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Sommario del 20/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: genocidio in Rwanda, deturpato volto della Chiesa

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Papa Francesco ha ricevuto stamane, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il presidente del Rwanda, Paul Kagame, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Richard Gallagher.

Durante i cordiali colloqui – ha riferito la Sala Stampa vaticana - sono state ricordate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e il Rwanda. Si è apprezzato il notevole cammino di ripresa per la stabilizzazione sociale, politica ed economica del Paese. È stata rilevata la collaborazione tra lo Stato e la Chiesa locale nell'opera di riconciliazione nazionale e di consolidamento della pace a beneficio dell’intera Nazione. In tale contesto il Papa ha manifestato il profondo dolore suo, della Santa Sede e della Chiesa per il genocidio contro i Tutsi, ha espresso solidarietà alle vittime e a quanti continuano a soffrire le conseguenze di quei tragici avvenimenti e, in linea con il gesto compiuto da San Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000, ha rinnovato l'implorazione di perdono a Dio per i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all'odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica. Il Papa ha altresì auspicato che tale umile riconoscimento delle mancanze commesse in quella circostanza, le quali, purtroppo, hanno deturpato il volto della Chiesa, contribuisca, anche alla luce del recente Anno Santo della Misericordia e del Comunicato pubblicato dall'Episcopato rwandese in occasione della sua chiusura, a “purificare la memoria” e a promuovere con speranza e rinnovata fiducia un futuro di pace, testimoniando che è concretamente possibile vivere e lavorare insieme quando si pone al centro la dignità della persona umana e il bene comune.

Infine, c’è stato uno scambio di vedute sulla situazione politica e sociale regionale, con attenzione ad alcune aree colpite da conflitti o calamità naturali ed è stata espressa una particolare preoccupazione per il grande numero di rifugiati e di migranti bisognosi dell’assistenza e del sostegno della Comunità internazionale e degli organismi regionali.

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Papa: San Giuseppe ci dia la capacità di sognare cose belle e grandi

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San Giuseppe dia ai giovani “la capacità di sognare, di rischiare e prendere i compiti difficili che hanno visto nei sogni”. Così Papa Francesco durante la Messa mattutina a Casa Santa Marta. Al centro dell’omelia, la figura di San Giuseppe, custode delle debolezze e del “sogno di Dio”, la cui solennità è stata spostata ad oggi perché il 19 marzo coincideva con la domenica di Quaresima. E il Papa ha voluto offrire la celebrazione eucaristica per le tredici studentesse che proprio un anno fa morirono in un incidente stradale in Catalogna durante l'Erasmus. Alla Messa hanno partecipato anche i familiari delle sette ragazze italiane morte nello schianto del bus.Il servizio di Debora Donnini

San Giuseppe obbedisce all’angelo che gli appare in sogno e prende con sé Maria, incinta per opera dello Spirito Santo, come narra il Vangelo di Matteo. Un uomo silenzioso, obbediente. E’ attorno a questa figura che si snoda l’omelia di Francesco. Giuseppe è un uomo che porta sulle sue spalle promesse di “discendenza, di eredità, di paternità, di filiazione, di stabilità”:

“E quest’uomo, questo sognatore è capace di accettare questo compito, questo compito gravoso e che ha tanto da dirci a noi in questo tempo di forte senso di orfanezza. E così questo uomo prende la promessa di Dio e la porta avanti in silenzio con fortezza, la porta avanti perché quello che Dio vuole sia compiuto”.

San Giuseppe è un uomo che “può dirci tante cose, ma non parla”, “l’uomo nascosto”, l’uomo del silenzio, “che ha la più grande autorità in quel momento senza farla vedere”. E il Papa sottolinea che le cose che Dio confida al cuore di Giuseppe sono “cose deboli”: “promesse” e una promessa è debole. E poi anche la nascita del bambino, la fuga in Egitto, situazioni di debolezza. Giuseppe prende nel cuore e porta avanti “tutte queste debolezze” come si portano avanti le debolezze: “con tanta tenerezza”, “con la tenerezza con cui si prende in braccio un bambino”:

“E’ l’uomo che non parla ma obbedisce, l’uomo della tenerezza, l’uomo capace di portare avanti le promesse perché divengano salde, sicure; l’uomo che garantisce la stabilità del Regno di Dio, la paternità di Dio, la nostra filiazione come figlio di Dio. Giuseppe mi piace pensarlo come il custode delle debolezze, delle nostre debolezze pure: è capace di far nascere tante cose belle dalle nostre debolezze, dai nostri peccati pure”.

E Giuseppe è custode delle debolezze perché divengano salde nella fede. Ma questo compito lo ha ricevuto durante un sogno: è un uomo “capace di sognare”, nota Francesco. E’ quindi anche “custode del sogno di Dio”: il sogno di Dio “di salvarci tutti”, della redenzione, viene confidato a lui. “Grande questo falegname!”, esclama quindi il Papa: silenzioso, lavora, custodisce, porta avanti le debolezze ed è capace di sognare. Una figura, dunque, che ha un messaggio per tutti:

“Io oggi vorrei chiedere, ci dia a tutti noi la capacità di sognare perché quando sogniamo le cose grandi, le cose belle, ci avviciniamo al sogno di Dio, le cose che Dio sogna su di noi. Che ai giovani dia – perché lui era giovane – la capacità di sognare, di rischiare e prendere i compiti difficili che hanno visto nei sogni. E ci dia a tutti noi la fedeltà che generalmente cresce in un atteggiamento giusto, lui era giusto, cresce nel silenzio - poche parole - e cresce nella tenerezza che è capace di custodire le proprie debolezze e quelle degli altri”.

