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Sommario del 29/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Appello del Papa per l'Iraq: pace e unità tra gruppi etnici e religiosi

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Una preghiera per l’Iraq e il richiamo alla protezione dei civili di quel Paese sono il contenuto dell’appello che il Papa ha rivolto alla fine dell’udienza generale. Francesco ha soprattutto sottolineato la ricchezza che la diversità delle religioni e delle etnie hanno sempre rappresentato per quella nazione. Francesca Sabatinelli

Il mosaico di religioni e di etnie che compone l’Iraq è la vera ricchezza di quel Paese perché rappresenta l’unità nella diversità, la forza nell’unione, la prosperità nell’armonia. Papa Francesco guarda alla nazione irachena devastata dalla violenza e chiede che si faccia il possibile per proteggere le popolazioni. Queste le sue parole:  

“Invito a pregare affinché l’Iraq trovi nella riconciliazione e nell’armonia tra le sue diverse componenti etniche e religiose, la pace, l’unità e la prosperità. Il mio pensiero va alle popolazioni civili intrappolate nei quartieri occidentali di Mosul e agli sfollati per causa della guerra, ai quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale. Nell’esprimere profondo dolore per le vittime del sanguinoso conflitto, rinnovo a tutti l’appello ad impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo ed urgente”.

L’appello del Papa ha fatto seguito all’incontro da lui avuto con il Comitato permanente per il dialogo che riunisce delegati del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso e le Sovraintendenze Irachene per sciiti, sunniti, cristiani, yazidi e sabei/mandei. A loro Francesco si era rivolto sottolineando la diversità e l’uguaglianza dei figli del “padre comune sulla terra: Abramo”. “Tutti diversi e tutti uguali – sono state le parole del Papa – come le dita di una mano: cinque sono le dita, tutte dita, ma tutte diverse”. Il dialogo, è dunque stato il richiamo, è una ricchezza di fratellanza ed è quindi la strada verso la pace. Massimo Campanini, docente di Islamistica e Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:

R. - Nella prospettiva storica l’Iraq è stato un calderone, diciamo così, di identità etnico-religiose perché l’Iraq si colloca strategicamente e geograficamente all’incrocio del mondo turco, del mondo arabo e del mondo persiano. Ci sono queste diverse rappresentanze e ci sono molteplici aderenze a confessioni diverse. Tuttavia, se si risale all’indietro dei tempi, addirittura al X secolo, uno dei maggiori filosofi dell’islam, cioè Al-Farabi, che era turco di origine e che ha passato gran parte della sua vita a Baghdad, ha avuto a Baghdad come maestri e come discepoli dei cristiani giacobiti e nestoriani, proprio a dimostrazione del fatto di come le confessioni a quell’epoca convivessero pacificamente. I conflitti che ci sono oggi in Iraq sono rivestiti di panni religiosi, ma non è conflitto settario che abbia origini religiose, è conflitto essenzialmente politico che si riveste di panni religiosi perché la religione offre la possibilità di una strumentalizzazione ideologica e quindi di giustificare ideologicamente un’opposizione tra cristiani e musulmani, tra curdi e arabi sciiti e quindi dà degli elementi di strumentalizzazione che trasformano in settario un conflitto che è assolutamente politico.

D.  - E’ corretto pensare che, lei parlava dell’aspetto politico, ma oltre a questo una delle radici del conflitto possa essere l’uso tribale delle religioni?

R. - Alcune delle zone del mondo arabo mantengono ancora una insorgenza tribale. L’Iraq è una di queste, insieme alla Libia e insieme allo Yemen. Mentre invece, per esempio, in Paesi come l’Egitto e la Tunisia ma anche la Siria stessa, in un certo senso, l’elemento tribale è secondario. Quindi è chiaro che, in questo senso, relativamente all’Iraq, è possibile dire che al di sotto del conflitto politico ci siano anche delle aderenze e quindi dei riconoscimenti di quella che il grande storico e filosofo della storia Ibn Khaldun chiamava lo spirito di corpo, la “asabiyyah”, cioè quel vincolo di sangue e di alleanza e di clientela che forma la base della struttura tribale. Questo elemento certamente c’è ed è stato operativo. Quindi, sì, certamente questo tipo di variabile esiste.

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Papa: la speranza cristiana non si basa su rassicurazioni umane

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Come Abramo, aprite il cuore alla fede e Dio porterà a compimento quello che ha promesso. E’ l’esortazione rivolta dal Papa ai fedeli nella catechesi stamani all’udienza generale, in Piazza San Pietro. Francesco prosegue il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana che si deve fondare sulla fede, non su ragionamenti o rassicurazioni umane. Il servizio di Debora Donnini

Abramo è per noi non solo “padre della fede” ma anche “padre nella speranza”. Per spiegare lo stretto legame fra fede e speranza, Papa Francesco si rifà alla figura di Abramo e alla Lettera ai Romani proclamata all’udienza.

