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Sommario del 18/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: la malattia di Huntington non sia “mai più nascosta”

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Tutti si impegnino perché la malattia di Huntington non venga “mai più nascosta”: è il forte monito lanciato da Papa Francesco che stamani ha ricevuto in udienza, in Aula Paolo VI, un gruppo di malati con i loro familiari, le associazioni che se ne prendono cura, i medici e il personale sanitario, provenienti da diversi Paesi del mondo, in tutto 1.700 persone. “Siete preziosi” agli occhi di Dio e della Chiesa, ha ricordato, nel discorso, il Papa agli oltre 150 malati presenti. Il servizio di Debora Donnini

L’abbraccio di Papa Francesco con i malati di Corea di Huntington tocca il cuore. Li stringe a sé, anziani, bambini e giovani, li bacia, si china sulle loro sofferenze, e loro spesso si commuovono. Sono persone che vivono un calvario fatto di movimenti che diventano incontrollabili, di problemi a livello cognitivo e poi psichiatrico. Tutto questo è la malattia di Huntington, neurodegenerativa ed ereditaria. Per ora incurabile. Tassi molti alti si registrano in America Latina, dove spesso nei villaggi i malati vengono tenuti “nascosti” ed emarginati per i loro problemi.

Tutti si impegnino perché la malattia di Huntington non sia "mai più nascosta"
Drammi ripercorsi nelle parole e nel filmato proiettato in Aula Paolo VI, che hanno preceduto il discorso del Papa. Drammi a cui si aggiungono l’isolamento e la discriminazione sociale e che invece Papa Francesco ha voluto mettere in evidenza con quest’udienza e che chiede non vengano più nascosti:

“Per troppo tempo le paure e le difficoltà che hanno caratterizzato la vita delle persone affette da Huntington hanno creato intorno a loro fraintendimenti, barriere, vere e proprie emarginazioni. In molti casi gli ammalati e loro famiglie hanno vissuto il dramma della vergogna, dell’isolamento, dell’abbandono. Oggi però siamo qui perché vogliamo dire a noi stessi e a tutto il mondo: ‘HIDDEN NO MORE’, ‘OCULTA NUNCA MAS’, ‘MAI PIU’ NASCOSTA’! Non si tratta semplicemente di uno slogan, bensì di un impegno che ci deve vedere tutti protagonisti”.

Bene la ricerca scientifica ma nessuna finalità per quanto nobile giustifica la distruzione di embrioni umani
Francesco incoraggia, poi, scienziati e genetisti presenti a proseguire il loro impegno per trovare una terapia ricordando però che niente giustifica la distruzione di embrioni umani:

“Vi incoraggio a perseguirlo sempre con mezzi che non contribuiscono ad alimentare quella 'cultura dello scarto' che talora si insinua anche nel mondo della ricerca scientifica. Alcuni filoni di ricerca, infatti, utilizzano embrioni umani causando inevitabilmente la loro distruzione. Ma sappiamo che nessuna finalità, anche in sé stessa nobile, come la previsione di una utilità per la scienza, per altri esseri umani o per la società, può giustificare la distruzione di embrioni umani”.

L'incoraggiamento alle famiglie nel loro cammino duro e in salita
Alle famiglie, le prime a farsi compagne di viaggio di questi malati nel loro duro cammino, chiede di non cedere alla tentazione della vergogna perché solo la famiglia può garantire una rete di solidarietà.

A medici e volontari: siete le braccia che Dio usa per seminare speranza
Francesco ricorda quindi il servizio prezioso di medici, altri operatori sanitari e volontari, tra cui quelli dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, che con la ricerca e assistenza esprime il contributo della Santa Sede. Gli chiede di essere punto di riferimento per malati e familiari in “un contesto socio-sanitario che spesso non è a misura della dignità della persona umana”:

“Alla malattia spesso si aggiungono la povertà, le separazioni forzate e un generale senso di smarrimento e di sfiducia. Perciò le associazioni e le agenzie nazionali e internazionali sono vitali. Siete come braccia che Dio usa per seminare speranza. Siete voce che queste persone hanno per rivendicare i loro diritti!”.

I malati si sentivano amati da Gesù: nessuno si senta mai solo
E’ Gesù, sottolinea il Papa, il primo ad incontrare gli ammalati e abbattere i muri dell’emarginazione. Gesù, infatti, ha insegnato che la persona umana è sempre dotata di dignità che non può essere cancellata nemmeno dalla malattia. E ai malati Papa Francesco esprime a sua volta l’amore:

“Gli ammalati che incontravano Gesù venivano rigenerati anzitutto da questa consapevolezza. Si sentivano ascoltati, rispettati, amati. Nessuno di voi si senta mai solo, nessuno si senta un peso, nessuno senta il bisogno di fuggire. Voi siete preziosi agli occhi di Dio, siete preziosi agli occhi della Chiesa!”.

"Anche attraverso la sofferenza  - conclude - passa una strada feconda di bene che possiamo percorrere insieme".

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Il Papa agli ambasciatori: cooperare per la pace e per il dialogo

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L’importanza della diplomazia e del dialogo per aiutare il mondo a risolvere le attuali dolorose questioni. Questo il senso del discorso, che Papa Francesco ha rivolto ai nuovi ambasciatori presso la Santa Sede di Kazakhstan, Mauritania, Nepal, Niger, Sudan, Trinidad e Tobago, ricevuti stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere Credenziali. Il servizio di Giancarlo La Vella

Ai nuovi diplomatici, Papa Francesco ricorda l’attuale scenario internazionale, complesso, fosco, nel quale è necessario imboccare un percorso di pace che diminuisca le tensioni:

“Tra i fattori che acuiscono i problemi vi sono un’economia e una finanza che, invece di servire l’essere umano concreto, si organizzano principalmente per servire sé stesse e sottrarsi al controllo dei pubblici poteri, i quali mantengono la responsabilità del bene comune, ma sono carenti delle leve necessarie a moderare gli esagerati appetiti di pochi”.