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I vescovi del Salvador: dal Papa nella memoria del Beato Romero

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Papa Francesco ha ricevuto i vescovi del Salvador in occasione della visita ad Limina. A guidarli, mons. José Luis Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador e presidente della Conferenza episcopale. Alina Tufani lo ha intervistato:

R. - Siamo contenti di questa visita ad Limina, anche perché la Provvidenza ha voluto che coincidesse con la memoria liturgica del Beato Romero, il 24 marzo. Ci piacerebbe molto concelebrare con lui una Messa in sua memoria.  

D. – Come procede al causa di canonizzazione di Romero?

R. - Il 28 febbraio scorso abbiamo concluso l’istruzione del processo per il miracolo. Certo, noi vorremmo che il Papa canonizzasse Romero qui in Salvador e lo abbiamo invitato a venire il 15 agosto, giorno del centenario della sua nascita. Magari, se lo vuole la Divina Provvidenza, il miracolo verrà  approvato dalla Santa Sede e il Papa lo canonizzerà il 15 agosto. Sarebbe per noi una benedizione molto grande. Noi vorremmo che fosse anche beatificato padre Rutilio Grande, il sacerdote gesuita morto martire come Romero nel 1977. La fase diocesana della sua causa di beatificazione è finita l’anno scorso e la documentazione  è già arrivata alla Congregazione per le Cause dei Santi.

D. - Si dice spesso che la piaga della violenza in Salvador sia il prodotto del passato conflitto armato,  o anche del fenomeno delle pandillas, le bande che ormai sono diventate gruppi di criminalità organizzata. Da dove viene questa violenza che minaccia ogni giorno la vita di tanti salvadoregni?

R. - Abbiamo scritto una lettera pastorale dedicata proprio al tema della violenza. Nel documento abbiamo espresso il nostro punto di vista con un’analisi storica che evidenzia come purtroppo questo Paese abbia sofferto la violenza dai tempi della Conquista fino al conflitto armato della fine del secolo scorso, finito con un accordo di pace che non è stato pienamente rispettato. Non c’è stata una vera giustizia, se non una legge di amnistia inappropriata, illegittima, che ha insabbiato tutto, anche i crimini contro l’umanità. Parallelamente è sorto questo fenomeno delle bande.  Qual è la causa di questo fenomeno? Nella lettera  sosteniamo che è sempre un problema di emarginazione, di esclusione sociale, di idolatria del denaro. È l’emarginazione la causa di questa problematica. A questo bisogna aggiungere il crimine organizzato e il narcotraffico. Così adesso viviamo una situazione molto difficile, perché non si tratta di una lotta per degli ideali: queste persone non hanno un obiettivo per il quale lottare. Piuttosto vanno alla ricerca del potere e allora non ci sono neanche i principi.

D. - Come affrontate questo problema anche da un punto di vista pastorale?

R. - Pensiamo che la soluzione sia creare un ambiente favorevole. La violenza non è una casualità: esiste una causalità e la vera causa è la povertà. Le zone più povere del Paese sono le più violente. C’è un peccato, un crimine in tutta la società: le frange più violente sono quelle che la società ha abbandonato. Per questo è importante che il Governo e la società intera focalizzino l’attenzione su questa realtà e creino veramente opportunità di studio per i giovani e di lavoro per gli adulti.

D. – C’è poi il fenomeno migratorio, dove tanti genitori, cercando il benessere per le loro famiglie, le lasciano divise, con i bambini abbandonati a se stessi, creando anche un vuoto fisico e morale…

R. - Esattamente. Purtroppo il problema di fondo resta sempre quello economico: la povertà, o meglio la miseria, l’impossibilità di andare avanti. Quando emigra una parte della famiglia, si rompe l’unità familiare e ne derivano conseguenze terribili. Adesso a questo si somma la problematica negli Stati Uniti: come sappiamo, con il nuovo Governo e il nuovo Presidente americano si è creato un clima di inquietudine e di timore per le deportazioni. I nostri Paesi non sono nelle condizioni di reggere a un rimpatrio massiccio di nostri concittadini. Sarebbe un disastro per loro e per quelli che li accolgono. Sicuramente, come Chiesa abbiamo le braccia aperte e lavoreremo instancabilmente per i nostri fratelli.

D. - Lei ha lanciato una battaglia contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse minerarie, che ha rovinato terre, distrutto l’ambiente, sradicato comunità, soprattutto quelle indigene. Come porta avanti la Chiesa questa battaglia?

R. - Di fatto la Chiesa è impegnata da più di dieci anni su questo fronte, ma abbiamo ottenuto poco. Noi alziamo la voce, ma qui le leggi sono deboli, non proteggono l’ambiente e ancora meno quando si tratta di miniere.  Per questo insieme a un gruppo di esperti cattolici abbiamo presentato alla Commissione ambiente  e cambiamenti climatici del Parlamento una proposta di legge per vietare l’attività mineraria. I deputati hanno dato una risposta positiva.

D. - Quali sono le sfide pastorali della Chiesa in Salvador in questo momento?

R. - Per noi sono principalmente la difesa della vita, intesa in senso ampio come giustizia, verità e pace in una società segnata dalla violenza. Siamo impegnati per il recupero dei valori della famiglia, di una famiglia solida e responsabile che può salvare tutta la società. Questo è lo sforzo che stiamo facendo.

