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Sommario del 19/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'Angelus: in Quaresima essere artefici di riconciliazione

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Il Papa è vicino alla popolazione del Perù, “duramente colpita da devastanti alluvioni”.  Francesco si è espresso in questo modo subito dopo l’Angelus a piazza San Pietro, ricordando, tra l’altro, l’importanza durante la Quaresima di avvicinarci a Gesù, “incontrarlo nella preghiera in un dialogo cuore a cuore”, e diventare "artefici di riconciliazione" Il pontefice ha anche ricordato la festa dei papà. Alessandro Guarasci: 

Serve riscoprire il valore del dono del Battesimo. All’Angelus, il Papa ha ricordato il Vangelo del giorno, col dialogo tra Gesù e la Samaritana. Francesco dunque ha sottolineato che “l’acqua che dona la vita eterna è stata effusa nei nostri cuori nel giorno del nostro Battesimo; allora Dio ci ha trasformati e riempiti della sua grazia”:

“Ma può darsi che questo grande dono lo abbiamo dimenticato, o ridotto a un mero dato anagrafico; e forse andiamo in cerca di 'pozzi' le cui acque non ci dissetano. Quando dimentichiamo la vera acqua, andiamo in cerca di pozzi che non hanno acque pulite”.

Dunque, il Vangelo di oggi è "proprio per noi! Non solo per la samaritana, per noi! – ha detto il Pontefice - Certo, noi già lo conosciamo, ma forse non lo abbiamo ancora incontrato personalmente. Sappiamo chi è Gesù, ma forse non l’ho incontrato personalmente, parlando con lui e non lo abbiamo ancora riconosciuto come il nostro Salvatore”:

“Questo tempo di Quaresima è l’occasione buona per avvicinarci a Lui, incontrarlo nella preghiera in un dialogo cuore a cuore, parlare con Lui, ascoltare Lui; è l’occasione buona per vedere il suo volto anche nel volto di un fratello o di una sorelle sofferente. In questo modo possiamo rinnovare in noi la grazia del Battesimo, dissetarci alla fonte della Parola di Dio e del suo Santo Spirito; e così scoprire anche la gioia di diventare artefici di riconciliazione e strumenti di pace nella vita quotidiana.”.

Subito dopo l’Angelus, Francesco ha assicurato la sua  “vicinanza alla cara popolazione del Perù, duramente colpita da devastanti alluvioni. Prego per le vittime e per quanti sono impegnati nel prestare soccorso”. 

Poi, un pensiero per Josef Mayr-Nusser, proclamato Beato ieri a Bolzano. Un padre di famiglia, esponente dell’Azione Cattolica, morto martire perché si rifiutò di aderire al nazismo per fedeltà al Vangelo:

“Per la sua grande levatura morale e spirituale egli costituisce un modello per i fedeli laici, specialmente per i papà, che oggi ricordiamo con grande affetto, anche se la festa liturgica di san Giuseppe si festeggia domani perché oggi è domenica. Salutiamo tutti i papà con un grande applauso. ”.

Molti i fedeli arrivati oggi a San Pietro per ascoltare le parole del Papa, da diverse parti d’Italia, ma anche dell’Europa, dell’Africa e dell’America Latina.

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Mons. Semeraro: con Francesco le periferie sono al centro

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Questa domenica inizia il quinto anno di Pontificato di Papa Francesco. Dopo un intenso 2016, nel segno della Misericordia, fin dai prossimi giorni il Papa sarà a Milano sabato 25 marzo, a Carpi domenica 2 aprile e a Genova sabato 27 maggio. Andrà poi in Portogallo, Egitto e Colombia. Un Pontificato all’insegna della Misericordia e dall’attenzione per gli ultimi, passando per le periferie del mondo. Luca Collodi ne ha parlato con mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, amministratore apostolico dell’Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata e segretario del gruppo dei 9 cardinali, il C9, chiamati dal Papa a studiare il progetto di riforma della Curia Romana: 

