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Sommario del 11/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: ascoltare l'altro in un mondo dove cresce la solitudine

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Attraverso il dialogo vinciamo la paura dell’altro e costruiamo ponti di vera comunicazione. E’ l’esortazione di Papa Francesco levata stamani nell’incontro con i volontari del “Telefono Amico Italia”, ricevuti in Vaticano in occasione del 50.mo di attività. Il Pontefice ha ribadito che è necessario abbattere i muri delle incomprensioni, cercando di rendere il mondo un luogo migliore e più accogliente per tutti. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Ascoltare l'altro con i suoi bisogni, in un mondo che sembra sempre più indifferente. Papa Francesco ha preso spunto dall’udienza ai volontari del Telefono Amico Italia per soffermarsi sulle condizioni di “solitudine” e “smarrimento” in cui oggi tante persone si trovano, specie nelle grandi città.

Viviamo in grandi città dove ci stiamo abituando all’indifferenza
Ecco perché, ha sottolineato, è importante un servizio di ascolto in un “contesto sociale, segnato da molteplici disagi alla cui origine si trovano spesso l’isolamento e la mancanza di dialogo”:

“Le grandi città, pur essendo sovraffollate, sono emblema di un genere di vita poco umano a cui gli individui si stanno abituando: indifferenza diffusa, comunicazione sempre più virtuale e meno personale, carenza di valori saldi su cui fondare l’esistenza, cultura dell’avere e dell’apparire. In tale contesto, è indispensabile favorire il dialogo e l’ascolto”.

Il dialogo ci aiuta a vedere l’altro come dono, non come minaccia
Il dialogo, ha ripreso Francesco, “permette di conoscersi e di comprendere le reciproche esigenze”. Dialogare, ha ribadito, vuol dire aprirsi alle persone, recepirne gli aspetti migliori. Il dialogo, ha detto ancora, “è espressione di carità, perché, pur non ignorando le differenze, può aiutare a ricercare e condividere percorsi in vista del bene comune”:  

“Attraverso il dialogo possiamo imparare a vedere l’altro non come una minaccia, ma come un dono di Dio, che ci interpella e ci chiede di essere riconosciuto. Dialogare aiuta le persone a umanizzare i rapporti e a superare le incomprensioni. Se ci fosse più dialogo – dialogo vero! – nelle famiglie, negli ambienti di lavoro, nella politica, si risolverebbero più facilmente tante questioni!”.

Ascoltare l’altro per abbattere i muri delle incomprensioni
Il Papa ha quindi osservato che condizione del dialogo è “la capacità di ascolto”. “Ascoltare l’altro – ha detto – richiede pazienza e attenzione. Solo chi sa tacere, sa ascoltare, non si può ascoltare parlando": "Ascoltare Dio, ascoltare il fratello e le sorelle che hanno bisogno di aiuto, ascoltare un amico, un familiare”:

“Dio stesso è l’esempio più eccellente di ascolto: ogni volta che preghiamo, Egli ci ascolta, senza chiedere nulla e addirittura ci precede e prende l’iniziativa (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24) nell’esaudire le nostre richieste di aiuto. L’attitudine all’ascolto, di cui Dio è modello, ci sprona ad abbattere i muri delle incomprensioni, a creare ponti di comunicazione, superando l’isolamento e la chiusura nel proprio piccolo mondo. Qualcuno diceva: per fare la pace, nel mondo, mancano le orecchie, manca gente che sappia ascoltare e poi da lì viene il dialogo".

Il Papa ha concluso il suo discorso incoraggiando il Telefono Amico Italia a “contribuire alla costruzione di un mondo migliore, rendendolo luogo di accoglienza e rispetto”. “Nessuno rimanga isolato”, è stata la sua esortazione, impegnatevi “perché non si spezzino i legami del dialogo, e perché non venga mai meno l’ascolto, che è la manifestazione più semplice di carità verso i fratelli”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Papa Francesco in Colombia come "missionario di riconciliazione"

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E’ ufficiale: Papa Francesco visiterà la Colombia dal 6 all'11 settembre. Un viaggio importante che si inserisce in un delicato processo di pace, che ha visto tra i protagonisti lo stesso Pontefice argentino. Il servizio di Sergio Centofanti: 

La notizia è stata ufficializzata ieri dalla Sala Stampa della Santa Sede. Il Papa, accogliendo l’invito del Presidente Santos e dei vescovi colombiani, si recherà nel Paese nel prossimo settembre. Farà tappa in quattro città: Bogotá, Villavicencio, Medellín e Cartagena. Il programma del viaggio sarà pubblicato prossimamente. Durante una conferenza stampa, ieri a Bogotá, è stato svelato il logo della visita con il motto “Facciamo il primo passo”.