D. - In tanti Paesi ci sono campagne  a favore della depenalizzazione dell’aborto e della promozione dell’ideologia gender. Com’è la situazione nel Salvador?

R. - A partire dai primi anni 2000 come Chiesa abbiamo promosso una campagna di raccolta firme in tutto il Paese per chiedere la modifica del primo articolo della Costituzione in modo che una persona si consideri giuridicamente tale con tutti i suoi diritti fin dal concepimento. Tale modifica costituzionale pone un limite legalmente sicuro per cui non si può facilmente introdurre una legge a favore dell’aborto: si dovrebbe per forza cambiare la Costituzione. Un’altra considerazione è che più del 90 % dei salvadoregni sono cristiani e praticanti. E allora è vero che alcuni partiti politici alzano la bandiera dell’aborto, ma penso più per impegni presi con organismi internazionali. Ma non hanno alcun impatto. Quanto al gender è diverso: lì sì, c’è più apertura da parte della società ed è possibile che vadano un po’ più avanti .

D. - Cosa ci dice della situazione delle vocazioni, del diaconato e dei catechisti?

R. - Uno dei frutti del sangue dei martiri è stata la crescita delle vocazioni, soprattutto dopo gli anni del conflitto armato. A differenza di altri Paesi che non hanno molte vocazioni, noi abbiamo tante vocazioni. È un fenomeno interessante. È in crescita la fede e la partecipazione dei fedeli. Dobbiamo riconoscere però che esiste un numero significativo di cattolici che sono entrati in sette, che sono effettivamente in crescita. Stiamo in questa situazione e sarebbe ingiusto non dirlo, ma siamo ottimisti.

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Pubblicato il programma del viaggio del Papa a Fatima

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La Sala Stampa vaticana ha pubblicato oggi il programma del viaggio del Papa a Fatima, dal 12 al 13 maggio, per il centenario delle apparizioni della Beata Vergine Maria alla Cova da Iria. Francesco partirà alle 14.00 dall’aeroporto di Fiumicino e giungerà  alla Base Aerea di Monte Real alle 16.20. Qui avrà un incontro privato col presidente della Repubblica e subito dopo si recherà al Santuario dove alle 18.15 visiterà la Cappellina delle Apparizioni e si fermerà in preghiera. Quindi presiederà la recita del Rosario.

Il giorno dopo è previsto un incontro col primo ministro e subito dopo, alle 10.00, la Messa con i malati sul sagrato del Santuario. Alle 12.30, il pranzo con i vescovi del Portogallo e alle 15 la partenza per Roma. Alle 19.00 circa è previsto l’arrivo all’aeroporto di Ciampino. Di qui, il rientro in Vaticano.

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Oggi in Primo Piano



Intesa Italia-Libia su migranti. Caritas: attenzione sia su persone

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Le prime motovedette saranno in Libia il mese prossimo, poi campi di accoglienza nel Paese, nel rispetto dei diritti umani e con il coinvolgimento di attori internazionali. Sono alcune delle decisioni prese oggi nella riunione del Gruppo di contatto dei ministri dell’Interno europei e la sponda sud del Mediterraneo, cui hanno partecipato anche il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni e il primo ministro libico Fayez al-Sarraj, dando seguito agli accordi Italia-Libia firmati un mese e mezzo fa. Per il programma saranno stanziati complessivamente 800 milioni di euro. Nel Paese nordafricano, però, resta una situazione di estrema instabilità. Roberta Barbi ha parlato con il responsabile immigrazione di Caritas italiana, Oliviero Forti, delle conseguenze che il vertice di oggi avrà sui flussi migratori: 

R. – Stiamo parlando di un Paese in cui non c’è nessuna garanzia di stabilità. L’idea di avere un partner che nei fatti, però, ha un’intrinseca debolezza legata, appunto, alla situazione socio-politica, fa naufragare qualsiasi idea di gestione delle migrazioni attraverso accordi.

D. – Il risultato della riunione di oggi implica maggiori pattugliamenti da terra, in mare e perfino dall’alto. Questo come cambierà l’azione dei trafficanti di esseri umani e quali saranno le conseguenze per i migranti?

R. – Il rafforzamento dei pattugliamenti e dei controlli in mare è un tema che ormai è arci-noto: tutti o quasi tutti, ormai, sanno come agiscono le organizzazioni criminali in mare. L’attenzione dovrebbe, invece, essere molto più focalizzata sulle centinaia di migliaia di persone che stanno lasciando i propri Paesi per le situazioni - note anche queste ai più - legate a crisi politiche, a vere e proprie guerre …

D. – Il presidente del Consiglio Gentiloni ha detto che i primi risultati si avranno nel lungo periodo e che obiettivo realistico è ottenere un flusso gestibile che trasformi i migranti da irregolari a regolari …

R. – Questa è un’affermazione che sottoscrivo. Dire che le migrazioni potranno essere gestite solo nel lungo periodo è dire una parola di verità, e questo purtroppo, politicamente, non è troppo efficace, perché è vero: sono temi complessi che hanno bisogno di tempo, di investimenti duraturi nel tempo. In questi anni molti hanno provato a seguire le scorciatoie, ma purtroppo i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

D. – Altro punto evidenziato è stato quello della necessità di lavorare sulle cause dell’immigrazione, un tema sul quale la cooperazione europea si è molto rafforzata, ultimamente. Come si può fare?