R. – Il tema della periferia lo troviamo da subito nel linguaggio di Papa Bergoglio, anche prima, nelle omelie di Buenos Aires. Sta molto a cuore al Papa una Chiesa che esce da se stessa e si muove verso le periferie. D’altra parte il Vangelo ha avuto inizio da una periferia e la Palestina è un angolo periferico del grande Impero Romano. La periferia ha quindi anche un valore teologico, oltre a quello geografico e poi anche antropologico, ovviamente, perché il Papa parla di “periferie esistenziali”. Direi, allora, che non dobbiamo perdere di vista il fatto che il Vangelo è periferico, perché parte proprio da una periferia. Abbiamo periferie varie, come le periferie dell’anima: l’assenza di luce, l’assenza di amicizia, la solitudine, l’angoscia e le altre paure. Poi quelle dell’esistenza: abbiamo tra la mani l’Esortazione Amoris laetitia, quindi le famiglie ferite, i rapporti interrotti. E poi tante altre situazioni di dolore, le periferie sociali, dove c’è gente che non conta nulla e dove si decide tutto altrove.

D. – Mons. Semeraro, il magistero del Papa si caratterizza anche per i suoi gesti di comunicazione umana…

R. – Non dimentichiamo che un po’ tutti i Papi, almeno quelli che io ricordo, hanno compiuto dei gesti che hanno toccato profondamente il nostro animo. Ma in particolare di Francesco, ne ricorderei alcuni. Il gesto con il quale il Papa si è inchinato la sera nella quale è apparso sulla Loggia della Basilica di San Pietro, prima di benedire, chiedendo la preghiera dei fedeli. E questo gesto del Papa che chiede di essere benedetto e che ogni volta chiede sempre la preghiera per lui, è un gesto di grande semplicità ed umiltà. Poi pensiamo ai suoi viaggi, che ha voluto cominciare in luoghi di periferia. Pensiamo anche al semplice abitare a Santa Marta. Attraverso gesti dell’ordinarietà della vita, il Papa mostra anzitutto di essere, egli stesso, un uomo come noi.

D. - Una delle chiavi del Pontificato è la presenza della misericordia nella vita quotidiana e nel rapporto con Dio…

R. - Abbiamo celebrato un Anno tutto sul tema della misericordia e la misericordia è nel cuore del Vangelo. La misericordia è attrattiva, ha forza interiore perché è il cuore del Vangelo, il pilastro del Vangelo.

D. – I valori della Dottrina sociale della Chiesa sono cambiati nel loro modo di essere comunicati e difesi?

R. – Penso di no. Intanto, abbiamo un’Enciclica sociale di Papa Francesco che ha ripreso, diremmo portato avanti, istanze che erano già nella Caritas in veritate di Benedetto XVI. Nella Laudato si’ vediamo un allargamento di questi valori sociali. E’ vero, tuttavia, che il Papa ci ricorda di ricentrare questi valori, cioè non è da questi valori che parte l’annuncio del Vangelo, ma il Vangelo parte dall’incontro con Cristo. E’ da qui che poi tutto viene di conseguenza, come l’impegno pubblico, nella Chiesa e tutti gli altri valori irrinunciabili che toccano la vita, la dignità dell’uomo, la coscienza e la libertà dell’uomo, Ma hanno un senso perché scaturiscono dal Vangelo.

D. – I cristiani vivono con Francesco una sorta di nuovo Concilio?

R. - Direi di sì. La grande eredità che il Concilio ci ha lasciato è quella di vivere “conciliarmente”. Oggi, usiamo molto la parola “sinodalità”. Anche questa a mio modesto parere non significa impegnarci a fare Concili e Sinodi, ma vivere “sinodalmente” significa incontrarci, a cominciare dall’ascoltarsi reciprocamente. Se noi parliamo senza prima impegnarci nell’ascolto, se parliamo senza ascoltare, rischiamo di dire delle parole inutili.

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Viaggio a ritroso nel Pontificato di Francesco a 4 anni dal suo inizio

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Custodire le persone, specialmente i più deboli, e il creato, con tenerezza perché il “vero potere è il servizio”. E’ questo il nucleo centrale dell’omelia della Messa di inizio del Pontificato di Papa Francesco, avvenuto 4 anni fa, il 19 marzo del 2013. Il “programma” del suo Pontificato viene “cucito” sulla figura di San Giuseppe, la cui ricorrenza cade proprio il 19 marzo: una coincidenza ricca di significato, disse Francesco quel giorno. Un programma che apre processi più che raggiungere traguardi. Con il servizio di Debora Donnini, ripercorriamo come in questi quattro anni hanno preso corpo i temi forti di quel discorso: 

Francesco fa fermare la jeep, scende, bacia e accarezza un tetraplegico. Questo gesto compiuto poco prima della Messa di inizio del ministero petrino sarà poi da lui ripetuto infinite volte. Racchiude il “programma” di quello che Papa Francesco ha voluto portare non solo con le parole ma soprattutto con i gesti: aver cura di chi è alle periferie delle società.