Il Papa esprime poi la sua preoccupazione di fronte al sempre più frequente ricorso alla forza, non come ultima ratio, ma come mezzo disponibile a essere usato senza valutarne le conseguenze. La soluzione per risolvere le tante crisi risiede, per il Pontefice, nel tentativo di creare un mondo più giusto ed equo:

“A queste degradazioni e ai rischi che esse fanno correre alla pace nel mondo, si risponde costruendo un’economia e una finanza responsabili di fronte alle sorti dell’essere umano e delle comunità in cui si trova inserito. L’uomo e non il denaro torni ad essere il fine dell’economia!”

Un altro fattore che aggrava i conflitti – continua Francesco – è il fondamentalismo, l’abuso della religione per giustificare la sete di potere, la strumentalizzazione del santo nome di Dio per fare avanzare con ogni mezzo il proprio disegno di egemonia. Grazie al dialogo e alla diplomazia – dice ancora – è indispensabile isolare chiunque cerchi di trasformare un’appartenenza e un’identità religiosa in motivo di odio per tutti gli altri.

“A chi deturpa così l’immagine di Dio si opponga un impegno corale, per mostrare che si onora il suo Nome, salvando vite e non uccidendole, portando riconciliazione e pace e non divisione e guerra, con la misericordia e la compassione e non con l’indifferenza e la brutalità”.

Se ci si muoverà con decisione su questa strada – conclude il Papa – la causa della pace e della giustizia farà concreti passi avanti. Infine il saluto del Santo Padre, attraverso i diplomatici presenti, “ai Pastori e ai fedeli delle comunità cattoliche presenti nei rispettivi Paesi. A loro l'incoraggiamento del Papa a continuare la loro testimonianza di fede e a offrire il loro generoso contributo al bene comune”.

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Papa: l’amore di Gesù è senza misura, non seguire “amori” mondani

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L’amore di Gesù è senza misura, non come gli amori mondani che ricercano potere e vanità. Così Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che la missione cristiana è “dare gioia alla gente” ed ha ribadito che l’amore di Dio è il "nocciolo" della vita di un cristiano. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”. Papa Francesco ha sviluppato l’omelia muovendo dall’affermazione di Gesù che sottolinea come il suo amore sia infinito. Il Signore, ha poi osservato, ci chiede di rimanere nel Suo amore “perché è l’amore del Padre” e ci invita a osservare i Suoi Comandamenti. Certo, ha detto il Papa, i Dieci Comandamenti sono la base, il fondamento ma bisogna seguire “tutte le cose che Gesù ci ha insegnato, questi comandamenti della vita quotidiana”, che rappresentano “un modo di vivere cristiano”.

Ci sono “amori” che ci allontanano dal vero amore di Gesù
E’ “molto largo” l’elenco dei comandamenti di Gesù, ha ripreso il Papa, “ma il nocciolo è uno: l’amore del Padre a Lui e l’amore di Lui a noi”:

“Ci sono altri amori. Anche il mondo ci propone altri amori: l’amore al denaro per esempio, l’amore alla vanità, pavoneggiarsi, l’amore all’orgoglio, l’amore al potere, anche facendo tante cose ingiuste per avere più potere … Sono altri amori, questi non sono di Gesù e non sono del Padre. Lui ci chiede di rimanere nell’amore suo che è l’amore del Padre. Pensiamo anche a questi altri amori che ci allontanano dall’amore di Gesù. E anche, ci sono altre misure di amare: amare a metà, questo non è amare. Una cosa è volere bene e un’altra cosa è amare”.

L’amore di Dio è senza misura, non è tiepido né interessato
“Amare – ha sottolineato – è più di voler bene”. Qual è, dunque, “la misura dell’amore”, si domanda Francesco: “La misura dell’amore è amare senza misura”:

“E così, facendo questi comandamenti che Gesù ci ha dato, rimarremo nell’amore di Gesù che è l’amore del Padre, è lo stesso. Senza misura. Senza questo amore tiepido o interessato. ‘Ma perché, Signore, tu ci ricordi queste cose?’, possiamo dirgli. ‘Perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’. Se l’amore del Padre viene a Gesù, Gesù ci insegna la strada dell’amore: il cuore aperto, amare senza misura, lasciando da parte altri amori”.

La missione del cristiano è obbedire a Dio e donare gioia alla gente
“Il grande amore a Lui – ha soggiunto il Papa – è rimanere in questo amore e c’è la gioia”; “l’amore e la gioia sono un dono”. Doni che dobbiamo chiedere al Signore:

“Poco tempo fa un sacerdote è stato nominato vescovo. È andato dal suo papà, dal suo anziano papà a dargli la notizia. Quest’uomo anziano, già in pensione, uomo umile, un operaio tutta la vita, non era andato all’università, ma aveva la saggezza della vita. Ha consigliato al figlio due cose soltanto: ‘Obbedisci e dà gioia alla gente’. Quest’uomo aveva capito questo: obbedisci all’amore del Padre, senza altri amori, obbedisci a questo dono e poi, dà gioia alla gente. E noi, cristiani, laici, sacerdoti, consacrati, vescovi, dobbiamo dare gioia alla gente. Ma perché? Per questo, per la via dell’amore, senza alcun interesse, soltanto per la via dell’amore. La nostra missione cristiana è dare gioia alla gente”.

“Che il Signore custodisca, come abbiamo chiesto nella preghiera – ha concluso il Papa – custodisca questo dono del rimanere nell’amore di Gesù per poter dare gioia alla gente”.

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Pubblicato il calendario delle celebrazioni del Papa a giugno

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E’ stato pubblicato stamani, dalla Sala Stampa vaticana, il Calendario delle celebrazioni presiedute dal Papa nel mese di giugno. Domenica 4, il Papa celebrerà la Messa in San Pietro nella Solennità di Pentecoste. Domenica 18, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: Santa Messa, Processione a Santa Maria Maggiore e Benedizione Eucaristica. Giovedì 29, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, Francesco presiederà la Messa con la benedizione dei Palli per i nuovi Arcivescovi Metropoliti.

Papa Francesco - ha riferito in una dichiarazione orale il direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke - "ha deciso di spostare la celebrazione liturgica del Corpus Domini, che si celebra giovedì 15 giugno, a domenica 18 giugno, per favorire così una maggiore partecipazione del Popolo di Dio, dei sacerdoti e dei fedeli della Chiesa in Roma. C’è anche un secondo motivo: giovedì a Roma è un giorno feriale e così si creano meno disagi in città".

