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Sommario del 21/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il confessionale non è una tintoria, serve la vergogna del peccato

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Essere perdonati e perdonare: un mistero difficile da capire. Servono preghiera, pentimento e vergogna. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito l’importanza di essere coscienti della meraviglia che Dio compie in noi con la sua misericordia, per poterla poi esercitare con gli altri e ha messo in guardia dall' ipocrisia di "rubare un finto perdono" nel confessionale. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Il perdono è un “mistero difficile da capire”. Il Papa svolge la sua omelia ripercorrendo la Parola del giorno con cui, dice, la Chiesa ci fa “entrare in questo mistero”, la grande “opera di misericordia di Dio”.

La grazia della vergogna, primo passo verso il mistero del perdono
E il “primo passo”, spiega Francesco, è la “vergogna” dei propri peccati, una “grazia” che non possiamo “ottenere da soli”. E’ capace di provarla il “popolo di Dio” triste e umiliato dalle sue colpe, come narra nella prima Lettura il profeta Daniele; mentre il protagonista del Vangelo di oggi non riesce a farlo. Si tratta del servo che il padrone perdona nonostante i grandi debiti, ma che a sua volta poi è incapace di perdonare i suoi debitori. “Non ha capito il mistero del perdono”, sottolinea Francesco, riportando i fedeli alla quotidianità:

“Se io domando: ‘Ma tutti voi siete peccatori?’ – ‘Sì, padre, tutti’ –‘E per avere il perdono dei peccati?’- ‘Ci confessiamo’ – ‘E come vai a confessarti?’- ‘Ma, io vado, dico i miei peccati, il prete mi perdona, mi dà tre Ave Maria da pregare e poi torno in pace’. Tu non hai capito! Tu soltanto sei andato al confessionale a fare un’operazione bancaria a fare una pratica di ufficio. Tu non sei andato vergognato lì di quello che hai fatto. Hai visto alcune macchie nella tua coscienza e hai sbagliato perché hai creduto che il confessionale fosse una tintoria per chiudere le macchie. Sei stato incapace di vergognarti dei tuoi peccati”

Nel confessionale non rubare un perdono finto, ma essere coscienti della misericordia divina  

Vergogna dunque ma anche coscienza del perdono. Il perdono ricevuto da Dio, la “meraviglia che ha fatto nel tuo cuore”, sottolinea il Papa, deve poter “entrare nella coscienza”, altrimenti, spiega Francesco, “esci, trovi un amico, un’amica e incominci a sparlare di un altro, e continui a peccare”. "Soltanto io posso perdonare se mi sento perdonato”:

“Se tu non hai coscienza di essere perdonato mai potrai perdonare, mai. Sempre c’è quell’atteggiamento di voler fare i conti con gli altri. Il perdono è totale. Ma soltanto si può fare quando io sento il mio peccato, mi vergogno, ho vergogna e chiedo il perdono a Dio e mi sento perdonato dal Padre e così posso perdonare. Se no, non si può perdonare, ne siamo incapaci. Per questo il perdono è un mistero”.

Il servo, protagonista del Vangelo, sottolinea ancora il Papa, ha la sensazione di “essersela cavata”, di essere stato “furbo”, invece non ha capito la "generosità del padrone". E quante volte, afferma Francesco, "uscendo dal confessionale sentiamo questo, sentiamo che ce la siamo cavata", questo non è ricevere il perdono, rimarca, ma è "l’ipocrisia di rubare un perdono, un perdono finto”:

Perdonare sempre e con generosità
“Chiediamo oggi al Signore la grazia di capire questo ‘settanta volte sette’. Chiediamo la grazia della vergogna davanti a Dio. E’ una grande grazia! Vergognarsi dei propri peccati e così ricevere il perdono e la grazia della generosità di darlo agli altri perché se il Signore mi ha perdonato tanto, chi sono io per non perdonare?”.

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Gmg. Francesco ai giovani: potete rendere il mondo meno crudele e più umano

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Con il vostro coraggio potete rendere il mondo meno crudele e più umano. Così Francesco si rivolge ai giovani di tutto il mondo in un Videomessaggio in spagnolo in occasione delle prossime Giornate Mondiali della Gioventù. Reso noto oggi anche il Messaggio per la XXXII Giornata Mondiale della Gioventù 2017, che si celebra a livello diocesano il 9 aprile, Domenica delle Palme, sul tema: “Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente”. Il servizio di Debora Donnini

Il Videomessaggio:

“Queridos jóvenes: Con el recuerdo lleno de vida de nuestro encuentro en la Jornada Mundial de la Juventud del 2016 en Cracovia…
Cari giovani, con il ricordo pieno di vita del nostro incontro alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2016 a Cracovia, ci siamo messi in cammino verso la prossima meta che, se Dio vorrà, sarà Panama nel 2019”.

Il Papa desidera che ci sia sintonia tra il percorso verso la Gmg di Panama, nel 2019, e il prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani, nel 2018, sul tema: “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale”.

Il suo sguardo è rivolto a Maria che accompagna i giovani in questo cammino, lei che si mette in viaggio per incontrare sua cugina Elisabetta:

“No se queda encerrada en casa, porque no es una joven-sofá, que busque sentirse cómoda y segura sin que nadie la moleste… 
Non resta chiusa a casa, perché non è una 'giovane-divano' che cerca di starsene comoda e al sicuro senza che nessuno le dia fastidio”. Maria è mossa dalla fede che è al cuore della sua storia. Ma la missione non è rivolta solo a lei:

“Como la joven de Nazaret, pueden mejorar el mundo, para dejar una huella que marque la historia, la de ustedes y la de muchos…
Come la giovane di Nazareth, potete migliorare il mondo, per lasciare un’impronta che segni la storia, quella vostra e di molti altri. La Chiesa e la società hanno bisogno di voi”, dice Francesco, esortando i giovani perché con il loro coraggio, i loro sogni  e ideali “cadono i muri dell’immobilismo e si aprono strade che ci portano a un mondo migliore, più giusto, meno crudele e più umano”.

