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Sommario del 31/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Gesù è sempre in mezzo alla gente ma non cerca la popolarità

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Se con perseveranza teniamo il nostro sguardo rivolto a Gesù, scopriremo con stupore che è Lui che guarda con amore ognuno di noi: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la Memoria liturgica di San Giovanni Bosco. Il servizio di Sergio Centofanti

Gesù non massifica, guarda ognuno di noi
L’autore della Lettera agli Ebrei ci esorta a correre nella fede “con perseveranza, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.  Nel Vangelo è Gesù che ci guarda e si accorge di noi. Lui ci è vicino – spiega Papa Francesco - “è sempre in mezzo alla folla”:

“Non è con le guardie che gli fanno la scorta, affinché la gente non lo toccasse. No, no! E’ rimasto lì e la gente lo stringe. E ogni volta che Gesù usciva, c’era più folla. Gli specialisti delle statistiche forse avrebbero potuto pubblicare ‘Cala la popolarità del Rabbi Gesù’… Ma lui cercava un’altra cosa: cercava la gente. E la gente cercava Lui: la gente aveva gli occhi fissi su di Lui e Lui aveva gli occhi fissi sulla gente. ‘Sì, si, sulla gente, sulla moltitudine’ – ‘No, su ognuno!’. E questa è la peculiarità dello sguardo di Gesù. Gesù non massifica la gente: Gesù guarda ognuno”.

Gesù guarda le cose grandi e le cose piccole
Il Vangelo di Marco racconta due miracoli: Gesù guarisce una donna malata di emorragia da 12 anni che, in mezzo alla folla, riesce a toccargli il mantello. E si accorge di essere stato toccato. Poi, risuscita la figlia dodicenne di Giàiro, uno dei capi della sinagoga. Si accorge che la ragazza ha fame e dice ai genitori di darle da mangiare:

“Lo sguardo di Gesù va al grande e al piccolo. Così guarda Gesù: ci guarda tutti, ma guarda ognuno di noi. Guarda i nostri grandi problemi o le nostre grandi gioie, e guarda anche le cose piccole di noi. Perché è vicino. Gesù non si spaventa delle grandi cose, ma anche tiene conto delle piccole. Così ci guarda Gesù”.

Lo stupore dell’incontro con Gesù
Se corriamo con perseveranza, tenendo fisso lo sguardo su Gesù” – afferma Papa Francesco – ci accadrà quanto è successo alla gente dopo la risurrezione della figlia di Giàiro, che fu presa “da grande stupore”:

“Io vado, guardo Gesù, cammino davanti, fisso lo sguardo su Gesù e cosa trovo? Che Lui ha fisso il suo sguardo su di me! E questo mi fa sentire questo grande stupore. E’ lo stupore  dell’incontro con Gesù. Ma non abbiamo paura! Non abbiamo paura, come non ha avuto paura quella vecchietta di andare a toccare l’orlo del manto. Non abbiamo paura! Corriamo su questa strada, sempre fisso lo sguardo su Gesù. E avremo questa bella sorpresa, che ci riempirà di stupore: lo stesso Gesù ha fisso il suo sguardo su di me”.

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Papa incoraggia i cattolici di Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo

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Il Papa incoraggia la piccola minoranza cattolica in Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo. Ieri  ha ricevuto per la visita "ad limina" i vescovi di questa grande area balcanica, riuniti nella Conferenza episcopale internazionale dei Santi Cirillo e Metodio: al centro del colloquio le speranze e le difficoltà di questa piccola Chiesa che vive in mezzo a una maggioranza ortodossa o islamica, tra tante difficoltà ma con lo spirito di portare ovunque la riconciliazione. Sull’incontro con il Papa ascoltiamo l’arcivescovo di Belgrado, Stanislav Hočevar, al microfono di padre Ivan Herceg: 

R. – Per noi vescovi della Conferenza episcopale internazionale dei Santi Cirillo e Metodio, questa udienza è stata veramente una bellissima sorpresa per vari motivi. Il Santo Padre ci ha ricevuto con tanta semplicità, cordialità, apertura; ci ha subito invitato ad esprimere tutti i nostri desideri, tutte le nostre difficoltà, visioni e proposte. Noi vescovi, tutti, abbiamo presentato le nostre problematiche più grandi.

D. - Qual è la vostra realtà?

R. - Per quelli che non conoscono tanto la nostra realtà, dobbiamo sottolineare che siamo vescovi di Serbia, Kosovo, Montenegro e Macedonia. Qui i cattolici sono in minoranza assoluta; in alcuni Paesi sono cattolici appartenenti ad altre minoranze etniche, ci sono diverse tradizioni e riti. La complessità è grande e a tale riguardo un vescovo si è espresso meravigliosamente dicendo: “La nostra realtà è molto complessa, ma non complichiamo le cose”. Quindi abbiamo esposto al Santo Padre i nostri problemi principali su come vivere insieme il dialogo teologico ed ecumenico con la Chiesa maggioritaria ortodossa serba, poi su come orientare il nostro dialogo con la comunità islamica, perché molti nostri fratelli emigrano negli altri Paesi europei o extraeuropei; ci sono tantissimi migranti sulla cosiddetta ”rotta balcanica”. Le nostre Chiese locali non solo sono molto variegate, ma sono anche molto povere.