Il contributo fondamentale di Francesco alla pace è riconosciuto da tutti. La guerra civile in Colombia è iniziata oltre 50 anni fa, nel 1964, con un bilancio devastante: 220 mila morti, 45 mila persone scomparse nel nulla, 7 milioni di sfollati, migliaia di bambini soldato, la piaga del narcotraffico. Il 26 settembre dell’anno scorso era stato firmato uno storico accordo di pace tra governo e guerriglieri marxisti delle Farc, poi respinto da un referendum popolare il 2 ottobre. Un nuovo accordo di pace era stato raggiunto nel novembre per venire incontro all’opposizione che chiedeva garanzie e giustizia per le vittime delle violenze. Ma tutto ancora appariva in bilico. Il 16 dicembre, a sorpresa il Papa riceve in Vaticano contemporaneamente il Presidente Santos e il suo principale oppositore, l’ex Capo di Stato Uribe, sostenitore del no agli accordi. L’intesa viene rilanciata e gli ex guerriglieri iniziano il disarmo. C’è una nuova fiducia.  Il Papa visiterà il Paese come “missionario di riconciliazione” per invitare tutti i colombiani a fare il primo passo per costruire la pace. 

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Visita del Papa nella parrocchia di Santa Maddalena di Canossa

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Questa domenica, alle 16.00, il Papa compie una visita pastorale nella Parrocchia romana di Santa Maddalena di Canossa, nella Borgata Ottavia. Situata nella periferia Nord di Roma, la Parrocchia è nata nel 1988 ed è affidata ai padri canossiani. San Giovanni Paolo II la visitò il 21 aprile 1996. Papa Francesco, prima della Messa, incontrerà i bambini e i ragazzi che gli consegneranno le loro lettere, poi i genitori con i neonati battezzati durante l’anno, gli anziani, i malati e gli operatori pastorali. Quindi, confesserà alcuni fedeli. Sulle caratteristiche di questa comunità ascoltiamo il parroco, il padre canossiano Giorgio Spinello, al microfono di Federico Piana

R. – E’ una parrocchia giovane, un quartiere giovanissimo, ci sono molte famiglie giovani. Infatti i ragazzi della catechesi sono 500, con una presenza buona di un gruppo scout. E poi i battesimi sono un bel numero. L’anno scorso abbiamo fatto 55 battesimi. Negli anni precedenti il numero era molto più alto, 80. Siamo arrivati anche a 96 battesimi. Questo fa capire che ci sono famiglie giovani, di due, tre figlioli, e questa è una speranza per la parrocchia. La catechesi è frequentata, è l’asse portante della parrocchia, perché Santa Maddalena ci ha insegnato a educare i ragazzi a conoscere la fede, a conoscere Gesù. Quindi la catechesi è il campo dove spendiamo più energie. L’oratorio quotidiano è un punto di attrazione per i ragazzi. Poi c’è l’azione pastorale della Caritas che accompagna 50 famiglie che sono in difficoltà, famiglie che non sono solo del territorio della parrocchia; siamo in collaborazione con altre due parrocchie della prefettura e con questa Caritas inter-parrocchiale accompagniamo queste famiglie: i disagi sono tanti. Non sempre si arriva a fine mese, specialmente gli anziani. Poi ci sono famiglie che hanno difficoltà ad andare avanti nelle cose quotidiane … Però, ecco, la Caritas sta attenta a queste esigenze: dove possiamo, interveniamo, accompagniamo le famiglie. Il quartiere è un quartiere tranquillo. Quello che manca sono i punti di aggregazione per i giovani e gli adolescenti, questo sì. La parrocchia rimane il centro di riferimento.

D. – Quali sono le aspettative per questa visita di Papa Francesco, quali frutti sperate che porti?

R. – I frutti che desideriamo che nascano in questa parrocchia dalla visita del Santo Padre sono delle vocazioni sacerdotali e di vita consacrata. E poi io mi aspetto - ed proprio è quello che dirò al Santo Padre - di essere confermati nella fede perché la gente nella quotidianità, oltre ad avere la fatica di affrontare le difficoltà di ogni giorno, desidera trovare persone di fede che sanno dare una speranza. Il Santo Padre con la sua persona, il suo messaggio, la sua parola, la sua affabilità, metterà senz’altro nel cuore di tanta gente il desiderio di ritornare alla fede.

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Il grazie del card. Nichols al Papa a 4 anni dall'elezione

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Ringraziamo Dio per la ricchezza dei doni e dei frutti dello Spirito Santo, che sono le caratteristiche del Pontificato: gioia e pace, pazienza e gentilezza, fedeltà, saggezza e misericordia. E’ quanto scrive il cardinale Vincent Gerard Nichols in una lettera in vista del quarto anniversario dell'elezione di Papa Francesco. Il presidente della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles ringrazia inoltre il Pontefice per il modo con cui presenta, con parole ed opere, gli insegnamenti di Cristo e della Chiesa. Tali insegnamenti - aggiunge il porporato - sono contraddistinti da una freschezza e da una immediatezza che attira l'attenzione del mondo.
 