Francesco chiede quindi ai giovani di parlare a Maria come ad una Madre, di affidarle tutta la loro vita:

“Como Madre buena los escucha, los abraza, los quiere, camina con ustedes….
Come una buona Madre vi ascolta, vi abbraccia, vi vuole bene, cammina con voi. Vi assicuro che se lo farete non ve ne pentirete. Buon pellegrinaggio verso la Giornata Mondiale della Gioventù del 2019".

Il Messaggio:

La fede al centro della vita di Maria
Sarà proprio Maria ad ispirare i temi delle prossime Gmg a partire da quest’anno, ricorda Francesco anche nel Messaggio scritto. Dedicato ai giovani sarà anche il prossimo Sinodo dei vescovi nel quale si affronterà la questione di come i giovani possano maturare un progetto di vita e discernere la vocazione in senso ampio: al matrimonio, nell’ambito laicale e professionale, oppure alla vita consacrata e al sacerdozio. Una vocazione che si può approfondire proprio mettendosi in pellegrinaggio. Nell’incontro con Elisabetta, Maria esclama: “Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente”, le parole scelte come tema della Gmg 2017. “Una preghiera rivoluzionaria quella di Maria”, scrive Francesco, una piccola donna coraggiosa, consapevole dei suoi limiti ma fiduciosa nella misericordia divina. “La fede è il cuore di tutta la storia di Maria”, sottolinea, e il suo cantico “ci aiuta a capire la misericordia del Signore come motore della storia”, sia personale sia dell’umanità. Quando infatti Dio tocca il cuore di un giovane, questi diventa capace di azioni grandiose. Le “grandi cose” che l’Onnipotente ha fatto nella vita di Maria “ci parlano anche del nostro viaggio nella vita”: non “un vagabondare senza senso” ma “un pellegrinaggio” che, pur con le sue sofferenze e incertezze, può trovare in Dio la sua pienezza.

Scoprire il filo rosso dell’amore di Dio nella nostra esistenza
La nostra storia personale, infatti, non è sconnessa dal passato ma si inserisce nella storia della Chiesa, guidata da Dio anche quando attraversa “mari burrascosi”. “La vera esperienza della Chiesa non è come un flashmob”, in cui ci si dà appuntamento e poi ognuno va per la sua strada, ma è una lunga tradizione che si tramanda tra le generazioni. Fare memoria degli interventi di Dio serve quindi ai giovani per essere collaboratori dei progetti di salvezza di Dio. Francesco invita quindi i giovani ad interrogarsi su come trattiamo i nostri ricordi. A volte verrebbe voglia di resettare il proprio passato e avvalersi del “diritto all’oblio” ma Gesù può guarire le ferite trasformandole in perle. D’altra parte non si possono nemmeno ammassare i ricordi nella memoria come in una “nuvola” virtuale. Bisogna invece trarne insegnamento. “Compito arduo, ma necessario - scrive Francesco - è quello di scoprire il filo rosso dell’amore di Dio che collega tutta la nostra esistenza”.

Essere protagonisti della propria storia
Il Papa, poi, non è affatto d’accordo con quanti sostengono che i giovani siano smemorati e superficiali. Ma avverte che avere un passato non è come avere una storia, cioè avere ricordi significativi che aiutano a dare un senso all’esistenza. Ad esempio, non sappiamo quanto sia esperienza dotata di un senso, quella dei volti di giovani che appaiono in tante foto sui social. “Non fatevi fuorviare da questa falsa immagine della realtà! Siate protagonisti della vostra storia, decidete il vostro futuro!”, esorta con forza il Papa.

I consigli di Francesco ai giovani: Bibbia, Messa, saggezza dei nonni, diario spirituale
Proprio Maria che custodisce tutte le cose meditandole nel suo cuore, insegna a mettere assieme gli avvenimenti della vita ricostruendo l’unità dei frammenti per comporre un mosaico. E per farlo il Papa dà ai giovani alcuni suggerimenti: a fine giornata fermarsi a riflettere sui momenti belli e su quello che è andato storto, anche magari annotando i sentimenti “in una specie di diario spirituale”. E ancora, conoscere bene la Bibbia, leggerla e confrontarla con la vita, partecipare alla Messa e accostarsi al  Sacramento della Riconciliazione. Centrali sono poi i nonni, gli anziani: “vi diranno cose che appassioneranno la vostra mente e commuoveranno il vostro cuore”, suggerisce Francesco. Per prendere il volo, è infatti necessaria la saggezza degli anziani. “Quanto è importante la trasmissione della fede da una generazione all’altra!” sottolinea il Papa.

Non svalutare matrimonio, sacerdozio e vita consacrata come “forme superate”
Saper fare memoria non significa “rimanere attaccati a un determinato periodo della storia”, ricorda, ma saper riconoscere le proprie origini, per “lanciarsi con fedeltà creativa nella costruzione di tempi nuovi”. Non si tratta di una memoria paralizzante. “Una società che valorizza solo il presente - avverte - tende anche a svalutare tutto ciò che si eredita dal passato, come per esempio le istituzioni del matrimonio, della vita consacrata, della missione sacerdotale”, che finiscono per essere viste come “forme superate” e si pensa che si possa vivere meglio “in situazioni cosiddette aperte” comportandosi come in un reality show. “Non vi lasciate ingannare!”, torna ad ammonirli Francesco: per progettare un futuro di felicità serve aderire alla chiamata del Signore.