Il vero potere è il servizio: custodire l’intera umanità
Un gesto che ripeterà, ad esempio, nella lavanda dei piedi ai carcerati, o quando nei venerdì della Misericordia andrà a trovare le donne che sono state schiave della prostituzione. Francesco toccherà la carne di Cristo nei migranti: la sua prima visita pastorale sarà proprio a Lampedusa, poi ripetuta a Lesbo. In fondo nell’omelia del 19 marzo 2013 l’aveva detto che questo sarebbe stato il pilastro del suo Pontificato:

“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire!”.

Non avere paura della tenerezza
San Giuseppe è la figura che incarna questa custodia: lui che custodisce la sua famiglia, nel silenzio, con umiltà, nei momenti sereni e in quelli difficili, ma soprattutto con tenerezza. La tenerezza infatti non è la virtù del debole: “non dobbiamo avere paura della tenerezza”, aveva detto Francesco alla Messa. La forza delle tenerezza si esprime nei suoi abbracci e nei suoi incontri preferenziali con i malati, i bambini, gli anziani, coloro che sono lontani della Chiesa.

La Chiesa in uscita verso le periferie del cuore e delle società
Si è visto infatti in questi quattro anni che Francesco ha voluto una Chiesa in uscita come disse nella sua prima intervista, quella a Civiltà Cattolica. Magari una Chiesa accidentata ma che va in cerca dei lontani con pastori con l’odore delle pecore, non funzionari. Un’attenzione testimoniata anche dalla sua Esortazione Apostolica post-sinodale, Amoris laetitia, che, senza cedere sul Magistero, lo esprime nel suo senso più profondo: la carità di chi non giudica ma ama e offre strade di misericordia e di ritorno al Signore, come indica anche il Giubileo da lui indetto.

Custodire il creato
Il suo invito a custodire si allarga nell’omelia anche al creato interpellando non solo i cristiani ma anche tutti gli uomini di buona volontà. Parole spesso ricordate, poi, nei suoi discorsi e in modo magistrale nell’Enciclica Laudato sì:

“E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato San Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore”.

Custodire per portare la speranza di Gesù
Anche con le Messe a Casa Santa Marta, ha voluto e vuole incontrare la gente e ricordare quale è la missione del cristiano. Custodire punta infatti ad “aprire l’orizzonte della speranza”, parola a cui non a caso sta dedicando il ciclo di catechesi all’udienza generale:

“Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!”.

“Per favore non lasciatevi rubare la speranza”, aveva detto ai giovani alla Messa solenne della Domenica delle Palme, che poi era la prima domenica dopo l’inizio del Pontificato. Non a caso dopo i Sinodi sulla famiglia, saranno proprio i giovani al centro del prossimo Sinodo da lui voluto. E Francesco parla di una speranza non mondana ma di quella che ci dà Gesù.

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Mons. Santoro: San Giuseppe, esempio di abbandono fiducioso

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"Custode perché capace di ascoltare Dio". E’ la definizione che Papa Francesco, nell’omelia della messa di inizio Pontificato, il 19 marzo 2013, aveva dato di san Giuseppe, che oggi la Chiesa ricorda anche se la memoria liturgica è spostata a domani. Da quella straordinaria coincidenza non sono mancati, durante il Magistero del Pontefice, i costanti riferimenti allo sposo di Maria sia come “artigiano dell’amore discreto” che come esempio a cui guardare per non perdere la speranza dinanzi alle difficoltà del lavoro. Benedetta Capelli ha intervistato mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e  presidente della commissione Cei per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace:  

R. – San Giuseppe, una persona che ascolta quello che il Signore dice attraverso i fatti, nella perplessità che suscita in lui la condizione in cui si trova Maria; si fa provocare dalla realtà e cerca di leggerla alla luce della presenza del Signore. È come se avesse la chiave per leggere i fatti. È una persona fedele al piano di un Altro. Poi, rimango sempre colpito quando penso alla vita quotidiana di san Giuseppe che si trova dinanzi Maria e la ama sapendo che attraverso di lei c’è un piano di salvezza per tutti e quindi la ama di un amore puro. È questo il senso della verginità cristiana: aprirsi ad un amore più grande. Perciò diventa il custode di Maria, il custode di Gesù.