La speranza sia radicata nella fede non su rassicurazioni o ragionamenti
Abramo infatti crede contro ogni speranza, non vacilla. Si tratta di una speranza non fondata su rassicurazioni umane ma radicata nella fede. E anche a noi si rivela il Dio che salva. Dio ha risuscitato dai morti Gesù perché anche noi possiamo passare in Lui dalla morte alla vita ed essere un’umanità nuova:

“La nostra speranza non si regge su ragionamenti, previsioni e rassicurazioni umane; e si manifesta là dove non c’è più speranza, dove non c’è più niente in cui sperare, proprio come avvenne per Abramo, di fronte alla sua morte imminente e alla sterilità della moglie Sara. Si avvicinava la fine per loro, non potevano avere figli, e in quella situazione, Abramo credette e ha avuto speranza contro ogni speranza. E questo è grande!”.

“La grande speranza” infatti si radica nella fede e proprio per questo è capace di andare oltre ogni speranza. Non si fonda sulla nostra parola, ma sulla Parola di Dio.

Il solo prezzo è aprire il cuore alla fede
Noi siamo chiamati a seguire l’esempio di Abramo, che pur di fronte ad una realtà che sembra votata alla morte, si fida di Dio, convinto che quanto ha promesso, è capace di portarlo a compimento. E per farlo, bisogna aprire il cuore alla fede:

“Aprite i vostri cuori e questa forza di Dio vi porterà avanti, farà cose miracolose e vi insegnerà cosa sia la speranza. Questo è l’unico prezzo: aprire il cuore alla fede e Lui farà il resto”.  

Se abbiamo il cuore aperto, ci incontreremo sulla piazza del Cielo
A promettere infatti non è “uno qualunque” ma “il Dio della Risurrezione e della vita”. Bisogna quindi rimanere fondati non sulle nostre capacità ma sulla promessa di Dio come ha fatto Abramo perché “quando Dio promette porta a compimento quello che promette”. “Mai manca alla sua parola”, sottolinea ancora Francesco:

“Oggi siamo tutti in piazza, lodiamo il Signore, canteremo il Padre Nostro, poi riceveremo la benedizione … Ma questo passa. Ma questa è anche una promessa di speranza. Se noi oggi abbiamo il cuore aperto, vi assicuro che tutti noi ci incontreremo nella piazza del Cielo che non passa mai per sempre. Questa è la promessa di Dio e questa è la nostra speranza, se noi apriamo i nostri cuori”.

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Rinunce e nomine

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Per le rinunce e nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Tweet: la pace che scaturisce dalla fede è un dono

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In un nuovo tweet pubblicato sull’account @Pontifex in nove lingue, il Papa scrive: “La pace che scaturisce dalla fede è un dono: è la grazia di sperimentare che Dio ci ama e che ci è sempre accanto”.

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Oggi in Primo Piano



La Brexit diventa realtà. Scozia sempre più lontana da Londra

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La Brexit diventa realtà. Oggi, con una lettera, la notifica della premier britannica, Theresa May, a Bruxelles per l’avvio del processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, sancita dal referendum del 23 giugno scorso, in base all'articolo 50 del Trattato di Lisbona. La Scozia però minaccia di lasciare il Regno Unito attraverso una nuova consultazione popolare. Ma come cambieranno i rapporti internazionali per Gran Bretagna e Unione Europea? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Federiga Bindi, docente di Politica europea al centro “Jean Monnet” dell’Università romana di Tor Vergata: 

R. – Per quanto riguarda il futuro dell’Inghilterra - e ho usato appositamente il termine “Inghilterra” - mi pare che in un certo senso Brexit sia la fine del colonialismo, con la Scozia che quasi sicuramente uscirà, perché il motivo primario per il quale gli scozzesi decisero di rimanere all’interno della Gran Bretagna era proprio per stare dentro l’Unione Europea. Il rischio è che poi anche l’Irlanda del Nord faccia un percorso simile nonostante tutti i problemi che la contraddistinguono. Quindi della Gran Bretagna rimarrebbe solo l’Inghilterra, con un rapporto forse privilegiato con gli Stati Uniti, ma insomma la piccola Inghilterra avrebbe certamente meno peso della Gran Bretagna. Per l’Unione Europea è il momento di riflettere seriamente. In realtà Brexit è una grandissima opportunità, perché per molti anni ci si è nascosti dietro l’ostruzionismo della Gran Bretagna e dietro un sacco di politiche; questo non ci sarà più. Brexit ha avuto chiaramente l’effetto di un sostegno maggiore per l’integrazione europea nel resto d’Europa, quindi è un’occasione che spero i nostri leader sappiano valorizzare.

D. - È immaginabile, nonostante la premier May dica che i rapporti con l’Europa rimarranno saldi, che la Gran Bretagna rientri nella sfera economica degli Stati Uniti?

R. - La Gran Bretagna in parte è già nella sfera economica degli Stati Uniti. Molti europei non si rendono conto che gli Stati Uniti tendono a giudicare le persone, gli enti, a seconda del loro interesse e a seconda del loro peso specifico. È evidente che una piccola Inghilterra avrà un peso specifico minore rispetto ad una Gran Bretagna parte dell’Unione Europea. Quindi gli americani avranno comunque meno interesse nell’Unione Europea. Penso che loro tenderanno a trovarsi un altro partner privilegiato che faccia da cavallo di Troia all’interno dell’Ue.

