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Sommario del 08/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Esercizi spirituali. P. Michelini: Giuda e il rischio di perdere la fede

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La figura di Giuda, il rischio di perdere la fede, la missione della Chiesa in cerca dei peccatori: sono i temi forti sui quali si è soffermato padre Giulio Michelini nella quinta meditazione degli Esercizi spirituali, che sta predicando al Papa e alla Curia Romana, riuniti in questi giorni ad Ariccia. E stamattina durante gli Esercizi spirituali è arrivata una mail da Aleppo, che racconta il calvario della popolazione. Il servizio di Debora Donnini

Ruota attorno al dramma del suicidio di Giuda, uno dei Dodici, la meditazione mattutina di padre Michelini. Un evento scandaloso e imbarazzante, che però non viene nascosto dal Vangelo. Un dramma reso evidente anche dal pentimento di Giuda che nel Vangelo di Matteo riconosce di aver peccato perché ha tradito sangue innocente.

Giuda e noi: il rischio della perdita della fede
Il francescano cerca quindi di ricostruire i motivi che possono aver spinto Giuda a tradire Gesù che lo aveva scelto e chiamato. E Lui, Giuda lo aveva seguito. Per capire il suo dramma, padre Michelini rilegge testi di studiosi e scrittori. Da Romano Guardini ad Amos Oz, che hanno dedicato pagine a questa figura. La prima ipotesi è che Giuda ad un certo punto abbia perso la fede. Si tratta di un rischio che ci interpella:

“Abbiamo poche giustificazioni di parlare con indignazione sul traditore. Giuda svela noi stessi”.

E ancora viene richiamata l’esperienza dello scrittore francese Emmanuel Carrère e il suo libro, “Il Regno”, del 2014 nel quale racconta di aver riabbracciato la fede per tre anni e poi di averla nuovamente persa. Emerge il travaglio interiore di un uomo che però scrive: “Ti abbandono, Signore. Tu non abbandonarmi”.

Sul tradimento di Giuda, poi, si è fatta anche un’altra ipotesi: Giuda voleva che Cristo si mostrasse come il Messia di Israele, liberatore, combattente, politico. E quindi non vede più nel volto di Gesù il Signore ma solo un Rabbi, un Maestro, e lo vuole forzare a fare quello che lui desidera.

Andare per le strade a cercare i pagani e i pubblicani
La seconda riflessione che la meditazione odierna vuole provocare è quella su cosa si possa fare per chi è lontano dalla fede. Bisogna andare in cerca dei peccatori, ricorda il francescano che racconta la sua esperienza:

“Vivo con una comunità di giovani che fanno due missioni popolari all’anno. Li prendo in giro perché vanno a ballare per le strade, entrano nelle discoteche e vanno nei pub. Io, naturalmente, da professore non mi permetterei mai di fare una cosa così e quindi scherzo con i miei frati. E sono molti anni da quando insegno che non faccio più missioni popolari. Ma loro sanno quanto stima invece ho per il fatto che c’è qualcuno che va lì dove c’è quello che non vorremmo vedere, ci sono i giovani magari disperati… Dunque anche se noi non svolgiamo questo compito dobbiamo essere davvero grati e solidali verso coloro che vanno per le strade a cercare, come diceva Gesù, i pagani e i pubblicani”.

Il percorso di Giuda lo ha portato al suicidio dopo essersi reso conto del suo peccato, nota il frate. Tra i vari riferimenti della meditazione anche uno a Bendetto XVI e ai “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. In questo libro è emblematica la conversione dell’Innominato che ha la tentazione di togliersi la vita fino a quando non sente il suono delle campane. Alla sua memoria tornano le parole di Lucia su Dio che perdona tante cose per un’opera di misericordia. Quindi l’incontro con il cardinale Federigo Borromeo che si rammarica di non essere stato lui per primo ad andare a trovarlo. Pagine di fede, che invitano ad andare in cerca dei peccatori. Richiamate anche le parole di Papa Francesco in un’omelia  della Messa a Casa Santa Marta quando a proposito dei sacerdoti che respingono Giuda, ha parlato del clericalismo: Giuda è stato scartato, traditore e pentito non è stato accolto dai pastori che erano intellettuali della religione con una morale fatta dalla loro intelligenza e non dalla rivelazione di Dio.

I suicidi del nostro tempo. Aiutare i cristiani a non perdere la fede
E parlando del suicidio di Giuda, padre Michelini non dimentica l’attualità con i suicidi assistiti e i suicidi di giovani. Da qui lo spunto per una domanda di riflessione rivolta ai pastori:

“Come possiamo aiutare i cristiani del nostro tempo a non perdere la fede, a riprendere coscienza della propria fede, quella di cui si parla nel Nuovo testamento, la fede gioiosa, totalizzante, l’adesione alla persona di Gesù, come possiamo fare perché non avvengano più questi suicidi?”.

Una meditazione dunque dai tratti fortemente esistenziali sulla fede, sulle nostre domande e sulla missione della Chiesa nel mondo.

Consultare anche: introduzione, prima meditazione, seconda meditazione, terza meditazione e quarta meditazione.