D. - Papa Francesco ha confessato di aver una particolare devozione per san Giuseppe che dorme, che sogna, ma che lavora incessantemente per far arrivare le richieste al Padre …

R. - È l’esempio innanzi tutto di una fiducia, cioè che quando i problemi sembrano difficili, complessi, mette tutta l’intelligenza, tutto il cuore per risolverli, poi, però si abbandona. Quel fatto che il Papa suggerisce – anche io ho un san Giuseppe dormiente – di affidarci consapevolmente con fede al piano di Dio. Allora mettere il bigliettino sotto il cuscino su cui è adagiato san Giuseppe è proprio un atto di abbandono. Questo rasserena molto, perché vedere il volto sereno di san Giuseppe che si abbandona, che sogna, e nel sogno il Mistero si rivela.

D. – San Giuseppe è proprio il Patrono dei lavoratori, anche quindi un richiamo alla dignità e all’importanza del lavoro che oggi manca. Il Papa fa spesso appelli perché sia tutelata la possibilità di portare il pane a casa. San Giuseppe oggi ancora cosa ci viene a dire sotto questo punto di vista?

R. – Ci viene a dire l’importanza del lavoro, come mezzo per la realizzazione della persona. Io ai giovani dico: anche quando non c’è, il primo lavoro è quello di cercarlo, di cercarlo con insistenza. E da San Giuseppe Gesù ha imparato la serietà di un impegno quotidiano e, ancora, la necessità che il lavoro sia degno, degno perché degna è la nostra persona: non può essere anteposto il profitto alla vita e alla dignità del lavoratore. E poi nella situazione che vivo a Taranto, legata all’Ilva, sono due gli atteggiamenti. Il primo è quello di mettere il bigliettino di questo problema sotto il cuscino di San Giuseppe dormiente e quindi di affidarmi perché è una situazione così complessa questo conflitto tra il lavoro e la difesa dell’ambiente, la difesa della vita, della salute, particolarmente dei bambini… Ora che ci sarà la vendita, si rispetti innanzitutto la salute e la vita e l’ambiente e la nostra natura e poi, anche, non si mettano sulla strada i lavoratori, che non si perda il lavoro proprio come mezzo per lo sviluppo della dignità della persona. Quindi l'affidiamo a San Giuseppe in questa situazione concretissima... Ci diamo da fare perché ciò accada e poi ci spalanchiamo pieni di fiducia anche all’intercessione di San Giuseppe.

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Il Papa sulla mafia: la società sia libera dai condizionamenti della malavita

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Un incoraggiamento alla “comunità cristiana e civile a impegnarsi sempre di più nella costruzione di una società giusta, libera dai condizionamenti malavitosi e pacifica, dove le persone oneste e il bene comune siano tutelati dagli organi competenti”. E' il messaggio inviato dal Papa ai familiari delle vittime di mafia riuniti in questi giorni a Locri per la Giornata della Memoria e dell'impegno, che sarà celebrata il 21 marzo, promossa da Libera con il sostegno della Conferenza episcopale calabra. Il servizio di Elvira Ragosta

A leggere la lettera di Papa Francesco alle centinaia di familiari delle vittime innocenti di mafia è stato il segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino, che ha portato loro il saluto e la vicinanza spirituale del Santo Padre. “Sua Santità - ha riferito mons. Galantino - auspica che l'incontro aiuti a riflettere sulle cause delle numerose violazioni del diritto e della legalità, che in non pochi casi sfociano in episodi di violenza e fatti delittuosi". "Con tali voti - conclude la lettera - Papa Francesco, mentre assicura la sua preghiera per quanti combattono la piaga sociale del crimine e della corruzione, adoperandosi per un futuro di speranza, di cuore invia la benedizione apostolica".

Dopo la lettura del messaggio, Mons. Galantino ha poi rivolto, sempre a nome di Francesco, alcune riflessioni ai parenti delle vittime di mafia. “Il vostro lutto, il vostro dolore e la vostra sofferenza- ha detto il segretario della Conferenza episcopale italiana-  non possono e non devono restare chiusi nella vostra casa e nella cerchia dei vostri parenti e conoscenti”, ma “portati con grande dignità in pubblico, devono provocare rimprovero, vergogna e condanna per coloro che hanno provocato questi lutti  per realizzare i propri piani di sopraffazione malavitosa".  