D. - Cosa ha detto il Papa?

R. - Il Santo Padre si è vivamente interessato nel cercare un modo per aiutarci, lo stesso per quanto riguarda le vocazioni sacerdotali e religiose e su come possiamo continuare la nostra missione in mezzo a tutte queste difficoltà. Si è espresso riguardo a tutto questo con un bellissimo umorismo e con una semplicità e cordialità, ma anche con un’ispirazione evangelica speciale. Ci ha  veramente tanto arricchito: tutti noi vescovi siamo molto riconoscenti.

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Tweet: come Gesù, condividiamo la sofferenza dei malati

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Papa Francesco, in un tweet pubblicato oggi alle 13.45 sull’account @Pontifex in nove lingue, scrive: “Imitiamo l’atteggiamento di Gesù verso i malati: Lui si prende cura di tutti, condivide la loro sofferenza e apre il cuore alla speranza”. 

Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del malato
Il prossimo 11 febbraio, nella Memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Malato, giunta alla sua 25.ma edizione. Nel messaggio scritto per l’occasione e intitolato “Stupore per quanto Dio compie: «Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente...» (Lc 1,49)”, il Papa esprime la sua vicinanza a quanti vivono l’esperienza della sofferenza e alle loro famiglie, così come il suo “apprezzamento a tutti coloro che, nei diversi ruoli e in tutte le strutture sanitarie sparse nel mondo, operano con competenza, responsabilità e dedizione” per il sollievo, la cura e il benessere quotidiano dei malati. Francesco incoraggia tutti, “malati, sofferenti, medici, infermieri, familiari, volontari, a contemplare in Maria, Salute dei malati, la garante della tenerezza di Dio per ogni essere umano e il modello dell’abbandono alla sua volontà; e a trovare sempre nella fede, nutrita dalla Parola e dai Sacramenti, la forza di amare Dio e i fratelli anche nell’esperienza della malattia”.

Diffondere cultura della vita
Di fronte alle sfide attuali in ambito sanitario e tecnologico, il Papa ribadisce quindi l’inalienabile dignità di ogni malato, che ha sempre la sua missione nella vita e non diventa mai mero oggetto anche se portatore di disabilità gravissime, e invita a “trovare nuovo slancio per contribuire alla diffusione di una cultura rispettosa della vita, della salute e dell’ambiente; un rinnovato impulso a lottare per il rispetto dell’integralità e della dignità delle persone, anche attraverso un corretto approccio alle questioni bioetiche, alla tutela dei più deboli e alla cura dell’ambiente”.

Parolin, inviato del Papa a Lourdes
Il Santo Padre ha nominato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, suo Legato per la celebrazione della Giornata a Lourdes.

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Parolin: popoli non si chiudano, la solidarietà è l'alternativa al terrore

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Contro le minacce alla pace e alla sicurezza, oggi più che mai non serve chiudersi nei propri interessi, ma “fare della solidarietà tra le persone e i popoli l’alternativa alle armi, alla violenza, al terrore”: è quanto ha detto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in viaggio in Madagascar in occasione delle celebrazioni per i 50 anni dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e il Paese insulare al largo della costa orientale dell’Africa.

Si tratta – ha detto il porporato – di promuovere l’incontro e il dialogo tra uomini e donne appartenenti a gruppi etnici, culture e religioni differenti. E’ in questa diversità che il futuro di una nazione, come il Madagascar, deve trovare ispirazione. Occorre “unire idee diverse, opposte opinioni politiche, visioni religiose e persino ideologie differenti” per servire la causa dell’uomo, la pace, la giustizia.

 “Si tratta di un percorso difficile e incerto nei suoi risultati” - ha sottolineato - ma come il Papa ha detto al Corpo diplomatico il 9 gennaio scorso "la pace si conquista con la solidarietà” e non rifugiandosi “nelle piccole nicchie di interesse, nelle chiusure individualistiche e nel nazionalismo più o meno mascherato, che colora ormai il paesaggio di un mondo post-globale. Se, in relazione alla globalizzazione era importante non essere esclusi – ha proseguito - nella realtà post-globale in cui siamo immersi, la prima idea è quella di proteggersi, di chiudersi in rapporto a ciò che ci circonda in quanto percepito come fonte di pericolo o di contaminazione di idee, culture, visioni religiose, di processi economici". E così "l'unità di intenti e il desiderio di cooperare lascia il posto” a “una crescente frammentazione con tutti i rischi previsti e prevedibili”.

“Il metodo più sicuro per costruire un avvenire migliore – ha osservato - consiste nel ristabilire la dignità di quelli che soffrono”. Cita quindi il discorso del Papa al Congresso degli Stati Uniti, il 24 settembre 2015: “Essere al servizio del dialogo e della pace significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo. Qui dobbiamo chiederci: perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società? Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente. Davanti a questo vergognoso e colpevole silenzio, è nostro dovere affrontare il problema e fermare il commercio di armi”.