Il card. Nichols: Dio dia forza e coraggio al Papa
Preghiamo affinché Dio – scrive infine il cardinale Nichols – dia la forza e il coraggio al Papa di proseguire nel suo ministero petrino. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio è stato eletto Sommo Pontefice il 13 marzo del 2013. Il 265.mo Successore di Pietro è salito sul soglio pontificio un mese dopo la storica rinuncia al ministero petrino di Papa Benedetto XVI. “Adesso – aveva detto il Papa la sera del 13 marzo - incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro”. (A.L.)
 

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Mons. Jurkovič: cure siano accessibili a tutti, superare monopòli

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Un dialogo onesto e trasparente come via per affrontare i problemi del mondo. L’obbligo morale di costruire un futuro migliore per le nuove generazioni. Rimuovere le barriere, come monopòli e oligopoli, e l’inaccettabile avidità umana. Sono queste le priorità, indicate recentemente da Papa Francesco, richiamate da mons. Ivan Jurkovič intervenuto ieri a Ginevra, in Svizzera, ad un dibattito incentrato sul tema: “Accesso alle medicine”. Il servizio di Amedeo Lomonaco

E’ necessario – ha spiegato il presule – assicurare l’accesso universale alle medicine, ai vaccini, alle diagnosi. L’osservatore permanente della Santa Sede presso l'ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra ha affermato, in particolare, che è cruciale correggere l’incoerenza delle politiche adottate e gli squilibri tra i diritti dei proprietari dei brevetti, dei ricercatori, dei produttori e quelli delle persone. Il nunzio ha inoltre ricordato il prezioso contributo della Chiesa cattolica per garantire l’assistenza sanitaria e l’accesso alle cure. Un impegno - ha sottolineato - che si articola attraverso gli sforzi di Chiese locali, istituzioni religiose e iniziative private.

Il prezioso impegno della Chiesa nel mondo
La salute è un diritto fondamentale e per tutelarlo – ha ricordato il presule – la Chiesa sostiene nel mondo 5158 ospedali, 6523 dispensari e cliniche, 61 lebbrosari e 15.679 case per anziani, malati cronici o disabili. Mons. Jurkovič, riferendosi agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, ha indicato tra le priorità la ricerca e lo sviluppo di vaccini e medicine per malattie che colpiscono soprattutto Paesi in via di sviluppo. E’ anche fondamentale – ha detto infine il nunzio - garantire l’accesso, a prezzi accessibili, a farmaci per il trattamento di Hiv, tubercolosi, malaria e ad altre patologie epidemiche. 

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Oggi in Primo Piano



Vertice a Bruxelles: l'Europa a più velocità divide i leader Ue

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Il tema dell’Europa a più velocità spacca i leader dell’Unione Europea. Al Consiglio europeo, conclusosi ieri, i Paesi del gruppo Visegrad temono di essere lasciati indietro, ma il presidente della Commissione Juncker assicura: "Non si tratta di una nuova cortina di ferro". Il servizio di Elvira Ragosta

"I Paesi del V4 (gruppo di Visegrad) non saranno mai d'accordo a parlare di un'Europa a più velocità". Così la premier polacca, Beata Szydlo, alla conferenza stampa di fine vertice, ieri a Bruxelles. Il gruppo dei Paesi dell’Est composto da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia pone come condizione l’unità e “non approverà cambiamenti che possano portare peggioramenti a Mercato unico o a Schengen". Il presidente della Commissione Europea, prova a rassicurare i V4 che temono di essere lasciati indietro dai Paesi più forti: “Non si tratta - dice Jean Claude Junker - di una nuova cortina di ferro”. Nessuna logica di esclusione promette anche il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni. Sulla necessità che l’Europa debba essere continuamente modellata ha parlato anche la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ribadendo che le diverse velocità non comporteranno differenti classi di Paesi. Intanto, la Polonia sembra isolata all’interno dell’Ue anche sulle questioni ambientali: se non ci saranno a breve novità sul programma di disboscamento che il governo polacco ha iniziato in un’area protetta patrimonio dell’Unesco, la Commissione sarebbe pronta ad attivare la seconda fase della procedura di infrazione. 