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Nomine

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Per le nomine odierne consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Santa Sede: in atto inaudita violenza contro i cristiani nel mondo

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L’effettivo riconoscimento della libertà religiosa quale primo e più importante fra i diritti umani fondamentali è la chiave per affrontare la crisi in cui è precipitato oggi il mondo, segnato da nuove persecuzioni religiose che vedono i cristiani tra le prime vittime. Così mons. Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, intervenuto ieri all’apertura di un incontro di alto livello sul tema “Rispetto reciproco e coesistenza pacifica condizione della pace interreligiosa e della stabilità: sostenere cristiani e altre comunità”

Difendere la dimensione pubblica della libertà religiosa
“Nonostante i numerosi sforzi per promuovere e rafforzare la libertà religiosa – ha detto l’arcivescovo – stiamo di fatto assistendo a un continuo peggioramento, se non a un vero e proprio attacco contro questo diritto inalienabile in diverse parti del mondo”. Una libertà – ha puntualizzato - che ha una rilevanza pubblica, perché la scelta di una fede incide “ad ogni livello della vita sociale e politica”, tanto più oggi che “la religione ha assunto una rinnovata importanza a causa dei complessi rapporti tra le scelte personali di fede di ciascuno e la loro espressione pubblica”.

Reagire alle violenze contro i cristiani e le altre comunità religiose
Proprio per queste implicazioni - ha rimarcato l’Osservatore permanente - tale scelta “deve essere libera da vincoli e costrizioni” e va tutelata dalle autorità pubbliche. In questo senso, la grande attenzione puntata oggi contro responsabili delle violazioni dei diritti umani fanno ben sperare che la comunità internazionale reagirà all’inaudita violenza contro i cristiani e le altre comunità religiose e che essa non sia caduta in quella “globalizzazione dell’indifferenza” tante volte denunciata da Papa Francesco.

Cristiani oggi perseguitati più che nei primi secoli del cristianesimo
Dopo essersi soffermato in particolare sulle persecuzioni dei cristiani in Medio Oriente, peggiori – ha detto - di quelle subite nei primi secoli del cristianesimo, mons. Jurkovič ha insistito sulla dimensione pubblica della libertà religiosa che non può essere ridotta a mero fatto individuale o al solo culto, perché per la sua stessa natura trascende “la sfera privata degli individui e delle famiglie”. Le varie tradizioni religiose, infatti,  “servono la società innanzitutto con il messaggio che proclamano”, con il loro invito alla conversione, alla riconciliazione, al sacrificio per il bene comune, alla compassione per i bisognosi. 

Le religioni un alleato prezioso nella difesa della dignità umana
In un mondo “dove convinzioni deboli abbassano anche il livello etico” e sempre più soggetto alla "globalizzazione del paradigma tecnocratico", che cerca di “eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una ricerca superficiale di unità”, ha detto in conclusione il rappresentante della Santa Sede, le religioni “hanno il diritto e il dovere di dire apertamente che è possibile costruire una società in cui un sano pluralismo che rispetta le differenze e le valorizza come tali è un alleato prezioso nell’impegno a difendere la dignità umana e una via per la pace nel nostro mondo” (A cura di Lisa Zengarini)

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Oggi in Primo Piano



Afghanistan: l'Is attacca ospedale a Kabul, decine di vittime

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Il sedicente Stato Islamico è tornato a colpire oggi in Afghanistan. Un gruppo di uomini armati, camuffati da medici, ha fatto irruzione nell’ospedale militare di Kabul. L’attacco è iniziato quando uno di loro si è fatto esplodere all’ingresso del complesso. Gli altri poi hanno cominciato a sparare. Almeno 30 i morti e più di 60 i feriti. Mentre i movimenti talebani comunicavano la loro estraneità all’atto terroristico, è giunta la rivendicazione dell’Is. Sulle nuove strategie del Califfato, Giancarlo La Vella ha intervistato Lorenzo Cremonesi, esperto del Corriere della Sera per l’area mediorientale: 

R. – Lo Stato Islamico ormai da tempo sta perdendo quella che è la sua caratteristica fondamentale, che lo differenziava da Al-Qaeda e dagli altri gruppi jihadisti fondamentalisti, e cioè la dimensione territoriale. Lo vediamo nelle cronache delle ultime ore: sta perdendo a Raqqa, in Siria, la sua capitale, sta perdendo Mosul, in Iraq… E quindi ormai da tempo i miliziani, i militanti, gli attivisti si riorganizzano laddove lo Stato è 'latitante' oppure in cellule indipendenti in Europa e nel mondo occidentale. E dove lo Stato è 'latitante'? In Afghanistan, Libia, Yemen. E infatti negli ultimi tempi la presenza del Califfato è sempre più palpabile, tanto che ci sono stati scontri addirittura tra i talebani e lo Stato Islamico, che sta competendo per raccogliere adepti, forze e rubarsi a vicenda militanti. Per l'Is ogni attentato che rivendica è come un atto di propaganda, che sembra voglia dire: "Venite con noi perché siamo i vincenti".

