunque la pace è in pericolo, ha rilevato, “ci sono dei cristiani che nelle parole e nei fatti attestano che la pace è possibile”.

Quindi, ha parlato del ruolo della religione nella società, ha constatando con preoccupazione che, ultimamente, in certi Paesi dell’Europa, si registra “un’attitudine che potrebbe mettere in pericolo l’effettivo rispetto della libertà religiosa”. La difficoltà ad accettare la dimensione religiosa nello spazio pubblico, ha constatato, si è manifestata in maniera emblematica nel recente dibattito sulle radici cristiane dell’Europa. Alcuni, ha detto hanno “riletto la storia attraverso il prisma di ideologie riduttrici, dimenticando ciò che il cristianesimo ha dato alla cultura e alle istituzioni del continente: la dignità della persona umana, la libertà, il senso dell’universale, la scuola e l’università, le opere di solidarietà”. Pur non sottostimando le altre tradizioni religiose, non si può negare che “l’Europa si è affermata nel momento stesso che è stata evangelizzata”. Non solo, promuovendo la libertà e i diritti dell’uomo i cristiani hanno contribuito alla “trasformazione pacifica dei regimi autoritari e alla restaurazione della democrazia nell’Europa orientale”.

Sovente, ha affermato, si invoca il “principio della laicità”, che è in sé legittimo se è compreso come la distinzione tra la comunità politica e le religioni. “Ma distinzione non vuol dire ignoranza, la laicità non è il laicismo”. Un sano dialogo tra Stato e Chiese può infatti senza dubbio “favorire lo sviluppo integrale della persona umana e l’armonia della società”. Infine, il Pontefice ha ricordato il suo impegno ecumenico. Sono convinto, ha detto, che “se i cristiani superassero le loro divisioni, il mondo sarebbe più solidale”. Tutti insieme, ha concluso, possiamo contribuire efficacemente al rispetto della vita e alla salvaguardia dei diritti inviolabili dell’uomo.

La Santa Sede intrattiene attualmente relazioni diplomatiche piene con 174 Stati. Le ultime relazioni diplomatiche sono state stabilite, nel corso del 2002, con la Repubblica di Timor Est e con lo Stato di Qatar.Inoltre, la Santa Sede ha relazioni diplomatiche anche con  l’Unione europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta. Infine, ha relazioni di natura speciale con la Federazione Russa e con  l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.La Santa Sede partecipa a differenti Organizzazioni e Organismi intergovernativi internazionali come la Fao e l’Unesco. Ancora, partecipa a differenti Organizzazioni e organismi intergovernativi regionali tra i quali l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), la Lega Araba, l’Organizzazione degli Stati Americani e l’Organizzazione per l’Unità Africana.

luned' 12 gennaio 2004







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