R. – È, sulla carta, assolutamente condivisibile, ma è un modalità che potrà produrre qualche effetto nei decenni, perché significa creare condizioni di stabilità nei Paesi di origine che oggi inviano molte persone verso l’Europa, e verso l’Italia, che richiedono – appunto – non solo investimenti in denaro, ma anche processo democratici che al momento non sembrano la priorità.

D. – Si è parlato anche di una maggiore incisività della lotta ai trafficanti di esseri umani: per conseguire questo obiettivo, però, è necessaria la collaborazione di tutti i Paesi del Nordafrica. Cosa è lecito aspettarsi?

R. – Significa intervenire su organizzazioni criminali molto ben strutturate, con evidenti agganci anche istituzionali. È la classica lotta che si fa al crimine organizzato: la vera arma per combattere queste persone e togliere loro la merce che trafficano, ovvero i migranti.

D. – Impegno comune, stavolta a tutta l’Europa, è richiesto anche sul tema dell’accoglienza dei rifugiati e del rimpatrio di chi non gode di questi diritti. Un impegno finora non proprio preso da tutti, in un continente che oggi appare più disunito che mai …

R. – Questa è la realtà delle cose, purtroppo. L’Italia continua a fare la sua parte, però è chiaro che questo non è sostenibile per un periodo ulteriormente ampio come quello che abbiamo vissuto.

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Tensioni diplomatiche tra Europa e Turchia

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Si torna a parlare di tensioni diplomatiche tra Turchia ed Europa, dopo che il presidente turco Erdogan ha accusato la cancelliera Merkel di sostenere i terroristi - come il corrispondente del quotidiano tedesco Die Welt con doppio passaporto, Deiz Yucel, che sarà processato in Turchia per spionaggio - e di usare “metodi nazisti” contro i turchi che vivono in Germania e ministri che vi si recano. "Il governo tedesco osserva attentamente gli sviluppi della situazione. I confronti con il nazismo sono inaccettabili, in qualsiasi forma avvengano" ha detto la portavoce del governo tedesco, Ulrike Demmer. Il portavoce del ministero degli Esteri, Martin Schaefer, ha però spiegato che Berlino non intende reagire simmetricamente alle "provocazioni" di Ankara. Elvira Ragosta ne ha parlato con Fulvio Scaglione, giornalista di Famiglia Cristiana, a cui ha chiesto come l’Europa possa rispondere a questo crescendo di tensioni: 

R. – Credo che la prima cosa da fare sarebbe ignorare le provocazioni verbali e in secondo luogo cominciare a considerare la questione Turchia come una questione europea e non come una questione dell’Olanda, della Danimarca o della Germania. La Turchia - non dimentichiamolo - è un alleato nella questione dei controlli dei flussi migratori, prende dall’Europa un sacco di soldi per questo e quindi la reazione non doveva essere così individuale ma, semmai, una reazione collettiva. Credo che trasferire sul piano collettivo europeo il problema Turchia sarebbe già un grosso passo avanti.

D. – Dunque, affrontare la questione come una questione europea che ha bisogno di una risposta unitaria …

R. - Assolutamente sì e che non deve essere necessariamente una risposta conflittuale perché, se poi andiamo al nocciolo della questione, qui si tratta semplicemente di accogliere o non accogliere degli uomini politici turchi anche importanti, come i ministri, sul territorio dell’Unione Europea.

D. - Che tipo preoccupazioni determinano queste tensioni, all’interno dell’Europa?

R. - Credo che la preoccupazione fondamentale sia stata in Germania, come in Olanda, quella di non farsi scavalcare a destra sul tema islam da parte dei movimenti populisti. Altre ragioni particolari francamente non ne vedo, perché poi l’escalation verbale si è avuta dopo il blocco degli ingressi dei ministri sul territorio europeo, non prima. Credo che con una maggiore tolleranza, con un po' meno di attenzione alle preoccupazioni interne, questa crisi si sarebbe potuta evitare.

D. - A proposito della necessità di una maggiore unione dei Paesi europei anche in vista delle celebrazioni per il 60.mo dei Trattati di Roma, che scenario si può ipotizzare su questo futuro ricompattamento dei Paesi europei?

R. - Se già si ottenesse una maggiore compattezza su questioni decisive sarebbe una maniera meravigliosa di festeggiare questi 60 anni. Purtroppo, negli ultimi anni, la tendenza è stata quella contraria, quella di una disgregazione, di un ritorno prepotente degli interessi nazionali. Ma come vediamo bene, se solo diamo un’occhiata a quello che succede fuori da casa nostra – sto pensando ad esempio alla politica americana che è influenzata dall’avvento di Trump, all’espansionismo politico e commerciale cinese, alle tensioni in Medio Oriente e nella stessa Europa con la Russia – tutto questo ci fa pensare che ci voglia più Europa, non meno Europa. I singoli Paesi, anche i grandi Paesi, come ad esempio la Germania, non possono affrontare da soli sfide di questa portata, figuriamoci i Paesi più piccoli o quelli addirittura in crisi. Quindi tutto, come sempre, ci dice che occorre più Europa e non meno Europa, come invece sta avvenendo. Poi naturalmente possiamo discutere su come questo più Europa debba essere realizzato e implementato, ma che la risposta individualistica dei singoli Paesi sia una risposta che fa poca strada questo è piuttosto chiaro.