D. - Tornando al discorso della Scozia, quale interesse ha quest’ultima a voler rimanere in Europa?

R. - Ha tutti gli interessi. A differenza del Regno Unito che non si rende conto di cosa andrà a perdere, gli scozzesi hanno ben chiaro cosa perderebbero: fondi, accesso al libero mercato, libera circolazione … Qui sono i conservatori inglesi a non rendersene conto. La Scozia avrebbe tutto da perdere dall’essere fuori dall’Unione Europea e nulla da guadagnare. 

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Clima. Cina conferma accordi Parigi. Rammarico Ue per scelte Usa

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La Cina conferma tutti gli impegni sul taglio dei gas serra. Lo ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Lu Kang, all’indomani della firma del presidente Usa, Donald Trump, al decreto che rilancia l’uso del carbone per l’industria americana. Intanto il commissario europeo al clima, Miguel Arias Canete, ha espresso rammarico" per la decisione del capo della Casa Bianca di "tornare al passato" invece di investire sulle energie pulite, ma ha anche fatto appello all'Europa affinché sia capace di "mantenere la leadership mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico”. Massimiliano Menichetti ha intervistato Alfonso Cauteruccio, presidente dell’associazione Greenaccord: 

R. – C’è una grande preoccupazione per questa decisione perché va contro il parere praticamente unanime degli scienziati. C’è però da sottolineare che non è così semplice smantellare l’impianto legislativo voluto da Obama che garantiva questa corrispondenza agli accordi di Parigi sul clima, così come gli accordi precedenti, con la progressiva decarbonizzazione dell’economia statunitense. Poi bisogna tener conto che in America, gli Stati hanno una grande autonomia; la California, ad esempio, si è in sostanza già dissociata, inoltre ci saranno anche tutta una serie di ricorsi, sia da parte delle associazioni ambientaliste sia di altri soggetti interessati al tema. Quindi per Trump non sarà così facile ribaltare tutto.

D. - Però segnali operativi sul terreno già ci sono in questo senso da parte di Trump …

R. – Ha revocato l’abbattimento delle emissioni carboniche da parte delle centrali elettriche, ha abolito le restrizioni che Obama aveva imposto per le trivellazioni costiere, sui permessi di sfruttare le miniere nelle terre di proprietà pubblica, sull’emissione di metano dagli oleodotti… Quello che può fare Trump con certezza è non finanziare più politiche verdi, ma non può rinnegare semplicemente tout court gli accordi internazionali e cancellarli da un giorno all’altro.

D. - Tutto questo – afferma Trump – per rilanciare l’industria, creare più posti di lavoro. Lo ha ridetto anche per quanto riguarda il carbone …

R. - Bisogna sottolineare però che gli investimenti finanziari e quindi il mondo economico che muove i soldi, va in tutt’altra direzione, tanto è vero che c’è stata una caduta verticale delle quotazioni del greggio, così come per il carbone, che non costituisce più un mercato molto redditizio. Il mercato si sta muovendo diversamente perché il timore dei cambiamenti climatici e delle sue ripercussioni economiche, spaventano tantissimo. Ritengo che le nuove forme di protezione ambientale possono generare davvero tantissimi posti di lavoro come già sta succedendo almeno in Europea ed anche in Italia.

D. - Comunque, anche se non sarà semplice per Trump demolire l’impianto che cerca di rispettare il creato, la sua decisione è un segnale fortemente negativo visti gli accordi sul clima di Parigi del 2015 e Marocco 2016

R. - È certamente un passo indietro. Alcuni commentano che praticamente in questa maniera Trump lascia alla Cina il ruolo di nazione guida, perché si trova ad essere la nazione più grande ad avere un ruolo inatteso, politico da capofila per quanto riguarda l’attenzione al clima.

D. - Questo perché la Cina ha mostrato un’apertura lo scorso anno a Marrakech?

R. – La Cina ha seri problemi ambientali, lo ha capito e sta iniziando a lavorare in questo senso; la sfida in questo caso è capire come questo avverrà. Mi auguro comunque che tutto si ridimensioni.

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Onu: Italia garantisca aborto e adozione gay. Le parole del Papa

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Il Comitato Onu per i diritti umani ha pubblicato ieri un documento in cui chiede all’Italia di garantire l’aborto - perché ci sarebbero troppi medici obiettori - e di permettere alle stesse coppie omosessuali di adottare o di accedere alla fecondazione in vitro. Il servizio di Sergio Centofanti

Secondo l’Onu, l’Italia, sul piano della tutela dei diritti umani, ha fatto bene negli ultimi tempi, come il varo della legge sulle unioni civili, che regolamenta le nozze omosessuali. Ma deve fare degli “sforzi importanti” per arrivare alle adozioni gay e per garantire l’aborto a fronte di tanti medici obiettori.

Papa Francesco ha denunciato più volte i tentativi di chi vuole impedire l’obiezione di coscienza su temi "morali": l’ha chiamata persecuzione “educata”, "travestita di cultura” e” progresso".

E proprio in questi giorni ha lanciato un tweet in cui ha ribadito che “Custodire il sacro tesoro di ogni vita umana, dal concepimento sino alla fine è la via migliore per prevenire ogni forma di violenza”.