D. – Questo può far pensare che sia impossibile, a differenza di quanto si temeva, un’alleanza sul terreno tra l'Is e i gruppi fondamentalisti locali…

R. – Lo Stato Islamico cerca di prendere il posto degli altri. Infatti, per ora, quello che si pensava non è avvenuto, cioè che potesse avvenire un’alleanza tra Is e talebani, come è successo tra Al-Qaeda e i talebani negli anni ’90. Però, finora, questo non c'è stato. Quello che noi vediamo è che le due cose si muovono in parallelo e addirittura in concorrenza, sia in Afghanistan, sia nelle zone tribali pachistane, luoghi di attività dell'estremismo islamico, compresa Al-Qaeda.

D. – Quello dello Stato Islamico non è più lo stesso ruolo di qualche anno fa. Qual è quello attuale?

R. - In questo momento è un ruolo sulla difensiva nelle sue zone di espansione, cioè in Iraq e in Siria, dove sta perdendo. E comunque i jihadisti devono trasformarsi. Perdendo la dimensione territoriale, torneranno ad essere simili ai loro progenitori e cioè Al-Qaeda e i movimenti jihadisti che li hanno preceduti. E invece è in espansione negli Stati dove manca un’autorità centrale forte, come appunto è l’Afghanistan, dove c'è stato il ritiro voluto da Obama negli ultimi anni delle truppe, dove la presenza della Nato e delle truppe occidentali è ormai ridotta al lumicino e dove il governo locale non è in grado di reggere. Quindi, lì potrebbero cercare di costruire quelle entità territoriali che stanno perdendo in Siria e in Iraq.

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Giornata donna. Suor Farina: misoginia è negazione del Vangelo

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Nella Giornata internazionale della donna, ci si chiede a che punto siamo nel cammino della storia per valorizzare quel ‘genio femminile’, messo in luce da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris dignitatem, a cui è dedicato il Convegno ospitato oggi pomeriggio dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium. Intanto nel mondo corre un vento di protesta delle donne, con scioperi, astensioni dal lavoro fuori e dentro casa, cortei, assemblee, che rendono questo 8 marzo poco celebrativo e festoso. Il servizio di Roberta Gisotti

Donne stanche di essere maltrattate, una su tre è ancora vittima di violenze sessuali o di altro tipo nella mura domestiche, nel corso della propria vita, secondo stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità. E succede pure che nel 2017 il Bangladesh approvi una legge che regolamenta e favorisce i matrimoni precoci, oltre la metà delle spose non ha compiuto 18 anni e quasi il 20 per cento ha meno di 15 anni. Vane le proteste della Chiesa cattolica nel Paese asiatico. Non c’è da meravigliarsi se le donne indietreggiano nei loro diritti in gran parte del Pianeta, se solo il 22 per cento delle parlamentari nel mondo è donna. Dov’è dunque quel ‘genio femminile’ di cui parlava Papa Wojtyla, quasi 30 anni fa? Suor Marcella Farina, docente di teologia fondamentale, all’Auxilium:

R. – Il genio femminile c’è, nella storia, c’è stato e ci sarà. Solamente che va riconosciuto e valorizzato. La donna ha la missione storica, di essere la madre dei viventi, la madre della vita.

D. – Sono in molti, però, a rimproverare che ancora oggi la donna abbia un ruolo – come dire – defilato all’interno delle Istituzioni ecclesiali …

R. – Paradossalmente, l’antifemminismo – o questa mentalità misogina che inferiorizza le donne – emerge storicamente quasi a ondate: quando la donna prende più consapevolezza del suo esserci nella storia, con i suoi valori, con le sue domande, anche con le sue prospettive. Tanto c’è misoginia nella Chiesa quanta ce ne è nella cultura, dove queste personalità ecclesiastiche, che magari coltivano questi sentimenti, hanno perso la vigilanza evangelica: perché dove c’è la vigilanza evangelica, questo tipo di mentalità non può essere accolto. Tanti che Gesù è visto anche da donne non credenti come il grande liberatore delle donne: a partire dall’esperienza evangelica dove le donne vanno dietro a Gesù come gli uomini, senza nessuna inferiorizzazione. Anzi, dice il Vangelo di Luca che “le donne seguono Gesù e l’assistono con i loro beni”. Vuol dire che sono donne anche importanti, che hanno la possibilità di disporre di patrimoni, per poter assistere questi discepoli nei loro viaggi.

D. – Quasi sempre si affronta il tema dell’emancipazione femminile senza considerare l’emancipazione maschile che ne dovrebbe conseguire …

R. – Gli uomini devono fare un salto in avanti, nel loro percorso, cioè devono raggiungere noi donne nella consapevolezza del proprio essere uomini. Infatti, noi donne abbiamo tematizzato, certamente non una volta per sempre, perché è un processo continuo, quello di avere consapevolezza di cosa significhi essere donne ed esserci come donne nella società, nei luoghi delle professioni, nei luoghi della cultura e anche nelle religioni. Gli uomini devono prendere coscienza del fatto che essere uomo non è un termine generale che rappresenta l’umanità, ma essere uomo significa essere proprio il maschio nell’esperienza dell’immagine di Dio, perché Dio ha voluto maschio e femmina. E secondo me, questo è un compito che dovrebbero svolgere con più coraggio, perché nei secoli si parla di uomo come umanità e in qualche modo, nel generico, loro si ritrovano ma perdono molto delle loro risorse, che dovrebbero tematizzare e poi riesprimere in contesti culturali che sono molto diversi, anche solo rispetto a 30 anni fa.

