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Sommario del 30/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a Santa Marta: oggi più martiri che nei primi secoli della Chiesa

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La più grande forza della Chiesa oggi è nelle piccole Chiese perseguitate. Lo ha detto il Papa nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Cuore dell’omelia di Francesco, i martiri. “Oggi ce ne sono più dei primi secoli” , “i media non lo dicono” perché non fa notizia, nota il Papa che invita a fare memoria di quanti soffrono il martirio. Il servizio di Debora Donnini

“Senza memoria non c’è speranza”. Lo ricorda Francesco nell’omelia che ruota attorno alla Lettera agli Ebrei nella quale si esorta a richiamare alla memoria tutta la storia del popolo del Signore. Proprio nel capitolo undicesimo, che la Liturgia propone in questi giorni, si parla della memoria. Prima di tutto una “memoria di docilità”, la memoria della docilità di tanta gente, a cominciare da Abramo che, obbediente, uscì dalla sua terra senza sapere dove andava. In particolare poi, nella Prima Lettura odierna tratta sempre dal capitolo undicesimo della Lettera agli Ebrei, si parla di altre due memorie. La memoria delle grandi gesta del Signore, compiute da Gedeone, Barac, Sansone, Davide , “tanta gente – dice il Papa – che ha fatto grandi gesta nella storia di Israele”.

Oggi ci sono più martiri che nei primi secoli: i media non lo dicono perché non fa notizia
E poi c’è un terzo gruppo di cui fare memoria, la “memoria dei martiri”: “quelli che hanno sofferto e dato la vita come Gesù”, che “furono lapidati, torturati", "uccisi di spada”. La Chiesa è infatti “questo popolo di Dio”, “peccatore ma docile”, “che fa grandi cose e anche dà testimonianza di Gesù Cristo fino al martirio”:

“I martiri sono quelli che portano avanti la Chiesa, sono quelli che sostengono la Chiesa, che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E oggi ce ne sono più dei primi secoli. I media non lo dicono perché non fa notizia, ma tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati. Ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo! Questa è la gloria della Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra umiliazione: noi che abbiamo tutto, tutto sembra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo… Ma pensiamo a questi fratelli e sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio!”.

“Non posso dimenticare”, prosegue Francesco, “la testimonianza di quel sacerdote e quella suora nella cattedrale di Tirana: anni e anni di carcere, lavori forzati, umiliazioni”, per i quali non esistevano i diritti umani.

La più grande forza della Chiesa è nelle piccole Chiese perseguitate
Quindi il Papa ricorda che la più grande forza della Chiesa oggi è nelle “piccole Chiese” perseguitate:

“E anche noi, è vero e giusto anche, siamo soddisfatti quando vediamo un atto ecclesiale grande, che ha avuto un gran successo, i cristiani che si manifestano… E questo è bello! Questa è forza? Sì, è forza. Ma la più grande forza della Chiesa oggi è nelle piccole Chiese, piccoline, con poca gente, perseguitati, con i loro vescovi in carcere. Questa è la nostra gloria oggi, questa è la nostra gloria e la nostra forza oggi”.

Il sangue dei martiri è seme di cristiani
“Una Chiesa senza martiri - oserei dire -  è una chiesa senza Gesù”, afferma in conclusione il Papa che invita dunque a pregare “per i nostri martiri che soffrono tanto”, “per quelle Chiese che non sono libere di esprimersi”: “loro sono la nostra speranza”. E il Papa ricorda che nei primi secoli della Chiesa un antico scrittore diceva: “Il sangue dei cristiani, il sangue dei martiri, è seme dei cristiani”.

“Loro con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita, offrendo la vita, seminano cristiani per il futuro e nelle altre Chiese. Offriamo questa Messa per i nostri martiri, per quelli che adesso soffrono, per le Chiese che soffrono, che non hanno libertà. E ringraziamo il Signore di essere presenti con la fortezza del Suo Spirito in questi fratelli e sorelle nostri che oggi danno testimonianza di Lui”.