Per un commento sulle diverse posizioni degli Stati membri dell'Unione su un Europa a più velocità, Elvira Ragosta ha intervistato Riccardo Alcàro, responsabile ricerca dell'Istituto affari internazionali: 

R. – Io credo che sia più una questione di percezione, al momento, di timore, che di preoccupazioni concrete su punti specifici che ancora non sono venuti fuori, in realtà. I Paesi dell’Europa orientale rispetto ai Paesi dell’Europa centroccidentale hanno una storia diversa, che fino a 25 anni fa era una storia di sottomissione a una potenza esterna – l’Unione Sovietica; e quindi non hanno interiorizzato, come i Paesi dell’Europa centroccidentale, l’idea che la sovranità possa essere condivisa e che questa condivisione di sovranità non comporti una limitazione della sovranità nazionale tale da poter essere rappresentata come una oppressione dall’esterno. In più, in questo momento in Ungheria e in modo particolare in Polonia sono al governo forze politiche fortemente euroscettiche, nonostante siano decisamente a favore dell’adesione del loro Stato all’Unione; però, hanno questa vocazione sovranista-nazionalista-protezionista e quindi temono sempre che i grandi dell’Occidente – Germania, Francia, Italia, Spagna – mettendosi insieme possano imporre loro le loro decisioni.

D. – Come interpretare, allora, questa spaccatura tra Paesi occidentali favorevoli all’Europa a più velocità e Paesi contrari?

R. – Non esistono interessi strutturali tali da rendere la divisione tra Europa dell’Est ed Europa dell’Ovest una divisione permanente: assolutamente no. Al contrario: esistono più interessi potenzialmente condivisibili che possono portare i Paesi dell’Europa centrorientale e quelli della vecchia Europa a 15 a cooperare, a trovare sinergie e si vedrà che si creeranno, a seconda delle questioni, diverse faglie di divisione dove Paesi dell’Occidente e Paesi dell’Oriente staranno insieme contro altri Paesi dell’Occidente e altri Paesi dell’Oriente.

D. – Come influisce questo strappo nella redazione del documento finale che si attende per le celebrazioni perla firma trattati di Roma del prossimo 25 marzo?

R. – Come dicevo prima, è un punto molto forte di percezione, e in particolar modo nei Paesi dell’Europa centrorientale, anche perché hanno in questo momento – due di loro, almeno – al potere forze fortemente euroscettiche, vogliono dare una risposta chiara al loro pubblico. Io non credo che questo sarà l’oggetto di dibattito, di scontro in occasione della dichiarazione del Vertice; troveranno un compromesso in cui si metterà fortemente l’accento sul fatto che l’Unione Europea è un progetto inclusivo e allo stesso tempo si metterà l’accento sul fatto che questa inclusività del progetto europeo non pregiudica la possibilità, per alcuni Stati, nel rispetto dell’inclusività generale, di cooperare di più, qualora loro lo vogliano.

D. – Parlando in maniera più generale, quali sono le complessità che si trova ad affrontare l’Europa?

R. – L’Europa si trova al centro di una poli-crisi, cioè un insieme di crisi che messe insieme ne hanno compromesso la capacità di assicurare un governo efficace delle questioni fondamentali: dalla questione-euro, che ha visto i Paesi dell’Europa del Nord prendere una posizione completamente diversa da quella dei Paesi dell’Europa del Sud, che vorrebbero una politica meno votata all’austerità e più ispirata alla crescita; alla questione-migrazione, dove invece abbiamo i Paesi dell’Europa occidentale, come la Germania e l’Italia, che vorrebbero europeizzare la gestione del problema, e Paesi dell’Europa centrorientale – ma anche l’Austria – che sono invece più restii a farlo; alla gestione dei rapporti con la Russia, piombati al punto più basso dai tempi della Guerra Fredda, che in questo momento sono improntati a una comprensione, a una specie di pace fredda, nonostante però la politica verso la Russia sia oggetto di dibattito piuttosto aspro all’interno dell’Unione Europea.

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Presidenziali in Ecuador. Mons. Cabrera: il potere è servizio

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“Non è sufficiente vincere le elezioni, è importante saper governare. Ciò richiede alcuni atteggiamenti come la vicinanza, l’ascolto e il servizio, indipendentemente dalla nostra posizione politica o religiosa”: è quanto ha scritto mons. Luis Gerardo Cabrera Herrera, arcivescovo di Guayaquil, in una lettera rivolta ai candidati al ballottaggio per le elezioni presidenziali in Ecuador.

Invito al dialogo e al rispetto tra i candidati
Nella lettera il presule esorta i candidati al rispetto e al dialogo nel corso della campagna elettorale che è iniziata venerdì. “La vicinanza rende possibile alle autorità la condivisione con la nostra gente, in particolare con i più vulnerabili. L’ascolto ci permette di scoprire ciò che le persone vivono, vogliono e si aspettano; e non esattamente proprio quello che ci piacerebbe sentire.