Coltivare l’amicizia con Maria
Maria, la giovane di Nazareth, conclude Francesco, in tutto il mondo “ha assunto mille volti e nomi per rendersi vicina ai suoi figli”. Francesco ricorda infatti due ricorrenze importanti del 2017 in questo senso: i 300 anni dal ritrovamento della Madonna Aparecida in Brasile e il centenario delle apparizione di Fatima, dove si recherà a maggio. Coltivate con la Madonna una relazione di amicizia: “Vi assicuro che non ve ne pentirete!”. Lei ci aiuti, conclude, a cantare le grandi opere che il Signore compie in noi e attraverso di noi.

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Il Papa a San Vittore. Don Marco, il cappellano: i detenuti aspettano un amico

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“Aspettando un amico”, è il titolo della preghiera distribuita in questi giorni ai detenuti del carcere di San Vittore a Milano, e che bene rappresenta lo stato d’animo di chi, dentro quello mura, è in attesa della visita del Papa il prossimo 25 marzo. Una visita inattesa di un amico, “che insegna a sperare”, i cui “passi - recita la preghiera – s’intrecciano ai nostri e percorrono con noi dolori e distanze”. Roberta Gisotti ha intervistato don Marco Recalcati, da quattro anni cappellano dell’Istituto di pena. 

D. Don Marco, cosa può rappresentare questa visita per i detenuti? Il Papa, sappiamo, resterà con loro un paio d’ore. Ma cosa può precedere e cosa può seguire a questo tempo breve rispetto alle lunghe giornate, i mesi, agli anni, che queste persone devono passare in carcere?

R. – Sicuramente un momento di grande gioia, di grande entusiasmo da parte di tutti i detenuti. C’è una grande attesa non solo tra di loro, ma anche tra il personale della struttura, di poter avere questa opportunità. Una visita che stiamo accompagnando attraverso alcuni interventi nelle Messe della domenica, nelle catechesi, nei momenti religiosi durante la settimana, ascoltando le parole straordinarie di Papa Francesco ma anche quelle mitiche di Papa Giovanni XXIII, che quando andò per la prima volta nel carcere di Regina Coeli usò quell’immagine bellissima e disse: “sono venuto a mettere i miei occhi nei vostri occhi, il mio cuore vicino al vostro cuore”. Ecco, rileggere questo passaggio del Papa a San Vittore, anche attraverso questo magistero che esprime una forza, una speranza di cui c’è bisogno proprio perché a volte sono tanti gli anni e i giorni sono comunque lunghi in carcere e dare una prova di speranza, è ciò che fa respirare le persone che vi sono recluse. Questa è la preparazione che stiamo facendo. Il dopo lo affidiamo allo Spirito Santo e alla Provvidenza, per raccogliere il frutto delle sue parole, i tanti pensieri che poi i detenuti ci porteranno.

D. - Don Marco, sono state anticipate dalle stampa alcune lettere al Papa dei detenuti. Qualcuno scrive: “Ciao Francesco, sei un fratello …” o “Caro Papa, non sono molto credente …”; un altro detenuto chiede preghiere per i suoi fratelli musulmani. Cosa unisce questi spaccati di vita?

R. - Noi stiamo sperimentando una specie di ecumenismo e dialogo religioso dal basso. L’esperienza della condivisione delle fedi in carcere rimane abbastanza semplice. Così capita che i musulmani cercano il sacerdote per una chiacchiera, per un colloquio e noi li sosteniamo, e ci capita di dare anche preghiere in arabo oppure il Corano perché possano comunque pregare. Una cosa molto bella è che il carcere ti impegna - anche per me è stato fondamentale - a tenere i piedi per terra. Per cui anche queste parole che sembrano così semplici – il detenuto che si rivolge al Papa scrivendo: “Ciao Francesco” – sono il segno di questa grande vicinanza che il Papa ha saputo cogliere di chi è in carcere, di chi lo vuole incontrare.

D. - Una visita che comunque aprirà una finestra su un mondo ancora oggi troppo isolato …

R. - Certo. L’esperienza del carcere credo che per la maggior parte delle persone venga vissuto come qualcosa di completamente assente dalla propria vita. Per cui è facile dividere – i buoni fuori e dentro i cattivi –,  poi la realtà è molto più complessa. È vero che le persone che sono dentro sono persone fragili, che hanno compiuto dei reati, per cui c’è una responsabilità che non può essere nascosta,  ma rimangono persone, uomini e donne, quindi riescono ad esprimere anche quelle potenzialità meravigliose presenti nel cuore di ogni uomo, donna, di ogni persona. È quindi giusto avere una cura per tutte le persone, anche quelle più fragili, quelle segnate da un’oggettiva traccia di male; non si può minimizzare, però questo non nasconde un’umanità che rimane aperta alla speranza, ad un futuro, ad un miglioramento.

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Rinunce nomine

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Per le rinunce e nomine consultare il bollettino della Sala Stampa

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Oggi in Primo Piano



Card. Bagnasco: il lavoro sia una priorità per la politica

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Per la Chiesa italiana il problema principale del paese rimane il lavoro. E’ quanto ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale, in occasione della prolusione del Consiglio Permanente della Cei. Critiche poi alla legge sul testamento biologico, in discussione alla Camera. Alessandro Guarasci: 

Per i vescovi nel Paese si registrano segnali positivi centrali e periferici, e questo genera fiducia, ma il lavoro rimane un’emergenza. Il cardinale Bagnasco dice che "il popolo vuole vedere il mondo politico piegato su questo prioritario dramma",  "mentre invece lo vede continuamente distratto su altri fronti, nonché chiuso in una litigiosità dove non entra per nulla il bene del Paese". No poi al populismo, “ingannatore, inconcludente, e seriamente pericoloso”.

