2003-04-25 13:32:11

LA QUESTIONE ARMENA: OGGI UNA COMMEMORAZIONE STORICA


Una giornata per non dimenticare: gli armeni di tutto il mondo commemorano oggi la tragedia del proprio popolo, consumatasi all’inizio del secolo scorso per mano turca. Una pagina dolorosa, riportata in primo piano da Giovanni Paolo II, che il 26 settembre del 2001 - nel viaggio apostolico in Armenia – si è recato al memoriale di Tzitzernakaberd, eretto proprio a ricordo delle vittime armene cadute a partire dal 1915, nell’arco di tre anni, sotto il governo dei Giovani Turchi. Una vicenda che, d’altro canto, presenta ancora numerose questioni controverse in sede storica, a cominciare dal numero dei morti. Un milione e mezzo, per gli armeni. Non più di trecento mila, secondo fonti turche. Comunque, una tragedia di immani proporzioni, che Flavia Amabile e Marco Tosatti ripercorrono nel loro ultimo libro “La vera storia del Mussa Dagh”, edito da Guerini. Una storia di coraggio e speranza sulle vicissitudini di quattro mila armeni, che lottarono strenuamente per la propria salvezza e, al tempo stesso, per testimoniare al mondo la sofferenza del proprio popolo. Stefano Leszczynski ha intervistato l’autore del libro Marco Tosatti, vaticanista del quotidiano “La Stampa”.

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R. – Il Mussa Dagh in realtà è uno dei pochi episodi, forse l’unico episodio ad esito felice in quella storia tremenda che ha segnato l’inizio di un secolo di orrori, e ha dato probabilmente anche l’idea all’autore dello sterminio degli ebrei che certi crimini potevano essere compiuti impunemente. Che cos’è il Mussa Dagh? Il Mussa Dagh è una montagna sulla costa, allora siriana, adesso turca, che era abitata da sette villaggi di armeni, cristiani naturalmente. Quando giunse l’ordine da parte delle autorità turche di raccogliere le proprie cose per essere deportati altrove, come stava succedendo in quel momento alla maggior parte degli armeni dell’Anatolia e dell’Impero comunque Ottomano – c’erano già i giovani turchi però, per essere massacrati sostanzialmente – gli abitanti di questi sette villaggi decisero che non avrebbero voluto andarsene. Salirono su questa montagna e per 53 giorni resistettero agli attacchi via via sempre più pressanti e più pesanti dei turchi, con vecchie armi, con pochissimi fucili moderni, e l’attacco dell’esercito turco, che si accorgeva che questi signori erano difficilmente riconducibili “alla ragione” diventava sempre più duro. Cosa fecero? Presero delle lenzuola, cucirono una grande croce rossa sopra queste lenzuola e la issarono sulla cima della montagna nella speranza che qualche nave alleata passando la vedesse. Finalmente dopo 53 giorni una nave francese la vide e avvertì la flotta. L’ammiraglio non aspettò le istruzioni da Parigi, che ovviamente sarebbero arrivate chissà quando, e decise di salvare oltre 4 mila armeni – uomini, donne e bambini – che furono imbarcati e portati a Port Said. E così questa resistenza bellissima, in cui sconfissero varie volte l’esercito turco e gli ausiliari, si risolse in maniera positiva.

D. – La storia sulla quale è costruito il libro dà però moltissimi spunti di riflessione sul genocidio e dà anche degli spunti di riflessione su quella che è la situazione attuale della regione …

R. – L’interesse era focalizzare intanto questo baratro di memoria, cioè questo genocidio non dimenticato, ma negato, che è una cosa diversa.

D. – Per cercare di localizzare forse meglio geograficamente quello di cui stiamo parlando, com’è la disposizione delle minoranze armene e curde nella regione? Quanti Stati sono coinvolti? Perché esiste uno Stato Armenia, ma è di recente costituzione ...

R. – Lo Stato armeno è nato subito dopo la Prima Guerra mondiale, “grazie” all’intervento dei bolscevichi. Per una questione geopolitica la Russia non voleva che la Turchia potesse espandersi troppo a ridosso dei suoi confini e l’esercito bolscevico arrivò e bloccò quello che era un secondo massacro nel massacro, compiuto questa volta dai soldati di Ataturk, e non più del triumvirato. In realtà, gli armeni adesso in Turchia ci sono e sono soprattutto ad Istanbul. Anche durante il genocidio furono “risparmiati”, nel senso che Istanbul era troppo visibile anche agli occhi delle potenze occidentali e delle potenze, come la Germania, che erano alleate della Turchia stessa. Il grande problema adesso per la Turchia non sono più gli armeni, sono i curdi, nell’est del Paese, e gravitano in quella zona che è a cavallo fra Iran, Iraq, parte della Siria e della Turchia, lì dove in realtà sarebbe già dovuta nascere, alla fine della Prima Guerra Mondiale - quando fu decisa quella che un autore di un libro molto bello ha definito “una pace per mettere fine a tutte le paci” - la nuova spartizione con Sykes Picot, delle zone di influenza in quell’area geografica. Loro avrebbero dovuto già avere uno Stato allora, uno Stato che gli fu negato, e che mi sembra venga negato loro anche adesso.






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