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Vescovo di Locri: Chiesa non intimidita da minacce 'ndrangheta

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La Chiesa di Locri-Gerace non si farà intimidire dalle minacce. La diocesi calabrese reagisce così alle scritte ingiuriose comparse oggi sui muri dell’episcopio anche contro don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, presente in Calabria per la celebrazione domani della 22.ma Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Ieri, sempre da Locri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva lanciato un duro monito dicendo che i mafiosi “non hanno onore”. Francesca Sabatinelli

La Chiesa di Locri-Gerace seguirà senza indugi la strada indicata dal Vangelo, che non ammette violenza e prevaricazione, e ripete che chiunque aderisca ad associazioni criminali si pone fuori dalla comunità cristiana. Parole forti quelle che la diocesi calabrese ha affidato ad un comunicato nel quale si conferma la partecipazione domani alla Giornata della memoria. Una nota che segue la comparsa sui muri del vescovado e di altri luoghi di Locri di scritte contro don Luigi Ciotti e contro le forze dell’ordine. Mons. Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace:

R. - Con don Luigi stiamo pertanto avanti una intesa meravigliosa che ci ha portato ad organizzare qui questa Giornata della memoria e dell’impegno. Credo che queste scritte giustifichino la bontà della scelta che abbiamo fatto. Era necessario che questa giornata portasse a richiamare l’attenzione ad un passato che ha insanguinato quest’area, un passato di morte, per cui fare memoria di questi eventi aiuta a capire che bisogna camminare su percorsi nuovi, anche attraverso un impegno maggiore a favore della legalità e della partecipazione civile. La prima cosa da dire è: solidarietà nei confronti di don Luigi. La seconda riguarda due problemi che qui assillano il nostro territorio. Il primo è quello dell’ordine pubblico. Le forze dell’ordine sono molto impegnate a tutti i livelli, un impegno che non può assolutamente venir meno perché questa è una zona ad alta densità mafiosa. Il secondo problema è un problema molto delicato, importante: è il problema del lavoro, del lavoro che non c’è. Non si può continuare a chiedere il lavoro a caporali di turno o al boss del luogo. Il lavoro è un diritto, non può qui essere un privilegio né si può aspettare il lavoro da parte di questi personaggi e poi vivere in uno stato di costante sudditanza psicologica. E’ necessario a questo punto che venga data attenzione a questo problema del lavoro e che abbia una risonanza un po’ più ampia. Le istituzioni non possono non prendere in considerazione il Sud in generale, quest’area in particolare dove non resta altra speranza se non quella di emigrare e trovare condizioni di vita migliori altrove.

D.  – Traspare che la Chiesa sta dando fastidio a questa criminalità…

R. – La Chiesa prende una posizione chiara di fronte al fenomeno ’ndranghetistico, capendo che blocca la crescita sociale e civile di quest’area . E’ necessario che la gente onesta venga più alla luce, che non rimangano fette di omertà  o di silenzi. Bisogna ribellarsi di fronte a certe situazioni che creano qui solamente morte.

D. – Lei ha denunciato: “La 'ndrangheta condiziona l’esercizio del ministero sacro, vuole far sentire il proprio potere in campo religioso”, la Chiesa deve difendersi da questo?

R. – Certo. La lotta della Chiesa nei confronti di questo fenomeno è una lotta che tocca l’evangelizzazione, il cuore dell’evangelizzazione. La Chiesa non può essere condizionata nell’annuncio di un Vangelo che forma le coscienze, aiuta le persone a rinnovarsi e incide anche nei rapporti sociali, nella vita di ogni giorno. Non vogliamo predicare un Vangelo anestetizzato, che non tocca le coscienze, che non porta rinnovamento. Per cui, un Vangelo che porta rinnovamento qui in questa zona è un Vangelo che dà fastidio.

D. – Mons. Pennisi di Monreale, con un decreto, ha detto no agli uomini di mafia come padrini di battesimi e cresime…

R. - Sì, è un problema che ritorna in questa zona. Ci siamo posti questo problema ed è sotto l’attenzione anche delle Chiese di Calabria. E’ un problema che tocca un po’ tutto il sud perché essere padrino dà una configurazione sociale e crea anche legami molte volte che vanno al di là del fatto religioso. Ecco il condizionamento, allora, del mafioso nella vita religiosa. La gente della Locride deve riscoprire il suo essere, la sua vera identità, le sue radici cristiane, non deve avere paura di essere coraggiosa, di essere se stessa, non deve lasciarsi intimidire da questi personaggi. Meglio essere poveri che arricchirsi in maniera illegale, illecita.

‘Più lavoro meno sbirri’ è una delle scritte comparse a Locri. Deborah Cartisano è referente nella  Locride dell’associazione Libera ed è rappresentante provinciale delle vittime di mafia:

R. – E’ ovvio che tutti vogliamo più lavoro per la Calabria, ma un lavoro vero, pulito e non certo quello che offrirebbero le organizzazioni mafiose, e su questo dobbiamo essere chiari. Il lavoro che si sta facendo in questi anni sta dando fastidio, è ovvio, e queste scritte ce lo confermano. Ma noi, invece, vogliamo pensare a tutti i giovani con cui abbiamo lavorato in questi anni e che abbiamo incontrato in questi mesi che hanno preceduto il 21 marzo: giovani, insegnanti, entusiasti di fare il lavoro sulla memoria per arrivare al 21 marzo ancor più consapevoli. E questi sono la maggior parte dei calabresi. Non sono quei pochi vili che hanno scritto quelle cose.