Considerare potere come servizio. Dare centralità ad esclusi
Il servizio — prosegue la lettera — è il principio guida di ogni progetto e programma sociale, politico o economico”. Secondo l’arcivescovo, se si considera il potere come servizio si impedisce la manipolazione dei poveri. “Gli esclusi non sono oggetti, ma soggetti e protagonisti della propria storia. Questa convinzione — conclude mons. Cabrera Herrera — richiede il riconoscimento, il rispetto e la promozione”. Il ballottaggio per le presidenziali è previsto per il prossimo 2 aprile.

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Terre des Hommes: violato diritto dei palestinesi all'istruzione

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Sono sempre più numerose le violazioni del diritto all’istruzione dei bambini palestinesi. La denuncia è dell’organizzazione non governativa Terre des Hommes che ha dato vita ad un progetto per un supporto didattico dedicato soprattutto ai minori tra i 12 e i 17 anni che si trovano fuori dal sistema scolastico perché con bisogni speciali, con difficoltà di apprendimento, ma anche perché posti da Israele agli arresti domiciliari. Francesca Sabatinelli

Ogni individuo ha diritto all’istruzione, che deve essere indirizzata al pieno sviluppo della persona umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Deve inoltre promuovere comprensione, tolleranza, amicizia fra le nazioni, i gruppi razziali e religiosi. E’ questa solo una parte dell’elaborato Articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani, uno tra i più violati. In Israele per esempio, dove le violazioni del diritto all’istruzione dei bambini palestinesi, sia di Gerusalemme Est che dell’area “C”, quella sotto il controllo e l’amministrazione israeliana, stanno aumentando. A documentarle è l’organizzazione Terre des Hommes, attiva in tutto il mondo nella protezione dei minori. Le misure definite “coercitive e restrittive” imposte dall’occupazione israeliana si concretizzano con arresti di studenti, anche molto giovani, con sgomberi forzati, con demolizioni, con intimidazioni e minacce anche verso il corpo insegnante. Guia Faglia, delegata di Terre des Hommes nei Territori Occupati Palestinesi, vive a Gerusalemme da cinque anni:

“Il nostro progetto mira a rendere la scuola un luogo non solo sicuro ma un luogo capace di accogliere tutti i bambini, con tutte le loro specificità, con i bisogni che hanno. Soprattutto in questo momento ci sono notevoli difficoltà che si esprimono anche in difficoltà di apprendimento dovute alle tensioni sociali e politiche di questa situazione”.

Terre des Hommes ha quindi organizzato le sue attività per la formazione di un team mobile che nei prossimi mesi darà un supporto didattico ai minori esclusi dal sistema educativo di Gerusalemme Est. Sono molti i giovani, anche di soli 12 anni, che si trovano agli arresti domiciliari e quindi fuori dal sistema scolastico.

R. – Dal 2015 si è molto inacerbita anche dal punto di vista legale la risposta militare, perché c’è una risposta militare data a questi bambini e anche il lancio di una pietra può avere una condanna fino a 20 anni di carcere. La situazione di questi bambini è di arresti domiciliari, magari temporanei. E comunque è una situazione per cui loro vengono allontanati dal sistema scolastico. Recentemente i bambini che stanno agli arresti domiciliari non solo non possono frequentare la scuola ma hanno anche l’obiettivo di fare servizi socialmente utili e quindi devono lavorare. Sono minori costretti dalle autorità israeliane a lavorare e quindi non riescono a continuare il loro percorso formativo all’interno del sistema educativo. Il progetto che supportiamo con fondi dell’Unione europea ci consente di avere un team mobile di educatori che supportano i bambini che sono agli arresti domiciliari nel loro percorso scolastico e quindi abbiamo la speranza che si reinseriscano alla fine del periodo di arresto per poi conseguire un diploma e quindi riuscire ad inserirsi nel seppur difficile mercato del lavoro palestinese.

D. - Quali sono nell’immediato le ricadute psicologiche su questi giovani?

R. - C’è una grande vulnerabilità dal punto di vista psicologico perché si accumulano tensioni, incubi notturni, insicurezza, paura di andare in giro anche per strada perché spesso quello che succede è che questi bambini vengono arrestati sulla via verso scuola, vengono accusati legittimamente o meno di aver lanciato delle pietre e quindi vengono poi arrestati e riescono ad ottenere gli arresti domiciliari ma non è loro concesso neanche di muoversi per andare a scuola, anche se accompagnati dai genitori. Questo li mette in uno stato di insicurezza, di depressione: crea rabbia, crea disillusione nei confronti della società. E’ una generazione che quindi fatica a crescere con delle visioni di un futuro sereno.