Quindi, mons. Galantino ha rivolto “un richiamo alla responsabilità” per chi amministra la cosa pubblica. “Incontrando queste persone - ha detto il presule -  devono sentire forte il bisogno di prendere con chiarezza le distanze dal malaffare, devono avvertire forte lo schifo del compromesso e della vicinanza di chi vi ha privato di un affetto".

"Il vostro lutto il vostro dolore e la vostra sofferenza - ha poi concluso mons. Galantino - hanno tanto da dire anche a noi. Deve essere sempre chiaro a tutti che con parole forti e gesti credibili la Chiesa è lontana mille miglia da chi con arroganza e prepotenza vuole imporre logiche di sopraffazione e di malavita, da chi a volte cerca in maniera subdola di strumentalizzare la Chiesa e le realtà sacre per coprire le proprie malefatte. Di fronte a chi guida la macchina della violenza della sopraffazione e della morte noi dobbiamo fare tutto il necessario per strappare il volante della violenza dalle mani della malavita. Senza risparmiarci".

Anche i vescovi della Conferenza episcopale siciliana ribadiscono che "la Chiesa è lontana anni luce dal malaffare“, aggiungendo: "Tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa - hanno aggiunto i vescovi siciliani - sappiano di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa".

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Oggi in Primo Piano



Venezuela: scoppia la guerra del pane, farmaci al mercato nero

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In Venezuela è scoppiata la guerra del pane. Nella crisi economica che sta devastando il Paese, con una inflazione che supera l’800%, adesso manca anche l’alimento base dei più poveri. Il presidente Maduro accusa i panettieri di aver ordito un complotto: così, una decina di fornai sono stati già arrestati e le loro panetterie espropriate. In realtà, c’è un crollo delle importazioni di cereali. Alla crisi del pane si aggiunge l'assenza di farmaci, reperibili solo al mercato nero e ad altissimo prezzo: l'emergenza sanitaria sta toccando livelli drammatici. Stefano Leszczynski ha sentito Edoardo Leombruni, medico  e presidente dell'Associazione Latinoamericana in Italia che organizza la raccolta di farmaci per i più poveri in Venezuela: 

R. – Anni di politiche che probabilmente definiremmo “scellerate” hanno costruito quella che oggi è un’emergenza, un caos: un caos sanitario, tant’è che il 90 percento dei bisogni dei farmaci in quel Paese del Sud America non è ormai più gestibile. Manca il 90 percento delle richieste farmacologiche in Venezuela.

D. – Mancano medicinali; la povertà è in aumento; l’inflazione è schizzata a oltre l’800 percento: era al 70 percento soltanto all’inizio del 2016. Cosa significa per un Paese così trovarsi all’improvviso senza medicinali, dottore?

R. – La gente è disperata! Riceviamo centinaia di mail e di telefonate da parte di persone che ci pregano di poterle aiutare in qualunque maniera con i farmaci. Non hanno la possibilità di acquistarli e nemmeno di riceverli in forma gratuita, se non con quei pochi canali che in qualche modo noi come associazione latinoamericana in Italia e il nostro grande, come diciamo in spagnolo “aliado” - il programma di aiuto umanitario per il Venezuela - ci permettono. La gente è disperata! Purtroppo abbiamo due tipi di problematiche: la prima riguarda le patologie acute, che sono quelle che voi potrete immaginare e per le quali tutti quanti soffriamo: malattie cardiovascolari, neurologiche e oncologiche. Però ci sono anche una serie di malattie – le cosiddette malattie infettive – che purtroppo creano delle epidemie importanti nel Paese. E in questo caso abbiamo difficoltà a poter aiutare. Poi ci sono le malattie croniche: immaginate questa stessa problematica nel paziente pediatrico o peggio ancora in un’altra fascia di popolazione che soffre molto: gli anziani.

D. – Dottore, da medico cosa pensa che serva in questo Paese; e soprattutto come reagite voi a questa emergenza? Cosa riuscite a fare? Siete in contatto con degli ospedali, con delle strutture istituzionali?

R. – In qualche modo tendiamo ad inviare farmaci alle stretture sanitarie o alle organizzazioni che assolutamente ci garantiscono che il farmaco sia donato in forma gratuita, e soprattutto che non possa in nessun modo partire in un’altra forma di corruzione nel Paese, che è la vendita nel mercato nero.