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Card. Bagnasco: la Chiesa crede profondamente nell'Europa

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La Chiesa in Europa crede profondamente al continente europeo. Così ai giornalisti il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, presidente della Cei e del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (Ccee). Oggi la nuova presidenza della Ccee, dopo tre giorni di lavori, ha incontrato il Papa ed ha condiviso con la stampa, presso la nostra emittente, le sfide di oggi e dei prossimi anni. C'era per noi Massimiliano Menichetti: 

L’amore per l’Europa e la missione pastorale sono stati i cardini dell’intervento del cardinale Angelo Bagnasco, il quale ha ribadito più volte la “fisionomia unitaria” del Vecchio Continente “che trova nella fede cristiana il suo punto di sintesi”:

Le Chiese in Europa amano profondamente il continente e guardano al cammino della unità dell’Unione europea con attenzione di pastori, certo non di politici, pastori che sono preoccupati e che devono promuovere il bene integrale delle persone e dei singoli popoli”.

I pastori - ha detto il presidente della  Ccee - devono essere in questo contesto “lievito” e “affermare quelle verità fondamentali che risplendono sul Volto di Cristo e che sono alla base di un umanesimo autentico che trova in Europa la sua culla”:

“Crediamo profondamente nel continente, lo apprezziamo, è la nostra casa e insieme a tutte le Chiese vogliamo con passione servirlo”.

Il porporato ha condiviso l’incontro di questa mattina con il Papa, il quale ha affrontato il tema della secolarizzazione che “spinge ad una rinnovata evangelizzazione”. Si è parlato del ruolo dei nonni ponti per le giovani generazioni, quindi di “futuro e storia” in un momento di preoccupante calo delle nascite, il cosiddetto “inverno demografico”. Con il Papa è stato affrontato anche il tema della disoccupazione che colpisce l’Europa, in Italia, ha precisato il card. Bagnasco il “40 per cento di giovani è disoccupato”, dato che arriva al 60 per cento al Sud. Centrale anche il tema dell’immigrazione, “il Papa - ha detto – ha espresso gratitudine a tutte le Chiese che rispondono a questa emergenza planetaria”, poi è affrontata e condannata “la terribile piaga del traffico delle persone”.  

Il card. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, vice presidente della Ccee ha evidenziato, in tempi di Brexit “da inglese”, che i vescovi “sono per tutta l’Europa”. Si è in seguito soffermato sul recente simposio internazionale di giovani a Bercellona, in Spagna, ribadendone l’importanza in vista del Sinodo dell’anno prossimo su giovani e vocazioni.

La forza della fede che rinnova tutte le cose è stata ripresa anche dall’altro vicepresidente. Mons. Stanislaw Gadecki, che ha guardato anche alle difficili situazioni che vive l’Europa centrale:  

“Tutti gli altri continenti più o meno sono in qualche senso collegati all’Europa e la sorte dell’Europa incide sulla sorte degli altri continenti. Come diceva Papa Benedetto, se l’Europa si convertirà si convertiranno anche gli altri continenti”.

Sollecitati dalle domande dei giornalisti la presidenza della Ccee è tornata sul tema immigrazione ribadendo che “i muri non sono delle Chiese ma degli Stati” e che il Santo Padre il 22 settembre prossimo incontrerà i direttori della pastorale dei migranti di ogni Paese d’Europa. 

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Centesimus Annus: dignità e bene comune al centro dell'economia

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Non osservatori ma protagonisti che diano risposte concrete perché l’economia e il mercato nell’epoca attuale di sconvolgimenti globali siano sempre più a servizio della dignità umana. E’ quanto si propongono i circa 300 partecipanti al convegno apertosi oggi a Roma e giunti da 18 Paesi del mondo rispondendo alle richieste di Papa Francesco fatte alla Fondazione Centesimus Annus l’anno scorso. Il coordinatore del comitato scientifico, il prof. Giovanni Marseguerra, intervistato da Gabriella Ceraso

“La nostra Fondazione fedelmente alla sua identità che, da un lato, è data dall’Enciclica Centesimus Annus che è l’Enciclica dell’impresa come comunità di persone e, dall’altro, l’insegnamento del Papa, cerca con i suoi convegni e nei vari chatter territoriali, sia in Italia sia all’estero, di proseguire affrontando le emergenze globali che in questo momento sconvolgono il mondo, vedendo però queste emergenze come momenti in cui si cerca di fare più integrazione, si cerca di introdurre un modello sociale in cui l’inclusione delle persone sia la norma. Noi abbiamo una società profondamente disintegrata, profondamente diseguale tra chi è dentro e chi è fuori. E quello che ci dice il Papa è di promuovere la partecipazione e la responsabilità. L’integrazione non è una cosa che viene da sola, viene se chi è dentro si prende la responsabilità di far partecipare chi è fuori”.

Partendo dall’orientamento della Dottrina sociale della Chiesa, tre sessioni di lavoro affronteranno altrettanti temi prioritari, vere "emergenze planetarie". Si incomincia dalle sfide poste dalla digitalizzazione al mondo del lavoro, non solo minaccia di disoccupazione ed esclusione, perché più dati, più servizi, più prodotti possono anche, dicono i convegnisti, "servire il bene comune" ed  essere "un’opportunità per imparare ed evolvere". Fondamentale in questo contesto, è l’educazione, spiega ancora Giovanni Marseguerra:

“La disoccupazione è un problema che colpisce la carne viva della nostra società, non è soltanto una questione di giovani o di anziani. E’ anche una questione di chi ha le competenze per riuscire a resistere a un cambiamento tecnologico sconvolgente e chi invece non le ha e viene espulso dal mondo del lavoro. Sotto questo profilo, cercare di dare una maggiore valorizzazione alla educazione, non solo alla formazione, durante tutta la vita lavorativa - perché ormai questo è quello che dobbiamo fare se vogliamo sperare di sopravvivere in un mondo che cambia così rapidamente - è sempre più cruciale e a latere ovviamente il ruolo della famiglia, come cruciale sempre in termini educativi, evidentemente”.

