Portare la Parola di Cristo anche nei luoghi dove i cristiani vengono discriminati.
Così Giovanni Paolo II, nel discorso ad un gruppo di vescovi dell’India in visita
“ad Limina”.
Annunciare il Vangelo in zone dove pregiudizi di casta, mentalità tribale, o l’intransigente
ostilità di tipo integralista impediscono la libera adesione al messaggio di Cristo.
E’ lo sforzo quotidiano sostenuto dai vescovi, dai sacerdoti e dai catechisti di molte
parti dell’India: lo ha riconosciuto questa mattina Giovanni Paolo II, accogliendo
in udienza i vescovi delle province ecclesiastiche indiane di Patna, Ranchi, Cuttack
e Bhubaneswar.
Nonostante il Giubileo del 2000 abbia inondato di grazie le Chiese locali del subcontinente
indiano, offrendo un’opportunità di riflettere “sul bisogno di rinnovamento della
vita cristiana” tuttavia, ha notato il Papa, le difficoltà rimangono. Vi sono ancora
“inutili ostacoli” che impediscono l’annuncio del Vangelo, ha constatato, come pure
persistono le sofferenze, dovute alle convinzioni religiose, che non dovrebbero colpire
“i cittadini di una moderna democrazia”. Né, ha soggiunto, dovrebbero esservi persone
“obbligate a nascondersi o a nascondere la propria religione” per poter godere dei
diritti umani fondamentali. Anche per quanto riguarda l’aspetto dell’inculturazione
e del dialogo interreligioso - e a fronte del grande impegno portato avanti dalle
strutture ecclesiali in favore dei poveri, “senza distinzioni di credo” - il Pontefice
non ha potuto non denunciare gli ostacoli incontrati da coloro che si impegnano per
il dialogo a causa della “mancanza di collaborazione da parte del governo” o delle
“molestie di alcuni gruppi fondamentalisti”.
Giovanni Paolo II ha quindi incoraggiato a più riprese i presuli indiani a proseguire
nel loro ministero, in stretta unità con il clero locale e i religiosi. “E’ vostro
dovere assicurare che il dialogo interreligioso continui”, ha affermato, mettendo
in guardia tutto il corpo ecclesiale dall’influenza prodotta “dall’indifferentismo
religioso”. Per questo motivo, ha proseguito, nei seminari deve essere fornita “una
solida formazione teologica”. Formatori e professori, inoltre, “sono obbligati ad
insegnare il messaggio di Cristo nella sua completezza come la sola via, e non come
una via tra le tante”. Tutti i cristiani, ha continuato il Papa, in virtù del loro
battesimo, sono chiamati a partecipare allo sviluppo della comunità ecclesiale in
India. “E’ scoraggiante - ha osservato il Pontefice - vedere il lavoro della Chiesa
spesso compromesso da un persistente tribalismo” riscontrabile in alcune aree. Tribalismo
che, per alcuni gruppi, porta a non accettare i vescovi o i sacerdoti all’interno
del proprio clan, privando le strutture ecclesiali dello loro “specifica funzione”
e “oscurando la natura essenziale della Chiesa come comunione”.
“Le differenze tribali o etniche non devono mai essere usate come ragione per rigettare
un portatore della Parola di Dio”, ha concluso Giovanni Paolo II. E nell’offrire il
riconoscimento doveroso ai numerosi sacerdoti e religiosi che vivono “esemplari esistenze
di povertà, carità e santità”, il Papa ha invitato le diverse componenti ecclesiali
a collaborare fraternamente per il pieno sviluppo delle loro regioni.