Le frontiere, dunque, non si chiudono sempre, ma sono ben aperte quando si tratta di guadagnare: “In questo momento di crisi – precisa il segretario di Stato - non è sufficiente essere solidali e saper condividere, ma è necessario agire con giustizia per quanto riguarda i Paesi” più poveri. Infatti, “l'uso delle risorse naturali e il loro sfruttamento non si è mai fermato davanti alle frontiere di uno Stato o all'identità di un popolo”: così “gran parte della popolazione mondiale paga quotidianamente” le conseguenze di “povertà, sottosviluppo, sfruttamento”.

E’ necessario – afferma il cardinale Parolin - reagire con una visione che pone prima di ogni interesse la causa dell'uomo, perché nessuno sia costretto a vivere – e qui cita ancora Papa Francesco - senza "il senso di appartenenza a una famiglia, a un popolo, a una terra, al nostro Dio. Quella orfanezza che trova spazio nel cuore narcisista che sa guardare solo a sé stesso e ai propri interessi e che cresce quando dimentichiamo che la vita è stata un dono, che l’abbiamo ricevuta da altri, e che siamo invitati a condividerla in questa casa comune”. (Omelia 1 gennaio 2017)

Il card. Parolin conclude con un ultimo pensiero del Papa: “Non si può dare la pace senza l’umiltà. Dove c’è la superbia, c’è sempre la guerra, sempre la voglia di vincere sull’altro, di credersi superiore. Senza umiltà non c’è pace e senza pace non c’è unità". (Omelia a Santa Marta, 21 ottobre 2016).

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Oggi in Primo Piano



Strage Quebec City. incriminato studente 27enne francocanadese

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In Canada è stato incriminato per omicidio premeditato e tentato omicidio, Alexandre Bissonette, lo studente 27enne francocanadese, arrestato per l'attacco di ieri alla moschea di Quebec City, in cui sono morte sei persone. Il secondo sospettato, Mohamed Khadir, di origine marocchina, è stato rilasciato. Per il premier Trudeau si tratta di “un attacco terroristico contro i musulmani” che ha ferito tutto il Paese. Oggi si tengono veglie di preghiera a Quebec City per le vittime della strage. Massimiliano Menichetti ha intervistato Valentina Carlini portavoce del Cir, il Centro Italiano Rifugiati: 

R. – Penso che le migliori parole per commentare quanto sia successo in Canada sono quelle che ha usato il premier Trudeau. Lui ha parlato di un attentato contro la comunità islamica canadese e ha parlato di un attentato fatto a tutti i cittadini canadesi e quindi anche i cittadini di religione musulmana. Credo che questo modo di commentare l’attentato sia il modo migliore. E’ un attentato cruento che ha colpito tutta l’opinione pubblica occidentale.

D. – La prima paura era che fosse di matrice jihadista, l’Is invece non c’entra nulla secondo le indagini. Eppure alcuni compiono l’equazione musulmano uguale terrorista…

R. – Purtroppo questa polarizzazione non fa veramente bene a nessuno. Questo attentato è il frutto di un odio verso la comunità islamica in Canada ma purtroppo è un odio che si sta diffondendo sempre più velocemente contro i musulmani nel nord America e molto spesso anche in Europa. Ed è un odio che va a esacerbare dinamiche di integrazione veramente molto complesse, su cui dovremmo ragionare in termini diversi come quelli di accoglienza, di apertura e di inclusione.

D. – Colpisce che il primo ministro canadese Trudeau, mentre il presidente statunitense Trump ha chiuso le frontiere, al contrario ha detto: “Tutti saranno accolti”…

R. - Io credo che  Trudeau abbia fatto dichiarazioni di una forza e di una importanza morale incredibile. Trudeau ci ha detto che i valori fondanti del suo Canada, del suo Paese, sono quelli dell’accoglienza. Voglio ricordare che Trudeau è lo stesso che nel momento in cui c’è stato l’ordine esecutivo di Trump la scorsa settimana ha twittato: “Noi invece li accogliamo i rifugiati siriani”. Trudeau è lo stesso che si è commosso di fronte a una famiglia siriana finalmente arrivata al sicuro in Canada. Trudeau sta interpretando quei valori democratici che penso siano alla base del Canada ma anche dell’Europa. E credo che interpreti in maniera piena, forte e molto consapevole un’opinione pubblica mondiale che sta emergendo in questi giorni e che sta urlando contro delle politiche che non vogliono risolvere alcun problema ma solamente cristallizzarlo e, come abbiamo detto prima, esacerbare un clima sociale che non potrà che peggiorare nel prossimo futuro.