Ai convegnisti chiederemo nelle successive sessioni, spiega il presidente della Fondazione Domingo Sugranyes Bickel, anche proposte concrete per contrastare gli effetti di un’economia criminale, come il traffico degli esseri umani, e di contro per incentivare la solidarietà e la virtù civile. Interverranno in questo caso esponenti dell’Europol, del volontariato ed eminenti economisti. “Il tema è impegnativo e richiede coraggio e alleanze - spiega ancora il coordinatore del Comitato scientifico, il professor Giovanni Marseguerra - ma per dar seguito all’ideale di fraternità che tante volte il Papa ci raccomanda non abbiamo che questa via”:

“Assistiamo a contesti in cui l’uomo e la donna sono strumentalizzati e non ne viene valorizzata la dignità. Ognuno ha una sua dignità e credo che l’insegnamento da seguire con più attenzione della dottrina sociale è proprio questo della valorizzazione e della promozione della dignità umana in ogni circostanza”.

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Le udienze e nomine di Papa Francesco

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Le udienze e nomine di Papa Francesco: consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Mons. Auza: tecnologia deve educare alla solidarietà

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“Le innovazioni tecnologiche devono essere strumenti per educare le persone ad una vera solidarietà e per superare una ‘cultura dello scarto’ che pone il prodotto, e non le persone, al centro dei sistemi tecno-economici”: questo il monito lanciato da mons. Bernardito Auza, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, intervenuto ieri a New York ad un incontro sul tema dell’innovazione tecnologica.

Innovazione tecnologica contribuisca a uguaglianza ed inclusione sociale
Auspicando che “la crescita delle innovazioni scientifiche e tecnologiche contribuisca ad una maggiore uguaglianza ed inclusione sociale”, anche nell’ottica dell’implementazione degli Obiettivi per lo Sviluppo sostenibile, mons. Auza ha ribadito l’importanza, per tali strumenti, di essere accompagnati dalla “rivoluzione della tenerezza” spesso citata da Papa Francesco. “È grazie alla compassione ed alla tenerezza nei confronti dell’altro – ha spiegato il presule – che si avverte la gioia di poter condividere le innovazioni in favore dello sviluppo dei popoli e delle società”.

Tenerezza non è debolezza, ma forza trasformatrice
“La tenerezza – ha aggiunto – non è una dimostrazione di debolezza, ma è una forza trasformatrice” che non “lascia indietro nessuno”, secondo un atteggiamento di “solidarietà condivisa”. In questo senso, “la tenerezza diventa un modo per servire il bene comune”. Quindi, mons. Auza ha ricordato quanto la Santa Sede sia attenta al progresso tecnologico, un atteggiamento evidenziato anche dal fatto che “Papa Francesco ha decine di milioni di follower su Twitter ed ha il maggior numero di retweet”.

Un futuro all’insegna della condivisione
L’intervento dell’Osservatore permanente si è concluso con l’auspicio che “il futuro dell’umanità sia nelle mani di coloro che riconoscono l’altro come un ‘tu’ e se stessi come parte di un ‘noi’”, così da “condividere i successi e gli oneri reciproci”. (I.P.)

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Oggi in Primo Piano



S. Sudan. Pam: 1,8 milioni di persone in fuga, urgenti cibo e assistenza

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Sono 1,8 milioni le persone in fuga dal Sud Sudan a causa del conflitto, della siccità e della carestia e la metà di loro sono bambini o minori, entro la fine del 2017 il numero potrebbe aver superato i due milioni. Per assisterli occorre circa un miliardo e mezzo di dollari: è la richiesta lanciata ai paesi donatori dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e dal Programma alimentare mondiale. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Luna, funzionario del Pam: 

R. – C’è bisogno urgente di cibo e c’è bisogno di acquistarlo e di portarlo velocemente, perché ci sono molti rifugiati che si sono trasferiti nei Paesi vicini e che, se non ricevono assistenza, rischiano di soffrire la fame e terribili sofferenze, più grandi di quelle che già hanno subito. Tutto questo rischia anche di trasferirsi ai Paesi dove queste persone si sono rifugiate.

D. – Se non dovesse arrivare una risposta immediata al vostro appello, quali saranno le ricadute?

R. – Le ricadute sono immediate, purtroppo, proprio sui nostri beneficiari. Nel momento in cui dai nostri magazzini vengono a mancare delle derrate che dobbiamo distribuire, non abbiamo altra scelta che ridurre le razioni di cibo che normalmente distribuiamo e, in casi estremi, tagliarle, cosa che naturalmente non vogliamo fare. Quindi è necessario che i Paesi che ci aiutano – che sono tanti e che ringraziamo – restino molto sensibili su questo argomento. Perché la crisi del Sud Sudan si allarga purtroppo, ormai da tempo non riguarda più solo il conflitto interno, che è gravissimo e che crea enormi problemi, ma si sta allargando, in questo momento particolarmente a sei Paesi confinanti: l’Uganda, lo stesso Sudan, l’Etiopia, il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica centrafricana.

D. – Quella che viene chiamata la “food security” (sicurezza alimentare) in Sud Sudan da tempo sappiamo che purtroppo è estremamente compromessa. La situazione oggi esattamente qual è?

R. – Ci sono alcune contee del Sud Sudan dove la situazione è veramente drammatica, sono quattro in particolare. In quella situazione noi vediamo centinaia di migliaia di persone in gravissima crisi alimentare. Abbiamo dichiarato in queste zone la carestia – quella che in inglese si chiama ”famine” – che non è una dichiarazione che si fa a cuor leggero, perché devono ricorrere alcune caratteristiche della crisi per poter dire che c’è una vera e propria carestia. Lì, in quelle aree del Sud Sudan purtroppo c’è. Oltre a queste centinaia di migliaia di persone che già sono in questa situazione, circa un milione di persone potrebbero cadere, e sono molto vicine a farlo, nella stessa situazione di carestia. In Sud Sudan è difficile lavorare per tante ragioni. C’è la ragione del conflitto, che è in corso ormai da anni; c’è il problema dell’accessibilità in alcune aree, molto difficili da raggiungere in particolare durante la stagione piovosa perché quando cadono le piogge in Sud Sudan molte aree diventano inaccessibili. Quindi è anche molto importante che la gran parte del cibo che va distribuito sia portato nelle zone dove prima che arrivi la stagione delle piogge, altrimenti diventa impossibile.

