2003-09-12 17:05:08

COLOMBIA: INTIMIDAZIONI


COLOMBIA: INTIMIDAZIONI

QUIBDO’ - Le popolazioni afrocolombiane e indigene e i missionari dell’Atrato e del Brazo de Murindó (dipartimento di Chocó, ovest della Colombia) sono quotidianamente vittime di azioni arbitrarie da parte dell’esercito e delle forze aeree. a denunciarlo è la Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Quibdò, che riferisce una serie di inquietanti episodi avvenuti negli ultimi giorni. Il 3 settembre, un’imbarcazione appartenente ai missionari di Vigía del Fuerte, con a bordo alcuni animatori della comunità, è stata fermata e trattenuta per oltre un’ora e mezzo dai militari nei pressi di Tadía. “Sotto minaccia, i missionari e gli animatori sono stati costretti ad essere fotografati, senza che i regolari si identificassero” scrive la Commissione Giustizia e Pace. Il 5 settembre, stessa sorte è toccata ad una barca che trasportava un gruppo di giovani studenti a Vigía del Fuerte. Nella stessa giornata e per tutta quella seguente, lance e barche dell’esercito hanno setacciato tutto il fiume Atrato, seminando il panico tra la popolazione civile che non era stata avvertita dell’operazione, tanto meno dell’obiettivo dei militari. L’episodio più grave è accaduto martedì, quando due elicotteri delle forze aeree hanno aperto il fuoco contro una piantagione di banane di Murindó Viejo per un’intera ora, mettendo in serio pericolo la vita dei ‘campesinos’. A fronte di questi avvenimenti, la Commissione Giustizia e Pace osserva che quanto accaduto: “dimostra come i militari attivi nella regione di Murindó mantengano un atteggiamento di pregiudizio ingiustificato contro la popolazione civile e soprattutto contro i missionari della diocesi di Quibdó. Ci preoccupa che il diritto alla libera circolazione e alla riservatezza, garantiti dalla Costituzione colombiana, siano costantemente violati da membri della forza pubblica. Facciamo notare che è la terza allerta nella zona di Murindó nel giro di tre mesi e invece di vedere miglioramenti nel comportamento dei regolari constatiamo che aumentano le azioni arbitrarie contro i civili e soprattutto nei confronti del nostro lavoro pastorale. Non ci opponiamo al fatto che le forze di sicurezza compiano il loro dovere per garantire l’ordine pubblico e combattere i gruppi armati illegali: ci opponiamo a una presenza militare che minaccia e inquadra i civili nel conflitto armato”. Vigía del Fuerte e l’antistante località di Bojayá sono drammaticamente finite alla ribalta della cronaca nella primavera dello scorso anno: il 2 maggio 2002 una bomba di fabbricazione artigianale lanciata dalle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) contro la chiesa di Bellavista a Bojayá uccise 119 civili, circa la metà bambini, rifugiatisi nel luogo di culto per ripararsi dai combattimenti in corso tra guerriglieri e paramilitari. Lo scorso luglio, l’ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani in Colombia ha rilevato in un rapporto che le responsabilità dei fatti vanno suddivise tra la guerriglia, che lanciò un ordigno contro la popolazione inerme, i paramilitari, che utilizzarono i civili come scudi umani e la stessa forza pubblica che ignorò gli allarmi lanciati dalla diocesi di Quibdó e dalle organizzazioni umanitarie presenti nella zona. Nello stesso documento, giudicato dalla Procura generale della Repubblica “non conforme a verità”, si osserva che le indagini condotte finora versano in uno ‘stato critico’ e che addirittura a oltre un anno dalla strage non sono state ancora identificate 110 delle 119 vittime.

(Misna 12 set.)








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