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Papa addolorato per vittime attentato in Canada: no a violenza che genera sofferenza

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Il cordoglio di Francesco per le vittime dell’attentato ieri sera in un Centro culturale islamico di Quebec City, in Canada che ha falciato la vita di sei persone e ferito altri otto fedeli. In un telegramma a firma del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, inviato al nunzio in Canada, mons. Luigi Bonazzi, il Papa esprime la sua profonda vicinanza alle vittime e alle loro famiglie, e a tutte le persone che hanno contribuito ai soccorsi, chiedendo al Signore “conforto e consolazione” per loro. Francesco quindi nuovamente “condanna con fermezza la violenza che genera tanta sofferenza”, implorando da Dio “il dono del rispetto reciproco e della pace” e invocando su tutte le persone toccate da questo dramma  benedizioni divine.

"Profonda tristezza e indignazione" per "l’efferato attentato", esprime anche Il Pontificio Consiglio per il Dialogo interrelligioso. "Con questo gesto insensato - si legge in una nota del dicastero vaticano - sono stati violati la sacralità della vita umana e il rispetto dovuto a una comunità in preghiera e al luogo di culto che l’accoglieva". Da qui la ferma condanna di "quest’atto di inaudita violenza" e la " piena solidarietà ai musulmani del Canada".

Riguardo la cronaca del tragico evento, secondo il premier canadese Trudeau si tratta di “un  attacco terroristico contro i musulmani”. La polizia ha arrestato due sospetti di cui al momento non sono state rese note le generalità, così come ancora non è chiara la matrice dell’attacco.Tra le tante espressioni di cordoglio,  il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani ha commentato che "la violenza non è mai una risposta contro il terrorismo",  ribadendo che "l’Ue crede nel dialogo interreligioso". "Profonda inquietudine" per il "doloroso attentato" ha espresso anche l'osservatorio di al-Azhar del Cairo, considerata la massima espressione dell'islam sunnita, mettento in guardia "dall'escalation di attentanti contro i musulmani", che - denuncia l'istituzione islamica - è stata "notevole negli ultimi anni, in particolare in alcuni Paesi occidentali".

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La Chiesa nei Balcani alle prese con flussi migratori e riconciliazione

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I flussi migratori, la riconciliazione e la situazione della Chiesa nella regione balcanica. Sono questi alcuni dei temi al centro dell’odierna visita “ad limina apostolorum”, dei presuli della Conferenza episcopale internazionale Santi Cirillo e Metodio (Ceicem) che riunisce i presuli di Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo che sono stati ricevuti questa mattina in udienza dal Papa. Sull’importanza di questa visita, Amedeo Lomonaco ha intervistato il presidente della Ceicem, mons. Ladislav Nemét, vescovo della diocesi serba di Zrenijanin: 

R. – Senz’altro, è un’occasione per rafforzare la nostra fede e la comunione ecclesiale, specialmente la comunione con la Chiesa di Roma, con il vescovo di Roma, il Santo Padre Francesco.

D. – In Serbia, Montenegro, Kosovo e Macedonia - dove i cattolici sono una minoranza - la convivenza e il dialogo sono vie imprescindibili. Come procede questo cammino lungo il dialogo?

R. – Per quanto riguarda la Serbia, la collaborazione e la relazione ecumenica tra la Santa Sede e la Chiesa ortodossa serba autocefala è molto buona. A livello più basso, invece, la collaborazione è abbastanza difficile. Ci sono contatti, ma totalmente personali. In Kosovo è più significativo il dialogo interreligioso, perché i cattolici vivono tra i musulmani. In Montenegro e in Macedonia è difficile anche per la Chiesa cattolica mantenere relazioni con la Chiesa ortodossa ufficiale e anche con due Chiese ortodosse che stanno nascendo con il grande aiuto statale.

D. – In questi Paesi, un’altra questione fondamentale è quella legata alle migrazioni …

R. – La Chiesa è molto presente in questo settore. Il problema migratorio interessa più la Macedonia e la Serbia. Ultimamente, da quando la comunità europea e la Germania, specialmente, hanno premuto per un accordo con la Turchia, il numero dei migranti è diminuito veramente moltissimo: ora si contano in centinaia, mentre due anni fa erano migliaia al giorno.