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La Lombardia approva il Fattore famiglia per un fisco più equo

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Il Fattore famiglia in Lombardia è legge. Il Consiglio regionale ha approvato il provvedimento che istituisce il nuovo indicatore reddituale che integra l’Isee, introducendo meccanismi di premialità per le famiglie. Si tratta di un importante provvedimento che influirà su servizi sociali e servizi scolastici. E’ un momento storico per tutto il Paese e per le associazioni del Forum delle famiglie che hanno aiutato le istituzioni lombarde a mettere a punto la nuova tassazione più equa. Per saperne di più Marco Guerra ha intervistato Roberto Bolsonaro, esperto di economia del Forum delle Associazioni Familiari:  

R. – Il Fattore famiglia è un metodo di ricalcolo di quelle che sono le attuali metodologie per il calcolo delle tariffe applicate nei comuni e a livello regionale per l’accesso ai servizi. In altre parole, attualmente, per la retta di un nido, ad esempio, si una il metodo dell’Isee. Come associazione di famiglie ci siamo accorti che è uno strumento non adeguato. Allora abbiamo cercato, con l’ausilio della Facoltà di Economia dell’Università di Verona, di stabilire effettivamente quale sia il vero costo di mantenimento e di accrescimento di un figlio. In base a questi costi sono state trovate delle tabelle di equivalenza del costo di un figlio decisamente più aggiornate rispetto alle vetuste tabelle usate dall’Isee. Allora, cosa fa il Fattore famiglia? Dà nuovi parametri all’Isee con queste nuove tabelle di equivalenza e fa sì che il costo del servizio sia più giusto, più mirato in base a quelle che sono le situazioni famigliari.

D. - Un fisco più equo per aiutare la famiglia, in poche parole …

R. - In realtà il Fattore famiglia lombardo, visto che si tratta di un intervento a livello locale, riguarda più che il fisco le tariffe locali, quindi le tariffazioni nei vari comuni per i servizi comunali, riguarda e riguarderà l’imposizione fiscale regionale, quindi le addizionali Irpef, riguarderà anche l’esenzione del ticket sanitario. Quindi ci sarà l’applicazione di questo Fattore famiglia che consentirà di accedere ai servizi in base alle proprie capacità economiche, quindi ci si parametrizza in modo da far pensare il costo del servizio in base alle situazioni personali.

D. - Si può applicare questo Fattore famiglia livello nazionale?

R. - Il Fattore famiglia, prima di tutto, è nato a livello nazionale con l’idea di un fisco equo e giusto. Noi in base a queste scale di costo dei figli avevamo stabilito delle aree non tassabili. A livello nazionale basterebbe uno sforzo da parte del legislatore per applicare questo principio, però ci sono ostacoli di tipo ideologico, di tipo pregiudiziale …  Il costo del Fattore famiglia, applicato tout court oggi, con la formula che noi abbiamo messo in piedi, verrebbe a costare circa 14 miliardi di euro, circa un punto di Pil. Questi soldi non andrebbero nei risparmi, ma andrebbero ad  incrementare i consumi. Quindi significa soldi buttati sul mercato, quindi l’economia cresce, crescono i posti di lavoro. I calcoli fatti parlano di circa duecentomila posti di lavoro in più! Quindi ci sono degli effetti sull’economia decisamente positivi ed interessanti.

D. - È l’economia che aiuta la famiglia o serve fare famiglia per rilanciare l’economia?

R. - Non c’è niente da dire. Se io metto al mondo un figlio, questo figlio smuove un’economia che quando è messa in moto è qualcosa di positivo. Significa anche che se ho dei figli, tanti o pochi che siano, e riescono a darmi il ricambio generazionale che voglio – attualmente questo non c’è , sono più i morti che i nati; questo è il saldo della popolazione italiana ad oggi – significa che non ho una popolazione anziana a cui devo pagare le pensioni, la previdenza … Se la forza attiva diminuisce sempre di più perché non ci sono le nuove leve, nuovi giovani che entrano, chiaramente è un onere, un costo sempre maggiore per le casse pubbliche. Non solo, ma il fatto di avere figli contribuisce alla relazione. Con il fatto che dobbiamo incontrarci con gli altri genitori al nido, alla scuola materna, al parco giochi, aumentano le relazioni. Questo significa – e lo dicono eminenti sociologi - aumentare il capitale sociale della famiglia, cioè quel capitale che la famiglia è in grado di dare alla società e che consente di vivere meglio.