D. – Potremmo dire che la strada del Canada sia un esempio concreto di come si possono accogliere persone che hanno bisogno di copertura e di assistenza senza abbassare la guardia nei confronti del terrorismo che minaccia tutto il mondo…

R. – Sicuramente il Canada è un esempio virtuoso. E’ una nazione che è favorita per una serie di insiemi, tra cui un’economia molto forte, un sistema di welfare molto strutturato… E’ un Paese molto ampio con grandi possibilità di integrazione, un Paese giovane, un Paese fatto da migranti che sono arrivati negli ultimi due secoli. Sicuramene il Canada interpreta tutto questo come lo ha interpretato da molto tempo l’America ma allo stesso tempo quello che ci sta dicendo il Canada è che la nostra sicurezza non può prescindere dall’accoglienza e dal trattare come cittadini di serie A tutti quelli che si affacciano volendosi integrare sui nostri territori e che si affacciano sicuramente in cerca di protezione come i rifugiati che scappano dalla Siria, per queste persone solamente una politica dignitosa di accoglienza e integrazione può garantire la loro sicurezza. E garantendo la loro sicurezza e integrazione garantisce la sicurezza di tutti quanti.

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Vescovi canadesi: con l'attentato violato il carattere sacro della vita

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Dura e ferma condanna dell’attacco al Centro culturale islamico del Quebec dei vescovi canadesi che hanno diffuso un comunicato a firma del loro presidente, mons. Douglas Crosby, vescovo di Hamilton. Nel testo, ripreso dall'agenzia Sir, i vescovi si dicono “scioccati” e condannano “nei termini più fermi tali gesti di violenza mortale”. Si tratta, scrivono nel comunicato, “di una violazione del carattere sacro della vita umana, un attentato ai diritti e alla libertà dei membri di tutte le religioni di radunarsi e di pregare secondo le loro convinzioni più profonde. Una ferita alla pace, all’ordine e alla tranquillità del nostro Paese e delle sue comunità, la profanazione di un luogo di preghiera e di adorazione”.

La preghiera dei cattolici canadesi
I vescovi canadesi si uniscono a Papa Francesco e al card. Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Quebec e primate del Canada, per presentare alle vittime, alle loro famiglie e agli amici le condoglianze e le preghiere anche dei cattolici canadesi. “Come persone di fede preghiamo sinceramente per l’anima delle vittime e perché la consolazione e la pace siano nel cuore di coloro che soffrono per la perdita dei loro cari”. 

Molte parrocchie accolgono i siriani di religione musulmana
​Questa strage "colpisce in maniera brutale la nostra società - afferma mons. Lionel Gendron, vescovo di Saint-Jean-Longueuil (Quebec) - che si credeva al riparo da questi pericoli. Sono mesi - aggiunge il presule - che molte comunità, tra le quali numerose parrocchie, stanno accogliendo con gioia tanti rifugiati, soprattutto siriani, e la maggioranza sono musulmani. I musulmani credevano di arrivare in un paradiso. Ora – conclude – la paura rischia di riprenderli di nuovo”. (R.P.)

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Canada. Strage in moschea: una Messa per le vittime dell’attentato

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Dopo lo choc per la brutalità del male, oggi a Québec City è il tempo della solidarietà. Una Messa in ricordo delle vittime dell’attentato si terrà questa sera alle 19 (ora locale) nella chiesa Notre-Dame-de-Foy che si trova proprio di fronte al Centro culturale islamico. La diocesi ha anche invitato la popolazione a unirsi ieri pomeriggio per una una Veglia che è terminata con una marcia in solidarietà alla comunità musulmana proprio davanti al Centro culturale islamico. 

La vicinanza della Chiesa alle famiglie delle vittime e alle comunità musulmane
I partecipanti hanno portato candele, lettere, messaggi per “testimoniare la vicinanza alle famiglie delle vittime, alle comunità musulmane e a tutte le persone che frequentano il Centro”. La risposta è andata oltre ogni aspettativa e i media locali hanno stimato una partecipazione di 5mila persone. Già due ore prima dell’appuntamento, la gente si era  accalcata davanti alla chiesa di Notre-Dame-de-Foy.

Messaggio ai musulmani del Canada del card. Lacroix
La diocesi, infine, invita tutti i fedeli cattolici a partecipare numerosi sabato 4 febbraio alla manifestazione di solidarietà organizzata dal Centro culturale islamico davanti alla Grande moschea. A sostenere le iniziative è il card. Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec, che ieri prima di partire da Roma per il Canada, ha scritto un messaggio di solidarietà alla comunità musulmana del Paese. 

L’odio è l’espressione più oscura della nostra umanità
​“Questo atto di violenza che abbiamo vissuto alla Grande moschea di Québec – scrive il cardinale che ieri ha incontrato Papa Francesco -, ci tocca tutti, cristiani e non. L’odio è l’espressione più oscura della nostra umanità. Il popolo del Québec è sempre stato conosciuto come un popolo che vuole vivere nella pace e nel rispetto. Noi risponderemo a questi atti odiosi con la nostra solidarietà e ci impegneremo a continuare a costruire una società in cui la pace sociale e il rispetto di tutte le culture guidino la vita quotidiana”. (R.P.)