D. – Avete recentemente proposto alla Santa Sede di dividere la Conferenza internazionale Santi Cirillo e Metodio in Conferenze nazionali. Perché?

R. – Per le differenze enormi tra questi Paesi. Non tanto quelle legate alla lingua. Abbiamo quattro Paesi con diverse legislazioni: soltanto in Serbia abbiamo il diritto di insegnare la religione nelle scuole elementari e anche nelle superiori. Sempre in Serbia, si trova il 90% dei cattolici di tutta la Conferenza dei Santi Cirillo e Metodio. Per quanto riguarda il Montenegro, il governo ha firmato con la Santa Sede un accordo generale di base. Negli altri tre Paesi, invece, non ci sono intese analoghe. Anche questa è una grande differenza.

D. – Recentemente, la vostra Conferenza episcopale ha approvato delle linee-guida sui casi di abusi sessuali compiuti da rappresentanti della Chiesa…

R. – Sì, la nostra Conferenza episcopale ha lavorato quasi un anno perché su questa materia in Macedonia, in Montenegro, in Kosovo e in Serbia la legislazione varia da Paese a Paese. Ma noi abbiamo preparato un testo generale valido per tutta la Conferenza. Poi abbiamo aggiunto quattro diversi capitoli, in vigore per ogni Paese membro della Conferenza.

D. – Quali sono le sfide, le prospettive principali per la vostra Conferenza?

R. – Mantenere lo spirito di collaborazione tra i quattro Paesi: indipendentemente dal fatto che abbiamo chiesto alla Santa Sede di dividere la Conferenza, noi lavoriamo insieme fino a quando la Santa Sede non darà una risposta in tal senso. La seconda priorità è quella di rafforzare la nostra presenza in queste quattro diverse società. Ancora la riconciliazione è lontanissima tra croati e serbi, tra albanesi e serbi … Ci sono problemi grandi e grandi sfide e possiamo dare veramente un contributo molto positivo, anche secondo le intenzioni del Santo Padre, che fa tanto per la pace nel mondo.

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Udienze

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Per le udienze odierne di Papa Francesco consultare il Bollettino della Sala stampa vaticana

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Terremoto e burocrazia. Mons Pompili: non sono ammessi indugi

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Terremoto e burocrazia: le lungaggini impediscono alle popolazioni del centro Italia di risollevarsi dagli straordinari eventi che le stanno interessando. Terremoto e maltempo hanno messo in ginocchio Umbria, alto Lazio e Marche, e il governo, nonostante lo stanziamento e la raccolta di fondi, ancora non riesce a dare risposte concrete. Il Papa ieri ha sollevato la questione all’Angelus lanciando un forte appello. Risentiamo le parole di Francesco nel servizio di Gabriella Ceraso: 

“Non manchi a questi nostri fratelli e sorelle il costante sostegno delle istituzioni e la comune solidarietà. E per favore, che qualsiasi tipo di burocrazia non li faccia aspettare e ulteriormente soffrire!”.

Ancora una volta Papa Francesco coglie e dà voce ad un "grande problema sociale, per la sua speciale capacità di ascolto e vicinanza": così commenta , le parole pronunciate all'Angelus, il vescovo di Rieti, mons Domenico Pompili:

“Il Papa mostra di avere una grande empatia. Sa bene come la gente sia in una situazione di particolare sofferenza, una condizione che non ammette indugi o tentennamenti”.

“E questo per una serie di competenze che sono molto ramificate e che finiscono poi, puntualmente, per impantanare quello che dev’essere fatto. Questo lo si è visto in tanti ambiti: dai beni culturali fino alla ricostruzione”.Il problema è che le "cose da fare", aggiunge mons Pompili," non hanno un'applicazione veloce":

“E questo per una serie di competenze che sono molto ramificate e che finiscono poi, puntualmente, per impantanare quello che dev’essere fatto. Questo lo si è visto in tanti ambiti: dai beni culturali fino alla ricostruzione”. Di pro e contro relativi ad una gestione centralizzata, parla invece il delegato regionale Caritas-Umbria, Giorgio Pallucco. “Certo occorre garantire trasparenza nelle procedure”, afferma, “ma la gente non può aspettare troppo”:

“Lo scenario su cui operare è veramente complicato. Però, la complessità – insegnano tutti – va gestita, perché sennò, dalla complessità si passa alla confusione. Quindi bisogna cercare di stare con le maniche rimboccate, e ognuno deve fare la sua parte. Sicuramente lo Stato sta cercando di fare il possibile e di fare il meglio che può. Allo stesso tempo, se il problema è a livello di gestione amministrativa e di normative che sono quelle, in questo momento, che dobbiamo rispettare e a cui dobbiamo far riferimento, forse ci sarebbe bisogno per il futuro di lavorare, affinché ci sia una normativa più adeguata alla gestione di queste situazioni”.  

Intanto il risultato è che, come dice il Papa, la sofferenza della gente aumenta. Mancano ancora le stalle per il bestiame, le visure per l’agibilità delle case procedono a rilento e molte infrastrutture restano inutilizzabili. Tanti si sfogano sul web dove la protesta si accende, specie per i fondi degli italiani raccolti dalla Protezione civile, 28 milioni, e non utilizzabili ancora proprio per questioni burocratiche:

“I moduli abitativi ancora non sono arrivati; gli animali stanno morendo; i soldi non sono arrivati. Che fine hanno fatto i soldi?”

Su questo anche l'interrogazione parlamentare del Movimento 5 stelle, mentre il premier Gentiloni in settimana varerà un nuovo decreto per l’emergenza forse per aumentare i poteri della Protezione civile. Ma se la burocrzia ha i suoi tempi, forse nell’attesa basterebbero spiegazioni e chiarezza per la gente che è stanca e disorientata, visto che la terra non smette di tremare. Ancora il vescovo di Rieti mons Domenico Pompili:

“Sicuramente, è importante che la comunicazione sia ancora più puntuale. Questo perché l’attesa senza sapere dove si sta andando genera ulteriore senso di insicurezza”.

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Il card. Parolin in Madagascar: mettere in pratica le Beatitudini

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Il Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, proseguendo la sua visita in Madagascar in occasione del 50.mo anniversario delle Relazioni diplomatiche, sabato scorso ha visitato l’Università Cattolica, fondata nel 1952. Per l’occasione erano presenti tutti i vescovi malgasci. In seguito, si è recato presso la nuova sede della Conferenza Episcopale del Madagascar (Cem), attigua al Campus Universitario e ha visitato la residenza per giovani universitari poveri. Il Segretario di Stato ha salutato personalmente i 72 residenti, provenienti dalle 21 diocesi del Paese. I giovani sono preparati da una equipe specializzata con un progetto ambizioso denominato “Sesame”, che permette agli studenti di acquisire una preparazione più idonea per seguire i corsi universitari e migliorare la loro capacità di approfondimento. 

Problemi pastorali nella regione e rapporto con l'islam
Nel pomeriggio dello stesso giorno, dopo il pranzo offerto dai vescovi malgasci, nella nuova sede della Cem, si è tenuto l’incontro con tutti i presuli del Paese oltre al card. Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, nell’isola di Mauritius, in rappresentanza della Conferenza Episcopale dell’Oceano Indiano. Il card. Parolin ha così potuto ascoltare i problemi pastorali e le sfide sociali che i presuli affrontano ogni giorno. Il porporato ha evidenziato gli ambiti nei quali i vescovi sono chiamati a testimoniare il Vangelo, in un Paese dove la povertà tocca circa il 95% della popolazione e la Chiesa è chiamata a difendere i più deboli ed emarginati ed offrire loro i suoi servizi in ambito educativo, sanitario e sociale. Nello scambio di opinioni che è seguito, tra gli argomenti passati in rassegna, vi è stato quello della diffusione dell’Islam. Al riguardo il porporato ha suggerito di rafforzare il dialogo interreligioso nel reciproco rispetto. 