Parlando all’Onu il 25 settembre 2015, Papa Francesco affermava che “la difesa dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione esigono il riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che comprende la distinzione naturale tra uomo e donna (cfr Enc. Laudato sì, 155) e il rispetto assoluto della vita in tutte le sue fasi e dimensioni (cfr ibid., 123; 136)”.

Nella Evangelii Gaudium il Papa ricorda che la Chiesa è sempre dalla parte dei più deboli e tra questi “ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti”. “Non è progressista – osserva - pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana”.

La preoccupazione di Francesco – espressa nella sua visita all’Europarlamento e al Consiglio d’Europa il 25 novembre 2014 - è che ci sia un abuso dei diritti umani che vengono interpretati come diritti individualistici staccati dai doveri e dal bene comune: “così si finisce per affermare i diritti del singolo senza limitazioni” ai danni dei più vulnerabili.

In questo senso,  ha ribadito anche con forza che “i bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva” (17 novembre 2014). 

E’ un contesto, secondo Papa Francesco, in cui è a rischio anche  la libertà di educazione: i bambini e i giovani sono spinti “a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’. ‘A volte, non si sa” - afferma il Papa - se con certi “progetti di educazione si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione’” (Discorso al Bice, 11 aprile 2014).

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Giuristi italiani contro le Dat: la sostanza è eutanasia

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Oltre 250 giuristi hanno aderito all’appello lanciato dal Centro Studi Livatino contro la proposta di legge sulle Dat, le disposizioni anticipate di trattamento, perché - si afferma –“pur non adoperando mai il termine eutanasia, ha un contenuto nella sostanza eutanasico”. L’appello del Centro Studi Livatino, formato da magistrati, docenti universitari, avvocati e notai, è stato inviato a tutti i deputati e i senatori mentre alla Camera è iniziato il dibattito sulla proposta di legge.

Rispetto al testo sul 'fine vita' approvato nella 16esima Legislatura solo dalla Camera dei Deputati (e che vedeva come relatore Raffaele Calabrò, medico, oggi deputato di Ap) in questa proposta, al di là delle intenzioni dichiarate di voler tenere fuori dal progetto questa casistica – sottolinea il testo dell’appello - sono scomparsi il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto esplicito di qualunque forma di eutanasia, omicidio del consenziente e aiuto al suicidio. La nutrizione e l’idratazione artificiali – si sottolinea - sono qualificati, inoltre, come trattamenti sanitari, quindi l’interruzione della loro somministrazione, rientra tra i trattamenti che possono essere esclusi nelle Dat. Poiché mancano per definizione di attualità, segnala il 'Livatino' e hanno a oggetto un bene indisponibile come la vita, le 'disposizioni anticipate di trattamento' sono ben diverse dal consenso informato: finiscono per rappresentare, in questa formulazione, il riconoscimento del 'diritto' al suicidio, che non ha nulla a che vedere con la libertà di non essere curati.

“A esso - denuncia il Centro studi - come per ogni diritto, corrisponderà un dovere: quello del medico di assecondare la volontà suicidiaria”: anche per questo la proposta di legge stravolge il senso e il profilo della professione del medico. Ancor più delicata è la disciplina per i minori. Qui si realizza, denunciano i giuristi, “una eutanasia di non consenziente, come è già accaduto in Belgio e Olanda. Di fronte a un testo obiettivamente inemendabile il Centro studi Livatino auspica che “il Parlamento italiano affronti le reali emergenze sanitarie; nella convinzione che chi soffre vada aiutato, oltre che a ricevere terapie adeguate, a vivere con dignità la sofferenza, non a vedersi sottratte insieme la vita e la dignità”.

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Angola: dall'emergenza siccità all'impegno contro la mortalità

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Termina venerdì la registrazione degli aventi diritto al voto in Angola, per le elezioni generali di agosto. Si andrà alle urne tra l’altro per scegliere il successore di José Eduardo dos Santos, da 37 anni al potere, in un momento in cui il Paese soffre le conseguenze di una forte siccità, ora seguita da piogge torrenziali nelle zone nord-occidentali. Il servizio di Giada Aquilino

Cinque anni di forte siccità, ora decine di vittime per piogge torrenziali e inondazioni nel nord ovest. In questo contesto, l’Angola si prepara alle elezioni generali di agosto, compreso il cruciale voto per le presidenziali. José Eduardo dos Santos, al potere ininterrottamente dal 1979, come spesso accaduto in altre parti dell'Africa, nelle scorse settimane ha annunciato che non si candiderà per un ulteriore mandato in un Paese uscito nei primi anni Duemila da una lunga guerra civile che ha visto principalmente in lotta due fazioni: il Movimento popolare di liberazione (Mpla) e l'Unione nazionale per l'indipendenza totale (Unita). Ce ne parla l’africanista Vincenzo Giardina, inviato dell’agenzia Dire in Angola:

“L’Angola ha vissuto 27 anni di guerra civile che si è conclusa nel 2002. Dopo questa fase drammatica, ha vissuto una fase di grande sviluppo a partire da un livello vicino allo zero: tassi di crescita annui del prodotto interno lordo a due cifre hanno caratterizzato il primo decennio del 2000, assieme a un boom petrolifero. L’Angola inoltre dal mese scorso è tornata ad essere il primo produttore di petrolio dell’Africa subsahariana. Questo boom petrolifero ha consentito una ricostruzione difficile, ma in alcune zone del Paese - in particolare a Luanda, nella zona più prossima alla baia, dove c’è un bellissimo lungomare punteggiato di grattacieli e di edifici moderni - c’è stato uno sviluppo molto veloce, sostanzialmente fino al 2014, anno segnato da un brusco calo dei prezzi del greggio. Questo ha comportato negli ultimi due anni l’esigenza per il governo angolano di tagliare alcune spese importanti, in un Paese dove la grande maggioranza della popolazione continua a vivere una condizione di indigenza, di povertà. E questo si vede benissimo se soltanto si va un po’ oltre la ‘cartolina’ di Luanda, in quartieri che da settimane sono senza acqua e non c’è elettricità”.

Quando nel 2002 ebbe termine la guerra, con la vittoria del Movimento popolare di liberazione, più di 500 mila persone erano state uccise e oltre un milione quelle costrette ad abbandonare le proprie abitazioni. Oggi l’Angola figura al 164° posto su 176 nella classifica dell’Ong Transparency International sulla corruzione. Soffre ancora dei gravi danni provocati dal conflitto alle infrastrutture del Paese. Ma non solo. Ancora Vincenzo Giardina:

“L’emergenza acqua ha diversi volti. Nella provincia del Cunene, dove mi trovo, sta piovendo da pochi giorni ma sostanzialmente non pioveva da due anni, quindi la pioggia è una benedizione di questi giorni. A Luanda non c’è acqua per motivi differenti. La stagione delle piogge doveva cominciare a fine gennaio e non è cominciata affatto. Poi perché il governo sta utilizzando i bacini esistenti per riempire l’invaso di una grande diga sul fiume Kwanza, la diga di Lauca. Un progetto enorme, da 5 miliardi di dollari, che secondo l’attuale ministro della Difesa e candidato a succedere a Edoardo Dos Santos, João Lourenço, dovrà garantire elettricità a 5 milioni di angolani”.

Proprio nel Cunene, nell’Angola meridionale, è attivo il progetto “Prima le mamme e i bambini”, portato avanti da Medici con l’Africa Cuamm per contribuire a ridurre la mortalità materna e neonatale. Ce ne parla Beatrice Buratti, ostetrica volontaria del Cuamm:

“Siamo al lavoro in un ospedale diocesano, nella diocesi di Ondjiva, in una zona poverissima dove la mortalità materna è molto alta, tra le più alte di tutta l’Africa, come lo è anche la mortalità infantile. I numeri della mortalità materna sono di 477 ogni 100 mila nati vivi, tenendo conto che ogni donna ha una media di sei figli. Poi c’è anche la prevalenza dell’Hiv, che raggiunge il 2,4%. La speranza di vita per tutto il Paese, in particolare per questa zona che è appunto la più povera, è di circa 46 anni, quindi molto bassa”.

Tante le emergenze, acuite anche dalla mancanza d’acqua. Ancora Beatrice Buratti:

“Le emergenze maggiori sono il taglio cesareo: quando le donne entrano in travaglio in zone molto lontane dall’ospedale e il travaglio non procede come dovrebbe, se non vengono assistite subito o nei tempi giusti dal punto di vista medico, queste donne rischiano di morire in casa. E il taglio cesareo può essere effettuato solo in ospedale, per cui queste donne hanno bisogno di venire qui. E poi senz’altro anche l’emorragia durante il parto: quando danno alla luce i loro bimbi in casa, il pericolo è molto alto; essendo poi senza medicine e senza conoscenze mediche e lontane dai punti d’assistenza, il rischio di morte è molto alto. Inoltre, i travagli che, non procedendo in maniera regolare, possono portare alla morte del bambino e in alcuni casi della mamma”.

L’emergenza idrica si ripercuote poi sulla società angolana, con gravi disagi e conseguenze nella popolazione, ad esempio l’aumento del prezzo dei beni di prima necessità e l’evasione scolastica, come spiega Vincenzo Giardina:

“L’abbandono scolastico è un problema sempre, ma in questo periodo in cui le verdure e qualunque bene, come le taniche d’acqua, costano molto di più, si è amplificato: c’è ad esempio il problema della capacità delle famiglie di pagare quel minimo di retta che serve poi alla manutenzione degli edifici scolastici”.

