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Sommario del 09/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: accogliamo la Parola con docilità per avere bontà, pace e mitezza

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Non resistiamo allo Spirito Santo, ma accogliamo la Parola con docilità: è l’esortazione di Papa Francesco stamani nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Bontà, pace e padronanza di sé sono proprio il frutto di chi accoglie la Parola, la conosce e ne ha familiarità. La Messa, ha detto all'inizio dell'omelia Francesco, è stata offerta per le suore della stessa Casa Santa Marta che “celebrano il giorno della loro fondatrice, Santa Luisa di Marillac”. Il servizio di Debora Donnini

Nei giorni passati abbiamo parlato della resistenza allo Spirito Santo, che Stefano rimproverava ai dottori della Legge, oggi le Letture ci parlano di un atteggiamento contrario, proprio del cristiano, che è “la docilità allo Spirito Santo”. Questo atteggiamento è il cuore della riflessione di Papa Francesco nell’odierna omelia a Casa Santa Marta. Dopo il martirio di Stefano, infatti, era scoppiata una grande persecuzione a Gerusalemme. Solo gli Apostoli vi rimasero, mentre  “i credenti”, “i laici”, nota il Papa, si erano dispersi a Cipro, nella Fenicia e ad Antiochia. E, narra la Prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, annunciavano la Parola solo ai giudei. Alcuni di loro ad Antiochia cominciarono, però, ad annunziare Gesù Cristo anche ai greci, “ai pagani”, perché sentivano che lo Spirito li spingeva a fare questo: “sono stati docili”, spiega Papa Francesco. “Sono stati i laici - prosegue - a portare la Parola, dopo la persecuzione, perché avevano questa docilità allo Spirito Santo”.

L’Apostolo Giacomo nel primo capitolo della sua Lettera, esorta infatti ad “accogliere con docilità la Parola”. Bisogna quindi essere aperti, “non rigidi”. Il primo passo nel cammino della docilità è quindi “accogliere la Parola”, cioè “aprire il cuore”. Il secondo, è quello di “conoscere la Parola”, “conoscere Gesù” che infatti dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Conoscono perché sono docili allo Spirito.

E poi c’è un terzo passo: “la familiarità con la Parola”:

“Portare sempre con noi la Parola, leggerla, aprire il cuore alla Parola, aprire il cuore allo Spirito che è quello che ci fa capire la Parola. E il frutto di questo ricevere la Parola, di conoscere la Parola, di portarla con noi, di questa familiarità con la Parola, è un frutto grande: è il frutto … l’atteggiamento di una persona che fa questo è bontà, benevolenza, gioia, pace, padronanza di sé, mitezza”.

Questo è lo stile che dà la docilità allo Spirito, prosegue Francesco:

“Ma devo ricevere lo Spirito che mi porta alla Parola con docilità, e questa docilità, non fare resistenza allo Spirito mi porterà a questo modo di vivere, a questo modo di agire. Ricevere con docilità la Parola, conoscere la Parola e chiedere allo Spirito la grazia di farla conoscere e poi dare spazio perché questo seme germogli e cresca in quegli atteggiamenti di bontà, mitezza, benevolenza, pace, carità, padronanza di sé: tutto questo che fa lo stile cristiano”.

Nella Prima Lettura poi si racconta che, quando a Gerusalemme giunge la notizia che gente venuta da Cipro e Cirene annunciava la Parola ai pagani ad Antiochia, si sono un po’ spaventati e hanno mandato lì Barnaba, chiedendosi - rileva il Papa - come mai si predicasse la Parola ai non circoncisi e come mai la predicassero non gli Apostoli ma “questa gente che noi non conosciamo”. Ed “è bello” dice il Papa che quando Barnaba giunge ad Antiochia e vede “la grazia di Dio”, si rallegra ed esorta a “restare con cuore risoluto, fedele al Signore”, perché era un uomo “pieno di Spirito Santo”:

“C’è lo Spirito che ci guida a non sbagliare, ad accogliere con docilità lo Spirito, conoscere lo Spirito nella Parola e vivere secondo lo Spirito. E questo è il contrario alle resistenze che Stefano rimprovera ai capi, ai dottori della Legge: ‘Voi sempre avete resistito allo Spirito Santo’. Allo Spirito, resistiamo allo Spirito, gli facciamo resistenza? O lo accogliamo? Con docilità: questa è la parola di Giacomo. ‘Accogliere con docilità’. Resistenza contro docilità. Chiediamo questa grazia”.

E il Papa conclude notando, "un po’ fuori dall’omelia", che “è stato proprio nel comune di Antiochia, dove ci hanno dato il cognome”. Ad Antiochia infatti per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.

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Tweet del Papa: "Tutti hanno un contributo da dare alla società"

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Nel tweet di oggi sul suo account @Pontifex, Papa Francesco scrive: "Tutti hanno un contributo da dare alla società, nessuno è escluso dall’apportare qualcosa per il bene di tutti".

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S. Sede all’Onu: superare divisioni politiche per proteggere migranti

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Un pressante appello per “proteggere la dignità” dei migranti, specie dei più vulnerabili come i bambini. A lanciarlo è stato ieri mons. Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, in una riunione dedicata proprio al tema dell’immigrazione. Dal presule l’esortazione ai leader mondiali a superare le “divisioni politiche” e le “barriere geografiche” per dare sostegno ai migranti. Il servizio di Alessandro Gisotti

La Santa Sede leva “un pressante appello per proteggere la dignità” dei migranti e per rispettare “senza riserve” i principi umanitari soprattutto verso i più vulnerabili. E’ quanto affermato da mons. Ivan Jurkovič alla riunione delle Nazioni Unite di Ginevra dedicata al Global Compact sull’immigrazione. Il presule ha evidenziato che, in ogni decisione in materia di immigrazione, va sempre messa al centro la persona. Ed ha esortato la comunità internazionale a dare un esempio di “solidarietà” superando “le divisioni politiche e le barriere geografiche”.