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Palermo, clochard bruciato. Mons. Lorefice: gesto atroce

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Si chiamava Marcello Cimino e aveva 45 anni il clochard che questa notte è stato bruciato vivo mentre dormiva sotto il portico della Missione San Francesco in Piazza dei Cappuccini a Palermo. Un video mostra un uomo che getta un secchio di benzina sull'uomo e poi gli dà fuoco. Un gesto atroce, questo il commento dell’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, raccolto da Roberta Barbi: 

R. – È terribile, perché se un uomo è capace di fare un gesto di questo genere vuol dire che il cuore realmente sta diventando di pietra, un cuore che si indurisce, che perde se stesso, che perde la propria identità, e su questo io non posso che esprimere la mia indignazione. È un gesto che si consuma anche nei confronti di gente che comunque porta dentro un disagio, il segno di una povertà non solo materiale. I poveri ad alcuni possono dare problemi, anche fastidio, ma non è assolutamente ipotizzabile un atto scellerato del genere.

D. – Com’è la situazione dei clochard a Palermo?

R. – Ci sono clochard che sono “nostri”, nel senso che sono del luogo e altri che vengono da fuori, sono stranieri. A Palermo abbiamo tante realtà. Penso soprattutto alla realtà di Biagio Conte che ospita più di mille persone. Abbiamo strutture della Caritas dove possiamo ospitare, ma noi sappiamo che i clochard non sempre accettano. Per esempio, l’uomo ucciso stanotte tutti i giorni andava alla mensa dei Frati cappuccini a pranzo e poi alla sera andava al “Boccone del povero” per la cena, però non voleva assolutamente essere ospitato in una struttura. La situazione è quella di una città che sempre di più, quando succedono queste cose, dovrebbe non riuscire a trovare una giustificazione. Se non si riesce a rispettare neanche la libertà personale di chi sceglie di stare in mezzo alla strada, non possiamo assolutamente pensare di essere arrivati, anzi, dobbiamo fare di tutto, lavorare su una cultura della non violenza. A vedere anche le immagini il cuore si strappa: è impensabile che un uomo sia capace di fare un gesto così efferato. Noi tutti siamo sempre di più interpellati a ripensare alla nostra vita in altri termini, a ripensarla dai più fragili. Questa è una cosa che sento come vescovo: una città degli uomini non può che ripensarsi a partire dai più fragili.

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A Loppiano l'evento "Chiara Lubich una luce per la famiglia"

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“Da Chiara Lubich una luce per la famiglia”, questo il titolo dell’evento, a carattere internazionale, in corso fino a questa domenica a Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari vicino Firenze. Si tratta di una delle numerose iniziative organizzate in tutto il mondo in occasione del nono anniversario della morte della fondatrice dei Focolari e dedicate quest’anno alla realtà delle famiglie. A Loppiano, accanto ad un incontro fatto di festa, scambio di testimonianze e workshops su diversi tema riguardanti la vita familiare, anche un Seminario con esperti per un approfondimento culturale del contributo della spiritualità dell’unità per la famiglia di oggi. Al microfono di Adriana Masotti, la psicopedagogista Maria Scotto e il coniuge, medico, Raimondo, membri del Centro internazionale “Famiglie Nuove”, diramazione dei Focolari, raccontano come è nato l’interesse della Lubich per la famiglia: 

R. – Forse una delle prime cose che è stata un grande motivo di riflessione per Chiara è stata il fidanzamento della sorella Liliana, perché lei all’inizio sentendo questa grande spinta a consacrarsi, aveva quasi immaginato che la strada migliore per tutti fosse la consacrazione. Però, quando ha cominciato a vedere invece la bellezza del fidanzamento della sorella Liliana, in lei è nata l’evidenza che l’amore è uno solo, qualunque sia la strada che si intraprende. Per cui lei scrive una bellissima lettera alla sorella dicendo: “Anche se la tua strada non è come la mia, possiamo amare Dio con tutto il cuore. E tu, nella famiglia potrai farti santa”. Quindi questa è proprio la prima idea che è anche alla base del movimento “Famiglie Nuove”.

D. - Il movimento “Famiglie Nuove” ha avuto in tutti questi anni un grande sviluppo. È nato all’inizio per raccogliere insieme le famiglie che aderivano al carisma di Chiara. Poi è stato sollecitato anche dai cambiamenti della famiglia stessa e della società …

R. - Nel 1967 Chiara proprio perché vedeva che il mondo della famiglia era tanto minacciato, ha sentito nel cuore il desiderio forte che noi sposati, che già venivamo dal movimento dei Focolari, ci mettessimo sulle spalle con una cura particolare tutte le famiglie del mondo. Lei diceva: “Metto sulle vostre spalle la parte più travagliata, la parte più sofferente dell’umanità: separazioni, abbandoni, bambini che giacciono per anni negli orfanotrofi, oppure il consumismo, la vedovanza”. Lei ci ha dato, fin dal primo momento, la bellissima intuizione dell’arte di amare, perché soltanto con questa si può ricomporre il tessuto famigliare e si può arginare e prevenire la crisi.