D. – Quei ‘pochi vili’, però, Deborah, condizionano tantissimo la società calabrese …

R. – Certo. Purtroppo, la ‘Ndrangheta ha condizionato la nostra terra, ha condizionato le scelte economiche, il nostro futuro perché se le persone devono andare via, i giovani, soprattutto, devono andare via per cercare lavoro non è certo colpa dei cittadini onesti. Il lavoro noi non ce l’abbiamo anche grazie alla ‘Ndrangheta. E poi vorrei dire che gli “sbirri” – lo voglio usare questo termine – sono poliziotti, forze dell’ordine che tutelano i cittadini e che sarebbero molti meno se non ci fosse la presenza della ‘ndrangheta.

D. – Lei ha sollevato ieri, parlando con il presidente Mattarella, a nome del Comitato, un aspetto molto drammatico e molto importante: la totale mancanza di luce sulle storie – sono le sue parole – che ancora chiedono verità e giustizia …

R. – C’è n’è bisogno assolutamente, perché la maggior parte delle nostre storie la stanno ancora aspettando, e sarebbe importantissimo per i familiari delle vittime poter almeno avere verità e giustizia. Perché loro (le cosche ndr), ormai, ce li hanno già tolti, ma noi vorremmo che almeno la loro memoria venisse portata avanti anche grazie alla giustizia. La società civile per tanti anni non ha proprio avuto contezza di quante sono le nostre vittime, di chi sono le nostre vittime.

D. – Deborah, lei chi ha perso?

R. – Io ho perso mio padre, è stato sequestrato nel ’93, anni prima si era rifiutato di pagare il pizzo e aveva denunciato. E’ stato sequestrato nel ’93 e dopo dieci anni il suo carceriere, la persona che lo accudiva, ci ha inviato una lettera anonima con cui ci ha fatto ritrovare il suo corpo. Ci ha chiesto perdono, ci ha parlato della voglia di cambiare per i suoi figli, perché avrebbe voluto di nuovo poterli guardare in faccia con orgoglio. Quindi, la sua voglia di cambiamento ha dato a noi la possibilità di dare a mio padre una degna sepoltura. Per noi, domani, non è un giorno in cui ricordiamo i nostri morti, perché noi i nostri morti vogliamo ricordarli vivi, perché viva dev’essere la loro memoria, presente, condivisa e il più possibile viva, assieme a noi. Per questo abbiamo scelto il 21 marzo, primo giorno di primavera: perché di loro, dei nostri cari, vogliamo ricordare le loro vite, non soltanto le loro morti.

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Vescovi Sicilia: insanabile opposizione fra mafia e Vangelo

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"Tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesu' Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa". E’ forte il richiamo della Conferenza episcopale siciliana, Cesi, nel comunicato finale della sessione primaverile riunitasi, dal 16 al 18 marzo scorso a Nicosia, in provincia di Enna, in concomitanza con il bicentenario delle diocesi.

Vicinanza a giovani e famiglie ferite
Tale ricorrenza è stata celebrata con una Messa pontificale in Cattedrale presieduta dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Nel corso dei lavori i diciotto vescovi che compongono la Cesi hanno affrontato anche altri temi a cuore della Chiesa siciliana: dalla necessità di una concreta, vigile, paterna vicinanza ai giovani, all'intenzione di produrre orientamenti comuni alle Chiese siciliane per accompagnare, discernere e integrare le fragilità delle famiglie e le situazioni irregolari.

Mettere i giovani al centro, dire un netto no alle mafie
E’ soprattutto ai giovani che non si arrendono di fronte alla crisi occupazionale che i presuli vogliono far giungere la loro vicinanza: “Siamo convinti – scrivono -  che far leva sui giovani sia un atto di lucidità politica, al quale”, oggi e non domani, “non si dovranno sottrarre le istituzioni deputate a creare le condizioni per incrementare l’occupazione al Sud”. I vescovi invocano a tal riguardo uno stop a logiche di clientelismo, lentezze burocratiche, e all’ invadenza della malavita organizzata. Di fronte alle tante risorse di cui è ricca la Sicilia, i vescovi locali chiedono di “mettere i giovani al centro” e dire un “netto no alle mafie, alle illegalità, alla corruzione e alla violenza”.

Giornata sacerdotale mariana alla Madonna della Rocca a Canicattì
I presuli hanno poi voluto indirizzare ai presbiteri delle Chiese di Sicilia un messaggio per il Giovedì Santo con il quale accompagnano il dono degli Atti del IV Convegno presbiterale regionale, celebrato a Cefalù sul finire del 2015. Inoltre è stato deciso che la Giornata Sacerdotale Mariana,  che ogni anno nel martedì dopo la Pentecoste vede radunati i presbiteri delle diocesi di Sicilia, sarà celebrata il prossimo 6 giugno  presso il Santuario Madonna della Rocca a Canicattì, nell’Arcidiocesi di Agrigento. (A cura di Paolo Ondarza)

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Rapporto Meter: aumentano violenze su bambini da 0 a 3 anni

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Ad Avola, in provincia di Siracusa, è stata presentato stamani presso la sede nazionale dell’Associazione “Meter Onlus” il Report 2016 su pedofilia e pedopornografia. Secondo lo studio si registra un’esplosione del deep web, la faccia nascosta della rete, e aumentano le violenze sui bambini da 0 a 3 anni. Molti di questi sono neonati. Luca Collodi ne ha parlato con don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’Associazione “Meter Onlus”: 

R. – Questo dei bambini è uno dei più grandi problemi della pedopornografia di questi ultimi tempi. C’è un’altissima percentuale di neonati violentati, al punto tale che i pedofili hanno fatto un portale dedicato proprio ai neonati dove viene caricato materiale con abusi inenarrabili. Gli utenti provengono da tutto il mondo, non è solo un problema localizzato in una nazione o localizzato in un posto.