Tutelare sempre la dignità dei migranti, assicurare la loro protezione
Il diplomatico vaticano ha ribadito, con le parole di Papa Francesco, che “ogni migrante è una persona” titolare “di diritti umani fondamentali ed inalienabili” che vanno sempre rispettati. Il presule ha poi rammentato che, spesso, i viaggi che intraprendono i migranti comportano “esperienze traumatiche” che possono essere “superate solo con la fede e la speranza”. Frequentemente, ha constatato con amarezza, i migranti “sono esposti a sfruttamento, abusi e violenze”.

Grande preoccupazione per le condizioni dei bambini migranti
Ecco perché, è stato il suo monito, è necessario assicurare che siano protetti. Tuttavia, ha detto, questo “non basta”. Fin quando infatti permarranno “situazioni di povertà, conflitti e persecuzioni”, ha affermato mons. Jurkovič, “gli interessi dei trafficanti continueranno a prosperare”. Ha così rivolto una particolare attenzione ai “bambini migranti”. La loro condizione, ha affermato, desta la “viva preoccupazione della Santa Sede”. Ha dunque fatto riferimento in particolare a quei bambini che vengono separati dai loro genitori e che spesso sono vittime di abusi e sfruttamento di vario genere. Di qui, l’esortazione di mons. Jurkovič a garantire che i genitori, anche migranti, possano sempre crescere ed educare i propri bambini.

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Santa Sede: nel segno della condivisione la Giornata delle Comunicazioni

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Con l’avvicinarsi del prossimo 28 maggio, festa dell’Ascensione del Signore e 51.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, la Direzione Teologico-Pastorale della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede desidera promuovere e incoraggiare la condivisione di risorse pastorali e produzioni multimediali sviluppate dagli uffici di comunicazione sociale delle Chiese locali. Il dicastero invita pertanto gli operatori della pastorale della comunicazione ad inviare o segnalare i contenuti elaborati a partire dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata sul tema “Non temere, perché io sono con te (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”. Il materiale e le risorse multimediali potranno essere inviate al seguente indirizzo: gmcs2017@spc.va. Gli elaborati saranno a loro volta pubblicati sul sito istituzionale della Segreteria per la Comunicazione (www.comunicazione.va), nella sezione dedicata alla Giornata. (A.G.)

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Oggi in Primo Piano



La denuncia dell'Oim: in Libia migranti torturati e sepolti vivi

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245 vittime tra morti e dispersi: è il bilancio finale dei naufragi avvenuti nel fine settimana nel Mediterraneo. Le cifre sono dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, Unhcr, che ha aggiornato i numeri sulla base delle testimonianze dei superstiti. Dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni arriva intanto una denuncia gravissima. Francesca Sabatinelli 

In un solo fine settimana il numero delle vittime nel Mediterraneo ha fatto salire a 1.300 il totale dei morti e dispersi dall’inizio dell’anno. 43 mila, invece, i migranti e i richiedenti asilo che sono riusciti ad arrivare sulle coste italiane. E’ l’Unhcr a procedere con la triste conta e a raccontare dei due naufragi dei giorni scorsi: il primo di venerdì, quando un gommone è affondato con 132 persone a bordo, i superstiti, una cinquantina, sono poi stati sbarcati in Sicilia. Il secondo naufragio è invece di domenica, sulle coste della Libia, con un bilancio di oltre 160 vittime. Sono fondamentali le operazioni di salvataggio in mare, ribadisce l’Unhcr, che chiede di affrontare le cause che spingono le persone alla fuga, nonché di offrire vie accessibili e sicure per raggiungere l’Europa. Stesse richieste arrivano dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni, l’Oim che denuncia una serie di violazioni atroci a danno dei migranti che si trovano in Libia, violenze che non risparmiano donne e bambini, anche loro vittime di stupri e torture. Flavio Di Giacomo è il portavoce dell’Oim:

R. – Le interviste che stiamo facendo stanno facendo emergere dei dettagli veramente orribili riguardo alle violenze che i migranti subiscono nel Paese: parliamo di migranti che spesso vengono detenuti a scopo di richiesta di riscatto alle loro famiglie da parte di trafficanti o, comunque, di questi gruppi che rapiscono i migranti, che li costringono a chiamare a casa, li torturano in diretta, con le famiglie che ascoltano da casa le torture e quindi inviano soldi per liberare i propri parenti. Abbiamo sentito storie di migranti che sono stati costretti a seppellire vivi degli amici perché si erano fatti male e non potevano camminare e i trafficanti, non volendo fardelli, li hanno costretti a seppellire vive queste persone, chiaramente sotto la minaccia delle armi e i loro amici non hanno potuto fare altrimenti. Sono storie che veramente non possiamo non accogliere con orrore, che spiegano il fattore di spinta che sta dietro alle partenze che stiamo registrando dalla Libia in questi ultimi mesi. Ci sono molti migranti che sono bloccati in Libia e che piuttosto che restare nel Paese e subire ulteriori violenze, o essere uccisi, e a volte piuttosto che rischiare di tornare a casa, perché fare il percorso a ritroso, verso il Paese di origine, può essere pericolosissimo, pensano che ci siano meno rischi, o comunque sperano che possano esserci meno rischi, a cercare la traversata del Mediterraneo.