D. - Da qui sono nati quindi incontri, convegni, proprio per aiutare le famiglie e le coppie in tutte le situazioni, anche le nuove unioni …

R.- Certo. Chiara diceva: “Prendetevi cura di queste persone, perché loro hanno un estremo bisogno di essere accompagnati”.

D. - Ma non è ancora tutto. Raimondo

R. - Ci sono anche questi corsi che organizziamo da alcuni anni per aiutare le  famiglie che hanno difficoltà nella loro vita di unità. Si cerca di aiutare queste coppie a ricostruire il loro rapporto e i risultati sono molto belli. Un’altra azione è quella che facciamo nel campo affettivo per gli adolescenti, che si chiama “Up to me”, tenendo presenti tutte le situazioni che ci sono oggi nella società, come la questione della teoria del gender. Si cerca anche di fare dei programmi adatti da portare nelle scuole. Abbiamo già fatto delle esperienze in questo senso, che partono proprio dalla comprensione profonda del corpo umana e della sua sessualità.

D. - Veniamo adesso a questo nono anniversario dedicato alla famiglia con eventi organizzati in diverse parti del mondo tra cui uno a carattere internazionale a Loppiano. Raimondo…

R. - In queste giornate si raccolgono delle esperienze non solo di vita, ma anche di tipo professionale e di studio. A Loppiano ad esempio oltre all’evento a cui partecipano queste famiglie di tutto il mondo, è in corso anche un convegno di tipo culturale fatto soltanto da un certo numero di esperti che cercano proprio di vedere fino anche a che punto si è arrivati con il pensiero di Chiara anche da un punto di vista scientifico.

D. - Vorrei chiedere a Maria a questo punto di concludere con un pensiero di Chiara Lubich sulla famiglia …

R. - Le leggiamo un pensiero che ci sembra particolarmente bello. Chiara ce lo ha donato nel 1993 in un bellissimo messaggio. Recitava così: “Io vedo nella famiglia anche il modello per tutte le istituzioni sociali”. Lo legge Raimondo:

R. - “Dio ha creato la famiglia come segno e tipo di ogni altra convivenza umana. Ecco quindi il compito delle famiglie: tenere sempre acceso nelle case l’amore, ravvivando così quei valori che sono stati donati da Dio alla famiglia, per portarli ovunque nella società, generosamente e senza sosta”.

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Australia, abusi sessuali: le scuse della Uniting Church

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“Siamo profondamente dispiaciuti di non essere riusciti a proteggere e a prenderci cura di quei bambini, secondo i nostri valori cristiani. Riconosciamo con enorme tristezza le conseguenze che ciò ha prodotto nella vita di questi giovani. Il nostro impegno è di chiedere scusa e di cercare che altri non soffrano nello stesso modo”: Stuart McMillan, presidente dell’assemblea della Uniting Church of Australia (Uca), interviene sullo scandalo che ha coinvolto anche la terza più grande denominazione cristiana del Paese come numero di fedeli. Ne dà notizia l’Osservatore Romano.

Oltre duemilacinquecento i casi di abusi su minori dal 1977
Secondo quanto riferisce l’Australian Associated Press - che cita dati della Royal commission into institutional responses to child sexual abuse - sarebbero 2.404 i casi di abuso sessuale su minori verificatisi nelle istituzioni legate alla Uniting Church dal 1977 (anno di fondazione) a oggi. 17milioni e mezzo di dollari l’ammontare del risarcimento alle vittime. L’Uca è nata quarant’anni fa dall’unione di gran parte delle componenti della Chiesa Metodista, di quella Presbiteriana e della e dell’Unione Congregazionalista dell’Australia. Dopo quella cattolica e quella anglicana, è la denominazione cristiana con più fedeli nel Paese (circa un milione).

L’impegno della Chiesa Cattolica
E all’impegno della Chiesa cattolica in Australia per far luce sugli abusi - prosegue il quotidiano della Santa Sede - è dedicato un ampio servizio del quotidiano francese “La Croix”. Dopo quattro anni di indagini sono stati accertati e segnalati alle autorità ecclesiastiche 4.444 episodi avvenuti fra il 1980 e il 2015. Nello stesso periodo, la Chiesa ha versato l’equivalente di duecento milioni di euro per risarcire migliaia di vittime di abusi sessuali commessi nell’ambito di strutture cattoliche. La commissione si è basata sulle denunce o sulle testimonianze di coloro che hanno subito violenza, riuscendo a identificare 1880 autori presunti fra persone con un ruolo di responsabilità ecclesiale.