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Vescovi europei: i giovani si sentano amati dalla Chiesa

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E’ in corso da ieri a Barcellona il Simposio europeo sui giovani promosso dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), in collaborazione con la Conferenza Episcopale Spagnola e l’arcidiocesi di Barcellona. “Camminava con loro. Accompagnare i giovani a rispondere liberamente alla chiamata di Cristo”, il tema dell’incontro. Ai partecipanti l’incoraggiamento di Papa Francesco: lavorate perché “i giovani siano portatori della gioia del Vangelo”. Adriana Masotti

E’ il primo incontro su questo tema: i vescovi europei s’interrogano sull’accompagnamento dei giovani, in vista anche del prossimo Sinodo, nel 2018, dedicato proprio a loro. 275 i delegati delle 37 Conferenze episcopali d’Europa, presenti a Barcellona e  a loro il Papa invia un messaggio, a firma del cardinale Pietro Parolin, in cui li incoraggia “a condurre una riflessione sulle sfide dell’evangelizzazione e sull’accompagnamento dei giovani affinché, mediante il dialogo e l’incontro, e come membra vive della famiglia di Cristo, i giovani siano portatori convinti della gioia del Vangelo in tutti gli ambiti”.

Nei 4 giorni di lavoro ci saranno relazioni, confronto e scambio di esperienze e, in particolare nella giornata di oggi, di “buone pratiche”.  Cinque gli ambiti pastorali coinvolti: scuola, università, catechesi, giovani, vocazione. In una lettera inviata dal card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa, si ricordano a pochi giorni dall’anniversario dei Trattati di Roma, i sessant’anni di cammino percorso dall’Unione Europea. Camminare insieme è possibile, dice il card. Bagnasco, ed è la cosa migliore e ciò è vero a cominciare proprio dai giovani che, afferma, “ sono il futuro della vita”, e “il futuro di questo continente antico ma non spento”. Scommettere sul futuro per l’Europa significa essere aperti ai giovani, offrire loro istruzione e reali possibilità di 'inserimento nel mondo del lavoro”, scrive il cardinale. E poi ancora aiutarli ad aver fiducia nell’identità del continente europeo la cui missione è ricordare al mondo l'inviolabilità della vita umana, la dignità e la libertà di ogni persona insieme alla sua responsabilità.

I vescovi a Barcellona devono fare i conti con l’attuale distanza di tanti giovani dalla religione cristiana  e dalla Chiesa, con la loro carenza di speranza e di senso da dare alla vita. Il card. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, parla al Simposio di giovani che non sanno dove andare, che guardano al futuro con un profondo senso di “incertezza”. La Chiesa dunque vuole essere al loro fianco nell’impegno di discernimento di ciò che Dio vuole per la loro vita. Attraverso anche percorsi nuovi. I giovani hanno sete di felicità, afferma nel suo intervento il card. Antonio Canizares Llovera, arcivescovo di Valencia e vice-presidente della Conferenza episcopale spagnola, ma tante sono le difficoltà che incontrano nel mondo.  E conclude: “Solo Dio conduce alla piena realizzazione delle loro  aspettative. E “i giovani potranno incontrarlo nella Chiesa”. Loro devono scoprire che “vale la pena essere Chiesa”, che la Chiesa li accoglie e ha fiducia in loro, “devono sentire che sono la speranza del mondo e la speranza della Chiesa”.

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Paraguay: i vescovi chiedono che sia rispettata la democrazia

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"Le decisioni prese, con seri dubbi sulla loro legalità e legittimità, sono un segno della assoluta mancanza di considerazione e di rispetto per l'istituzione democratica che con tanto impegno e dedizione abbiamo conquistato dopo decenni di dittatura": è la ferma dichiarazione della Conferenza episcopale del Paraguay riguardo ai fatti di ieri, martedì 28 marzo, quando i parlamentari del governo hanno stabilito un accordo con un gruppo dell'opposizione per presentare ed approvare, in poche ore, un emendamento costituzionale che consente la rielezione presidenziale.

Dal 1992 previsto un solo mandato presidenziale
In Paraguay dal 1992 la rielezione del Presidente è vietata dalla Costituzione per proteggere il Paese dalle dittature, quindi il presidente può svolgere un solo mandato. "E' urgente riflettere, con calma e in modo responsabile, su ciò che è accaduto, e guidare gli sforzi per ripristinare la fiducia in un'istituzione di alto valore per la Repubblica, mostrando una forte volontà di raggiungere gli accordi nel contesto della legalità".

Nel Paese proteste e manifestazioni
La tensione nel Paese – riferisce l’agenzia Fides - è alta: ieri sera un migliaio di persone è sceso in strada insieme al sindaco della capitale, Asuncion, per manifestare contro quello che hanno definito “colpo di stato parlamentare”. "Riteniamo prudente – si legge infine nel comunicato dei vescovi - non insistere sull'introduzione della rielezione presidenziale attraverso la via dell'emendamento costituzionale, perché produce inutile tensione e polarizzazione sociale, che se non gestita correttamente, potrebbe diventare violenza con imprevedibili conseguenze".

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Nicaragua, mons. Baez: società lacerata da corruzione e ingiustizia

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"C'è molta corruzione. Ci sono molte bugie, c'è egoismo e molta è l'avidità per il denaro e il potere, e questo crea ingiustizia e fa crescere il numero dei poveri". E’ quanto ha affermato durante la Messa, domenica scorsa a Managua, mons. José Silvio Baez. "E' vero che ci sono cose positive in Nicaragua, ma non siamo soddisfatti per come va avanti", ha detto il vescovo ausiliare di Managua commentando il brano di Vangelo dove Gesù ridona la vista ad un cieco. Mons. Baez ha ribadito che siamo tutti membri della società: "dobbiamo ridare - ha spiegato - la vista alla società, ridare l'anima alla società, perché la nostra società sembra vivere senza l'anima, senza la vista, senza la mente, perché, come tutti possiamo verificare, abbondano gli atti irrazionali". Quindi ha aggiunto che "la povertà è frutto di questa cecità, come anche il fanatismo religioso o politico".