D. – L’Oim ha denunciato, anche in un recente passato, la collaborazione tra i trafficanti e alcuni pezzi della guardia costiera o delle autorità libiche, lo continuate ancora a ribadire?

R. – La situazione è piuttosto complicata, in Libia, è questa la verità, perché c’è una guardia costiera libica che adesso è, bene o male, formalmente riconosciuta, però allo stesso tempo nel passato, e anche adesso immagino che la situazione non sia cambiata, ci sono tanti gruppi che dicono di essere guardia costiera e invece non lo sono, perché la Libia è un Paese frammentato da un punto di vista di presenza delle autorità. Lì c’è un governo che, lo sappiamo, è un governo centrale che però non riesce a controllare tutto il territorio che starebbe sotto di sé, questo perlomeno è quanto ci viene raccontato anche da testimoni. Quindi, ci sono alcune aree del Paese in cui è difficile dire chi è chi. In questo momento, la guardia costiera libica sta ricevendo una formazione, un training, da parte dell’Unione europea, ma sono chiaramente tutti personaggi e funzionari che sono stati selezionati con un’attenta valutazione. Allo stesso tempo, tra tutte le persone che si muovono in Libia, che possono dire di essere della guardia costiera, chiaramente possono esserci personaggi di dubbia origine. Però, ecco, la guardia costiera con cui adesso l’Unione europea sta collaborando è stata selezionata proprio per evitare che ci siano commistioni con i trafficanti.

D. – Sembra quanto mai importante che si favorisca l’apertura di corridoi umanitari …

R. – Sì, assolutamente. Detto questo, considerando che il fattore di spinta in questo momento non solo sono i regimi e le persecuzioni da cui fuggono i migranti, ma anche il fatto che purtroppo la Libia sia diventata un fattore di spinta anch’essa, proprio perché i migranti, anche coloro che non vogliono venire in Europa, sono veramente costretti dalle violenze in quel Paese a continuare il viaggio verso l’Italia via mare, bisognerebbe incominciare a risolvere il problema con politiche a lungo termine, che possano andare a offrire alternative ai canali irregolari, perché la migrazione irregolare nelle mani dei trafficanti porta morte, porta violenze e arricchisce queste organizzazioni criminali. E’ importantissimo aprire canali legali, regolari, per persone che hanno diritto alla protezione internazionale, ma anche bisognerebbe incominciare a delineare canali regolari per lavoro. Bisogna agire su questi due canali regolari e allo stesso tempo iniziare a pensare a offrire alternative a livello locale, sia nei Paesi di transito sia nei Paesi d’origine. La migrazione è un fenomeno molto complesso, ci sono persone che non hanno assolutamente scelta per motivi di protezione internazionale; ci sono alcuni che non hanno scelta perché vivono in una povertà che li forza a partire, anche quella è una sorta di migrazione forzata, chiaramente. Alcuni che, invece, potrebbero anche provare a cercare alternative a livello locale con politiche di sviluppo mirate, sia nei Paesi di transito, sia nei Paesi di origine. Quindi bisogna lavorare su tutta questa serie di iniziative a lungo termine. Questa crisi umanitaria non è una crisi numerica, attenzione! Perché parliamo di 180 mila persone l’anno che arrivano in Italia e che rappresentano lo 0,3 per cento del totale della popolazione italiana, molto meno se pensiamo al mezzo miliardo di abitanti dell’Unione europea. Quindi, è una crisi non numerica, ma umanitaria e sicuramente operativa, perché è estremamente complicato e pericoloso, anche per chi effettua i salvataggi, salvare tutte queste persone nel Mediterraneo, perché salvare le persone in mare è sicuramente altra cosa piuttosto che accogliere le persone via terra!

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Francia, Macron lavora per formare la squadra di governo

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Il neoeletto presidente francese, Emmanuel Macron, lavora alla squadra di governo. L’annuncio ufficiale del nuovo premier e dei ministri è atteso per lunedì prossimo. C’è attesa anche per i nomi dei candidati di “En marche” che, dopo la vittoria di Macron, è diventato “La Republique en marche!” per le legislative dell’11 e 18 giugno e per le quali il movimento potrebbe proporre metà personalità con esperienza e carriera politica e metà provenienti dalla società civile. Annunciata anche la prima visita estera di Macron, che sarà a Berlino. Intanto, il Commissario europeo agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, parlando oggi alla stampa a Parigi nel giorno della festa dell'Europa, si e' mostrato molto entusiasta dell'elezione del presidente europeista  Macron e si e' detto "pronto a lavorare" con lui. Moscovici ha anche aggiunto che serve una credibilità francese sul terreno delle finanze pubbliche e ha aggiunto: "La Francia deve uscire dalla procedura per deficit eccessivo e tornare al di sotto del 3% nel rapporto deficit/Pil”. Elvira Ragosta ha intervistato Thomas Vitiello, ricercatore all’Ecole doctorale “Sciences Po” di Parigi: 

R. – Emmanuel Macron ha sempre detto che il suo governo sarà composto in parte da membri della società civile, gente con esperienza che viene da fuori dell’ambito politico, sia per la formazione del governo, sia per i candidati alle legislative di giugno. Probabilmente quello che ci possiamo aspettare è la ricerca di un equilibrio tra chi prenderà la dirigenza del movimento politico di Emmanuel Macron “En marche” e chi diventerà primo ministro, perché Emmanuel Macron trovandosi in una situazione centrista dello spazio politico francese dovrà probabilmente trovare un equilibrio tra queste due componenti del suo potere. Probabilmente la carica di primo ministro andrà ad una personalità di centro-destra e quella della presidenza del partito ad una personalità di centro-sinistra.  Forte è Gérard Colomb, il sindaco di Lione oppure Richard Ferrand, ex parlamentare socialista.