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Onu: illegale il bando anti immigrazione di Trump

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Continuano a far discutere le decisioni anti-immigrazione del presidente americano Donald Trump. L’Onu si è schierato contro il bando che proibisce gli ingressi da sette Paesi a maggioranza islamica. Preoccupazione anche della Chiesa caldea in Iraq nel timore che le misure del capo della Casa Bianca possano provocare rappresaglie contro le comunità cristiane nei Paesi islamici. Il servizio di Giancarlo La Vella

“Le decisioni di Trump rischiano di diventare una trappola per i cristiani che potrebbero subire ritorsioni da chi li identifica con tutto ciò che è occidentale”. A parlare è stato il Patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale irachena, Louis Raphaël I Sako, in un’intervista al Tg2000 della televisione della Cei. “Coloro che hanno un legame col terrorismo - ha detto - non devono entrare negli Stati Uniti, ma le altre persone che cercano sicurezza per le proprie famiglie devono invece avere questa possibilità”. “Questo è un diritto dell’uomo”, ha concluso il Patriarca. Ma per Trump il muro con il Messico, le porte sbarrate negli Usa a chi proviene da Iran, Iraq e Yemen, Siria, Libia, Sudan e Somalia, rappresentano misure necessarie in questo momento storico, per proteggere la nazione americana dal terrorismo, innanzitutto. Una posizione ferma, tanto che il capo della Casa Bianca ieri ha licenziato Sally Yates, ministro della Giustizia reggente dell'epoca Obama, che aveva ordinato al suo dipartimento di non difendere in tribunale il decreto presidenziale sull’immigrazione, che poi di fatto ha ricevuto il veto della magistratura. La stretta di Trump sugli immigrati sta provocando indignazione generale in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti. L’Onu stigmatizza il bando come illegale. La cancelliera tedesca Merkel giudica il provvedimento non giustificato dalla lotta al terrorismo. E anche Barack Obama fa di nuovo sentire la sua voce di fronte a quella che appare solo come una discriminazione religiosa. E sulle decisioni anti-immigrazione di Donald Trump, Fabio Colagrande ha intervistato il direttore della Stampa, Maurizio Molinari:

R. – Trump aveva detto durante la campagna elettorale che avrebbe tentato di proteggere l’America anche sul fronte dell’immigrazione e in particolare da quei Paesi da cui sono provenuti e provengono la maggioranza dei terroristi in circolazione. Quindi sotto questo punto di vista dobbiamo leggere la scelta di Trump come coerente risposta al proprio programma elettorale. Non c’è dubbio che è uno di quei temi sui quali l’America si divide, ciò che più conta sul fronte delle proteste, sono le azioni dei giudici come quelle che hanno stabilito uno stop all’applicazione della norma, facendo appunto appello ai principi costituzionali. Stiamo vedendo l’anticipo delle battaglie profonde che segneranno l’America nei quattro anni di Trump fra i liberal e il popolo di Trump.

D. - Trump ha detto di muoversi in continuità con normative volute dal suo predecessore Obama: quanto è vero questo?

R.  – C’è una differenza di fondo. Il profiling - perché di questo stiamo parlando, ovvero di un rafforzamento degli esami su chi arriva - era adoperato anche durante la stagione di Obama ma non era prettamente dichiarato e non avveniva a norma di legge, questa è la differenza. Una cosa è identificare in maniera particolare chi arriva dalla Siria, dall’Iraq, dal Sudan, dallo Yemen, dalla Libia e dall’Iran, senza dirlo ma farlo, come avveniva durante la stagione di Obama; un’altra cosa è trasformarlo in provvedimento che vincola tutti a norma di legge, come adesso fa Trump.

D. – Quale può essere l’effetto di queste decisioni nei rapporti tra Sati Uniti e Unione europea?

R. – Non credo che ci saranno ripercussioni internazionali destinate a lasciare il segno. Credo invece che lo scontro in atto dentro gli Stati Uniti è destinato ad essere sempre più profondo, più duro e più aspro. Nella cultura politica americana lo scontro fra opposte interpretazioni della legge e della Costituzione segna i passaggi storici e ognuna delle parti si batte fino in fondo chiamando a proprio vantaggio e sostegno singoli precedenti sul piano del diritto e della politica costituzionale. Quindi a questo noi dovremmo fare attenzione: all’entità dello scontro interno all’America perché da questo dipenderanno i cambiamenti possibili o quelli che non avverranno.

D. - Trump rischia l’impeachment per questo?

R.   Assolutamente no. Trump rischia l’impeachment in realtà solo se ci sarà un’inchiesta federale sui suoi presunti contatti con la Russia e dimostrerà che era al corrente di reati commessi a carico di cittadini americani.