Il Discorso delle Beatitudini al centro della Messa allo stadio di  Antananarivo
​Domenica, poi, il card. Parolin ha celebrato la Messa. Presenti il card. Maurice Piat, il nunzio apostolino mons. Paolo Gualtieri e tutti i vescovi del Madagascar. Nello stadio “Mahamasina” della capitale Antananarivo vi erano poi circa 80mila fedeli. Hanno partecipato anche il Presidente della Repubblica, le massime Autorità dello Stato e rappresentanti di altre religioni. Nell’omelia il porporato ha sottolineato che con Gesù la compassione e la tenerezza di Dio si fanno presenti. Il Discorso delle Beatitudini, che Gesù rivolge alle folle e ai suoi discepoli, supera le epoche storiche e gli spazi dirigendosi verso gli uomini di tutti i tempi. Sant’Agostino infatti definiva il Discorso delle Beatitudini il compendio di tutto il Vangelo: la Buona Notizia per tutti. Le Beatitudini quindi vanno messe in pratica per sperimentare tutta la loro azione trasformatrice: sul piano personale, spirituale e sociale. Per questo Papa Francesco ha invitato i giovani a riflettere sulle Beatitudini per le Giornate Mondiali della Gioventù. La giornata di ieri si è quindi conclusa con la visita al monastero delle Carmelitane.

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Oggi in Primo Piano



Proteste contro il bando di Trump. Sako: 'trappola' per i cristiani

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Dilaga nel mondo la protesta contro il bando di Donald Trump all’immigrazione, deciso per 7 Paesi a maggioranza islamica: Iran, Iraq, Yemen, Siria, Libia, Sudan, e Somalia. Il Presidente Usa si difende: “non è un decreto contro i musulmani. L’America ha bisogno di confini forti e controlli rigidi”. Dure le critiche. L’Europa alza la voce per ribadire i valori di libertà e uguaglianza, mentre il segretario generale della Lega Araba chiede a Trump di riconsiderare l’ordine esecutivo e di continuare sulla via del dialogo tra la società americana e quella musulmana. Cecilia Seppia 

E’ una folla enorme quella che si è riunita a Battery Park, la punta sud di Manhattan per protestare contro il bando ai 7 Paesi islamici voluto dal Presidente Usa. Donald Trump: “No Ban No Wall” recitano gli slogan in cui si dichiara a lettere marcate che i rifugiati sono i benvenuti, che non si vogliono muri e che in America tutti sono americani. Una protesta montata anche negli aeroporti dove decine di avvocati gratuitamente stanno offrendo assistenza legale alle persone bloccate nei terminal di New York, Chigaco, Los Angeles, Boston. Per 16 procuratori generali si tratta di un provvedimento incostituzionale: la libertà religiosa – scrivono in una dichiarazione congiunta - è un principio fondamentale e non si tocca. Insorgono anche i leader europei ribadendo i valori del Vecchio Continente, la Lega Araba chiede di riconsiderare l’ordine esecutivo perché di fatto favorisce il terrorismo; per l’Onu si tratta di un bando illegale e meschino, scendono in campo anche i "guru" dell’hi-tech, come Zuckerberg e Tim Cook, scrittori, intellettuali e diplomatici statunitensi: tutti, sia pure con diverse sfumature, contestano il blocco. I 7 Paesi islamici sulla black list, inevitabilmente cominciano a reagire, primo su tutti l’Iran che contraccambia con la stessa moneta, poi l’Iraq. Francesca Paci, inviata della Stampa ed esperta di questioni mediorientali.

"L'Iran ha risposto duramente bloccato l'ingresso ai cittadini americani, l'Iraq è arrivato poco dopo. Certamente le proteste si sono levate da tutti i Paesi della regione, tranne ovviamente da quelli che non sono inclusi nella lista e sui quali però ci dovremmo interrogate: non c’è l’Egitto; l’Arabia Saudita; ma non ci sono neanche gli Emirati, non c’è il Libano… Quindi è una lista piuttosto arbitraria e proprio discriminatoria con la D maiuscola! Chiaramente parla all’elettorato bianco della classe medio-bassa americana, che è quello che ha dato la forte spinta a Trump".