Bisogna piuttosto rafforzare il senso di comunità che ci viene dall’Europa, ancora più ora che si celebrano i 60 anni dai trattati di Roma. Oggi "c'è ancora più bisogno d'Europa – afferma il cardinale - ma ad una condizione: che l'Europa non diventi altro rispetto a se stessa, alle sue origini giudaico-cristiane, alla sua storia, alla sua identità continentale, alla  sua pluralità di tradizioni e culture, ai suoi valori, alla sua missione”.  E questo vale anche per i migranti, verso i quali "l'Unione Europea deve uscire dai propri ambienti chiusi, e arrivare idealmente fino alle nostre coste; deve farsi più responsabile e meno giudicante".

Tra i temi caldi in agenda c’è il testamento biologico. Per Bagnasco "la legge sul fine vita, è lontana da un'impostazione personalistica; è, piuttosto, radicalmente individualistica, adatta a un individuo che si interpreta a prescindere dalle relazioni, padrone assoluto di una vita che non si è dato. In realtà, la vita è un bene originario. Si rimane sconcertati - dice - anche vedendo il medico ridotto a un funzionario notarile”.

No poi all’adozione di  bambini da parte di coppie dello stesso sesso. La famiglia costituita invece dall’unione tra un uomo e una donna va sostenuta anche perché è il primo e efficace ammortizzatore sociale”. 

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Don Ciotti: a Locri siamo tutti sbirri. Migliaia contro le mafie

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Migliaia le persone in corteo a Locri e migliaia in altri quattromila luoghi d’Italia. Coinvolge tutta la penisola l’odierna 22.ma Giornata della Memoria e dell’impegno in  ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera e Avviso Pubblico. Una giornata che ricorda chi ha pagato con la vita l’impegno contro la criminalità organizzata. Ad aprire il corteo Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che dal palco si è rivolto ai partecipanti. Contro di lui e contro le forze dell’ordine ieri, sempre a Locri, erano comparse scritte ingiuriose. Francesca Sabatinelli

Oggi a Locri siamo tutti sbirri. Don Luigi Ciotti rovescia il senso minaccioso e offensivo delle scritte contro di lui e le forze dell’ordine comparse ieri sui muri della cittadina calabrese, per gridare che nessuno può etichettare e insultare gli esponenti delle forze dell’ordine che hanno perso la vita nella lotta alla criminalità. Oltre 25mila le persone partecipanti al corteo di Libera a Locri, 500 mila nei quattromila luoghi italiani in cui in contemporanea si è svolta la Giornata della memoria e dell'impegno per le vittime di mafia, che ha coinvolto centinaia di associazioni, enti, scuole. I partecipanti hanno poi assistito alla lettura dei nomi delle 950 vittime innocenti della mafia. Don Ennio Stamile è il referente regionale dell’associazione Libera:

R. – Chiamiamolo “miracolo”, possiamo definirlo così. È anche il frutto di tanto lavoro, di tanto impegno da parte di don Ciotti, di Libera, delle tante altre associazioni che compongono questa grande rete, della Chiesa locale e di tutti coloro i quali hanno creduto in questa sfida enorme. All’inizio sembrava davvero una sfida grandissima poter essere qui a Locri in quasi trentamila, tantissimi giovani, tantissime associazioni che dicono con la loro presenza “No” ad ogni forma di criminalità, dicono di stare accanto ai famigliari delle vittime innocenti, dicono che è importante esserci perché da domani è poi importante impegnarsi per poter anche con i nostri “No” e con il nostro impegno fronteggiare questo cancro della ‘ndrangheta. Come ci hanno detto i vescovi è importante la sfida educativa, un’educazione che prepari innanzi tutto alla libertà, alla dignità. Non possiamo lasciare da sole le agenzie educative, la famiglia, la scuola, la Chiesa.

D. - Le persone che sono lì e non solo lì, ma in tutta Italia, oggi sono anche molto presenti nel porgere la loro solidarietà a don Ciotti, al vescovo di Locri e alle forze dell’ordine …

R. - Sono venuti qui anche per questo, perché davvero quelle scritte sono offensive nei confronti non solo di don Ciotti, ma dell’intera Calabria, della Calabria bella, quella che vediamo oggi qui in questa splendida piazza stracolma. È questo il volto bello della Calabria. Questi personaggi si sono “buttati la zappa sui piedi”, come si usa dire, perché mai avrebbero immaginato questa reazione così bella, così intensa, così partecipata di tante migliaia di persone.

D. - Questa grande manifestazione fa capire che i cittadini calabresi hanno sconfitto l’omertà?

R. - Certamente. Ce lo auspichiamo per lo meno, perché sconfiggere l’omertà non è semplice. Molte realtà vivono ancora un clima di paura, però dobbiamo capire che uno dei grandi macigni che impedisce alla giustizia, al diritto di correre come un fiume, come acqua potente, come ci ha insegnato Martin Luther King, è l’omertà. Allora, siamo qui tutti insieme per fare leva affinché questi macigni vengano davvero tolti e perché la giustizia possa scorrere come un fiume. Questo è l’augurio che io mi sento di fare a questa terra bellissima straordinaria che è la Calabria. Ci sono tantissimi famigliari di vittime innocenti, di imprenditori, di giornalisti, di magistrati che hanno saputo reagire. Oggi siamo in un luogo simbolico: Piazza dei Martiri. Questi mille nomi sono martiri e noi li ricordiamo oggi con grande entusiasmo e da questo sangue speriamo che rinasca una nuova primavera per la Calabria.