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Siria. Aleppo vuole tornare a vivere. Ritornate alcune famiglie

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In Siria si continuano a registrare violazioni della tregua anche se in generale in cessate-il-fuoco sembra reggere in diverse zone del Paese. Intanto nella devastata città di Aleppo, dopo 4 anni di guerra, è tornato a viaggiare un treno e si è addirittura giocata una partita di calcio ufficiale tra le due squadre locali. Luca Collodi ne ha parlato con padre Ibrahim Alzabagh, parroco della chiesa latina di San Francesco, raggiunto telefonicamente ad Aleppo: 

R.  – E’ già un segno positivo e ci incoraggia sempre di più, dopo questa fase di guerra che è durata più di 5 anni. Si cerca di ricostruire l’unità sociale che purtroppo è venuta meno durante questi anni. Rimane sempre una sfida! Ci sono segni di avvicinamento e di comunione, ma rimane sempre una sfida.

D. – Aleppo a livello sportivo aveva e ha una sua storia molto importante, addirittura ci sono due squadre di calcio ma anche un grande stadio, oggi inagibile…

R. – Sì e dentro questo stadio tante volte anche i nostri giovani scout hanno giocato, nonostante la guerra, cercando un po’ di sfogarsi attraverso questi giochi.

D.  – Lo sport può contribuire alla pacificazione del Paese?

R. - Sicuramente fa parte della cultura e quindi può sempre contribuire positivamente  alla comunione e può fare anche un po’ uscire la tensione negativa, magari nei confronti dell’altro. Quindi sicuramente ha il suo ruolo importante.

D. - Questa partita ha visto sugli spalti circa 4-5 mila persone: non ci sono stati incidenti, anche questo è un altro dato importante…

R. – Sì, è quello che abbiamo potuto notare con grande gioia. Sicuramente c’è una grande maggioranza di persone e di famiglie che vogliono lasciar stare la guerra e le contese e pensare al bene di tutti. Sicuramente è una reazione post-guerra… Vedendo i risultati di questa guerra, tanti cominciano a dire: veramente valeva la pena fare tutto quello che abbiamo fatto?

D. – Questo ritorno alla normalità di Aleppo non passa soltanto per una partita di calcio ma anche per un treno che è tornato ad unire la capitale economica, cioè Aleppo, con Baghdad…

R. – Sì… Abbiamo tanti segnali negativi, invece: quelli, per esempio, della mancanza dell’acqua che influenza molto la vita della gente in questi giorni. Ma c’è la volontà da parte del governo di rifare di Aleppo una città produttiva, non soltanto che consuma, ma una città che riesce a produrre per poter avere delle entrate: c’è questo treno ma anche tante cose che si fanno proprio in questa direzione.

D.  – Molte persone stanno tornando nelle loro case?

R. -  Abbiamo dei segni, anche questi sono positivi, di famiglie nostre, per esempio, che ritornano, ci contattano: due famiglie che sono tornate dal Venezuela in questi giorni e una famiglia che è tornata dalla Germania…  Continuiamo ancora a vedere famiglie che si presentano perché sono tornate dall’estero. Però, sicuramente, noi aspettiamo l’onda con la primavera, alla fine del secondo semestre delle scuole.

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Yemen: è crisi umanitaria senza precedenti

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Si complica sempre più la guerra in corso da quasi due anni nello Yemen tra coalizione a guida saudita che sostiene il governo e le fazioni di ribelli sciiti Houti. Intanto sul fronte sanitario e alimentare la popolazione è allo stremo e gli staff internazionali impegnati sul territorio sono a rischio. Il rapporto presentato da Medici Senza Frontiere per la città di Taiz, denuncia il collasso sanitario e la carenza di supporto umanitario. Il servizio di Gabriella Ceraso

A marzo saranno due anni dall’inizio del conflitto civile nello Yemen, tuttora senza soluzione né politica né militare. Il Paese è spaccato in due tra il governo del presidente Hadi trasferitosi ad Aden, riconosciuto dalla comunità internazionale ma non dai ribelli sciiti Houti né dai fedeli all’ex presidente Saleh per lo più militari. Inutile finora anche l’intervento dell’Onu. Eleonora Ardemagni analista dell’Istituto affari internazionali:

“Si è tentato, in queste ultime settimane, di proporre un nuovo piano che individuasse un nuovo presidente riconosciuto da entrambe le parti e che quindi presupponesse che il presidente Alì si facesse da parte. Ma ovviamente questo piano è stato respinto. Non c’è luce anche perché non c’è una iniziativa politica regionale capace di superare questo stallo”.

E il caos alimenta l‘estremismo islamico sia dell’Is che di Al Qaeda nella penisola arabica, il ramo più pericoloso specie nei confronti degli Stati Uniti che bombardano gli islamisti oggi con la nuova presidenza Trump in modo ancora più mirato e non più solo con droni:

“C’è stata un’operazione con un commando militare, quindi con dei soldati statunitensi, in Yemen contro gruppi di Al Qaeda alleati con tribù locali. Questo è la prima operazione militare sul campo degli Stati Uniti in Yemen dall’inizio del conflitto. Probabilmente è un’operazione preparata già nelle precedenti settimane dall’amministrazione Obama, perché va a colpire zone in cui le organizzazioni jihadiste hanno forti legami con le tribù locali; ma che ha anche l’obiettivo di provare a raccogliere informazioni su come funziona Al Qaeda in Yemen e su quale siano l’organizzazione e la gerarchia”.