D. – Il Pam - che sappiamo, purtroppo, aver perso recentemente tre operatori che hanno pagato con la vita questa situazione di grave violenza nel Paese - come sta operando in Sud Sudan?

R. - Noi abbiamo una presenza ovviamente a Juba, nella capitale, e poi in diverse città, più vicine alle aree dove interveniamo. È un grande sforzo soprattutto logistico. Lavoriamo in partnership anche con altre agenzie, in particolare con l’Unicef e con altre organizzazioni non governative, proprio per poter creare delle squadre che si muovano insieme, che raggiungano le aree più difficili da raggiungere e assistano chi ne ha bisogno. Nelle contee più colpite dalla carestia, la distribuzione di cibo viene effettuata ogni 30-60 giorni, dipende dalle caratteristiche della zona, in modo che i nostri beneficiari possano avere abbastanza per poter tirare avanti fino alla successiva distribuzione. Se vengono a mancare le risorse - e purtroppo le risorse anche per l’operazione in Sudan sono molto scarse - questo cibo che noi distribuiamo viene ridotto in quantità e, quindi, i nostri beneficiari hanno molte più difficoltà a resistere ed ecco che quindi si creano maggiori movimenti, migrazioni e i problemi diventano ancora molto più gravi.

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Unicef: allarme sul numero dei bambini migranti e rifugiati

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“Un bambino è un bambino - Proteggiamo i bambini in fuga da violenze, abusi e sfruttamento”: è il titolo del nuovo rapporto dell’Unicef. Il numero dei bambini migranti e rifugiati che si sono spostati da soli è quintuplicato dal 2010: tra il 2015 e il 2016, infatti, sono stati registrati 300 mila mila bambini non accompagnati e separati in circa 80 Paesi. Giorgio Saracino ne ha parlato con Paolo Rozera, direttore generale Unicef Italia: 

R. – Questo rapporto che abbiamo pubblicato oggi è molto interessante perché ci dà una dimensione mondiale del fenomeno dei migranti con un focus ovviamente sui bambini, di cui noi ci occupiamo. Il dato principale che emerge è che sono almeno 300 mila i bambini che sono in fuga, da soli, nel 2015 e nel 2016. È un numero che ci deve fare riflettere molto perché 300 mila bambini che hanno lasciato le loro case, i loro Paesi, da soli, non accompagnati, sono ragazzi che hanno sicuramente subito violenze e sfruttamento: spesso violenze sessuali. Quindi sono dei ragazzi a cui è stata tolta una bella fetta della loro adolescenza, e di fronte ai quali la nostra società si deve porre il problema di come recuperarli e di come farli tornare ad una vita normale e degna di essere vissuta.

D. - Il dato che poi sorprende è che dal 2010 il numero si sia quintuplicato …

R. - Finché gli adulti continueranno ad alimentare le guerre e la povertà, i minori continueranno a scappare, continueranno ad andarsene. C’è un altro dato interessante insieme a questo: tra il 2015 e il 2016, in totale sono 170 mila – di questi 300 mila – i bambini non accompagnati che hanno richiesto asilo. Il dato che mi preoccupa di più è che nel 2016 rispetto al 2015 sono diminuiti quasi della metà. Questo va letto anche in una mancanza di fiducia verso le istituzioni, e quindi minori che continuano a rimanere in una sorta di clandestinità, di limbo di invisibilità che li mette veramente a rischio di qualsiasi tipo di sfruttamento. Se gli adulti, se i governi, tutti insieme, non si pongono l’obiettivo di ridurre le cause che generano queste fughe, questo fenomeno non farà altro che crescere.

D. - Il problema è che a volte questi bambini adolescenti per raggiungere le loro famiglie sfuggono anche al controllo delle istituzioni e diventano in qualche modo irreperibili…

R. - Purtroppo è vero. Abbiamo fatto delle inchieste in Libia dove ci sono circa 36 centri di detenzione. Abbiamo parlato con le mamme – quando sono presenti – e con i minori e tutti ci confermano questo: il 92% di ragazzi hanno subito violenze durante il loro percorso. Per un minore viaggiare senza la protezione di un adulto vuol dire essere esposto a qualsiasi violenza possibile.

D. - A breve ci sarà il Summit del G7 in Italia. Che cosa chiede l’Unicef ai governi?

R. - Come Unicef chiediamo al G7 di prendere posizione rispetto ai sei punti su cui si concentra il nostro lavoro: i bambini vanno protetti dallo sfruttamento e dalla violenza; i bambini che fuggono dal loro Paese non possono essere detenuti – questo accade in Paesi non lontani, anche nella nostra Europa -; l’obiettivo di tenere insieme le famiglie; dare accesso sì ai servizi sanitari di base, ma anche all’istruzione, perché questa dà loro la possibilità di pensare ad un futuro possibile; infine promuovere delle misure per combattere la xenofobia la discriminazione. Il G7 è un’ottima occasione per portare queste tematiche alla ribalta.

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Legge Cyberbullismo. Sanavio: urgente alleanza scuola-famiglia

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Con un voto unanime dell’Aula, ieri la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la proposta di legge per il contrasto al cyberbullismo. Il testo fornisce una prima definizione legislativa del fenomeno, agisce solo sui minori di 18 anni e prevede misure di carattere esclusivamente preventivo ed educativo. Marco Guerra ne ha parlato con don Marco Sanavio, autore del libro ‘Generazioni digitali’ che indaga sulle sfide e i disagi sollevati dalla fruizione dei nuovi media: 

R. – Innanzitutto è opportuno che questo provvedimento entri in vigore prima del prossimo anno scolastico a tutela di tutti gli studenti. C’è una novità: quella di poter richiedere ai gestori di siti Internet la rimozione di contenuti entro 48 ore dalla loro diffusione, poi ci si può rivolgere anche al garante della privacy. Questa è una misura che assicura dei tempi accettabili perché non si diffonda troppo il contenuto lesivo. C’è anche una misura interessante che estende la tutela sopra i 14 anni e poi la misura che prevede l’istituzione di un docente anti bullismo per ciascuna scuola. Questo è un riferimento costante che permette un dialogo anche su questi termini.