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Giornata mondiale sindrome di Down: obiettivo è l'inclusione sociale

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Si celebra oggi in tutto il mondo la giornata internazionale sulla sindrome di Down, una condizione genetica che secondo l’Oms colpisce un nuovo nato su mille. In Italia le persone down sono 40 mila con un’età media di 25 anni e un’aspettativa di vita di 62 anni. L’obiettivo è quello di arrivare ad un’inclusione sociale piena e ad esercitare pienamente i propri diritti, come testimonia il tema della giornata “My voice, my community”. Sul significato di queste parole Michele Raviart ha intervistato Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione Italiana Persone Down: 

R. – In questi anni la Giornata Mondiale è sempre stata un modo per far conoscere chi sono le persone con la sindrome di Down. “My Voice, my community” vuole mettere al centro il loro protagonismo possibile, l’importanza di ascoltarli e sentire la loro voce, di pensare che anche loro hanno qualcosa da dire. Non è un caso che a livello europeo noi abbiamo declinato questo motto sul “diritto di voto”, cioè "il mio voto conta, io ci sono, statemi a sentire, ho qualcosa da dire".

D. – A che punto siamo con l’assistenza e la garanzia dei diritti delle persone Down in Italia, e nel resto del mondo?

R. – Io credo che in Italia abbiamo fatto un percorso legislativo importante, che è partito dall’integrazione scolastica per poi arrivare alla legge sull’inserimento lavorativo. E anche la legge sul “Dopo di Noi” ha voluto arricchire il tema dei diritti e della risposta ai bisogni delle persone con sindrome di Down. Sul piano legislativo ci siamo, però mancano ancora risorse sufficienti per garantire che le leggi siano applicate. Peraltro, suscita un minimo di perplessità l’ultimo decreto sui livelli essenziali di assistenza, che noi temiamo porti via una centralità e un’attenzione alla presa in carico delle persone con sindrome di Down, dal momento che da malattia rara sono stati de-classificati a “malattie croniche”. Sul piano internazionale ci si muove verso l’inclusione, però ci sono ancora tanti, tanti Paesi in cui il diritto, per esempio, a frequentare nella scuola di tutti è ancora molto negato. Soltanto l’Italia e la Spagna hanno delle leggi che prevedono l’inclusione totale. Nella maggior parte degli altri Paesi del mondo c’è ancora il doppio canale: scuole di tutti e scuole speciali, con, di volta in volta, l’orientamento dei bambini da una o dall’altra parte. Per non parlare poi di alcuni Paesi dove è assolutamente prevalente la scuola speciale, come il Giappone o i Paesi dell’Oriente.

D. – Come procede l’accompagnamento dopo la scuola, nell’età adulta?

R. – Noi andiamo verso una popolazione sempre più adulta. Uno dei temi più scottanti in questo momento è garantire risorse e servizi per la vita fuori casa, perché le persone con la sindrome di Down sopravvivranno ai loro genitori e quindi avranno bisogno di soluzioni residenziali per il “dopo di noi”. Ma ci saranno anche delle persone che, una volta diventate adulte, avranno semplicemente voglia o bisogno di uscire di casa. Ora, negli ultimi anni si è lavorato moltissimo per rendere le persone con sindrome di Down il più autonome possibile. Per cui sicuramente qualcosa è cambiato: oggi noi vediamo persone che prendono l’autobus da sole; anche alcune esperienze di gruppi-appartamento a bassa intensità assistenziale. Però è vero che una persona con sindrome di Down, che – ricordiamo – è una persona con un grado variabile di disabilità intellettiva ma che comunque c’è, ha bisogno di alcuni supporti che lo accompagnino un po’ in tutta la vita. Dopo la scuola si aprono due scenari importanti. Uno è il tema del lavoro: soltanto il tredici percento delle persone con sindrome di Down, peraltro di quelle in contatto con le associazioni, lavorava; potrebbero invece essere molte di più queste persone. E ovviamente, a quelle persone che hanno delle difficoltà tali da non poter andare al lavoro, bisogna comunque garantire delle attività occupazionali che permettano loro di vivere serenamente la loro vita. E su questo c’è ancora tanto da fare. Poi c’è tutti il tema, come dicevo prima, delle soluzioni residenziali. È chiaro che serve un grosso impegno da parte dell’Ente pubblico, nel senso che non è pensabile che una famiglia da sola riesca a sopportare i costi di una soluzione residenziale.

D. – Cosa c’è ancora da fare per un’integrazione?

R. – Una cosa importante è lavorare sulle autonomie possibili da costruire già in adolescenza; perché è chiaro che se noi arriviamo con degli adulti che fanno coprire i loro bisogni di base – il lavarsi, il vestirsi, il cucinare un pasto o andare a fare la spesa – e hanno bisogno di un supporto soltanto per quanto riguarda l’organizzazione del lungo periodo, dei budget economici, e della gestione degli imprevisti, necessiteremmo di meno risorse economiche per rispondere ai loro bisogni di casa. Se invece non lavoriamo quando sono più giovani per permettere loro di avere più autonomia, dovremmo pensare a delle strutture con delle figure di assistenza tutto il giorno.

D. – Spesso si usa l’eufemismo di “bisogni speciali” per le persone afflitte dalla sindrome di Down…

R. – Si parla di bisogni speciale, ma in realtà i bisogni delle persone con la sindrome di Down sono quelli normali, sono i bisogni di tutti: noi abbiamo parlato di scuola, di lavoro, di casa, di affetti, cioè dei bisogni di qualsiasi essere umano, però con tutti i supporti che sono necessari per fare questo. 

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Aung San Suu Kyi: la Birmania cammina verso pace e unità

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Il discusso presidente filippino, Rodrigo Duterte, ha donato alla leader Birmana, Aung San Suu Kyi circa 300 mila dollari in aiuti umanitari per la minoranza musulmana dei Rohinya vittima di una spirale di violenza che ha causato decine di morti e migliaia di sfollati. Intanto in Myanmar, nonostante le difficoltà, continua il processo di democratizzazione, come conferma la senatrice Albertina Soliani, dell’Associazione per l’amicizia Italia-Birmania “Giuseppe Malpeli”, appena rientrata in Italia. Massimiliano Menichetti l’ha intervistata. 