D. – Invece, il procedere separatamente sul discorso dell’emancipazione, in realtà ha creato profonde ferite, lacerazioni e sofferenze all’uomo e alla donna

R. – Possiamo dire che abbiamo capito, nel percorso a partire dal ’68, e poi negli anni Settanta e soprattutto negli anni Ottanta, che la reciprocità è la via della costruzione umana. Non è tanto l’alternativa uomo-donna o la differenza esasperata dell’uomo e della donna, facendo due gruppi separati e magari anche rivali. E, anche nel campo teologico, fin dal 1984, quando abbiamo iniziato – come donne teologhe italiane – a ritrovarci anche in modo molto informale, per dire cosa significa fare teologia in quanto donne, abbiamo parlato della teologia al femminile e non tanto di teologia femminista, proprio perché volevamo sottolineare questo tratto di consapevolezza che dietro di noi, che avevamo avuto accesso alle Facoltà teologiche dopo il Concilio Vaticano II, c’erano anche gli uomini che ci hanno aperto le porte e ci hanno incoraggiato negli studi. Infatti, nelle Facoltà teologiche questa presenza femminile era vista come una presenza particolarmente significativa, perché li stimolava a riflettere, a interrogarsi anche su aspetti della vita che magari non avevano considerato, fino ad allora. Quindi possiamo dire che c’è una strada, questa della reciprocità e anche di puntare più sulle risorse e sui semi della storia che non, magari, sulle sconfitte, sulle discriminazioni perché in questo modo abbiamo speranza: vedere che cosa la storia ci sta offrendo e che dobbiamo valorizzare fino in fondo per potere fare un passo in avanti.

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Wikileaks: la Cia spia attraverso telefonini e televisori

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La Cia, la Central Intelligence Agency, sarebbe in grado di controllare telefonini e televisori di aziende americane ed europee. La denuncia arriva dall’organizzazione internazionale Wikileaks che ha diffuso migliaia di documenti riservati su un programma di spionaggio dell’agenzia statunitense. Nell'occhio del ciclone anche gli iPhone della Apple come gli Android di Google e Microsoft e gli schermi della Samsung. Massimiliano Menichetti: 

Televisori che appaiono spenti ma che registrano ciò che si dice, telefonini che inviano dati senza che alcuno lo sappia. Secondo l’organizzazione internazionale Wikileaks, che ha diffuso oltre 8mila documenti riservati della Cia, questa è già una realtà grazie a 'Weeping Angel'. La Central Intelligence Agency avrebbe messo in piedi un vero e proprio arsenale informatico capace, tramite virus, di hackerare, ovvero di controllare, telefonini e televisori connessi ad internet. Per gli analisti indipendenti la Cia ha praticamente perso il controllo del suo cyber-arsenale, con il rischio che i virus spia possano finire ovunque e in mano a chiunque, comprese le cyber-mafie. La divisione segreta degli hacker americani cerca ora la talpa che ha passato i documenti a Wikileaks, l’organizzazione attiva dal 2006 e che per prima rivelò i sistemi top secret del governo. Sette anni fa il nome fu quello dell’analista di intelligence Chelsea Elizabeth Manning, tre anni dopo l’ex tecnico della CIA, Edward Joseph Snowden, rivelò i dettagli dei programmi di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico. Il fondatore di Wikileaks è intanto da 5 anni rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana di Londra e mente continuano gli sbambi di accuse sospetti di cyber spionaggio tra Mosca e Washington, il mondo si chiede come ci si possa difendere dall’occhio del "Grande Fratello" immaginato, nel 1949, da George Orwell.

Sulla nuova diffusione di documenti segreti e il cyber-spionaggio abbiamo raccolto il parere del prof. Antonio Teti, esperto di cyber-intelligence dell’Università di Chieti-Pescara: 

R. – Nulla di nuovo sotto il sole nel senso che l’NSA (National Security Agency) da tantissimi anni lavora su questi progetti. Mi riferisco al progetto TEMPEST elaborato negli anni che intercorrono tra il 1960 e il 1970 che esaminava le onde elettromagnetiche emesse proprio dai tubi catodici dei televisori e dei computer dell’epoca. Era possibile anche codificare dei dati da una fotocopiatrice, da una macchina da scrivere elettrica. Chiaramente nel momento in cui la diffusione o meglio la pervasività delle tecnologie informatiche ci consente, oggi, di essere costantemente online e di poter utilizzare questi strumenti a tutto tondo, è chiaro che le potenzialità di spionaggio cibernetico aumentano in maniera esponenziale.

D. – Per Wikileaks gli archivi della Cia sono violati e queste armi informatiche potrebbero finire in altre mani. Che rischi si corrono?