Il Presidente americano si difende, dice cha la situazione è sotto controllo, che non c’è caos, che anche Obama nel 2011 sospese i visti ai rifugiati. Sulle proteste sostiene che i fermati su cui si stanno facendo indagini sono solo 109 sui 325mila viaggiatori entrati ieri negli Usa. Trump afferma anche che i possessori di carta verde non avranno alcune limitazioni ed attacca il modello europeo dell’apertura e dell’accoglienza. Eppure quello che sembra un malcontento diffuso, in America viene percepito diversamente. Dario Fabbri, giornalista di Limes

"E’ la pancia del Paese che bisogna guardare: gli Stati Uniti sono mediatamente d’accordo col bloccare l’ingresso a Paesi non so se soltanto perché musulmani o semplicemente perché attraversano guerre civili. A loro avviso  questo potrebbe essere una forma di deterrenza. Il discorso è che ovviamente si tratta di misure inefficaci e vagamente bizzarre… Ma, al di là questo, credere che ciò che vediamo in televisioni sui grandi network o che leggiamo sui grandi giornali americani - che mediamente invece non sono letti negli Stati Uniti - corrisponda alla verità e alla realtà ci confonde, ci porta a commettere errori strategici, esattamente come abbiamo fatto in campagna elettorale quando credevamo che Trump fosse un animale isolato, estraneo alla cultura americana, mentre era assolutamente vero il contrario". 

Forte la preoccupazione della Chiesa: il Patriarca caldeo mons. Louis Raphael I Sako mette in guardia anche sull’accoglienza selettiva dei migranti su base religiosa, annunciata da Trump, definendola una "trappola per i cristiani". Ogni politica che discrimina i perseguitati e i sofferenti su base religiosa finisce per nuocere ai cristiani d’Oriente e alimentare tensioni coi musulmani - afferma il Patriarca Sako che citando il Papa e il Vangelo aggiunge: noi non vogliamo privilegi. Quanti chiedono aiuto non hanno bisogno di essere divisi in base ad etichette religiose. Intanto sono diverse le famiglie che arrivate negli Usa per vari motivi dopo aver lasciato tutto e venduto le case sono state costrette a rientrare nei loro paesi. 

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Sant'Egidio. Corridoi umanitari: altri 40 siriani giunti in Italia

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Altri 40 profughi siriani, tra cui diverse donne e bambini, sono arrivati oggi all’aeroporto di Fiumicino, grazie ai corridoi umanitari promossi da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese. Il progetto avviato il 15 dicembre 2015 ha finora consentito di raggiungere l’Europa in tutta sicurezza e legalmente ad oltre 500 persone. Un modello che funziona e che vede la preziosa sinergia tra società civile e Ministeri degli Esteri e dell’Interno italiani. Il piano prevede mille arrivi entro il 2017. Sul gruppo accolto oggi e gli accordi per nuovi corridoi Marco Guerra ha intervistato Daniela Pompei responsabile del settore immigrazione della Comunità di Sant’Egidio: 

R. – Sono nuclei familiari, in genere moglie e marito; ma anche signori anziani, i genitori cioè degli adulti, con bambini. Ci sono diversi bambini. Ci sono poi 4-5 singoli, di cui due usciti dal carcere: si tratta di due cristiani che sono stati liberati e che sono venuti via. Saranno ospitati in tutta Italia, in tante regioni italiane: due famiglie vanno a Fano; una famiglia va a Rimini; una, vicino Varese e un’altra a Napoli; un’altra famiglia in Sicilia e due rimarranno a Roma; e anche i singoli rimarranno momentaneamente a Roma. Si tratta quindi di un’accoglienza diffusa. Saranno accolti da parrocchie, associazioni; una famiglia sarà accolta dai valdesi della Sicilia… Questo modello, che abbiamo cominciato a sperimentare con i corridoi umanitari, prevede questa accoglienza diffusa su tutto il territorio, garantendo così effettivamente anche integrazione.

D. – Parliamo di siriani, quindi di famiglie siriane, anche cristiane, che fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni: mi conferma questo?

R. – Sì, sono siriani; provenienti essenzialmente da tre città che soffrono molto: quelli che vengono da Aleppo sono i cristiani; i musulmani vengono da Homs, che è ormai distrutta; e persone che vengono dalle vicinanze di Damasco e da alcuni villaggi che sono praticamente presi dai ribelli. Arrivano da queste tre grandi città…

D. – L’iniziativa odierna rientra nel progetto ecumenico avviato il 15 dicembre 2015, dopo la firma di un accordo con i Ministeri degli Esteri e dell’Interno italiani. Può parlarcene?

