GOVERNO DI BUJUMBURA E RIBELLI FIRMANO UN CESSATE IL FUOCO, DOPO 10 ANNI DI GUERRA
CIVILE
Un accordo per porre fine ad un conflitto che da dieci anni insanguina
il Burundi. E’ l’intesa raggiunta ieri a Pretoria, in Sudafrica, tra il governo di
Bujumbura e il principale gruppo ribelle burundese - quello delle Forze per la difesa
della democrazia (Fdd) - ma non firmata dall’altro movimento combattente, il Fronte
di liberazione nazionale (Fnl). Il cessate il fuoco prevede che, nel giro di tre settimane,
i ribelli hutu di Pierre Nkurunziza entreranno in un governo transitorio guidato dal
presidente Domitien Ndayizeye. L'intesa sarà ufficialmente firmata a Dar es-Salaam,
in Tanzania, a metà novembre. Ma, dopo una guerra civile tra hutu e tutsi che ha già
causato 300 mila vittime, l’accordo appena raggiunto potrà davvero portare alla pace?
Giada Aquilino lo ha chiesto ad un missionario che opera in Burundi, che per motivi
di sicurezza preferisce rimanere anonimo: ********** R. – E’ da dieci anni che
si firmano dei cessate-il-fuoco, ma da dieci anni la gente continua a morire. Potrebbe
essere un momento buono, ma restano tanti punti interrogativi sull’attuazione di questo
accordo e sull’altro gruppo di ribelli che non ha ancora cominciato a parlare con
il governo. Proprio ieri il Fnl ha emesso un comunicato ribadendo la propria volontà
di rimanere in guerra.
D. – Di fatto, cosa prevede l’accordo?
R. – Che
sia i ribelli, sia l’esercito depongano le armi. L’intesa prevede poi l’immediato
inserimento nel governo e nell’apparato politico-economico di tutti i rappresentanti
del Fdd.
D. – Dieci anni di guerra, hutu e tutsi in lotta, 300 mila morti:
da cosa può ripartire, oggi, il Burundi?
R. – I burundesi sono sempre stati
insieme, hanno sempre vissuto e cercato di risolvere i loro problemi insieme. Penso
che sia l’unico punto di partenza, perché – dai primi anni Novanta - questi dieci
anni di guerra non hanno portato solamente i tutsi contro gli hutu, ma anche gli hutu
contro gli hutu e i tutsi contro i tutsi. Si parlava solamente di guerra, di morti,
di feriti. E tutto per arrivare al potere. Penso che le nuove generazioni di giovani
ormai siano disposte a non lasciarsi manipolare e pronte a riportare il Paese al dialogo,
all’incontro, alla riconciliazione. Ciò porta molto a sperare, pure se dieci anni
di guerra hanno significato perdita di tempo, di valori, di persone, di speranza.
D.
– Nelle condizioni in cui vive, la popolazione civile come ha accolto la notizia dell’accordo?
R.
– La popolazione civile purtroppo economicamente è a terra; nel Paese non funziona
più niente. Tutte le strutture sono prive di finanziamenti per poter ripartire. Per
il Burundi, quindi, la pace significa come prima cosa riuscire a vivere e a sperare
in un domani. Tutti vorrebbero lavorare, avere uno stipendio, rimettere in piedi la
loro vita e quella dei loro figli.
D. – Qual è allora l’auspicio della Chiesa
locale?
R. – Arrivare velocemente alla fine di questa guerra: per tale obiettivo,
sarà necessario avere la capacità di ascoltare gli altri. Qui in Burundi, purtroppo,
a causa dei colpi di Stato, dei dittatori, dei partiti unici spesso il dialogo è stato
messo da parte. E’ una strada sulla quale bisognerà cimentarsi molto profondamente,
per riuscire ad arrivare ad una vera pace.