D.  – Oltre ai neonati, i pedofili commettono crimini anche su bambini fino a tre anni…

R. – Questo è un altro aspetto di fondamentale importanza, perché l’età si abbassa sempre di più. La produzione del materiale, ma soprattutto l’abuso reale che i bambini subiscono, sta avendo un’impennata proprio sulla preferenza dell’età: più i bambini sono piccoli, più sono merce pregiata, ipotizzando una vera e propria associazione a delinquere per quanto riguarda la produzione del materiale, diffuso attraverso sistemi di gruppi sparsi in tutto il mondo. Più i bambini sono piccoli, più si può lucrare sulla loro pelle.

D.  – La rete resta lo strumento preferito dai pedofili…

R. – Non dobbiamo mai demonizzare la rete perché  è sempre un grosso strumento di comunicazione, ma viene utilizzata tantissimo dai pedofili e dai pedopornografi. Ovviamente si stanno spostando nel cosiddetto “web profondo”, nel deep web. Lì sono più protetti grazie alla crittografia, ottengono l’anonimato e di conseguenza, in quella parte nascosta della rete, avvengono le cose più tragiche, una vera e propria tragica criminalità: adescano bambini, violentano bambini, producono il materiale, lo mettono on line lo trafficano… E’ una violenza ripetuta, una violenza a tempo e la pedofilia a tempo può significare che sono dei servizi temporanei dove io pedofilo carico solo per una giornata il materiale, lo metto a disposizione e poi scompare. Questa è una logica raffinata per lucrare sulla pelle dei bambini.

D. – Quali sono i Paesi al mondo a rischio pedofilia?

R. – Noi abbiamo monitorato 42 nazioni. Evidentemente qui si parla di domini internet, domini che hanno la targa della nazione. Al primo posto c’è l’isola di Tonga, un’isola di 100 mila abitanti. Ma chi ha allocato attraverso l’estensione del dominio “.to” il materiale, è sicuramente di tutto il mondo. Gli abitanti di Tonga non c’entrano. La questione di allocare nel server di Tonga con l’estensione “.to” il materiale, significa che in tutto il mondo si trovano i cosiddetti “paradisi pedofili”, dove non c’è controllo web, non ci sono polizie, non c’è la possibilità di identificazione, c’è impunità, e si può trafficare in tempo e a tempo il materiale pedopornografico. Oltre Tonga c’è la Nuova Zelanda. In Europa troviamo Russia, Slovacchia e l’Unione Europa; l’Italia è al 15.mo posto della lista; le Americhe con Colombia, Groenlandia, Canada; in Asia, abbiamo  l’India, l’Iran il Giappone. Si è aperto il fronte dell’Africa, con la Libia il Gabon, le isole Mauritius… E l’Oceania con Tonga, Nuova Zelanda e Palau.

R.- Le leggi dei vari Paesi riescono a contrastare il fenomeno o sono troppo deboli?

R. – Io credo che questa sia una delle fatiche più grandi. Non abbiamo una omogeneità di leggi e, qualora ci fosse, non abbiamo una capacità di contrasto del fenomeno pedopornografico. C’è un gap, una distanza, tra la società civile che ha l’intenzione di segnalare questi crimini concretamente, ma anche l’inoperatività per l’incapacità o l’impossibilità legislativa di prendere i dati, scambiarli tra nazioni e fare indagini.

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Anziani risorsa del Paese: proposta legge per invecchiamento attivo

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“Anziani, una risorsa per il Paese”. Se ne parla oggi pomeriggio a Roma in un Convegno organizzato dal Patto federativo a tutela degli anziani - cui aderiscono sette associazioni di categoria - con il patrocinio della Camera dei Deputati, che ne ospita i lavori. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

“L’immagine che l’anziano sia solamente un ‘consumatore’ di risorse pubbliche, oltre che sbagliato, è fuorviante”: ne è convinto Edoardo Patriarca, primo firmatario in Parlamento di una proposta di Legge, all’esame della Commissione Affari sociali, “per favorire l’invecchiamento attivo” impiegando gli anziani “in attività di utilità sociale” e “iniziative di formazione permanente”. Sono ormai – secondo gli ultimi dati 2017 dell’Istat - oltre 13 milioni e mezzo gli italiani entrati nella cosiddetta terza età: ogni 100 individui 22 hanno già compiuto 65 anni, più di 4 milioni hanno già spento 80 candeline, 700 mila hanno raggiunto i 90 anni, mentre gli ultracentenari sono ben 17 mila. La speranza di vita è salita a 80,6 anni per gli uomini e a 85,1 per le donne. Ma la qualità della vita non tiene il passo con questa società invecchiata, che lamenta per gli anziani erosione di diritti, specie nel campo della previdenza e della salute ed indifferenza negli ambiti della cultura e dello svago. Da qui l’idea di un Patto tra associazioni di anziani e pensionati, che operano a favore di altri anziani con attività di assistenza medica da parte di medici pensionati, o di animazione nelle case di cura ed ospedali, o di accompagnamento di malati e tante altre iniziative sul territorio nelle scuole, nei luoghi d’arte, anche in ambiti di lavoro, dove l’anziano trasferisce esperienza e competenza. Circa un milione i volontari anziani, censiti nel 2012 dal Censis. Una risorsa importante da valorizzare per vivificare l’intera società, come spiega Antonio Zappi, coordinatore del Patto a tutela degli anziani, al microfono di Mara Miceli:

"Guardando al territorio, abbiamo visto che è pieno di iniziative, in termini di volontariato, che questa fascia di età svolge per gli altri. Ma questa categoria ha sicuramente dei problemi, delle proprie esigenze che sono quelle di un’attenta previdenza, di una gestione effettiva di quelli che sono i propri diritti e di un’assistenza sanitaria adeguata. Allora questa proposta di legge si muove in questo senso: affronta tematiche che sono nostre. Se questa legislatura potesse portare a casa una legge che sotto il profilo dell’invecchiamento attivo mette in luce il tanto che questa categoria dà e il poco che chiede, ma che spesso vede soltanto enunciato, noi faremmo un passo un avanti perché tonificheremo molto l’ambiente sociale".

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Arcivescovo Ntahoturi rappresentante anglicano presso Santa Sede

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L’arcivescovo Bernard Ntahoturi, primate anglicano del Burundi dal 2005 al 2016, sarà il nuovo rappresentante personale dell’arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede e direttore del Centro anglicano di Roma. Succede all’arcivescovo David Moxon che lascerà tali incarichi nel mese di giugno. Ad annunciarlo è l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e l’amministrazione del Centro Anglicano di Roma in una nota diffusa da Lambeth Palace e ripresa dall’Osservatore Romano.

Primate della Chiesa anglicana del Burundi dal 2005
Nato nel 1948, Ntahoturi è cresciuto in un piccolo villaggio in Matana, nel Burundi meridionale. Ordinato nel 1973, è andato in Inghilterra per proseguire la sua formazione teologica prima a Cambridge e poi a Oxford. Dopo gli studi, è tornato in Burundi, dove entra a far parte del servizio civile, diventando capo di gabinetto del presidente Jean-Baptiste Bagaza. Dopo il rovesciamento del presidente nel 1987, in un colpo di stato militare, è stato in prigione dal 1987 al 1990. Nel 1997 è stato consacrato vescovo di Matana e primate della provincia anglicana del Burundi nel 2005.

Vasta esperienza ecumenica
L’arcivescovo Ntahoturi ha una vasta esperienza ecumenica come membro del comitato centrale del World Council of Churches dal 1998 e del Comitato esecutivo di Action by Churches Together. Ha rappresentato le comunità protestanti del Burundi durante i negoziati di pace e di riconciliazione in Tanzania e ha fatto parte come vicepresidente della Commissione per la verità e la riconciliazione in Burundi.

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A Milano una mostra sui cristiani perseguitati nel mondo

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L’oppressione, la discriminazione, il martirio subìto ancora in tante parti del mondo a causa del Vangelo. A raccontarla in circa 20 pannelli è la mostra fotografica “I Cristiani perseguitati. I volti delle vittime della persecuzione anticristiana, gli interventi per non lasciarli soli”, curata dalla Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, Acs-Italia, in collaborazione con la Regione Lombardia.  L’esposizione sarà inaugurata domani alle 11 e proseguirà fino al prossimo 21 aprile presso lo Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia, a Milano.

Una ricostruzione del planisfero della persecuzione anticristiana
“Un percorso basato sull’esperienza”, lo definisce il direttore di Acs Italia Alessandro Monteduro che sottolinea l’eloquenza degli scatti: “permettono di farsi un’idea realistica della vita quotidiana di molti nostri fratelli oppressi da formazioni terroristiche o da regimi autoritari in Iraq, Siria, Egitto e Pakistan, Nigeria e Sudan, Arabia Saudita e India, Indonesia e Corea del Nord, Cina ed Eritrea”. La mostra ricostruisce dunque un planisfero della persecuzione anticristiana, ma non si sofferma solo alla documentazione fotografica. Per aiutare il visitatore a farsi un’idea di quanto accade a tante comunità cristiane nel mondo – continua Alessandro Monteduro - abbiamo ideato anche uno spazio in cui ogni visitatore potrà ritrovarsi letteralmente negli scenari dell’orrore.

Un modo per sensibilizzare sui progetti di Aiuto alla Chiesa che Soffre
L’iniziativa va oltre la semplice documentazione. C’è un intento formativo e propositivo: “Noi informiamo e sensibilizziamo ma, come Fondazione impegnata ormai da 70 anni nella realizzazione di progetti, operiamo sempre per sostenere concretamente i cristiani che soffrono. Ci auguriamo – è l’auspicio del direttore di Acs Italia  - che questa mostra possa rappresentare un ulteriore ponte, ideale ma concreto, fra la comunità occidentale e quelle nazioni in cui la violazione della libertà religiosa è più grave”.

Regione Lombardia, esempio virtuoso per tutta l’Italia
Monteduro a nome di Acs-Italia esprime riconoscenza alla Regione Lombardia per la grande sensibilità dimostrata concretamente già in passato nei confronti del dramma dei cristiani perseguitati: “Speriamo che questo  esempio – conclude -  venga seguito dalle altre Istituzioni del Paese, perché non possiamo far cessare questa tragedia senza il loro sostegno concreto e duraturo”. (A cura di Paolo Ondarza)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 79

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.