E’ da due anni che la popolazione soffre della guerra: da 7000 a oltre 10 mila le vittime e chi vive rischia altrettanto. La mancanza di generi alimentari potrebbe tradursi nel 2017 in carestia, secondo l’Onu: già più di due milioni i bambini malnutriti:

“Lo Yemen, già prima dell’inizio del conflitto, era il Paese più povero del Medio Oriente e del Nord Africa. E’ un Paese estremamente giovane e quindi pensiamo alla malnutrizione che colpisce in particolare la fascia giovanile e quello che questo significa in termini di una generazione persa per il futuro, a livello anche di educazione e scolarizzazione”.

A Taiz città emblematica per la crisi umanitaria Medici Senza Frontiere denunciano  servizi sanitari nel mirino, personale minacciato e molestato. E l’assenza di giornalisti contribuisce al silenzio che avvolge lo Yemen considerato erroneamente da molti lontano e ininfluente sugli equilibri europei. 

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Bhatti: possibili emendamenti su legge blasfemia in Pakistan

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In Pakistan è in vista una possibile revisione della legge sulla blasfemia che nell’ultimo trentennio ha provocato centinaia di vittime innocenti. Diversi i cambiamenti procedurali da introdurre alla legge entrata in vigore nel 1986 e che è approdata in Senato in attesa di appositi emendamenti. Sulla possibilità di questa revisione, Giulia Angelucci ha intervistato Paul Bhatti, ex ministro federale pakistano per l’Armonia Nazionale e fratello del ministro cattolico Shahbaz Bhatti ucciso nel 2011 da un estremista islamico: 

R. - Per quanto riguarda la legge sulla blasfemia  penso che la sua revisione sia possibile. Ci sono due fattori connessi: uno è l’ideologia estrema che sostiene questa legge. Indipendentemente dalle minoranze o non minoranze loro accusano chiunque; è stato assassinato anche Salmaan Taseer, governatore musulmano …  Perciò questa ideologia estrema ha bisogno di essere indirizzata in maniera tale che comincino a capire che questo non è quello che la religione insegna, ovvero uccidere in nome di una fede o in nome di una legge se qualcuno insulta un profeta o un libro. Ci sono delle buone prospettive perché all’interno dello stesso governo pakistano, alcuni importanti leader musulmani sono convinti di questo. Purtroppo ci vorrà un po’ di tempo. Per quanto riguarda la revisione in maniera concreta, pratica della legge attualmente sembra un po’ difficile; in Parlamento ci sono tanti estremisti e ogni volta che si fanno proposte ricominciano le minacce … Noi ci battiamo contro il suo uso sbagliato, quello che incrimina le persone innocenti o molto deboli come Asia Bibi.

D. - Al momento a cosa sta lavorando?

R. - In Pakistan abbiamo un’associazione e anche un’associazione “Shahbaz Bhatti onlus” in Italia. Inoltre, abbiamo un movimento rivolto a tutte le minoranze sparse in sette zone del Paese. L’obiettivo non è solo dire che tutto le religioni insegnano la pace, ma rassicurare quella fascia di gente musulmana in Pakistan che crede che i cristiani siano loro nemici e che vogliano danneggiarli. Per noi è importante l’insegnamento del Santo Padre; per noi quello che conta è l’essere umano e la sua libertà. Abbiamo avuto dei consensi sia a livello locale che internazionale.

D. - Qual è la situazione attuale di Asia Bibi?

R. - La mia sensazione è che sia il governo che la giustizia vogliano liberarla.

D. - Cosa crea ostacoli tra l’occidente e il mondo musulmano?

R. - Credo che prima di tutto manchi un’unità internazionale nel mondo arabo e in quello occidentale. Ci vuole un’unità tra gli Stati. A livello internazionale bisogna assicurare che in uno Stato non succeda che una persona non si senta libera e sia costretta a fuggire dal suo Paese perché non è sicuro. Seconda cosa: se ci sono livelli di povertà estrema vanno discussi. Tutti questi Paesi, incluso l’Arabia Saudita, Emirati Arabi, Dubai, e tutta l’Indonesia devono farsi avanti quando si tratta di immigrazione; non solo Germania, Italia o altri Paesi …

D. - In un trentennio di morti innocenti, qual è la situazione attuale sulle persecuzioni dei cristiani in Pakistan?

R. - La persecuzione non riguarda solo i cristiani ma riguarda anche i musulmani. Ci sono delle sette di sciiti, di indù … Se si appartiene alla minoranza c’è poca protezione, poca sicurezza; i poveri non hanno le risorse. Questo è un problema che il Pakistan sta affrontando con molta delicatezza. La mia sensazione, basata su vari fattori, è che la persecuzione stia diminuendo. C’è un miglioramento, se pur piccolo.