Mons. Baez: noi cristiani chiamati a diventare luce del mondo
Il presule – riferisce l’agenzia Fides - ha anche ricordato come il Nicaragua sia ancora sconvolto da quanto accaduto un mese fa, quando in una chiesa evangelica fu bruciata viva una donna di 25 anni in quanto considerata indemoniata. La donna morì quattro giorni dopo, quando finalmente fu portata all'ospedale. La polizia ancora indaga sul fatto e sotto stati fermati alcuni leader della comunità evangelica. Un fatto del genere non era mai accaduto. Mons. Baez ha concluso l’omelia ricordando che "noi cristiani siamo chiamati a diventare luce nel mondo, come Gesù, a togliere la cecità che ci porta ad una via senza uscita. Avete visto quanto crimine, quanto fanatismo religioso? Manca la luce in Nicaragua".

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Perù, inondazioni: appello alla solidarietà dei vescovi

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Mentre continua l’emergenza alluvioni nella zona settentrionale e centrale del Perú (compresa la capitale Lima) e il bilancio delle vittime sale col passare dei giorni, i vescovi peruviani sono intervenuti con un nuovo appello. «Viviamo — hanno scritto in un messaggio ripreso dall’Osservatore Romano — un periodo di estrema sofferenza, preoccupazione e dolore, ma anche di solidarietà. Le inondazioni e le piogge stanno sfidando la capacità di risposta delle nostre autorità e stanno chiedendo coraggio e forza alle persone colpite per affrontare le avversità. A tutti noi è chiesto un impegno ancora più concreto, che si esprima nella carità, per mantenere viva la speranza tra le persone colpite».

E’ il momento di confidare nella provvidenza di Dio
Nell’esortare la popolazione a non abbattersi di fronte alle avversità climatiche, i vescovi sottolineano che «questa non è l’ora della paura», ma è il momento di «confidare nella provvidenza di Dio. È l’ora della preghiera e della solidarietà, come del resto sta dimostrando il nostro popolo». La nota dell’episcopato, pur richiamando alla necessità del rispetto verso la natura e della prevenzione fin dalla progettazione delle città, tiene a sottolineare che ora non è il momento «di cercare i colpevoli ma di unire gli sforzi» per aiutare le vittime. Di qui, l’appello alla mutua solidarietà e all’attenzione per i più deboli, in particolare i bambini, gli anziani e le gestanti. Infine, un particolare ringraziamento è stato rivolto all’esercito, alle forze di polizia e alle autorità civili per «quanto stanno facendo nell’opera di soccorso», mentre è stato ribadito l’impegno profuso a livello ecclesiale attraverso la rete delle parrocchie e delle Caritas diocesane. 

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Caritas: ok Senato a decreto immigrazione non è soluzione

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Al Senato votata la fiducia al decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione. Il provvedimento reintroduce, tra l’altro, i centri di identificazione che dovranno servire alle espulsioni. Critiche le associazioni cattoliche. Alla Camera invece via libera definitiva alla legge che contiene le misure per la protezione dei minori stranieri arrivati in Italia non accompagnati. Alessandro Guarasci

Il governo rimane fermo sulla sua linea: rimpatrio degli irregolari, snellimento delle procedure per chi chiede invece l’asilo. Ma il punto più discusso è quello sui Centri di identificazione, di piccola dimensione e sparsi per il territorio assicura il governo. Serviranno per espellere gli immigrati che non hanno le caratteristiche per essere accolti. Ma la cosa non piace a tante associazioni, come la Caritas. Il responsabile immigrazione Oliviero Forti:

“Torniamo al vecchio binomio immigrazione-sicurezza. Questi centri purtroppo non riescono a svolgere la funzione per cui sono nati, risultano molto costosi e in particolare sono spesso oggetto poi di comportamenti fortemente lesivi dei diritti delle persone. Quindi non crediamo che l’idea del ministro dell’Interno, di distribuirli per tutto il territorio con centri più piccoli, possa essere in alcun modo la soluzione per far fronte a un tema che è quello della presenza di molti irregolari che andrebbe affrontata, a nostro avviso, partendo da serie politiche di immigrazione e eventualmente anche di regolarizzazione”.

I comuni chiedono di essere consultati per capire dove saranno costruiti i centri di identificazione. Domani il confronto tra Regioni e Province. Matteo Biffoni delegato Anci per l’immigrazione:

“Chiederemo ovviamente di essere coinvolti, perché questo, secondo noi, aiuta a gestire il fenomeno e soprattutto che non ci siano repliche di quell’effetto che noi abbiamo conosciuto con i Cie della Bossi-Fini; questo non c’è dubbio. L’importante è che siano gestiti, che siano assolutamente attenzionati e che ci sia un’assoluta e totale condivisione, o quanto meno conoscenza, di quello che accade”.