R. – Dobbiamo familiarizzare con il concetto che il cyber-spazio e quindi noi tutti siamo esposti a rischi continui e costanti di trafugamento di informazioni. E’ chiaro che il sistema sicuro per eccellenza è il sistema non collegato in rete e quindi isolato dal cyber-spazio. Questa è l’unica garanzia che possiamo avere da un punto di vista di protezione del dispositivo. Poi c’è un aspetto importante su cui bisogna fare particolare attenzione. Ormai molti degli smartphone che utilizziamo non possono essere aperti e quindi non è possibile staccare la batteria. Questo è un problema perché molto spesso molti cellulari nel momento in cui vengono spenti, in realtà, mantengono attive tantissime funzioni che possono essere gestite in completa autonomia dal dispositivo tecnologico. Questo può costituire un gravissimo pericolo nel caso in cui si voglia penetrare il dispositivo.

D. - Questo vale anche per i televisori di ultima generazione che sono collegati alla presa elettrica…

R. - Non sono spenti, sono disattivati. In realtà sono ancora accesi e quel che è peggio è che possono essere utilizzati in remoto, quindi attraverso la rete da alcuni che ne assumono il controllo. Un altro problema rilevante è quello della verifica dei software installati all’interno, ad esempio, degli smartphone o dei televisori: il produttore non comunica mai esattamente quali e quanti sono i software installati sui dispositivi. Quindi noi possiamo acquistare, senza renderci minimamente conto che sul dispositivo sono installati alcuni programmi che potrebbero essere utilizzati per spionaggio cibernetico.

D. – Il singolo utente come si deve comportare?

R. – Il singolo utente non ha grandi alternative. Dobbiamo e possiamo utilizzare dispositivi tecnologici ma con la consapevolezza che ogni immissione dati che facciamo all’interno di questi dispositivi può essere oggetto di un attacco informatico finalizzato al trafugamento dei dati.

D. – La chiave è consapevolezza e protezione?

R. - Consapevolezza, protezione, che non può che passare attraverso un percorso formativo. L’utente deve essere consapevole che i dispositivi tecnologici che tanto amiamo e utilizziamo quotidianamente possono rappresentare un grave pericolo. L’utente deve essere consapevole che sta affidando a queste tecnologie informatiche i propri segreti, la propria vita.

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Cina: Nord Corea sospenda test nucleari, Usa fermi esercitazioni

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La Nord Corea “sospenda le proprie attività nucleari e missilistiche” in cambio di una “battuta d'arresto” delle esercitazioni militari di Stati Uniti e Sud Corea. È la proposta della Cina, che così interviene sulla crisi nella penisola coreana, a pochi giorni dall’ennesimo lancio da parte di Pyongyang di quattro missili nelle acque al largo delle coste del Giappone. A parlare di mediazione di Pechino è stato il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che ha paragonato Nord Corea e alleanza Washington - Seul a “due treni che accelerano l'uno contro l'altro”. Giada Aquilino ha intervistato Rosella Ideo, studiosa di Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale: 

R. – La Cina si inserisce nel grande gioco geopolitico asiatico - in effetti lo ha fatto già da anni - con un tempismo che rivela tra l’altro la sua preoccupazione che la situazione degeneri a breve. E direi che la metafora usata dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi è molto indicativa. Ci sono, ha detto, due treni lanciati in una collisione mortale che vanno assolutamente fermati, perché non conviene né agli uni né agli altri. E i due treni sono, da una parte, la Corea del Nord e, dall’altra, gli Stati Uniti e la Corea del Sud. In questo momento ci sono le annuali esercitazioni militari congiunte fra Stati Uniti e Corea del Sud che - va specificato - sono imponenti e che per la Corea del Nord hanno sempre rappresentato un enorme problema. Per cui tutte le volte che ci sono state, si sono avute sempre delle reazioni sia verbali sia ‘fattuali’, con lancio di missili, perché c’è una grossa paura di un’invasione.

D. – Ci sono dunque ragioni strategiche dietro queste prese di posizione?

R. – La Cina risponde al suo interesse nazionale. E’ assolutamente contraria a quelle che chiama “provocazioni” degli Stati Uniti e della Corea del Sud, che stanno montando, letteralmente, in Corea del Sud lo scudo antimissile “Thaad”. Ed è preoccupatissima perché, secondo la Cina, l’“alibi” della Corea del Nord consente di posizionare questo mezzo - che gli americani chiamano sempre “difensivo” - in Corea del Sud e quindi alle porte della Cina stessa.

D. – Oltre al via al dispiegamento di un sistema antimissili in Sud Corea ci sarebbe sul tavolo di Trump anche l’opzione estrema di raid aerei preventivi in territorio nordcoreano, per arginare il pericolo nucleare. Quanto è realistica?

R. – Si spera che questa opzione venga scartata. La Corea del Nord ha un reticolo di gallerie sotterranee che è difficilissimo intercettare. Se gli Stati Uniti, con la Corea del Sud, colpissero qualsiasi punto della Corea del Nord, noi ci potremmo aspettare effettivamente uno scoppio di una seconda guerra di Corea. Perché, ricordiamo, che nel ’50 - ’53 è scoppiata la guerra di Corea, che ha portato a lutti immensi e a distruzioni immense.