D. - La prima visita estera di Macron sarà a Berlino per rafforzare l‘asse franco-tedesco e rilanciare il ruolo dell’Unione Europa. Come raggiungere questo obiettivo?

R. - Lui ha sempre detto che per la Francia à importante ritrovare credibilità nei confronti della Germania. E per ottenere questo obiettivo, ha sempre detto che farà delle riforme strutturali in Francia nel mercato del lavoro per riottenere quella fiducia dalla Germania, per poi poter avere un ruolo centrale negli anni a venire nella costruzione europea. E quindi mi sembra che Emmanuel Macron ha sempre messo l’Europa al centro del suo progetto; anche domenica sera quando è stato eletto, l’inno francese è stato suonato dopo l’inno europeo, l’Inno alla gioia di Beethoven. Quindi ha veramente questa volontà di essere molto attivo per il rilancio europeo e il rilancio dei rapporti con Berlino che passerà prima attraverso alcune riforme strutturali in Francia.

D. - Che effetti positivi potrà avere questo per gli altri Stati dell’Unione?

R. - La collaborazione tra la Merkel o il futuro primo ministro tedesco e Emmanuel Macron potrà probabilmente servire da locomotiva al rilancio di un progetto europeo che sembra un po’ in pausa da qualche anno. Quindi sicuramente potrà servire da stimolo ad altri Paesi che avrebbero voglia, forse, di collaborare di più a livello europeo. Quindi speriamo di rilanciare un progetto che in questi ultimi anni ha avuto un po’ di difficoltà.

D. - Il 25 maggio a Bruxelles, in occasione del vertice  della Nato, ci sarà il primo incontro tra Emmanuel Macron e Donald Trump. Quanto influirà il rilancio del ruolo dell’Ue nei rapporti tra Europa e Stati Uniti?

R. - Donald Trump è sempre stato un pragmatico, sia nel modo in cui è stato uomo d’affari sia nel suo attuale ruolo di presidente. È un presidente pragmatico e quindi vuole fare degli accordi con gli Stati, con l’Unione Europea. Probabilmente è stato un po’ rapido all’inizio del suo mandato nel criticare l’Unione Europea, nel dire che non aveva più futuro. Però non avrà nessuna difficoltà a modificare la sua posizione e ad essere più pragmatico se vede che si prospetta una dinamica positiva nell’Unione Europea a seguito delle elezioni di quest’anno.

D. - A parte il ruolo dell’Europa, cosa si può ipotizzare sulle future scelte di politica estera della Francia con Macron presidente?

R. - La Francia ha sempre avuto coerenza in politica estera; non penso che Emmanuel Macron opererà dei grandi cambiamenti in questo ambito. Il Paese è sempre stato presente su due fonti: su quello europeo la Francia di vede, si percepisce come un Paese centrale nella costruzione europea, però la Francia si vede e si percepisce come un Paese centrale negli affari del mondo. Durante la presidenza di Hollande, la Francia è intervenuta militarmente in tre Paesi: in Mali, in Centrafrica e in Siria. Quindi Emmanuel Macron dovrebbe tenere queste due rotte sia a livello europeo che di politica estera al di fuori dell’Unione Europea.

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Corea del Sud, Moon Jae-in è il nuovo Presidente

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La Corea del Sud al voto in anticipo di un anno: l’affluenza alle urne ha sfiorato il 90%. Il nuovo Presidente è Moon Jae-in. Avvocato e attivista dei diritti umani, Moon Jae-in ha promesso la riapertura del dialogo con Pyongyang. Con più del 40% delle preferenze ha sconfitto i due rivali Ahn Cheol-soo e Hong Jun-pyo. Giorgio Saracino ne ha parlato con Rosella Ideo, esperta di Storia politica e diplomatica dell’Asia Orientale: 

R. – I nove anni della signora Park sono stati davvero deludenti, nel senso che le promesse elettorali che aveva fatto sono state assolutamente disattese, come quella di ridurre il divario enorme che invece si è sempre più approfondito tra i grandi ricchi del Paese e una massa di popolazione che ha risentito della dimenticanza della signora Park riguardo ai loro problemi. In Corea del Sud abbiamo avuto un aumento della disoccupazione giovanile che è arrivata a circa il dieci percento della popolazione, la popolazione anziana è ancora assolutamente esposta alla povertà e alla solitudine quindi ci sono anche nuovi poveri. La signora Park ha tessuto una rete di corruzione incredibile.

D. - Moon Jae-in, leader del partito democratico, è stato eletto Presidente della Corea del Sud. Cosa ci può dire di lui? 

