Il commosso ricordo di Paolo VI, a 40 anni dall’elezione, e la visita in Bosnia Erzegovina,
appena conclusa, all’udienza generale del Papa in Piazza San Pietro.
Una doppia, commossa memoria: dedicata alla “salda e saggia” guida della Chiesa, che
servì come “apostolo forte e mite”, e insieme al “padre” e al “maestro” al quale rimanere
spiritualmente unito nel proseguire, come suo successore, il ministero di Pastore
universale. Sono le parole grate e colme di rispetto che questa mattina, durante l’udienza
generale in Piazza San Pietro, Giovanni Paolo II ha riservato a Paolo VI, che il 21
giugno di quaranta anni fa saliva al soglio pontificio, per spegnersi quindici anni
più tardi, il 6 agosto 1978.
Davanti ai 10 mila pellegrini di numerosi Paesi del mondo, radunati tra le braccia
del colonnato berniniano, il Papa ha interamente dedicato la catechesi del mercoledì
al ricordo di colui che, nel solco del Concilio Vaticano II, seppe mostrare “grande
apertura alle esigenze dell’epoca moderna”. Ho avuto anch’io, ha rammentato Giovanni
Paolo II, “la grazia di prendere parte ai lavori conciliari e di vivere il periodo
del post-Concilio”. E ho potuto “personalmente apprezzare - ha messo in risalto -
l’impegno che Paolo VI non cessava di dispiegare per il necessario ‘aggiornamento’
della Chiesa alle esigenze della nuova evangelizzazione. Succedendogli sulla Cattedra
di Pietro, è stata mia cura proseguire l'azione pastorale da lui iniziata, a lui ispirandomi
come a un Padre e a un Maestro”:
“Apostolo forte e mite, Paolo VI ha amato la Chiesa e ha lavorato per la sua unità
e per intensificarne l’azione missionaria. In quest’ottica si comprende pienamente
l’innovatrice iniziativa dei Viaggi apostolici, che costituisce, oggi, parte integrante
del ministero del Successore di Pietro”.
Con “prudente saggezza”, ha proseguito il Papa nel suo ritratto di Paolo VI, egli
seppe “resistere alla tentazione di adattarsi alla mentalità moderna sostenendo con
evangelica fortezza difficoltà e incomprensioni e, in qualche caso, persino ostilità.
Anche nei più difficili momenti non ha fatto mancare al popolo di Dio la sua parola
illuminatrice”. Del resto, ha osservato il Pontefice, gli insegnamenti di Paolo VI
sono in gran parte orientati “ad educare i credenti al senso della Chiesa”. Il Papa
ne ha ricordati alcuni, tra cui l’enciclica di inizio pontificato, Ecclesiam suam,
e il Credo del popolo di Dio, definito una “commovente professione di fede”, che Papa
Montini pronunciò “con vigore” in Piazza San Pietro il 30 giugno 1968:
“Come tacere poi delle coraggiose prese di posizione in difesa della vita umana con
l'enciclica Humanae vitae, e a favore dei popoli in via di sviluppo con l'enciclica
Populorum progressio, per costruire una società più giusta e solidale?”.
Proprio nel solco di quel modo di annunciare il Vangelo al mondo inaugurato da Paolo
VI e inteso come azione pastorale senza confini geografici, Giovanni Paolo II è riandato
con la mente all’ultimo dei suoi molti viaggi, ringraziando ancora una volta le autorità
civili, i leader religiosi e la popolazione della Bosnia-Erzegovina, incontrati tre
giorni fa durante il suo breve soggiorno a Banja Luka. Ho constatato con piacere,
ha detto, “la loro disponibilità al dialogo”. Ed ho “colto in tutti - ha soggiunto
- la volontà di superare le dolorose esperienze del passato per costruire, nella verità
e nel perdono reciproco, una società degna dell’uomo e accetta a Dio”:
“Domando a Dio che, sostenuti anche dalla comunità internazionale, quei popoli siano
in grado di risolvere i complessi problemi ancora aperti, e possano realizzare la
legittima aspirazione di vivere nella pace e di far parte dell’Europa unita”.
Tra i gruppi salutati in modo speciale da Giovanni Paolo II al termine dell’udienza,
spiccano gli allievi ufficiali della Guardia di Finanza, la Federazione italiana comunità
terapeutiche e i rappresentanti dell’Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani,
guidati dal vescovo Ciriaco Scanzillo.