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Perego, migranti: gravissima la decisione ungherese di detenerli

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Una legge inaccettabile, che viola palesemente la convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sono le critiche, sollevate da istituzioni europee e organizzazioni umanitarie, alla legge approvata in Ungheria e che riguarda la messa in stato di detenzione dei richiedenti asilo. Francesca Sabatinelli 

L’Ungheria sta violando gli obblighi stabiliti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: la denuncia arriva dal commissario per i diritti umani presso il Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, allarmato per la decisione del parlamento di Budapest di approvare una legge che prevede la detenzione per i richiedenti asilo fino alla decisione sul loro destino e, quindi, la loro chiusura in campi di container al confine con la Serbia e  la Croazia, circondati da recinzioni di filo spinato. In questo modo, spiega Muiznieks, si rischia di esacerbare la già problematica situazione dei richiedenti asilo nel Paese. La legge riguarda anche famiglie con bambini e minori non accompagnati a partire dai 14 anni. La detenzione – prosegue il commissario – deve essere l’ultima misura a cui si ricorre in questi casi, soprattutto per quanto riguarda i minori. Mettere i profughi e i migranti in container, per Amnesty International, non è politica sui profughi, è evitare di averne una. L’organizzazione definisce la legge inaccettabile, una misura illegale e profondamente inumana che non potrà non avere conseguenze. Mons.Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana:

"La scelta e la decisione dell’Ungheria in questa direzione è gravissima. Dovrebbe portare, proprio per la gravità del fatto, a mettere in discussione il fatto che l’Ungheria possa rimanere nel contesto europeo alla luce di questa decisione che non tutela un diritto fondamentale all’interno dell’Europa stessa. Quindi è un fatto che dovrebbe essere preso in esame dalla Commissione europea in relazione proprio a questo, oltre ad essere un fatto grave, perché in un Paese dove sono state accolte meno di 600 domande di asilo, essere incapaci di gestinre un numero così ridotto, significa non avere alcuna intenzione di tutelare un diritto fondamentale. È un fatto grave che speriamo veda subito una decisione da parte dell’Europa di infrazione grave che possa portare anche a mettere in discussione il fatto che un Paese che rifiuta un diritto fondamentale come il diritto d’asilo possa far parte dei Paesi europei".

Dal Consiglio d’Europa è anche arrivato un richiamo all’Italia, contenuto in un rapporto del rappresentante speciale del segretario generale per le migrazioni e i rifugiati, Tomas Bocek, nel quale si chiede alla penisola di riformare “le procedure di richiesta d’asilo in modo d’accelerare il processo”. Ancora mons. Perego:

R. - L’indicazione europea va nella direzione, già condivisa anche nel contesto italiano, di un unico sistema di accoglienza diffuso sul territorio, che preveda anche dallo stesso punto di vista un unico sistema di accoglienza nel contesto europeo in tutti i Paesi. Un sistema diffuso che abbia le stesse garanzie e le stesse modalità di accoglienza e al tempo stesso di rispetto e tutela dei richiedenti asilo a seconda delle loro caratteristiche, quindi con un’attenzione particolare anche alla fragilità e ai minori non accompagnati. Credo che l’indicazione trovi un’Italia in questo momento ancora per l’80 percento organizzata su Cas, quindi su 'Centri di accoglienza straordinaria', ma che insieme all’Anci, al terzo settore e alla realtà ecclesiale ha fatto comunque la scelta di un’accoglienza diffusa. Quindi l’indicazione europea non fa che rafforzare un percorso che l’Italia ha già scelto.

D. - Uno dei punti importanti del rapporto del Consiglio d’Europa è sui minori non accompagnati. L’Italia, è il punto delicato, non protegge i minori nonostante la nuova legge sia un passo avanti molto buono. Il problema è che questi minori non accompagnati finora non hanno goduto di un buon sistema di custodia legale e spesso hanno dovuto trascorrere dei periodi troppo lunghi negli hot spot …

R. – Effettivamente la situazione attuale, richiamata anche dall’Europa, per quanto riguarda i minori non accompagnati in Italia è di mancanza, per la maggior parte, di una tutela reale. Abbiamo sostanzialmente ricostruito gli orfanotrofi per accogliere i minori non accompagnati e tante volte strutture senza neanche le figure adeguate per l’accompagnamento e la tutela dei minori. Abbiamo lasciato e stiamo lasciando per troppo tempo in strutture provvisorie e straordinarie i minori non accompagnati; passa troppo tempo prima che si dia un tutore, che in realtà invece dovrebbe essere previsto entro 48 ore; troppe tutele sono affidate ad una sola persona istituzionale senza la capacità di seguirle, basti pensare che a Palermo 850 minori sono affidati al sindaco … La nuova legge va in questa direzione di tutelare i minori, prima di tutto garantendo da subito un tutore, una figura adulta che affianchi, accompagni le persone minorenni che arrivano nel nostro Paese. In secondo luogo prevede un’accoglienza in strutture famigliari e case famiglie e in terzo luogo prevede la formazione di tutto quel mondo dell’associazionismo famigliare, già previsto dalla legge in Italia, all’accoglienza non di bambini ma di adolescenti, visto che il 90 percento delle persone che sbarcano ha un’età compresa fra i 15 e i 17 anni e quindi occorre preparare ad un’accoglienza in questo senso. 