R. - È un avvocato dei diritti umani che era stato molto legato all’ultimo presidente Roh Moo-hyun, un presidente progressista che tra l’altro era ben noto perché con il suo predecessore aveva aperto la strada al dialogo e alla cooperazione con la Corea del Nord, dialogo poi troncato dai due successivi presidenti conservatori di cui la Park è l’ultimo esponente. Si è dichiarato riformista in economia, la materia che preoccupa di più i coreani, conservatore per quanto riguarda la sicurezza e cioè favorevole a pressioni e sanzioni contro la Corea del Nord, ma nello stesso tempo dedicato apertamente ad un dialogo con la Corea del Nord per cercare di togliere questa enorme tensione che si è creata soprattutto con l’arrivo di Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

D. - Come cambieranno per quanto riguarda la Corea del Nord e gli Stati Uniti gli equilibri in politica estera?

R. - Trump ha alzato molto l’asticella, direi forse fin troppo, con la Corea del Nord, con questo show di forza, approfittando tra l’altro di un vuoto di potere nella Corea del Sud, perché sapeva benissimo che ci sarebbero state le elezioni, ma ha accelerato tutti i tempi sia facendo pressioni sulla Cina, sia mandando questo show di forza che ha terrorizzato ovviamente i nordcoreani poco prima che si istallasse un vero e proprio presidente in Corea del Sud, in questo periodo di transizione di potere. .

D. - Un dato che sorprende è la grande affluenza alle urne. Si parla del 90%. Come mai? Quali sono le preoccupazioni principali che spingono così tanta gente ad andare a votare?

R. - Per quello che riguarda tutta la popolazione sudcoreana anche gli ultimi sondaggi rilevano che le preoccupazioni principali restano l’economia, la disoccupazione  giovanile e il desiderio di avere un governo che non sia corrotto, quindi più trasparente di quello precedente. Arrivano anche i problemi con la Corea del nord che sono stati ingigantiti da questo intervento poco opportuno – come è stato definito da Moon Jae -in - di Trump, che ha alzato una tensione che era già molto alta perché non c’era dialogo.

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Indonesia: condannato per blasfemia ex governatore cristiano

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In Indonesia, il governatore uscente di Jakarta, Basuki Purnama, di origine cinese ed esponente della minoranza cristiana, è stato condannato, con arresto immediato, a due anni di carcere per blasfemia verso il Corano. La pronuncia della magistratura appare una nota stonata in un Paese a maggioranza musulmana, ma caratterizzato dalla pacifica convivenza tra etnie e religioni diverse. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Paolo Affatato, esperto di Asia dell’agenzia Fides: 

R. – La convivenza, in Indonesia, è una realtà di un Paese pluralista composto da centinaia di etnie e diverse comunità religiose. Naturalmente, è il Paese musulmano più popoloso al mondo, in cui l’Islam ha sempre mantenuto un volto tollerante, e oggi è una Nazione democratica. Bene, in questa cornice c’è stata questa condanna per blasfemia. Questa vicenda ha accompagnato tutta la campagna elettorale che, lo ricordiamo, si è conclusa il 19 aprile scorso, con la sconfitta di Purnama. Va detto che sicuramente questo verdetto e questi mesi sono stati influenzati da una campagna condotta da gruppi musulmani radicali, che hanno strumentalizzato evidentemente la religione islamica ai fini elettorali e questo è un aspetto che sicuramente bisognerà tenere sotto controllo in vista delle prossime elezioni nazionali che ci saranno in Indonesia.

D. – Tu vedi in questa pronuncia della magistratura una sorta di svolta in stile Pakistan nei confronti dei cristiani?

R. – Non si può parlare di una svolta islamista; però si può dire che la Corte forse è stata influenzata da questa campagna condotta dai gruppi radicali. Quello che alcuni analisti cristiani notavano in queste ore, è una certa debolezza del sistema giudiziario indonesiano. Va detto che la vicenda non è finita, perché sicuramente la difesa ha già annunciato che ricorrerà in appello. Intanto, il governatore ha incassato il sostegno di buona parte della società civile indonesiana, dei cristiani, ma anche di molti musulmani. Ma io sono anche convinto della possibilità della società indonesiana di assorbire queste spinte radicali, che restano minoritarie.

D. – C’è stata una presa di posizione della minoranza cristiana indonesiana?

R. – Questo è un aspetto positivo. In questa vicenda: la minoranza cristiana sta dimostrando il suo disappunto per questa condanna che è ritenuta ingiusta; ma lo sta facendo in maniera molto composta, molto pacifica, in quanto i cristiani indonesiani stanno dando prova di credere al bene comune e di nutrire un profondo rispetto per la Carta dei Cinque Principi, che è alla base dell’Indonesia democratica. Oggi questa Carta, che ribadisce principi come “unità nella diversità”, il rispetto dei diritti umani, è invocata dai cristiani, ma non solo dai cristiani, per potere tenere la barra dritta in questo complesso Paese: l’Indonesia è un Paese composto da diverse anime, da diverse religioni e culture e quindi ha bisogno di una chiara direzione democratica per proseguire il suo cammino.

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Moro, 39 anni dalla morte. Oltre alle Br di chi le responsabilità?

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Cerimonia a Roma a 39 anni dalla morte di Aldo Moro. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha deposto una corona di fiori in via Caetani, dove le Brigate Rosse lasciarono il corpo del presidente della Democrazia cristiana. Una figura fondamentale nella storia della Repubblica. Alessandro Guarasci

Ci sono ancora punti oscuri nella morte di Aldo Moro. Oltre alle Br, di chi le responsabilità? Il presidente della Commissione d’inchiesta, Giuseppe Fioroni:

“I punti da dirimere sono – ahimé – ancora molti, ma il tema fondamentale è rendersi conto che fummo oggetto di una sconfitta del terrorismo  per tombamento”.

Insomma, l’attacco allo Stato decretò la fine dell’estremismo rosso. Per il giornalista Giorgio Balzoni, autore del libro “Moro il professore”, c’è dell’altro però:

“Sono convinto che all’interno del piano delle Brigate Rosse i terroristi ad un certo punto siano stati sollevati in qualche modo dall’incarico e qualcun altro abbia preso le decisioni definitive, e in queste vedo alcune parti dei servizi segreti deviati e vedo anche una parte della P2”.

