2003-11-20 16:07:57

Intervista con padre Isaia Birollo, superiore generale dei missionari scalabriniani


Partecipa al Congresso mondiale sui Migranti e i Rifugiati, in corso in Vaticano, padre Isaia Birollo, superiore generale dei missionari scalabriniani, congregazione in prima linea nell’assistenza ai migranti. Giovanni Peduto lo ha intervistato.

R. – La Chiesa dev’essere sempre vicina a tutto quello che succede nella storia; è lì proprio per dare quella testimonianza del vivere il Vangelo con queste persone, quindi accogliere l’emigrante, il rifugiato, la persona che si trova in questa situazione particolare, accoglierlo non solo per aiutarlo, per assisterlo, per dargli una mano, proprio per tirarlo fuori dalla sua situazione di emergenza, ma soprattutto perché questo emigrante, questo rifugiato rappresenta parte della grande famiglia della Chiesa universale, dove tutti, tutti hanno il diritto di partecipare come cittadini. Non ci sono stranieri, perché la Chiesa è formata da tutti i popoli, non c’è una cultura superiore all’altra, ma tutti i popoli sono chiamati a sentirsi dentro alla Chiesa, sono invitati, sono accolti.

D. – Voi Scalabriniani siete in prima linea in quest’opera di assistenza ai migranti: qualche episodio che ha caratterizzato la sua vita di missionario ...

R. – Mi trovavo nel Sud degli Stati Uniti e lavoravo con una comunità di immigrati dal Guatemala. Mi è arrivata una telefonata dalla California, quindi eravamo lontani 2-3 mila chilometri dalla California; arriva una telefonata da un orfanotrofio, da una casa dove ricevevano i ragazzi, e dicevano che lì era arrivato un ragazzo del Guatemala che aveva passato il confine dal Guatemala, aveva attraversato tutto il Messico, poi era entrato negli Stati Uniti alla ricerca di suo padre. E di suo padre aveva solo il nome della città in cui mi trovavo io, lì, in Florida. Abbiamo ritrovato quell’uomo. Una bella storia, di come con la presenza della Chiesa tra gli immigranti nella California, al servizio dei ragazzi, e in Florida, a molti chilometri di distanza, abbiano permesso a questa famiglia di indios del Guatemala di ricongiungersi.







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