2003-11-03 18:07:25

Speranze di pace per il Burundi


GOVERNO DI BUJUMBURA E RIBELLI FIRMANO UN CESSATE IL FUOCO,
DOPO 10 ANNI DI GUERRA CIVILE

Un accordo per porre fine ad un conflitto che da dieci anni insanguina il Burundi. E’ l’intesa raggiunta ieri a Pretoria, in Sudafrica, tra il governo di Bujumbura e il principale gruppo ribelle burundese - quello delle Forze per la difesa della democrazia (Fdd) - ma non firmata dall’altro movimento combattente, il Fronte di liberazione nazionale (Fnl). Il cessate il fuoco prevede che, nel giro di tre settimane, i ribelli hutu di Pierre Nkurunziza entreranno in un governo transitorio guidato dal presidente Domitien Ndayizeye. L'intesa sarà ufficialmente firmata a Dar es-Salaam, in Tanzania, a metà novembre. Ma, dopo una guerra civile tra hutu e tutsi che ha già causato 300 mila vittime, l’accordo appena raggiunto potrà davvero portare alla pace? Giada Aquilino lo ha chiesto ad un missionario che opera in Burundi, che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonimo:
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R. – E’ da dieci anni che si firmano dei cessate-il-fuoco, ma da dieci anni la gente continua a morire. Potrebbe essere un momento buono, ma restano tanti punti interrogativi sull’attuazione di questo accordo e sull’altro gruppo di ribelli che non ha ancora cominciato a parlare con il governo. Proprio ieri il Fnl ha emesso un comunicato ribadendo la propria volontà di rimanere in guerra.

D. – Di fatto, cosa prevede l’accordo?

R. – Che sia i ribelli, sia l’esercito depongano le armi. L’intesa prevede poi l’immediato inserimento nel governo e nell’apparato politico-economico di tutti i rappresentanti del Fdd.

D. – Dieci anni di guerra, hutu e tutsi in lotta, 300 mila morti: da cosa può ripartire, oggi, il Burundi?

R. – I burundesi sono sempre stati insieme, hanno sempre vissuto e cercato di risolvere i loro problemi insieme. Penso che sia l’unico punto di partenza, perché – dai primi anni Novanta - questi dieci anni di guerra non hanno portato solamente i tutsi contro gli hutu, ma anche gli hutu contro gli hutu e i tutsi contro i tutsi. Si parlava solamente di guerra, di morti, di feriti. E tutto per arrivare al potere. Penso che le nuove generazioni di giovani ormai siano disposte a non lasciarsi manipolare e pronte a riportare il Paese al dialogo, all’incontro, alla riconciliazione. Ciò porta molto a sperare, pure se dieci anni di guerra hanno significato perdita di tempo, di valori, di persone, di speranza.

D. – Nelle condizioni in cui vive, la popolazione civile come ha accolto la notizia dell’accordo?

R. – La popolazione civile purtroppo economicamente è a terra; nel Paese non funziona più niente. Tutte le strutture sono prive di finanziamenti per poter ripartire. Per il Burundi, quindi, la pace significa come prima cosa riuscire a vivere e a sperare in un domani. Tutti vorrebbero lavorare, avere uno stipendio, rimettere in piedi la loro vita e quella dei loro figli.

D. – Qual è allora l’auspicio della Chiesa locale?

R. – Arrivare velocemente alla fine di questa guerra: per tale obiettivo, sarà necessario avere la capacità di ascoltare gli altri. Qui in Burundi, purtroppo, a causa dei colpi di Stato, dei dittatori, dei partiti unici spesso il dialogo è stato messo da parte. E’ una strada sulla quale bisognerà cimentarsi molto profondamente, per riuscire ad arrivare ad una vera pace.







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