R. – Il Myanmar – cioè la Birmania – è entrata nel cammino nuovo della democrazia esattamente così com’è. È arrivata fin qui dopo 60 anni di feroce dittatura: questo bisogna saperlo. Quindi non improvvisamente, dalla sera alla mattina, è cambiato tutto, ma ora è cambiata la direzione della storia.

D. – Lei ha incontrato a casa sua la leader, Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi…

R. –È stato un lungo colloquio, a Naypyidaw, la capitale. Io pensavo di trovarla anche molto provata dalle difficoltà della situazione e dall’uccisione recente del suo principale collaboratore consigliere, U Ko Ni. In realtà ho trovato una Aung San Suu Kyi molto determinata. Lei ha detto chiaramente che l’obiettivo principale della sua azione politica è l’unità del Paese: è la riconciliazione; è la costruzione della politica nuova che deve fare insieme al popolo, sapendo che parte da grandi conflitti: interetnici, con l’esercito, in diversi luoghi sui confini e non soltanto nella zona dello Stato Rakhine, dove c’è la minoranza musulmana detta “Rohingya”.

D. – Senatrice ha detto che Aung San Suu Kyi ha una presa anche sui militari, ma l’uccisione del suo stretto collaboratore ci dice una cosa diversa…

R. – L’uccisione di U Ko Ni, l’avvocato suo consigliere, per tutto il diritto costituzionale è stato un delitto politico; l’ispiratore, per quel che si comincia a capire, probabilmente è un ex militare. Ma non è tanto il singolo: ci sono militari che hanno accettato il nuovo corso della democrazia, e coloro invece che ancora vogliono limitare il potere della democrazia, e cioè di Aung San Suu Kyi, che è l’unico punto di equilibrio e di riferimento. Se venisse indebolita questa posizione, si tornerebbe molto indietro in Birmania.

D. – Nell’agosto scorso si è tenuta la conferenza che ha messo intorno a un tavolo tutte le etnie del Paese, la Conferenza di Panglong: come continua questo appuntamento?

R. – Riprende a marzo: è a tappe. Continuano a fare questo lavoro, che consiste in un processo di riconciliazione. Ha quest’obiettivo: l’unità del Paese. Lei (Aung San Suu Kyi N.D.R.) tiene dentro tutti, anche coloro che sono nelle posizioni più estreme, più opposte; anche i militari.

D. - Aung San Suu Kyi le ha mostrato preoccupazione perché il mondo sembra non comprendere il processo di crescita, seppur con contraddizioni, che il Paese sta vivendo…

R. – E’ come se dicesse: “Perché fuori non capiscono? La stampa internazionale, il mondo occidentale: perché fuori non si rendono conto che stiamo vivendo una fase che ha dei problemi enormi, una fase di riconciliazione… Perché fuori non capiscono che la Birmania adesso ha bisogno di fiducia da parte del mondo esterno?”

R. – Lei ha incontrato anche il cardinale Charles Bo.Lo ricordiamo: i cristiani sono l’uno percento nel Paese. Che cosa le ha detto?

R. – Stanno organizzando per il 28 aprile il “Concilio delle religioni”, così lo chiama, per la riconciliazione: quindi un’iniziativa di unità, di confronto e di discussione insieme, di tutte le religioni presenti nel Paese. Quindi questa è una grande azione di sostegno alla democrazia della Birmania. E ci saranno anche i militari: questa è una cosa straordinaria! 

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Terra Santa: terminati i restauri al Santo Sepolcro

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Con una liturgia ecumenica verrà inaugurato domani il Santo Sepolcro a Gerusalemme dopo dieci mesi di restauri. I pellegrini potranno ora riprendere pienamente le visite, che, a causa dei lavori, avevano subito una parziale interruzione. Anche se ora inizierà una seconda fase di lavori, per garantire la stabilità della struttura, il World Monuments Fund, ong indipendente che ha gestito il restauro, ha assicurato che domenica 16 aprile sarà possibile celebrare la Pasqua comune, cattolica e ortodossa. Giancarlo La Vella ha intervistato il Custode francescano di Terra Santa, padre Francesco Patton

R. – Questo è in assoluto per noi cristiani il luogo più importante che sia sulla faccia della Terra perché è il luogo dove Gesù ha vito la morte. Quindi se noi parliamo di speranza cristiana, parliamo a partire da quello che è accaduto in questo luogo. Ed è un luogo che si è rivelato molto importante soprattutto in quest’ultimo anno anche dal punto di vista delle relazioni ecumeniche tra le tre comunità maggiori: la greco-ortodossa, la latina e la comunità armena. Il lavoro di restauro è stato un po’ un banco di prova di un dialogo fraterno, di relazioni anche molto, molto amichevoli che ci hanno consentito di portare avanti i lavori e probabilmente pensare ad ulteriori lavori da fare insieme proprio nella zona del Santo Sepolcro e anche a Betlemme. Poi quest’anno c’è questa felice coincidenza che in una visione cristiana si chiama anche “provvidenziale coincidenza”, che è la data della Pasqua. Per cui a poche settimane dalla Pasqua, ci ritroveremo insieme intorno all’Edicola del Santo Sepolcro e nel giorno di Pasqua tutte le nostre comunità celebreranno in questo luogo la Risurrezione del Signore.

D. - È importante anche restituire questo luogo della cristianità, anche per far tornare il più possibile i pellegrini in Terra Santa dopo un periodo di difficoltà?