R. – L’accordo è del dicembre 2015 e il primo nucleo familiare arriva il 4 febbraio 2016 e il 29 febbraio il primo grande nucleo. Ad oggi sono arrivate 540 persone, attraverso sei voli diversi. Già alla fine di febbraio noi prevediamo l’arrivo di altre 120 persone. Quasi tutti sono siriani; c’è qualche iracheno, che abbiamo incontrato in Libano. L’esperienza è stata molto positiva: tanto è stata positiva che è stata giudicata una best-practice a livello internazionale, che pensiamo di replicarla. Si è già sottoscritto con la Conferenza episcopale italiana un nuovo Protocollo aggiuntivo per altre 500 persone, però questo sarà un corridoio dall’Africa. Quindi: il primo Protocollo che abbiamo sottoscritto prevede mille persone e ne sono giunte 540 e pensiamo che entro il 2017 arriveranno tutti; nel frattempo c’è un nuovo Protocollo per altri 500, che arriveranno invece dall’Etiopia per eritrei, sudanesi, sud-sudanesi e somali.

D. – Questo modello funziona perché coniuga umanità, sicurezza e legalità. Voi, in questo modo, volete additare all’Europa un modello, un modo di gestire i flussi che funziona?

R. – Esattamente! Innanzitutto noi volevamo dire che è possibile un altro modo di fare entrare le persone, che non è quello dell’arrivo attraverso i trafficanti di uomini, che non è quello dell’arrivo attraverso il mare, con i morti in mare… E’ possibile un altro modello e altri Paesi possono adottarlo, tanto che sta per essere sottoscritto il Protocollo anche con la Francia: lo ha annunciato il primo ministro Cazeneuve, che prevede sempre il coinvolgimento delle Chiese evangeliche francesi, della Comunità di Sant’Egidio e della Conferenza episcopale francese. Noi speriamo molto che l’Europa adotti questo modello, perché si tratta di un modello che effettivamente garantisce sicurezza per i profughi, ma  garantisce anche molta sicurezza per i cittadini europei.

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Congo: vescovi fiduciosi per l'attuazione delle intese politiche

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Designazione del Primo Ministro, ripartizione dei Ministeri tra i diversi partiti della coalizione, ruolo della Cenco (Conferenza episcopale nazionale congolese) nel periodo di transizione. Sono questi i punti ancora in discussione per attuare l’intesa del 31 dicembre 2016, volta a permettere di superare la crisi politica della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) per la mancata tenuta delle elezioni presidenziali nel dicembre 2016.

La missione dei vescovi congolesi in Europa
​“L’essenziale è fatto. Restano solo tre punti. E siamo speranzosi che questi tre punti saranno superati durante il periodo del nostro viaggio in Europa. Saremo di ritorno tra una settimana” ha detto mons. Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Mbandaka-Bikoro e vice presidente della Conferenza episcopale, al momento di imbarcarsi insieme agli altri vescovi congolesi alla volta dell’Europa per una serie di visite.

Il presule aveva criticato i politici che bloccavano il negoziato
Mons. Ambongo, che media per conto della Cenco tra maggioranza e opposizione, aveva criticato i politici che a suo parere bloccavano il negoziato, affermando che “con la loro la cattiva fede” mettevano “a dura prova la nostra pazienza di Pastori”, avvertendo che se un accordo non fosse stato trovato entro il 28 gennaio, il negoziato rischiava di saltare. Con la sua ultima dichiarazione mons. Ambongo si mostra più fiducioso e offre un’altra settimana di tempo alle forze politiche per superare le loro divergenze.

La situazione si aggrava per l’insicurezza in diverse aree del Paese
A Kananga, capoluogo del Kasai Centrale, sei persone sono morte negli scontri tra le forze dell’ordine e i seguaci del defunto capo tradizionale Kamuina Nsapu, ucciso nel luglio 2016. Secondo fonti Onu, dalla data del suo decesso ad oggi sono morte almeno 150 persone per le violenze causate dai suoi seguaci. Anche per questo è urgente che la Rdc si doti di un nuovo governo e di istituzioni stabili e credibili. (L.M.) 