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23 anni fa l'assassinio di don Peppe Diana, prete che lottò contro la criminalità

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Il 19 marzo di 23 anni fa don Peppe Diana veniva assassinato dalla camorra, pochi minuti prima di iniziare a celebrare la Messa nella chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, nel casertano. La sua colpa era quella di aver sempre levato la voce contro la camorra e il sistema criminale. Molte le celebrazioni per ricordarlo organizzate dal comitato don Peppe Diana, all’insegna anche quest’anno dello slogan “Risaliamo sui tetti e riannunciamo parole di Vita”, tratto dalle parole dello stesso don Diana. Francesca Sabatinelli ha intervistato Valerio Taglione, coordinatore del Comitato don Peppe Diana di Casal di Principe: 

R. – Il Comitato don Diana nasce ufficialmente nel 2006, ma formalmente già il 21 marzo del 1994, dopo la morte di don Diana. Quindi abbiamo sempre organizzato cerimonie, celebrazioni e attività per fare memoria di don Peppe perché veniva continuamente infangato, anche dopo morto. Poi dal momento in cui è diventato un riferimento, un simbolo per tutto il territorio abbiamo provato a organizzare dei momenti che fossero legati all’impegno, cioè come provare a costruire sull'esempo di don Peppe Diana. Quella camorra che ha ucciso don Diana ha perso ora, però dobbiamo stare attenti perché la camorra si rigenera, soprattutto nella corruzione, quindi l’impresa criminale, la politica corrotta, tutto un sistema che in qualche modo può rigenerarsi e trovare di nuovo campo fertile in questi territori. In questo momento c’è bisogno di provare a definire sul territorio nuove strategie, nuovi modelli di economia. Noi lo abbiamo fatto proponendo un’economia sociale. Tante cooperative utilizzano beni confiscati, inseriscono soggetti svantaggiati, facciamo iniziative che danno lavoro e dignità alle persone che si trovano in questi territori e hanno deciso di rimanere per costruire terre nuove.

D. - In questi anni è stata fatta tanta strada nella lotta alla camorra, ma la camorra – come ci diceva lei – si rigenera …

R. - Il cammino che è stato fatto sicuramente è notevole, non siamo nella situazione di 24 o 26 anni fa, siamo in una situazione completamente diversa. Ma nello stesso tempo le camorre in qualche maniera si sono trasformate. Allora c’è il rischio che noi combattiamo una guerra, una battaglia con un modello vecchio, mentre loro continuano a organizzarsi e a costruire nuovi modelli criminali. Noi purtroppo non siamo in grado di cogliere questo mutamento, questa metamorfosi in corso, perché quei criminali sono in galera, quelli famosi che abbiamo combattuto, ma il sistema non è stato smantellato. Nelle indagini della magistratura affiora, anche negli ultimi tempi, il forte patto che c'è tra una società collusa che in qualche maniera fa affari con questa camorra che poi, addirittura, non è intimidita, ma chiede di fare affari con la camorra. Mi riferisco quindi a imprese che diventano criminali perché gli imprenditori adottano lo stesso modello criminale.

D. - Don Peppe Diana non è l’unico esponente della Chiesa ad essere stato ucciso dalla malavita. La Chiesa a volte però - è stato anche detto - è  stata un po’ troppo morbida con la mafia. Queste sono parole di uomini di Chiesa come l’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, il quale qualche giorno fa ha annunciato il “no” ai boss come padrini in cresime e battesimi. Voi, molto legati a quella Chiesa rappresentata da don Diana, che cosa pensate?

R. – Pensiamo che la Chiesa ha un ruolo importantissimo, però è evidente che è stata molto prudente, in alcuni casi anche distratta; a volte ha semplicemente pensato ai sacramenti e non ha pensato che era necessario dire, chiedere e dare un orientamento su da che parte stare ai propri fedeli. Un intervento di un sacerdote, di un vescovo vale molto di più di tante attività delle nostre organizzazioni. Noi abbiamo bisogno di una Chiesa che si mette al fianco, ma aldilà di questo, noi vogliamo anche una Chiesa da seguire, cosa fondamentale per realizzare il nostro percorso in nome di don Diana.