R. - Certamente adesso che l’Edicola è restaurata, adesso che non c’è più attorno anche tutta quella scaffalatura in acciaio che era stata posta all’inizio del Novecento dagli inglesi per sostenere la struttura, anche l’estetica diventa diversa. Per quello che riguarda i pellegrini c’è un segnale confortante anche perché negli ultimi mesi c’è stata una ripresa del numero delle presenze nei luoghi santi. Naturalmente qui i pellegrini vengono tutto l’anno, ma in occasione della Pasqua vengono con motivazioni ulteriori perché questo è il luogo fisico che porta la memoria della Pasqua; qui c’è la roccia che ha visto la Risurrezione del Signore, che si è impregnata di quella luce nella quale il Signore è risorto.

D. - Il Santo Sepolcro porta con sé tanti significati legati chiaramente alla morte e Risurrezione del Signore, ma oggi anche legati al dialogo tra tutti i cristiani?

R. - Diventa certamente il luogo di incontro tra i credenti delle diverse comunità cristiane. Quest’anno celebreremo la Pasqua tutti nello stesso giorno. Spero che in futuro potremo celebrare la Pasqua tutti insieme, ma già ora il Sepolcro è il luogo dove tutte le nostre comunità in realtà celebrano la loro Liturgia. Quindi è già un luogo altamente ecumenico. Il Sepolcro è il luogo che viene santificato di giorno e di notte dalla preghiera delle comunità cristiane che se ne prendono cura; il luogo è santificato giorno e notte, ininterrottamente, anche dalla preghiera dei cristiani che vengono come pellegrini.  

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Mons. Boccardo: impossibile tacere su attacchi a famiglia

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Un appello a difendere la famiglia e il diritto dei bambini ad una mamma e ad un papà; ma anche l'esortazione a guardare a san Benedetto come modello attuale per l'Europa e per la ricostruzione. A lanciarlo questa mattina l'arcivescovo Renato Boccardo nella messa celebrata a Norcia in occasione della festa del Patrono. E' stata la prima celebrazione eucaristica svoltasi in città dopo il sisma dello scorso 30 ottobre. Il servizio di Paolo Ondarza

Di fronte al pressing mediatico e giudiziario che rischia di diventare una dittatura minacciando seriamente la famiglia e il diritto dei bambini ad un papà e una mamma, non è possibile tacere. Così in sintesi l’arcivescovo di Spoleto Norcia, mons. Renato Boccardo, questa mattina a Norcia durante la Messa per la festa di San Benedetto, patrono d’Europa.  E’ stata la prima Eucarestia celebrata all’interno delle mura cittadine dopo il violento terremoto del 30 ottobre scorso, che ha distrutto gran parte dei centri abitati della Valnerina.

La prima messa nel centro di Norcia dopo il sisma
Numerosi i fedeli radunatisi attorno alla statua bianca di San Benedetto, miracolosamente integra, nella piazza centrale. Con loro, giunte da Trevi,  anche le monache benedettine di S. Antonio, il cui monastero è in gran parte da demolire.  Sullo sfondo la facciata “ingabbiata” di quella che era la basilica edificata sul luogo di nascita di Benedetto  e della sua gemella Scolastica E’ stato un momento di grande speranza, dopo tanta paura  e desolazione .

Mons. Boccardo: anche noi come Benedetto dobbiamo ricostruire
“Benedetto è stato un grande ricostruttore – ha detto mons. Renato Boccardo - Anche noi dobbiamo ricostruire: le ferite del recente terremoto sono ancora sanguinanti e ci vorrà tempo perché si mutino in cicatrici. L’eredità benedettina, decisiva per la nascita dell'Europa e delle sue radici cristiane, è stata indicata dal presule  come riferimento attuale per il Vecchio Continente.  

Politiche difendano famiglia e diritto bambini ad avere papà e mamma
L’auspicio espresso è stato che le politiche europee siano orientate alla promozione e difesa della famiglia  “costituita dall’unione stabile di un uomo e di una donna” e “ad assicurare ai bambini l’indispensabile presenza di un papà e di una mamma”. Anche in Italia – ha rilevato l’arcivescovo -  questi principi fondamentali del vivere comune sembrano essere seriamente minacciati, quando il desiderio di qualcuno pretende di essere riconosciuto come diritto garantito dalla legge e quando i tribunali si sostituiscono ai legislatori, esercitando un pressing giudiziario e mediatico che rischia di diventare - o forse è già diventata - una vera dittatura culturale”.

Non tacere di fronte a dittatura culturale
“Non possiamo assistere in silenzio a queste aggressioni sistematiche agli ambiti in cui si forma, cresce e si sviluppa il nucleo più profondo dell’umano” ha aggiunto con l’auspicio che la società attuale non stia diventando decadente come quella contemporanea a Benedetto. “ Come cristiani, non vogliamo far mancare il nostro contributo responsabile nella promozione della giustizia e della pace, nella ricerca del bene di tutti, nell’accoglienza senza discriminazioni».

A Norcia tra pochi giorni le celebrazioni del 60.mo del Trattato di Roma
 A Norcia, in segno di solidarietà con le popolazioni colpite dal sisma, il prossimo 24 marzo, nell’ambito delle celebrazioni del 60° anniversario del Trattato di Roma è in programma una riunione dei presidenti dei gruppi dell’Europarlamento e dei membri dell’ufficio di presidenza. «È un’occasione propizia – ha detto mons. Boccardo - affinché quanti eletti a Bruxelles e a Strasburgo confermino il sogno europeo e si domandino se il progetto che stanno realizzando rimane fedele all’intuizione dei padri fondatori”: un’Unione Europea fondata non su una base individualistica e materialista, ma  culturale e spirituale. Al termine della Messa la processione col reliquiario di S. Benedetto si è snodata lungo le vie del centro storico, dove poco prima aveva sfilato il corteo storico con i suoi colori accesi e il festoso rullo di tamburi.