D. – Sono saltate le sanzioni penali. Perché?

R. – Nei casi di gravi ingiurie, diffamazioni, minacce o quando vengono trattati illecitamente dei dati, fino a quando non c’è una querela - che cade poi nell’ambito penale - sono previste delle misure più leggere come degli ammonimenti da parte dei questori o altri percorsi che aiutano le persone a rendersi conto prima di essere denunciate del male che hanno fatto, perché spesso affidando questa azione a dispositivi digitali non ci si rende nemmeno conto di quanto nocivi si è stati nei confronti di altre persone.

D. - Nel suo libro “Generazioni digitali” lei parla della necessità di educare le coscienze. Perché?

R. - Perché non è sufficiente né la repressione né l’argine imposto dalla legge che è opportunissimo; è bene che ad oggi ci siano dei paletti, ma sappiamo che i ragazzi sono portati a infrangerli e troveranno sicuramente dei modi per aggirare la legge; pensiamo solamente a tutte le vessazioni che vengono perpetrate attraverso le applicazioni di messaggistica istantanea. Quindi come comportarci, se non aiutando questi ragazzi a maturare una coscienza al rispetto degli altri?

D. - Lei ha affrontato anche il tema dell’alleanza scuola-famiglia. C’è proprio la necessità di aiutare tutto il contesto nell’utilizzo dei nuovi strumenti digitali …

R. - Penso che sia una delle vie d’uscita principali da questo tipo di problemi, perché nel corso di un decennio di esperienza abbiamo riscontrato che quando c’è alleanza educativa - meglio ancora se entrano soggetti formativi come gli educatori parrocchiali, come i gruppi associativi -, questa garantisce una solidità del mondo degli adulti ed anche un’azione educativa più concorde, più efficace e non repressiva, ma vista nell’ambito della maggior salute e del maggior benessere della persona.

D. - La cronaca di questi giorni riferisce del fenomeno “Blue Whale” che ha portato al suicidio diversi giovani. C’è il rischio che i social possano creare dei comportamenti indotti?

R. - Assolutamente sì. I social possono essere estremamente lesivi e una testimonianza è nel fatto che la legge è dedicata a Carolina Picchio, morta suicida nel 2013, a 14 anni, dopo che erano state diffuse delle sue immagini in Rete. Quindi sono assolutamente convinto che l’educazione a un rispetto, ad un’intimità, ad una cura della propria identità, alla custodia della dimensione personale sia necessaria, e solo degli adulti solidi possono aiutare questi ragazzi a fare un percorso comune dove non c’è qualcuno che insegna e qualcuno che impara, ma c’è un percorso dove si assimilano dei valori. I valori anche in Rete sono fondamentali, a volte sono mutati. Per esempio per i ragazzi il valore del rispetto è uno dei più importanti, poi però vediamo che viene diluito quando c’è di mezzo un medium. Questo dispositivo elettronico a volte fa un po’ calare le remore etiche, per cui i ragazzi sono in grado di perpetrare delle azioni abbastanza fastidiose e dannose.

D. - Quindi da una parte si vede il web come un campo neutro dove si può fare quello che non è possibile altrove e invece dall’altro non c’è più un condizione netto tra la vita sui social e quella reale a scuola e nei centri di aggregazione …

R. - Il confine è abbastanza labile perché i ragazzi estendono le loro relazioni e la loro personalità anche all’ambiente digitale. Però quando si riducono le remore rispetto a questi avatar poi si riducono anche rispetto alle personalità digitali, quindi non pensa più di avere di fronte a sé una persona fisica, ma ha la percezione di fare del male ad un’entità elettronica. Però, dietro, purtroppo, ci sono delle vite.

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Venezuela, i vescovi: nel Paese barbarie e violenza

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“Un 'no' totale alle morti violente, frutto maligno del disprezzo della vita, dell’odio di Caino contro Abele e del rifiuto del comandamento divino ‘Non uccidere'”, perché “lo stato di cose a cui ci ha condotto l’attuale sistema politico è ragionevolmente ingiustificabile, eticamente illegittimo e moralmente intollerabile”. Lo ha ribadito mons. Diego Padrón, arcivescovo di Cumana e presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, nel suo discorso di apertura della 43.ma Assemblea straordinaria in corso in questi giorni a Caracas. L’Assemblea - riferisce il Sir - è stata convocata d’urgenza a causa “dell’estrema gravità della situazione” nazionale, con manifestazioni pacifiche dell’opposizione represse con la forza dal governo e decine di vittime, arresti e violazioni dei diritti umani. I vescovi denunciano con forza, nuovamente, “il binomio fatidico repressione-morte, che ha reso dolorosa e triste la quotidianità nazionale”: “In nome di Dio, ripetiamo: siamo interpellati ogni giorno dai numerosi segni di morte presenti nel discorso ufficiale intimidatorio, dai gesti aggressivi, dall’immagine militarista, dalla mentalità di dominio e conquista, gli atti di prepotenza, la condotta arbitraria, le progressive restrizioni alla libertà, la macchia della corruzione, la distruzione dell’agricoltura e di tutto il sistema produttivo, il crollo dell’educazione, l’impunità di fronte al crimine, la continua fuga di cittadini e famiglie”.

Nel Paese quadro di barbarie e violenza
Tutto ciò, ha affermato mons. Padrón, “configura un quadro di barbarie e violenza che era in gran parte sparito dalla nostra cultura. Stiamo tornando indietro, verso una anti-cultura di morte”. “Lo stato di cose a cui ci ha condotto l’attuale sistema politico – ha sottolineato il presidente dei vescovi venezuelani – è ragionevolmente ingiustificabile, eticamente illegittimo e moralmente intollerabile. Non è un giudizio giuridico o politico ma morale e spirituale, di stampo profetico, che chiede una sincera conversione delle menti e dei cuori, per portare frutti di rinnovamento, giustizia e riconciliazione”. “E’ il momento di un esame di coscienza - ha proseguito - di una ribellione spirituale e morale dei leader e dei cittadini perché promuovano all’interno di sé un cambiamento radicale della situazione del Paese. La legittima protesta in strada deve essere pacifica e rispettosa delle persone e delle proprietà, e un segnale di resistenza etica e civile”. Come avevano già detto lo scorso 17 dicembre “è nostro obbligo invitare tutti i dirigenti politici, economici e sociali, di qualunque segno e colore, a mettersi a fianco del popolo”.