Obbiettivo della Chiesa Cattolica è recuperare la fiducia perduta
Recuperare la fiducia perduta è ora il principale obiettivo della Chiesa cattolica in Australia. Il quotidiano francese riferisce a questo proposito il crollo del numero dei fedeli praticanti: nella diocesi di Ballarat, fra quelle più colpite dallo scandalo, solo il 10 per cento va a messa. «Abbiamo davanti un lavoro enorme da fare per convincere la gente che la Chiesa sta veramente cambiando», afferma un responsabile.

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Burkina Faso: simposio sul dialogo interreligioso

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Il dialogo è la via maestra; la pace si ottiene più efficacemente attraverso il dialogo, non con la violenza: è la sintesi del messaggio che il card. Philippe Ouédraogo, arcivescovo metropolita di Ouagadougou, nel Burkina Faso, ha inviato al simposio internazionale che si è svolto nella sua diocesi dal 3 al 7 marzo sul tema “Il dialogo interreligioso per una educazione alla pace”. L’evento, riferisce il portale Le Pays, è stato organizzato in continuità con l’incontro del 29 maggio 2015 - “L’educazione alla pace e allo sviluppo attraverso il dialogo interreligioso e interculturale” - tenutosi a Cotonou, nel Benin, e lanciato da Albert Tévoedjeré, mediatore onorario dell’Unione economica e monetaria ovest-africana (UEMOA). Ad Ouagadougou, Tévoedjeré ha affermato che le religioni proibiscono l’odio e che dunque occorre “imparare a pregare insieme … agire insieme per ridurre la povertà”, “è necessario che l’Africa smetta di parlare e che proponga azioni concrete per lo sviluppo del continente”, perché il vivere insieme potrà far progredire l’Africa.

Il dialogo strumento di pace e presupposto per lo sviluppo
Per Michaëlle Jean, segretario generale dell’Organizzazione internazionale della Francofonia (OIF), la diversità culturale e religiosa si esprime pacificamente “sulla base di un solco civico e sociale forgiato secolo dopo secolo” e per i giovani ci vorrebbe una piattaforma per fare del dialogo il loro strumento naturale. L’importanza del dialogo è stata sottolineata dal ministro degli Affari Esteri Alpha Barry che ha rimarcato che proprio lì dove questo manca, si verificano gravi conflitti etnici e religiosi. “La gioia di vivere insieme è un patrimonio del Burkina Faso – ha aggiunto –. Le nostre culture e le nostre religioni hanno dei valori che possono permetterci di superare molte cose e di comprenderci”. Il simposio ha avuto, tra gli altri, anche il patrocinio dell’Unesco e Firmin Edouard Matoko, direttore generale aggiunto, ha ricordato che il Decennio internazionale per l’avvicinamento delle culture (2013-2022) indetto dall’Onu pone l’accento sulla diversità culturale, etnica, linguistica e religiosa per favorire il dialogo. Ai lavori hanno preso parte rappresentanti di diverse istituzioni e confessioni religiose. (T.C.)

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della II Domenica di Quaresima

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Nella seconda Domenica di Quaresima, il Vangelo ci propone la Trasfigurazione di Gesù. A Pietro, Giacomo e Giovanni che il Signore aveva condotto su un alto monte, la voce del Padre celeste dice:

«Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma:  

Il Signore ci dà un appuntamento di straordinaria importanza, invitandoci ad incontrarlo nel Triduo pasquale, in particolare nella Veglia di Pasqua, detta non a caso, la “Notte delle notti” e la “Madre di tutte le Veglie”. In questa seconda domenica di Quaresima Gesù si trasfigura, dialoga con Mosè ed Elia, per trasformarci in nuove creature: tutti i peccati e le concupiscenze dell’uomo vecchio, infatti, saranno distrutti e rimarrà Cristo solo. Ciascun idolo che ci schiavizza sparisce così dal nostro cuore, ogni vizio e presunzione, come il Faraone infernale, è travolto dalla Risurrezione e lo splendore del suo Volto ci attira alla virtù, suscitando in noi il desiderio del bene. In quale altra occasione della vita riceviamo doni e aiuti di tale portata? Pertanto il Salvatore, attraverso la Chiesa, ci esorta in questi quaranta giorni, ad uscire dalla terra dell’egoismo e a salire la montagna. La parola di Dio sarà fondamentale in questo tempo, perché ci aiuterà a riconoscere i nostri peccati e a odiarli, anelando una vita nuova che da soli non possiamo darci. Solo una grave superficialità può indurci a non preparare questo Triduo e questa Notte santissima. La Pasqua potrebbe divenire, allora, una ricorrenza noiosa, una Messa fugace per soddisfare il precetto, dove tutto, però, rimane immutato senza alcuna risurrezione.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 70

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