GIORNATA STORICA PER IL VECCHIO CONTINENTE: AD ATENE,
LA FIRMA CHE SANCISCE L’ADESIONE DI ALTRI 10 PAESI ALL’UNIONE EUROPEA
L’Europa torna a respirare con due polmoni. La firma che oggi ad Atene sancisce l’ingresso
nell’Unione di dieci nuovi Paesi ha, infatti, il sapore del ritrovarsi nella stessa
famiglia di popoli troppo a lungo divisi da muri che, solo qualche lustro fa, sembravano
impenetrabili. La storia dell’integrazione continentale - iniziata il 18 aprile di
52 anni fa con la nascita della Comunità europea dell’acciaio e del carbone (Ceca)
- vive così una tappa fondamentale attraverso l’adesione di Cipro, Estonia, Lettonia,
Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria. Un evento
di significato notevole anche per il delicato momento internazionale. Lo sottolinea
mons. Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali
d’Europa (Ccee), al microfono di Lucas Duran:
**********
R. – C’è coscienza che il processo di unificazione è un fatto storico, proprio la
sfida irachena ci dice quanto sia necessario che l’umanità faccia un salto di qualità
e l’Europa deve contribuire a questo salto di qualità. Cioè, noi siamo molto tristi
che il mondo debba regolare i suoi problemi attraverso la violenza e le armi. Non
so se l’Europa sarà capace di portare una novità in questo campo. Ovviamente, ci sono
timori economici: pensiamo al capitolo dell’agricoltura e al timore che l’agricoltura
dei Paesi dell’est non sopporti la concorrenza con l’agricoltura di altri Paesi. O,
un altro timore è il fatto che soprattutto i Paesi dell’Est pensano che i propri valori
tradizionali potrebbero subire un attacco, una corruzione nel confronto con l’Occidente.
E quindi, questi sono i timori che anche le Chiese conoscono, con cui le Chiese si
confrontano, anche se tutti gli episcopati – pur tenendo presente questo – hanno sempre
incoraggiato il processo dell’unificazione perché ritengono che un processo che favorisce
la stabilità, favorisce la pace, favorisce la giustizia e con questo risponde al senso
anche profondo del Vangelo.
**********
La firma di Atene è dunque una conquista, una pietra miliare nel percorso di integrazione
europea. Non mancano, tuttavia, le difficoltà per un’organizzazione che ora dovrà
far fronte a sfide nuove, come spiega il prof. Augusto Sinagra, docente di diritto
dell’Unione europea, all’Università “La Sapienza” di Roma:
**********
R. – Quello che è rilevante considerare sono i problemi che questo comporta, problemi
di adattamento delle strutture, di rimodellamento degli organi, della rappresentanza.
Io non so se quello che è stato già fatto a Nizza possa dare un risultato sufficiente,
nel senso di garantire all’Unione Europea di conservare quel tanto o poco di capacità
decisionale, in presenza di un allargamento che si pone quasi in termini di raddoppio.
Rimane il fatto positivo che, comunque, nell’ambito della famiglia europea si vengano
a riprendere colloqui, contatti e rapporti con realtà geografiche, con realtà culturali,
con realtà di grande civiltà che, a causa delle vicende conseguenti alla Seconda Guerra
Mondiale, sono state nettamente separate per diversi decenni dal contesto che era
pure unitario dell’Europa, in termini culturali, in termini di civiltà e in termini
di tradizione, di religione … Non per nulla il Pontefice pone l’accento, a proposito
dei lavori dell’elaboranda Costituzione europea, sulla necessità di un riferimento
a quelle che sono le radici cristiane dell’Europa, che vuole significare la rivendicazione
di una civiltà profonda che nasce da noi con il Cristianesimo, dopo l’era dell’Impero
romano.
D. – Le strutture comunitarie, pensate per un numero ristretto di Paesi, reggeranno
al peso di un’organizzazione così ampliata rispetto alla versione originaria?
R. – Personalmente ne dubito, perché per quanto si possano e si debbano modificare
i sistemi e le procedure di voto, per quanto si debbano e si possano modificare le
strutturazioni dei diversi organi e i rapporti interorganici, rimarrà oggettivamente
difficile o difficoltoso raggiungere e determinare un momento decisionale, quando
si passa da 15 voci a 25 voci. Quindi con un insieme di altri Stati, i quali sono
portatori, anche legittimamente comprensibilmente, di istanze, di modi di vedere,
di punti di vista differenti tra di loro, e differenti rispetto anche agli Stati già
membri dell’Unione Europea.