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Il nigeriano Musa Panti Filibus nuovo presidente Federazione Luterana

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“Una straordinaria opportunità per affermare che la Comunione luterana è un dono condiviso da tanti e che ha il compito di testimoniare Cristo nel mondo, con gioia, per rendere grazie al Signore”: così è stata definita la XII Assemblea generale della Federazione Luterana Mondiale (Flm), conclusasi il 16 maggio a Windhoek, capitale della Namibia. Dedicata al tema “Liberati dalla grazia di Dio”, la riunione ha visto la partecipazione di 324 delegati, provenienti da 98 Paesi, in rappresentanza dei 145 membri della Flm, oltre a tanti ospiti che, con la loro presenza, hanno riaffermato ancora una volta quanto i luterani siano impegnati nella costruzione dell’unità visibile della Chiesa.

Eletto il nuovo Presidente, il nigeriano Musa Panti Filibus
Sono stati giorni nei quali i delegati hanno pregato, discusso, votato, condiviso esperienze locali di dialogo, martirio, accoglienza, hanno ringraziato il Signore per i doni nelle rispettive comunità cercando di delineare dei percorsi di comunione e promuovere una missione sempre più condivisa tra i cristiani. Giorni che hanno portato all’elezione del nuovo presidente, l’arcivescovo nigeriano Musa Panti Filibus, il secondo presidente proveniente dall’Africa dopo Josiah Kibira, vescovo della Tanzania, alla guida della Flm dal 1977 al 1984.

Costruire nuovi ponti con il mondo islamico
Il tema della riconciliazione delle memorie - come sottolinea l’Osservatore Romano - è stato uno dei più discussi, anche perché la riunione della Federazione luterana mondiale si è tenuta in Namibia, nazione dove viva è la memoria delle violenze compiute dai tedeschi al tempo dell’occupazione coloniale. Per questo è in corso tra Germania e Namibia uno specifico cammino di riconciliazione. L’impegno al dialogo è stato riaffermato anche nella prospettiva di costruire sempre nuovi ponti con il mondo islamico e da questo punto di vista, con grande favore, è stato commentato il recente accordo di collaborazione con l’Islamic Relief Worldwide, che segna l’apertura di una nuova stagione nei rapporti tra luterani e musulmani per la cultura dell’accoglienza. Durante l'incontro si è dato inoltre molto spazio al ruolo delle donne nella vita ecclesiale e alla custodia del Creato.

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Repubblica Ceca, crisi politica: vescovi invitano alla preghiera

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“Capiamo perfettamente il risentimento della società per la grave situazione politica" della repubblica Ceca. "Invitiamo i fedeli a pregare per la sua risoluzione e vorremmo rassicurare sul fatto che sosteniamo il concetto di democrazia basata sulla verità, sulla giustizia, sul rispetto reciproco e sulla responsabilità; governare significa servire”. È quanto si legge in una dichiarazione rilasciata dalla Conferenza episcopale ceca e ripresa dall’Agenzia Sir in risposta all’attuale crisi politica nel Paese.

Migliaia di persone scese in piazza
Nei giorni scorsi, migliaia di persone sono scese in piazza in diverse regioni per protestare contro il ministro delle finanze Andrej Babis e il comportamento “senza precedenti” del presidente Milos Zeman. Gli incontri tra i sostenitori e gli oppositori di entrambi i politici sono sfociati in scontri verbali. Suor Vojtecha Zikesova, presidente della Conferenza delle Superiore Maggiori degli Ordini Religiosi Femminili, invita tutti ad unirsi in preghiera per la pace politica e a partecipare nella “battaglia spirituale per il bene della nazione”. Domani le religiose pregheranno per la “giustizia e la saggezza” dei leader della nazione.

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Primerano: musei ecclesiastici non luoghi polverosi ma di stimolo

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Il museo come luogo di stimolo alla riflessione e incontro: è una delle sfide che si pone l’Associazione Musei Ecclesiastici Italiani, Amei, riunita in una tavola rotonda alla Pontificia Università Gregoriana a Roma nell’odierna Giornata Internazionale dei Musei. Sono oltre 800 i musei ecclesiastici italiani, prevalentemente di arte sacra ma anche archeologici e naturalistici. Perché è fondamentale oggi riflettere sull’identità del museo? Debora Donnini lo ha chiesto a Domenica Primerano, presidente Amei, prima donna e prima laica alla guida dell’Associazione: 

R. – Perché la situazione dei musei in genere è molto cambiata in questi ultimi decenni e quindi vogliamo capire se anche i musei ecclesiastici hanno modificato il loro modo di essere così come stanno facendo gli altri. Quindi è un po’ l’occasione per fare il punto e soprattutto per far capire quali sono le potenzialità dei nostri musei, potenzialità che spesso non vengono comprese. Il museo oggi non può essere semplicemente un luogo di conservazione; è un luogo di relazione, ma per essere tale, deve essere aperto, deve fare attività che si rivolgano ai diversi pubblici, quindi deve avere del personale che sia attrezzato per svolgere quella funzione pastorale.