Moro univa visione politica e anche grosse doti umane. Un patrimonio unico, per qualsiasi statista. Balzoni fu suo allievo all’Università di Roma :

“All’università di Roma noi avevamo lezione lunedì, mercoledì e venerdì. Lui era ministro degli esteri. Per un intero anno non saltò mai una sola lezione e al termine di questa rimaneva spesso, anzi sempre, almeno un paio d’ore a chiacchierare con noi nel corridoio dell’università”.

Moro diceva che “governare significa fare tante singole cose importanti ed attese, ma nel profondo vuol dire promuovere una nuova condizione umana”. Insomma, anche con l’apertura a sinistra Moro cercava di disegnare un nuovo sistema politico. Giuseppe Fioroni:

“È una politica inclusiva; è una politica che fa proprie le ragioni dell’altro. È una politica accogliente; è una politica del dialogo e della persuasione. Speriamo di ritornarci”.

Una politica lontana dai processi di piazza, che guardava anche a una “solidarietà nazionale” nel tentativo di evitare ogni forma di strappo. D’altronde era  un’Italia, quella degli anni ’70, ancorata alla Nato, ma una parte del Paese guardava all’Unione Sovietica. Ancora Giorgio Balzoni:

“Questa disponibilità, questa fatica nella ricerca delle cose che uniscono più di quelle che dividono, non riesco a vederla, sinceramente”.

La figlia Maria Fida Moro non ha partecipato alle celebrazioni, e questo, dice, "finche non sarà applicata correttamente e pienamente la legge 206 del 3 agosto 2004 in favore delle vittime del terrorismo, anche per mio padre Aldo Moro. Quale sia la valenza di questa disapplicazione non è noto. Mio padre non è vittima? Oppure non è vittima del terrorismo?".

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Fatima. P. Fernandes: una grande gioia la prossima visita del Papa

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Nel corso del suo pellegrinaggio apostolico a Fatima, il 12 e 13 maggio, Papa Francesco incontrerà un sacerdote di 104 anni, il più anziano del Portogallo, che era già nato quando nel 1917 la Vergine apparve ai tre pastorelli nella località Cova da Iria dove oggi sorge il Santuario mariano. L'incontro con il prete ultracentenario avverrà sabato 13 proprio in occasione della messa per la canonizzazione dei due piccoli beati Francesco e Giacinta Marto. Ma come la Chiesa portoghese vive la vigilia del pellegrinaggio papale? Fabio Colagrande l'ha chiesto a padre Nuno Rosário Fernandes, direttore del dipartimento della Comunicazione del Patriarcato di Lisbona. 

R. – Per tutti noi, per tutta la chiesa portoghese, avere il Santo Padre vicino è una grande gioia, soprattutto in questo momento in cui celebriamo il centenario delle apparizioni che per tutti noi portoghesi è un avvenimento molto importante. Sappiamo che il Papa ha una forte devozione mariana, prega spesso la Madonna; ci parla tanto della vicinanza di Dio, della misericordia, della pace, della conversione; parla tanto ai nostri cuori e averlo vicino a noi in questo momento storico così difficile, di tensioni, di guerre, è molto importante. Oggi Fatima, il suo messaggio, è molto attuale e per noi vivere tutto questo è una gioia grandissima.

D. - Che significato ha per i portoghesi questo centenario che per volere del Papa coincide con la canonizzazione di Francisco e Giacinta? Come lo sentite?

R. - Lo sentiamo “molto nostro”, come qualcosa che fa parte della nostra identità. La Madonna è apparsa a Fatima ai tre pastorelli: è un avvenimento che ha segnato tanto la nostra storia e quella di tutta l’umanità. E il fatto che Papa Francesco sarà lì per noi è una conferma del messaggio di pace che Dio ci ha voluto dare tramite la Madonna.

D. - Qual è la caratteristica specifica del Santuario mariano di Fatima?

R. – Non conosco tanti santuari mariani, ma posso dire che quello di Fatima è caratterizzato da un ambiente di grande serenità, un ambiente dove si respira questa pace, dove la gente riesce a trovare dei momenti di tranquillità, vicinanza a Dio. La gente va lì anche per offrire la propria vita, le difficoltà, le malattie, c’è una forte devozione popolare, le persone fanno delle promesse affidandosi molto alla Madonna. E lì tutti noi riusciamo a capire questo dall’atteggiamento dei fedeli durante le celebrazioni eucaristiche. Ad esempio, ogni anno, da maggio a ottobre, il 12 e 13 di ogni mese, ci sono dei pellegrinaggi di persone provenienti dal tutto il Portogallo, da tutto il mondo. Basta guardare il loro sguardo per capire il modo in cui vivono questa fede. Si riesce a capire come si affidino a Dio. A Fatima riusciamo a vivere questa atmosfera. La gente va anche lì in ritiro, per stare un po’ da sola, però le persone non sono sole perché sanno che Dio è vicino a loro.

D. – Qual è oggi il significato del messaggio della Madonna di Fatima?

È più che attuale. Questi momenti che stiamo vivendo ci fanno ricordare proprio il messaggio di Fatima, perché la Madonna ci ha parlato di conversione, di pace, di misericordia. È questo ciò di cui il mondo ha bisogno in questo momento. Basta guardare un po’ quello che accade in Siria, in Corea, le crisi internazionali che coinvolgono la Russia e gli Stati Uniti ecc… Tutto quello che stiamo vivendo ci fa pensare che questo messaggio oggi è proprio attuale ed è ciò di cui il mondo ha bisogno. Il mondo ha bisogno di pace, di riuscire a trovare la misericordia; abbiamo bisogno di riuscire ad avere un atteggiamento di conversione, di cambiare vita, di aprirci a Dio, agli altri, di farcela a uscire fuori, per andare incontro agli altri, come ci dice tante volte Papa Francesco.

