Al Festival di Venezia, omaggio ai grandi produttori del cinema italiano.
Un film cinese per raccontare il “paesaggio fluttuante” che alberga nell’animo umano,
ed un film inglese per descrivere il prossimo futuro della terra come un “paesaggio
controllato”: entrano in concorso e senza lasciare grande traccia “The Floating Landscape”
di Carol Lai Miu Set e “Code 46” del giovane Michael Winterbottom. Il primo è la narrazione
delicata di un viaggio catartico, quello della giovane Maan da Hong Kong a Quingdao,
nella Cina Continentale, tormentata dalla morte del suo grande amore che proprio in
quel Paese visse gli ultimi giorni della sua vita. Col tempo il dolore si attenua,
i ricordi del passato si fanno meno emotivi, si aprono nuove prospettive: la morte
di una persona cara può privare temporaneamente di senso l’esistenza ma non ne dovrebbe
ostacolare il procedere. Film semplice e inconsistente.
Assai più intrigante ed inquieto invece il futuro globale dell’intera umanità immaginato
da Winterbottom in modo accattivante anche se frammentario: il “grande fratello” questa
volta si chiama Sphinx, planetaria compagnia assicuratrice che controlla vita e mobilità,
concedendo coperture, ossia permessi per soggiornare in aree protette, le città –
questa volta sono pulite, tranquille, sicure – e visti per potersi spostare da un
continente all’altro. Il commercio illegale di questi documenti necessari spinge William
a Shanghai: lui è dotato del virus dell’empatia, ossia può leggere i pensieri altrui.
Anche quelli di Maria, la colpevole. E quando i pensieri sono d’amore, le cose, irrimediabilmente,
si complicano. Il finale di “Code 46” è amaro: perché anche la memoria dell’uomo è
caduta ormai sotto il dominio delle grandi multinazionali della sicurezza. Bravi gli
interpreti: Tim Robbins e Samantha Morton.
Ma la Mostra del Cinema guarda anche al passato: ieri, conferendo a Dino De Laurentis
il Leone d’Oro alla Carriera, si è reso omaggio ai produttori italiani che hanno fatto
grande il nostro cinema. Venezia dedica loro una sezione, come ci racconta Marina
Sanna, capo redattore della rivista de “Il Cinematografo”:
“Il fiore all’occhiello di questa Mostra è appunto la retrospettiva dedicata ai grandi
produttori del passato. Il periodo preso in considerazione è quello che va dagli anni
’50 agli anni ’70, ossia quel periodo pieno di fermento culturale e creativo, che
avviene subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. La retrospettiva suona come un risarcimento
verso una categoria di professionisti che è stata a lungo ignorata da stampa e critica.
Ignorata per una sorta di snobismo culturale, perché i produttori erano quelli che
avevano a che fare con il denaro. E’ importante perché, facendo delle ricerche, si
è scoperto che su questi signori, che invece hanno reso grande il nostro cinema, non
esiste praticamente nulla, fatta qualche eccezione: è il caso di Dino De Laurentis,
che è stato appunto premiato ieri sera con il Leone d’Oro alla carriera, ricevuto
dalle mani di Bernardo Bertolucci.
Ma fatta qualche eccezione, alcuni sono scomparsi da tempo. Noi, come rivista “Il
Cinematografo”, abbiamo deciso di dedicare un inserto speciale ai produttori, scegliendone
i 5-6 più importanti, a nostro avviso, che sono: Angelo Rizzoli, Dino De Laurentis,
Giuseppe Amato, Carlo Ponti e Franco Cristaldi. Abbiamo fatto una specie di viaggio
nella memoria per ricostruire appunto la loro storia: come hanno influenzato il nostro
cinema, quali film hanno prodotto. Non dimentichiamo che ci sono capolavori come “Sciuscià”,
“La dolce vita”, “Il Gattopardo”, “Francesco, giullare di Dio” dovuti solamente all’intuizione
di queste persone. Abbiamo fatto un viaggio attraverso le immagini. Abbiamo trovato
delle immagini inedite d’epoca molto belle e significative. Attraverso la testimonianza
di sceneggiatori come Susi Cecchi d’Amico, Ugo Pirro, Fulvio Scarpelli, e anche critici,
testimoni di quell’epoca, abbiamo cercato di fare una specie di piccolo compendio
in omaggio a questi grandi professionisti”.