I tribunali dovrebbero aumentare il personale dedicato ad esaminare le richieste d’asilo. Per gli altri dovrebbe esserci l’espulsione. Ancora Forti:

“L’assenza di collaborazione da parte dei Paesi di origine, spesso la mancanza di accordi con questi Paesi, comporta l’impossibilità di allontanare dal territorio queste persone. Per noi è prioritario che qualsiasi atto che riguardi una persona, che sia di carattere amministrativo e di altra natura, abbia a fondamento il rispetto dei diritti di queste persone che in molti casi non viene garantito nei Paesi di origine, quegli stessi Paesi da cui queste persone spesso sono fuggite o si sono allontanate perché le condizioni sociali e politiche non permettono di rimanere”.

Alla Camera approvata invece la legge che contiene le misure per la protezione dei minori stranieri arrivati in Italia non accompagnati. Il vicepresidente della Commissione d’inchiesta sui migranti, Edoardo Patriarca:

“E’ una legge di civiltà, è una legge che finalmente risolve un problema drammatico nel nostro Paese. Noi, l’anno scorso, abbiamo accolto 26 mila minori non accompagnati. Di questi, purtroppo, sei-settemila non sappiamo dove siano andati; probabilmente hanno raggiunto altre nazioni europee. Con questa legge noi diamo più certezze, più regole, diamo più strumenti ai sindaci e soprattutto integriamo in maniera organica e strutturata le associazioni di volontariato e le famiglie, senza le quali oggi non si potrebbe attivare un sistema finalmente stabile e articolato, capace di garantire a questi minori un futuro nel nostro Paese ed eventualmente anche nei Paesi in cui loro desidereranno approdare. E’ una legge che conferma la nostra nazione uno dei Paesi al mondo che più e meglio garantisce i diritti dei minori, secondo la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo”.

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La Biblioteca Vaticana nel '700 in un volume di Barbara Jatta

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E’ dedicato al Settecento il quarto volume della storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, in corso di pubblicazione dal 2010. Il libro intitolato "La Biblioteca Apostolica e le arti nel secolo del Lumi" - curato dall’attuale direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta, con il contributo di una ventina di studiosi - pone l’accento sulle acquisizioni della Biblioteca in un secolo difficile per la storia della Chiesa. Il servizio di Michele Raviart

“Accrescere lo splendore di Roma e testimoniare la verità della religione cattolica”. Il testo, in latino, si legge in una lapide del 1756 all’ingresso del Museo sacro voluto da Papa Benedetto XIV Lambertini come parte integrante della Biblioteca Vaticana. Reperti risalenti alle prime catacombe di Roma, che insieme alle collezioni etrusche e romane del Museo sacro istituito dal successore Clemente XIII renderanno la Biblioteca una delle tappe obbligate del “Viaggio in Italia” delle elitès culturali europee. Spiega uno dei collaboratori del volume, il prof. Antonio Paolucci:

“Il Settecento, un secolo delicato e difficile per la Chiesa. Ciononostante, la Biblioteca si arricchisce sempre di più, diventa un riferimento irrinunciabile per la cultura internazionale. Si arricchisce di nuove donazioni, crescono i Musei della Biblioteca. Tutto questo è raccontato nel libro. Un libro di grande impegno e di lunga lena. Quasi cinquecento pagine a stampa, un importante corredo iconografico, un apparato sterminato di note. D’altra parte non ci si aspetterebbe di meno dalla Biblioteca Apostolica in un secolo di grande importanza come il Settecento”.

Il Settecento è stato anche per la Chiesa il secolo dell’Illuminismo. Da un lato la filosofia e l’introduzione del metodo scientifico per l’analisi dei documenti attraverso l’accettazione critica della fonti, dall’altro il periodo rivoluzionario, culminato con la morte in esilio in Francia di Papa Pio VI Braschi. Mons. Jean-Louis Bruguès, bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa:

“Il secolo coperto è il secolo più interessante e il più difficile allo stesso tempo: all’inizio del secolo, il carattere brillante della società occidentale, e alla fine la rivoluzione. Il libro racconta l’apertura della Biblioteca alla modernità; l’Illuminismo; e allo stesso tempo la perdita di tanti documenti e libri, che sono passati in mano francese”.

Per la curatrice del volume, la dottoressa Barbara Jatta, da pochi mesi alla guida dei Musei Vaticani, il libro riveste un significato particolare, avendo ricoperto il ruolo di responsabile del Gabinetto delle Stampe della Biblioteca Apostolica Vaticana, acquisito proprio nel Settecento:

“Io ho iniziato a lavorare in Biblioteca nel 1996. I Musei della Biblioteca erano ancora della Biblioteca; sono passati il 31 dicembre 1999 alla gestione dei Musei Vaticani. Quindi, adesso mi ritrovo in qualche modo a dirigere dei Musei che erano della Biblioteca in quanto direttore dei Musei Vaticani. È un bellissimo passaggio: abbiamo aperto le porte tra la Biblioteca e i Musei, che erano chiuse dal 1999, e penso che saranno sempre più aperte queste porte! Quindi questo è il segnale che si dà”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 88

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.