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Lavoro: giovani al palo; chance da cooperative e agricoltura

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E’ una fotografia fatta di chiari e di scuri quella scattata dall’Istat, che oggi ha diffuso la rilevazione sul lavoro a dicembre. La disoccupazione rimane invariata, gli occupati stabili aumentano ma sempre meno giovani riescono a trovare un impiego. Alessandro Guarasci: 

La disoccupazione è stabile, al 12%. Un dato non positivo visto che  è superiore alla media Ue. Anche l’occupazione è invariata rispetto a novembre, col 57,3% della forza lavoro, il che si traduce comunque nell’arco di un anno in 242 mila occupati in più, concentrati soprattutto tra i lavoratori dipendenti e gli ultracinquantenni. E qui arrivano le note dolenti. A dicembre il tasso di disoccupazione di chi ha tra i 15 e i 24 anni è pari al 40,1%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente. Ma ci sono comunque alcuni settori dove il lavoro giovanile tira. E’ il caso delle cooperative. Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà Confcooperative:

“L’occupazione giovanile ha risposto, in particolare, nella cooperazione sociale dove giovani e donne, in particolare giovani donne laureate, trovano uno sbocco nella professione di cura, nelle professioni educative. Abbiamo anche dati interessanti rispetto a un sistema che abbiamo attivato che si chiama “Coopforjob”, che è questa piattaforma di incontro-domanda-offerta su cui stiamo avendo risultati interessanti dal punto di vista dei contatti e anche degli avviamenti”.

Attraverso il Coopforjob circa 9.500 giovani hanno trovato lavoro. Un altro settore che va è l’agricoltura. Qui l’occupazione in un anno è cresciuta del 6,5%, con spazi importanti per chi ha meno di 30 anni. Marco Ercolani, vicepresidente dei giovani agricoltori della Cia:

“Si percepiscono molte start up; si vedono, le abbiamo conosciute, e grazie anche alla vetrina di Expo del 2015 abbiamo avuto modo di dare un buon affiancamento anche a molti di questi ragazzi e a condividere conoscenze ed esperienze con questi. Questo non è un traguardo,  ma è un buon punto di partenza”.

In questi giorni sta facendo molto discutere lo strumento dei voucher, perché, soprattutto per la Cgil, sarebbe una forma di sfruttamento mascherato. Ora però il governo pensa di limitarlo solo ai lavori occasionali. Ancora Guerini:

“Per quanto riguarda i nostri associati il ricorso in voucher è irrilevante. Nel settore della cooperazione sociale il contratto di lavoro prevalente continua a essere il contratto a tempo indeterminato o il contratto a tempo determinato ma generalmente anche con periodi piuttosto significativi. Un largo utilizzo del tempo parziale, questo sì, però il voucher non è uno strumento che è stato utilizzato dalle cooperative”.

Un grosso ostacolo, però, per tutte le aziende, che blocca la creazione di nuovi posti di lavoro, è la burocrazia. Sentiamo Ercolani:

“È importante tutelare la qualità del prodotto italiano, perché nella carta e anche nella realtà è un eccellenza  mondiale. Questo però non deve essere un cappio al collo soprattutto quando il prodotto viene portato  nel mercato mondiale e globale, dove un‘indicazione geografica rischia di perdersi. È importante affiancare la certificazione ad una promozione europei dei prodotti italiani”.

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Filippine: fermezza dei vescovi contro la pena di morte

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La violenza in risposta alla violenza? Non risolverà nulla, avvertono i vescovi cattolici. In una dichiarazione rilasciata dopo una Plenaria di tre giorni a Manila, i presuli dicono che la pena di morte non è diversa dal reato che punisce. Ecco perché sono deplorevoli - ha detto il presidente della Conferenza episcopale filippina, l’arcivescovo Socrates Villegas - gli sforzi fatti per ripristinare la pena capitale nel Paese. "Quando condanniamo la violenza, non possiamo essere noi stessi i suoi esecutori - ha affermato - e quando denunciamo l'assassinio, non possiamo noi stessi partecipare ad un omicidio, non importa se accompagnato dalle sovrastrutture del processo giudiziario e legale". "In tutto il mondo – ha aggiunto mons. Villegas -  è evidente il movimento contro la pena capitale, e accordi internazionali, di cui fanno parte le Filippine, ci obbligano a non imporre la pena di morte" .

Il Vangelo della vita è il cuore del messaggio di Gesù
La dichiarazione è stata rilasciata alla vigilia dell'odierna discussione alla Camera del disegno di legge riguardante la pena di morte. La misura consente alla Corte di imporre la morte come punizione per una vasta gamma di crimini efferati, in particolare droghe illegali, stupro e omicidio. Mons. Villegas ha ribadito che il Vangelo della vita è il cuore del messaggio di Gesù: "E' questo Vangelo che dobbiamo predicare. E' questo Vangelo che dobbiamo sostenere". "Pertanto noi inequivocabilmente ci opponiamo a proposte e azioni che ripristinino la pena di morte nel sistema giuridico filippino". "Anche se il crimine è atroce, nessuno mai è senza speranza di redenzione e mai abbiamo il diritto di rinunciare a qualcuno ". (A cura di Anna Poce)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 31

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.