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Corso Esorcismo. Mons. Martinelli: vita sacramentale più intensa

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Al via ieri all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma la XII edizione del corso ‘Esorcismo e preghiera di liberazione’. Obiettivo del ciclo di lezioni e tavole rotonde che si concluderà sabato prossimo, sarà quello di offrire a sacerdoti e laici “gli strumenti idonei di formazione su un argomento a volte sottaciuto e controverso: quello della pratica dell’esorcismo e della preghiera di liberazione". Tra gli importanti relatori di respiro internazionale, anche mons. Raffaello Martinelli, vescovo di Frascati. Federico Piana lo ha intervistato: 

R. – Penso che sia un tipo di servizio che viene offerto per riflettere insieme, per individuare anche modi migliori di intervenire in questo campo.

D. – Questo corso parla di tematiche – vedi il demonio, preghiera di liberazione, temi legati all’esorcismo – che molto spesso non trovano tanto spazio nella predicazione. Per quale motivo, secondo lei?

R. – Effettivamente, si riscontra che sono argomenti un po’ caduti in disuso, anche nella nostra predicazione e nella nostra catechesi, però, quello che è anche bello e interessante, è che il Catechismo, quando parla di questi argomenti, come del demonio, del diavolo, di Satana, dei Novissimi e via dicendo, lo fa sempre evidenziando e mettendo in risalto l’opera di Cristo e quindi, indirettamente, il Catechismo fa risaltare quanto sia preziosa, quanto sia bella, quanto sia potente, quando sia efficace l’azione di Cristo nei nostri confronti, quando ci preserva o ci libera da questo potere del diavolo, che - sappiamo bene - non è che se ne stia con le mani in mano, ma si dà da fare. Ma nello stesso tempo, è Cristo che lo vince, Colui che ci preserva nella lotta contro questo potere che, appunto, è il diavolo. Quindi, è importante essere anche noi capaci, nella nostra predicazione, nella nostra catechesi, di parlare di questi argomenti, anche perché diverse persone si rivolgono anche a noi sacerdoti, a noi vescovi, chiedendo appunto un aiuto; possiamo quindi far risaltare sempre di più e sempre meglio l’azione di Dio che, attraverso il suo Figlio morto e risorto e nella potenza dello Spirito Santo, ci dà veramente una mano potente e ci preserva e ci libera, appunto, da queste potenze.

D. – Bisogna ricordare – e questo lo si farà in questo corso – che prima di arrivare all’esorcismo e alla preghiera di liberazione, che sono mezzi straordinari, bisogna utilizzare i mezzi che la Chiesa da sempre ci mette a disposizione …

R. - Ad esempio, l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, la partecipazione a una vita sacramentale più intensa, più partecipata attraverso il Sacramento della Confessione, il Sacramento dell’Eucaristia … Poi, certo, abbiamo anche queste preghiere speciali, tipo l’esorcismo, e senz’altro anche queste sono importanti! Però, molte volte capita che persone che chiedono magari l’intervento speciale, dimenticano e non praticano i mezzi ordinari che la nostra fede cristiana ci mette a disposizione e che d’altra parte anche il Catechismo ci raccomanda in continuazione.

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Nord Sinai. Cristiano ucciso da un gruppo armato

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Un gruppo di uomini armati ha ucciso a colpi di pistola un cristiano egiziano, all’interno di un negozio di barbiere. L’esecuzione – riporta l'agenzia Asianews -  è avvenuta nella tarda serata del 6 maggio scorso nella città di Al-Arish, capoluogo del governatorato del Nord Sinai già teatro nelle scorse settimane di un’ondata di violenze contro la minoranza religiosa che ha causato la fuga di centinaia di famiglie. Nella zona operano bande armate e gruppi jihadisti affiliati allo Stato islamico, che contendono il controllo del territorio alle forze di sicurezza del Cairo.

Già uccisi altri 7 cristiani nel Sinai Settentrionale in queste settimane
L’ultimo attacco di una lunga serie è giunto all’indomani di una nuova minaccia lanciata da Daesh, che annuncia ulteriori attentati contro cristiani e loro proprietà nella regione. Il gruppo jihadista ha rivendicato l’assassinio in un breve messaggio diffuso nella giornata di ieri sull’agenzia ufficiale del “Califfato” Aamaq. Fonti ufficiali della sicurezza riferiscono che la vittima è il 50enne Nabil Saber Ayoub. Prima di lui nel Sinai settentrionale erano stati uccisi altri sette cristiani, nel contesto di attacchi perpetrati da jihadisti affiliati all’Is.

Da dicembre 75 cristiani vittime del terrorismo jihadista
In totale dal dicembre scorso sarebbero almeno 75 i membri della minoranza religiosa (il 10% circa del totale della popolazione) a essere morti sotto i colpi dei fondamentalisti islamici. Fra questi le vittime delle esplosioni alle chiese del mese scorso e i fedeli deceduti nel contesto dell’attacco contro la cattedrale copta di san Marco in Abassiya, al Cairo, a dicembre.