D. - Come rilanciare i musei ecclesiastici?

R. - Intanto noi come Amei, Associazione Musei Ecclesiastici Italiani, abbiamo lavorato molto sulla comunicazione, perché siamo vissuti ancora come “uno stile polveroso” e quindi c’è da sfatare questa idea che ruota attorno ai nostri musei e per questo abbiamo lavorato molto sulla comunicazione. C’è da lavorare in termini di apertura; l’anno scorso abbiamo firmato questo accordo con il Ministero che riconosce la nostre specificità, si impegna a valorizzarci e dall’altro canto noi ci impegniamo ad entrare nei futuri sistemi museali. Noi abbiamo queste quattro linee di azione che vorremmo mettere in atto: essere musei del territorio e questo significa rivolgersi anzitutto alla comunità, ai residenti e in seconda istanza anche ai turisti; essere musei accessibili, quindi cercare di lavorare perché le fasce più deboli, quelle che normalmente non accedono alla cultura, possano accedervi; essere musei in dialogo, questa è la nostra grossa sfida e quest’anno faremo un convegno proprio sul dialogo interculturale e interreligioso a partire dalle nostre collezioni, e infine, essere laboratori del contemporaneo.

D. - I musei ecclesiastici con la ricchezza del loro patrimonio possono anche parlare un linguaggio di evangelizzazione se “spiegati” bene …

R. – Certo. Anzitutto possono essere delle palestre all’interno delle quali avvicinare all’iconografia, ai significati delle opere che noi possediamo. Credo che i nostri musei possono diventare quei luoghi della riflessione, quindi non del consumo culturale come sta avvenendo in molti musei che si stanno trasformando in luoghi di attrazione turistica e di consumo veloce delle cultura. Possono essere invece dei luoghi dove ci si ferma, si riflette, si cerca di avere di nuovo davanti a sé le grandi domande della vita in un’atmosfera sicuramente favorevole a questo tipo di incontro, di dialogo spirituale e intimo tra le persone e le opere.

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Al Festival di Cannes il film italiano “Sicilian Ghost Story”

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E’ un film italiano ad aver aperto questa mattina la Semaine de la Critique al Festival del cinema di Cannes e che oggi arriva nelle sale cinematografiche. “Sicilian Ghost Story” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza compie una straordinaria operazione narrativa: trasformare un orrendo fatto di cronaca avvenuto in Sicilia in una fiaba. Il servizio di Luca Pellegrini

Come nelle favole, ci sono le fate e gli orchi, i principi buoni e i maghi cattivi. Come in una favola scorre la storia di Luna e Giuseppe, due ragazzini che in un paese siciliano circondato da una natura misteriosa e ammantato di silenzi, si incontrano, si vogliono bene, un bene che andrà ben oltre il sangue e la morte. “Sicilian Ghost Story” compie una operazione straordinaria e rischiosa: raccontare come fosse una favola ciò che realmente successe a Giuseppe di Matteo nel 1993: rapito dalla mafia per costringere il padre pentito a ritrarre le rivelazioni sulla strage di Capaci, passò 779 giorni in prigionia e dopo essere stato strangolato venne sciolto nell’acido nel gennaio del 1996. A lui i due registi siciliani dedicano il loro lavoro, che ha momenti di profonda bellezza, pur dovendo affrontare l’orrore della realtà, che snatura la vita di persone e paesi in Sicilia. Come è nata questa idea così forte e originale? Ci risponde Fabio Grassadonia:

“Il punto iniziale di questa scommessa narrativa è stato il fatto realmente accaduto a metà degli anni Novanta. E’ un fatto che in qualche modo sintetizza e sublima l’orrore vissuto in Sicilia negli anni Ottanta e Novanta, l’ignominia e la disumanità che in quegli anni il vivere assieme ha raggiunto. Per noi, quella era una storia irraccontabile perché è una storia senza catarsi, per nessuno; e quindi eravamo convinti a essere destinati a conviverci con frustrazione, con sentimenti sempre molto negativi – risentimento anche rispetto alla società che quell’abominio aveva prodotto. Poi, nell’estate del 2011, abbiamo letta una raccolta di racconti intitolata “Non saremo confusi per sempre”, di Marco Mancassola. Questa intuizione di una collisione tra un piano di realtà e un piano fantastico, è quello che ci ha fatto scattare immediatamente, in me e in Antonio, la molla per dire: “Forse questa è la chiave grazie alla quale noi possiamo raccontare la storia di un bambino che è chiuso nel buio delle nostre coscienze, un bambino la cui storia tende anche a essere un po’ rimossa, rispetto a tanti altri tragici eventi di mafia accaduti negli anni Ottanta e Novanta. Naturalmente, senza tradire la verità storica del fatto, senza tradire la verità profonda di questo episodio e la disumanità che l’ha reso possibile ma opponendo a questo piano di realtà un piano fantastico dove mettere in campo la possibilità di tornare a vivere e a relazionarsi con il prossimo secondo una legge d’amore, e riuscire a raccontare una storia che – avendo per protagonisti dei ragazzini – apra a una speranza per un futuro da viversi nel pieno di una realizzazione umana”.

Per Antonio Piazza, in questa Sicilia misteriosa, l’acqua è una presenza importante:

“Per noi, il tema dell’acqua – molto ricorrente nel film – è determinante: il rapporto con l’acqua, il rapporto con i mare per noi racconta un po’ il rapporto con la dimensione dell’assoluto, del trascendente nel senso di ciò che trascende i rapporti di ogni giorno, la quotidianità e che racconta un amore più forte della morte”.

Grassadonia spiega, infine, chi sono i fantasmi siciliani:

“I fantasmi, prima di tutto, sono i fantasmi della nostra coscienza, proprio personale: mia e di Antonio. Sono fantasmi che si sono incancreniti dentro di noi, che hanno generato negli anni sempre sentimenti molto negativi: risentimento, rabbia, disamore nei confronti del luogo, della civiltà da cui provieni. Il fatto di avere poi noi, in anni recenti, deciso di assumere personalmente il rischio di diventare autori portando fuori i nostri sentimenti e cercando le storie grazie alle quali fare evolvere questi sentimenti, ecco: questi fantasmi cerchiamo di portarli da una regione di buio a una regione di luce, cioè: l’obiettivo nostro è mostrare quale può essere la via perché un umanesimo torni a riaffermare le proprie ragioni in quella terra che è avvolta in una metastasi cancerogena, che ha annichilito le possibilità di connessione tra gli esseri umani, se non sotto il segno della morte e della sopraffazione. Questa storia, per noi, segna un po’ – come dire – la conclusione ideale della nostra riflessione sui nostri fantasmi, legati a un’esperienza di vita in un contesto violentemente mafioso”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 138

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.