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Filippine: vescovi contro la reintroduzione della pena di morte

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Un ultimo appello ai legislatori affinché si oppongano alla reintroduzione della pena di morte per reati legati alla droga, prossima all’approvazione, è stato lanciato dalla Conferenza episcopale delle Filippine. Il parlamento, infatti, intende ratificare in queste ore il disegno di legge, nella sua terza e finale lettura, che prevede la reintroduzione della pena di morte nell’arcipelago asiatico. Nell’appello i rappresentanti della Chiesa – rende noto l’Osservatore Romano - hanno esortato i parlamentari a esprimere il proprio parere in una votazione nominale. È stato in particolare monsignor Broderick S. Pabillo, vescovo ausiliare di Manila, a criticare infatti la scelta dell’assemblea legislativa di procedere con una votazione a voce ma anonima. “La camera bassa — ha dichiarato monsignor Pabillo — ha scelto la morte e non la vita. Hanno anche avuto paura di essere identificati. Si sono rifiutati di votare in maniera nominale”.

Il card. Tagle: la vita è un dono di Dio
Mons. Ramon C. Argüelles, arcivescovo di Lipa, ha sottolineato quanto sia stato paradossale che la misura sia stata approvata, in uno dei suoi passaggi parlamentari, proprio il mercoledì delle ceneri, “il primo giorno di un tempo di conversione dalle malvagità. I legislatori — ha detto — scelgono di andare contro la parola di Dio. Scelgono la morte in nome del popolo”. Rodolfo Diamante, segretario esecutivo della commissione episcopale per l’assistenza pastorale ai carcerati, ha affermato che il passaggio del disegno di legge nella seconda lettura era purtroppo in gran parte previsto. Ciononostante, si è augurato che le coscienze dei legislatori, soprattutto dei cristiani, si ravvedano, magari ispirati proprio dal periodo quaresimale, che “prepara alla vita e non alla morte”. In precedenza, anche il cardinale Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila, aveva esortato i parlamentari a respingere la pena capitale. Il porporato ha voluto ricordare ancora una volta che la vita umana è un dono di Dio, in quanto ogni persona è creata a sua immagine e che ogni essere umano è salvato da Gesù Cristo. “Al cospetto di Dio, la sorgente della vita, noi siamo umili. Questo è il motivo — ha avvertito il cardinale — per cui un’etica della vita, una cultura della vita, non è coerente con l’aborto, l’eutanasia, il traffico di esseri umani, le mutilazioni, la violenza contro persone innocenti e vulnerabili”, oltre che con la pena di morte.

La Chiesa non fa politica ma alza la voce quando si violano i diritti umani
Secondo padre Jerome Secillano, portavoce della Conferenza episcopale, «la Chiesa non può concordare sulla direzione presa dal governo per affrontare alcuni dei problemi più critici che affliggono il nostro paese”. La Chiesa — ha aggiunto — non fa politica, essa in passato ha alzato la voce “anche contro gli abusi commessi durante l’amministrazione Aquino e da altri presidenti in passato. La Chiesa nelle Filippine non ha nulla di personale contro il presidente ma è semplicemente critica su questioni relative ai diritti umani, alla giustizia, al rispetto della vita, allo stato di diritto, che ritiene punti di estrema importanza. La Chiesa ha a cuore le questioni che riguardano il benessere della gente e il bene comune della nazione». Nella lettera pastorale della Conferenza episcopale, dal titolo: “Il Signore non gode della morte del malvagio», diffusa e letta in tutte le chiese del paese lo scorso febbraio, i presuli hanno deplorato il «regno del terrore» che si è di fatto instaurato a seguito delle durissime operazioni repressive e preventive contro il narcotraffico. “Penso che la Chiesa e il governo — ha detto a Fides James Anthony Perez, presidente dell’associazione cattolica “Filipinos for Life” — si confrontano sulla strada più adatta a raggiungere il medesimo obiettivo, la giustizia e la pace sociale. Tuttavia le autorità civili intendono raggiungerlo con modalità che per la Chiesa sono inaccettabili». Tra le questioni cruciali che dividono istituzioni e Chiesa vi sono, come detto, la cruenta campagna messa in piedi per contrastare lo spaccio di sostanze stupefacenti, che ha provocato una lunga scia di esecuzioni extragiudiziali; il ripristino della pena di morte; l’abbassamento a nove anni di età per l’imputabilità penale. “La Chiesa — ha spiegato ancora Perez — ricorda al popolo che prosperità e giustizia si ottengono prima di tutto attraverso il riconoscimento della sacralità della vita umana, non tramite la sua negazione”. 