La campagna di violenze aumentata dopo la deposizione di Morsi
I gruppi egiziani affiliati all’Isis promuovono da tempo una insurrezione nell’area, colpendo nell’ultimo periodo quanti vengono accusati di essere informatori delle autorità. I sequestri e le uccisioni brutali servono da deterrente per l’intera popolazione. La campagna di violenze si è intensificata alla fine del 2013, in seguito alla deposizione e all'arresto dell’ex presidente Mohammad Morsi, leader dei Fratelli musulmani, movimento ora fuorilegge.

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Si è spento Marco Tecilla, il primo "focolarino" a Trento

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Si è spento ieri pomeriggio, a 91 anni, Marco Tecilla, il “primo focolarino”, cioè il primo giovane che, a Trento, volle seguire Chiara Lubich nella sua stessa scelta di Dio e nella strada del focolare, agli inizi del Movimento da lei fondato. “Siamo tutti intorno a lui in un abbraccio che unisce cielo e terra, con infinita gratitudine», così Maria Voce, la presidente dei Focolari, ha annunciato la sua scomparsa. I funerali saranno celebrati domani alle ore 11 al Centro del Movimento dei Focolari a Castel Gandolfo, Roma.

Una vita lunga, movimentata e per tanti versi straordinaria quella di Marco, un semplice operaio diventato testimone e apostolo dell’unità prima in diverse città italiane, poi in Sudamerica e nell’allora Cecoslovacchia, superando la “cortina di ferro”; poi di nuovo in Italia, dal sud al nord e infine a Rocca di Papa, presso la sede centrale del Movimento.

Verso la fine del 1945 Marco Tecilla era un “buon cattolico tradizionalista”, prevenuto verso ogni fermento di novità nel campo religioso. Invitato suo malgrado ad un incontro spirituale la cui animatrice era Chiara, rimase conquistato dallo slancio e dalla convinzione con cui lei parlava di Dio Amore. Per non perdere la luce che aveva appena intravisto trovò il modo di mantenere i contatti con Chiara e le sue compagne nel modo a lui più congeniale: andando a fare riparazioni elettriche nel povero alloggio dove abitavano quelle ragazze. “Avevo così modo di ascoltare le loro conversazioni - raccontava spesso - che erano sempre di carattere spirituale, quegli argomenti mi interessavano e a poco a poco dentro di me cominciava a sciogliersi qualcosa. Ogni volta che mi chiamavano era sempre un tuffo di gioia”. Di lì a poco la decisione di formare il primo focolare maschile a Trento insieme ad un altro giovane. La sua vita, Marco la spese poi tutta nel cercare di vivere la spiritualità incentrata sul Vangelo proposta dalla Lubich e di parteciparla ad altri, senza compromessi.

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Salvador. Plenaria del Celam su: "Una Chiesa povera per i poveri"

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Al via la XXXVI Assemblea Generale del Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam) che da oggi fino al 12 maggio, vedrà riuniti a San Salvador i membri della direzione, i responsabili dei dipartimenti e i presidenti e delegati delle Conferenze episcopali dell’America Latina e dei Caraibi.  “Una Chiesa povera per i poveri” è il tema dell’incontro che quest'anno coincide con il centenario della nascita di mons. Romero. Alla presentazione dell’evento il segretario generale del Celam, mons. Juan Espinoza, ha spiegato che l’incontro si svolgerà su due direttrici: la discussione del lavoro dei dipartimenti e delle conferenze episcopali e la riflessione sugli obiettivi pastorali del Celam perché diventi ‘una Chiesa in uscita’ e missionaria come proposto dalla Conferenza di Aparecida”.

Verso un nuovo Sinodo dei vescovi per America
Oltre ai 22 Paesi della America Latina e dei Caraibi che formano il Celam, parteciperanno anche rappresentanti delle Conferenze episcopali di Stati Uniti e di Canada. Il segretario generale del Celam ha ricordato che le relazioni di comunione con la Chiesa nordamericana sono sempre più stretti.  “Durante l’incontro – ha detto mons. Espinoza - si parlerà anche della possibilità di realizzare un Sinodo dei vescovi per l’America in continuità con quello svoltosi 20 anni fa”. In questo contesto, il vescovo colombiano ha ricordato che, nel videomessaggio diffuso lo scorso agosto in occasione del Giubileo Continentale della Misericordia, Papa Francesco aveva detto che questo evento gli ricordava il Sinodo per l’America. “Ciò significa – ha osservato - che l’iniziativa di riunire la Chiesa del continente è apprezzata, perché  motiva l’incontro e incoraggia la cooperazione”.

Nel ricordo di mons. Romero “voce dei senza voce”
L’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar, insieme a mons. Juan Espinoza hanno presentato la plenaria iniziata oggi come un’occasione unica per onorare la memoria del beato Arnulfo Romero, proprio nel centenario della sua nascita. Anche il tema dell’Assemblea è ispirato alla questa figura di “voce dei senza voce” e alla sua lotta fino alla morte in difesa dell’ “opzione preferenziale per i poveri” della Chiesa. “Romero – ha detto mons. Espinoza - è stato toccato e si è convertito dal suo contatto con i poveri ed è significativo che tutta la Chiesa del continente dedichi adesso un’Assemblea di questa portata ai poveri”. L’arcivescovo Escobar ha sottolineato che l’anniversario della nascita di Romero, la sua testimonianza di vita e il suo ministero episcopale, è stato indubbiamente il motivo fondamentale della scelta di San Salvador come sede di questa plenaria. Egli ha inoltre ricordato che quest’anno si celebrano i 500 anni della creazione dell’arcidiocesi di San Salvador. (A cura di Alina Tufani)

 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 129

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.