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Congo-Kinsahasa. Verso un nuovo governo di unità nazionale

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 Lunedì 27 marzo sarà firmato l’accordo per l’attuazione delle intese di San Silvestro per dare alla Repubblica Democratica del Congo un Governo di unità nazionale che prepari le elezioni politiche e presidenziali entro l’anno. Lo ha annunciato mons. Fridolin Ambongo, arcivescovo di Mbandaka-Bikoro e vice presidente della Conferenza Episcopale congolese che media tra maggioranza e opposizione.

La questione della  presidenza del Consiglio di monitoraggio dell’accordo
“Abbiamo fatto un buon lavoro”, ha dichiarato mons. Ambongo citato dall’agenzia Fides al termine della riunione che si è tenuta ieri, 20 marzo, nel centro interdiocesano di Kinshasa. “Abbiamo affrontato la maggior parte dei punti all’ordine del giorno. Abbiamo fatto delle proposte sulla questione della presidenza e abbiamo invitato le parti a riflettervi sopra”. I punti in discussione riguardano la presidenza del Consiglio nazionale di monitoraggio dell’accordo, che in base alle intese del 31 dicembre avrebbe dovuto essere assegnata al defunto Etienne Tshisekedi, leader dell’Unione dell’opposizione. Dopo la morte di Tshisekedi, alcuni partiti d’opposizione non rientranti nell’Unione, chiedono di rinegoziare l’assegnazione di questo posto. Per dirimere la questione mons. Ambongo ha annunciato che domani, 22 marzo si terrà una nuova riunione.

La questione della designazione del Primo Ministro
L’altro punto in discussione riguarda il modo di designazione del Primo Ministro che proviene dall’Unione dell’opposizione. La maggioranza presidenziale desidera che il Premier sia scelto da una terna presentata dall’Unione; quest’ultima ribatte che vuole presentare un solo nome.

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Primate irlandese: McGuinness, tra gli artefici del Belfast Agreement

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"Ha personalmente scelto di lasciarsi alle spalle la strada della violenza e di incamminarsi lungo il percorso più impegnativo di pace e riconciliazione”. Inizia così il “tributo” che l’arcivescovo di Armagh, mons. Eamon Martin, primate d’Irlanda, rivolge a Martin McGuinness, l’ex-comandante dell’Ira, poi leader dello Sinn Fein, quindi vice primo ministro del governo congiunto autonomo nord-irlandese, che si è spento la notte scorsa a 66 anni di età dopo una breve, rara malattia.

Uno dei maggiori artefici dell’“Accordo del Venerdì Santo”
Martin McGuinness è stato uno dei maggiori artefici del cessate-il-fuoco dell’Ira e del Belfast Agreement, il cosiddetto “Accordo del Venerdì Santo”. “È stato un leader coraggioso – scrive l’arcivescovo Eamon Martin citato dall’agenzia Sir – che ha saputo rischiare e portare altri con lui, convincendoli che gli obiettivi prefissati potevano essere raggiunti con la politica e la persuasione”. “La storia del conflitto in Irlanda – ricorda oggi l’arcivescovo – ha portato molto dolore e causato molti traumi. Ringrazio Dio perché negli ultimi anni abbiamo preferito la pace all’orrore della violenza e della guerra.

Un immenso contributo alla pace in Irlanda del Nord
Gente, come Martin McGuinness, hanno dato un contributo immenso alla pace, porgendo una mano di amicizia e di riconciliazione ed essendo pronti a modellare alternative alla controversia e alla divisione. La personalità di Martin, aperta, amichevole, calorosa, ha saputo sciogliere il sospetto e contribuire a costruire legami di fiducia con chi proveniva da prospettive molto diverse”. “Sapeva che la pace era utile e che valeva adoperarsi per realizzarla nel tempo della sua vita”. (Sir)

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Mons. Clemens Pickel nuovo presidente della Conferenza episcopale russa

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 È mons. Clemens Pickel, vescovo della diocesi di San Clemente a Saratov, il nuovo presidente della Conferenza episcopale della Federazione Russa. La sua elezione - riporta l’agenzia Sir - è avvenuta nel corso della plenaria dei vescovi, che si è svolta il 16-17 marzo a Sochi.

I temi discussi durante l’assemblea plenaria
Mons. Pickel succede all’arcivescovo di Mosca Paolo Pezzi, che è stato presidente per due mandati. Ad affiancare mons. Pickel nel ruolo di vice-presidente sarà ancora il vescovo di Novosibirsk, mons. Joseph Werth; confermato anche l’incarico di segretario generale a don Igor Kovalevsky. Nel comunicato stampa - diffuso dopo la fine dei lavori - sono elencati i temi su cui i vescovi si sono confrontati: “i problemi dei rapporti Chiesa-Stato, il dialogo inter-cristiano e interreligioso, le attività sociali e caritative della Chiesa, la pastorale delle famiglie e dei giovani”.

In primo piano la questione dei diaconi permanenti
Un argomento a cui è stata dedicata particolare attenzione è stata la questione dei diaconi permanenti. L’Assemblea ha adottato il documento “Orientamenti sulla formazione, la vita e il ministero dei diaconi permanenti nella Federazione Russa”. Fanno parte della Conferenza episcopale russa quattro vescovi: l’arcivescovo Paolo Pezzi di Mosca; mons. Clemens Pickel di Saratov; mons. Joseph Werth di Novosibirsk; mons. Kirill Klimovich di Irkutsk. Ai lavori ha partecipato anche il nunzio apostolico nella Federazione Russa, l’arcivescovo Celestino Migliore. 

 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 80

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.