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Chiesa indonesiana: gravi rischi da aumento intolleranza religiosa

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“Se si lasciano proliferare questi atteggiamenti velenosi, si finirà col distruggere l’unità e l’integrità del popolo indonesiano”. È quanto afferma padre Paulus Rusbani Setyawan, responsabile della Commissione per i laici della diocesi di Bandung, capoluogo della provincia di Giava occidentale, commentando gli allarmanti dati contenuti nell’ultimo rapporto sulla libertà religiosa appena pubblicato dal Wahid Institute, centro studi fondato a Jakarta nel 2004 e intitolato all’ex presidente indonesiano Abdurrahman Wahid, noto leader musulmano. L’istituto, animato da ricercatori musulmani, dal 2008 monitora la libertà religiosa nel paese.

Minoranze sempre più colpite
Nel corso del 2016, riferisce il rapporto, si sono registrati 204 episodi e 313 atti di abuso sulle comunità religiose, soprattutto sulle minoranze, con un incremento di circa il 7 per cento rispetto all’anno precedente, quando il numero di violazioni segnalate fu di 190 episodi e 249 atti di violenza. “E se si considerano gli episodi già censiti nei primi mesi del 2017, in percentuale le violazioni sono in aumento di un ulteriore 7 per cento”, ha dichiarato Alamsyah M Jafar, uno dei ricercatori del Wahid Institute. Quanto alla distribuzione geografica delle violazioni, il maggior numero di episodi (46) si è verificato nella provincia di Giava occidentale, seguita da quella di Aceh, a Sumatra (36 episodi), e dall’area metropolitana di Jakarta (23 episodi).

Intolleranza frutto anche di insegnamenti da parte di leader ed educatori
Il rapporto ha trovato una certa eco ed evidenza anche sulla stampa cristiana e nelle comunità cattoliche locali. “Alcuni atteggiamenti intolleranti, che poi contagiano la società con il virus dell’intolleranza e della violenza — ha dichiarato padre Setyawan all’agenzia Fides — sono il risultato di insegnamenti offerti da alcuni leader religiosi o politici che parlano di presunta superiorità di una data comunità su un’altra”. Non solo, «è un fatto molto triste e grave che persino educatori in alcune scuole pubbliche, intenzionalmente o no, alimentino atteggiamenti di intolleranza e discriminazione nella società indonesiana”. Al contrario, afferma, «il vero volto dell’Indonesia è quello di una pacifica convivenza, dell’inclusività e della tolleranza”. 

 

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Bangladesh: no dei vescovi a legge sui matrimoni precoci

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Netta contrarietà è stata espressa da rappresentanti della Chiesa cattolica nei confronti della legge appena approvata in Bangladesh che consente, e nei fatti addirittura alimenta, il fenomeno già molto diffuso delle spose bambine. Un provvedimento che ha suscitato forti proteste e condanne da parte delle organizzazioni per i diritti umani, cui si è associata immediatamente la commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale. Per il suo presidente, mons. Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi, il parlamento «ha fatto un serio sbaglio ad approvare il “Child Marriage Restraint Bill”.

Introdotte delle “circostanze speciali” per matrimoni precoci

Il riferimento del presule è alla contestata norma che consente i matrimoni delle donne minori in alcuni casi specifici, per esempio le “gravidanze accidentali o illegali”, in modo, così viene detto, “da salvare l’onore della ragazza». Al contrario il presule – riferisce l’Osservatore Romano - si aspettava “che il governo abolisse del tutto i matrimoni minorili in Bangladesh. Ora invece, con la clausola delle 'circostanze speciali', il numero delle unioni tra bambini aumenterà”. La norma generale stabilisce che l’età legale per contrarre matrimonio è di 21 anni per i maschi e di 18 per le femmine. Ma sono state appunto introdotte delle 'circostanze speciali'. Una clausola, rilevano le organizzazioni per i diritti umani, che in realtà legalizza a tutti gli effetti le nozze celebrate per riparare gravidanze frutto di violenza sessuale, molto diffuse nel paese. Un’opinione condivisa dal vescovo di Rajshahi, per il quale «ora molti tutori potranno organizzare matrimoni tra minori. E la polizia e gli attivisti non potranno fare più nulla per impedirli”.

In Bangladesh il 52 per cento delle spose ha meno di 18 anni

Stando ai dati ufficiali, il Bangladesh è il paese asiatico con il tasso più elevato di spose bambine. Il 52 per cento delle spose ha meno di 18 anni e il 18 per cento meno di 15 anni. Povertà e cultura tradizionale sono i principali fattori che spingono le famiglie a organizzare le nozze per le ragazze ancora in tenera età. Il fenomeno è trasversale in tutte le comunità religiose, ad eccezione di quella cattolica che non sostiene i matrimoni precoci. “Noi in quanto Chiesa cattolica — ha dichiarato all’agenzia AsiaNews monsignor Rozario — non ci atterremo alla nuova legge ma continueremo a considerare i limiti dei 18 anni per le donne e 21 per gli uomini”. Secondo Ayesha Khanom, presidente dell’organizzazione femminile Bangladesh Mahila Parishad, la nuova legge “è una vera vergogna e una sventura per tutte noi”. E Kazi Reazul Hoque, presidente della Commissione nazionale per i diritti umani, ha dichiarato che "la legge non aiuterà a frenare i matrimoni tra bambini”. 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 67

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.