D. – Il 21 marzo, simbolicamente, è sempre stata considerata la giornata della memoria, dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia. Quest’anno l’aula della Camera ha dato il via libera definitivo all’istituzione di questa giornata …

R. - È importante, perché è stata una lunga battaglia, Libera si è fatta promotrice di questa campagna che ha prodotto questo importante risultato. Dedicare una giornata alla memoria di tutte quelle persone che in qualche maniera hanno provato a costruire delle terre nuove diventa fondamentale, perché senza memoria noi non andremo da nessuna parte. Un memoria senza impegno è sterile, non produce niente.

D. - Com’è oggi Casal di Principe? Come ci si vive?

R. – La camorra è anche devastazione culturale, annientamento di speranze, incapacità di costruire futuro, perché poi chi vive in quei territori in qualche maniera pensa che non si possa fare nulla, che nulla può più accadere, che nulla può invertire una rotta così difficile. Invece, rispetto agli anni in cui fu ucciso don Diana, ultimi anni ’80, inizi ’90, in cui l’azione era veramente devastante, oggi possiamo dire che il seme ha dato il frutto e che quindi don Peppe è stato per noi il seme che sta producendo un frutto. Noi continuiamo ogni giorno, senza esitazione, senza paura a innaffiare questo giardino che avrà bisogno di tanto tempo per diventare un territorio migliore, perché noi parliamo di Casale, ma il contesto più ampio dell’Agro Aversano paga molto dazio alla presenza di camorristi.

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Telemedicina: nuova frontiera per la cooperazione in Africa

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La telemedicina nuova frontiera di cooperazione italiana con i Paesi più poveri dell’Africa. Il progetto, nato sei anni fa, è sostenuto dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con l’Ospedale San Giovanni di Roma, insieme ad altre realtà pubbliche e private. I primi centri di teleconsulto furono aperti in Tanzania ed oggi sono presenti in altri otto Stati africani. A coordinare l’iniziativa è Michelangelo Bartolo, responsabile del Servizio di Telemedicina del nosocomio romano. Ascoltiamolo al microfono di Roberta Gisotti: 

R. – Il servizio di telemedicina è un aiuto molto concreto per poter essere vicini a questi centri di salute aperti in Africa. È stato creato da qualche anno un network di medici volontari, appartenenti a vari ospedali, università italiane e anche europee, che prestano la loro professionalità rispondendo a diversi quesiti clinici, che arrivano da questi centri locali. Abbiamo iniziato soltanto con un servizio di telecardiologia, e attualmente siamo arrivati a ben 17 specialità mediche: dai centri periferici, un medico o un infermiere locale può chiedere un aiuto ad un cardiologo, un ortopedico, un radiologo, un dermatologo, un pediatra, e così via. È un modo nuovo di fare cooperazione ad alto impatto, che non è soltanto dare notizie, suggerimenti diagnostici e terapeutici chiari, ma è anche una forma di e-learning e formazione a distanza continua.

D. – Dott. Bartolo, una cooperazione economica che in qualche modo torna, anche in termini scientifici…

R. – Assolutamente sì. Si vedono molte patologie che da noi si riscontrano di meno, ma c’è anche la possibilità di studiare diversi casi clinici che possono essere oggetto di grande interesse. Noi abbiamo risposto in pochi anni più o meno a oltre 5 mila teleconsulti; molti di questi vengono anche schedati con una classifica internazionale per diagnosi e sintomi. E questo permette anche a molti Istituti di ricerca di poter fare degli studi clinici molto importanti anche a distanza.

D. – Lei, per seguire il progetto, è stato più volte in Africa. Quale esperienza ne ha riportato, da medico ma anche da cittadino italiano, che ogni giorno si raffronta con la realtà dell’immigrazione?

R. – Siamo in un periodo in cui si alzano nuove barriere, si costruiscono muri, ci sono nuovi particolarismi che si vanno affermando. Credo che questi servizi di telemedicina possano essere dei ‘ponti’ con queste realtà che noi vediamo lontane ma che possiamo raggiungere attraverso la tecnologia. Ma soprattutto si aprono nuove forme di cooperazione per aiutare i Paesi da un punto di vista sanitario, ma anche culturale, per sviluppare il proprio territorio e costruire un futuro migliore per la popolazione che talvolta deve ripartire quasi da ‘zero’, visto che ci sono sistemi sanitario molto fragili.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 78

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