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Elezioni in Francia e Germania: quale futuro per l'Europa?

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L’affermazione in Francia, alle primarie del Partito Socialista, del radicale Benoit Hamon per la corsa alla presidenza e, in Germania, la scesa in campo di Martin Schulz, tra i socialdemocratici, per contendere il cancellierato ad Angela Merkel, fanno intravedere per l’Europa un anno di serrati confronti politici. Da considerare anche l’ascesa delle destre nazionaliste e antieuropeiste. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Francesco Gui, docente di Storia dell’Europa e Federalismo all’Università La Sapienza di Roma: 

R. - Penso che quanto sta avvenendo sia voluto, perché facciamo sempre grandi alleanze e lasciamo molto spazio a destra o a sinistra alla crescita di partiti alternativi. Quindi riprendere una dialettica tra destra e sinistra tradizionali, penso che sia un modo per evitare questo pericolo. Quindi non vedo solo l’aspetto negativo. Ciò non toglie che la situazione non sia affatto promettente, perché non si vedono molte prospettive.

D. - Il fronte antieuropeista potrebbe rafforzarsi in questo contesto?

R. - Purtroppo mi sembra che riceva un impulso notevole da quello che è successo negli Stati Uniti, perché poi  - aldilà della figura veramente inusuale di Trump - sembra quasi che ci sia un ritorno a delle concezioni di sovranità dello Stato nazionale contrapposte ai modelli dell’integrazione sia dell’Europa, in senso federale, ma anche di quel rapporto Europa - Stati Uniti che si stava delineando con un accordo commerciale, che aveva anche un significato politico, non soltanto puramente commerciale. Questo impulso - a partire dall’Inghilterra che si tira fuori dall’Unione Europea, Trump che dice: “Andiamo d’accordo con Putin”, atti di riguardo nei confronti della signora Le Pen, sento anche dire: “Ma, in fondo, sarebbe meglio se la trattasse come Stato invece che membro dell’Unione Europea” - porta ad un processo che può cambiare molto e incoraggiare tutte quelle reazioni che potremmo chiamare populiste, sovraniste. Questa è la cosa che mi sembra pericolosa.

D.- Una situazione che rende un’Europa sempre più frastagliata e quindi con una voce sempre più debole sul fonte internazionale di fronte a varie crisi che stiamo vivendo?

R. - Certo, questa è la sfida. Non sono poi così pessimista da ritenere che l’Europa non possa trovare una propria coesione e un dialogo con quella parte dell’America - che poi è maggioritaria - che oggi sembra scomparsa, però ancora esiste, ed è perplessa non meno di noi e quindi rilanciare questo progetto. Per certi aspetti può esser anche un momento di maturazione e di convinzione delle proprie volontà, delle proprie determinazioni rispetto alle incertezze in cui siamo vissuti fino ad adesso. Spero che le persone responsabili e le stesse forze economiche e sociali trovino questo slancio. Certo, anche in Francia pensare di risolvere solo con la sinistra non convenzionale, mi sembra troppo poco. Purtroppo i fattori sono tanti, ma spero soprattutto che con un dialogo Europa-Stati Uniti, tra le forze che credono ancora in questo modello di integrazione, si possa ancora ritrovare la strada per invertire il processo in corso.

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Comece: a Bruxelles incontro su bambini soldato colombiani

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Durante i 50 anni di conflitto armato in Colombia otto milioni sono state le vittime e migliaia i bambini costretti a far parte dei gruppi armati. Secondo stime dell’agenzia Info Salesiana, oggi in Colombia ci sarebbero ancora tra gli 8.000 e i 14.000 bambini soldato. Di loro si parlerà a Bruxelles, lunedì 6 febbraio, in un incontro organizzato dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), Giustizia e pace Europa, Don Bosco International.

Storie di bambini salvati dall’opera dei Salesiani
“Colombia, da bambini soldati a costruttori di pace” è il titolo dell’evento che racconterà le storie di bambini salvati dall’opera dei Salesiani “Ciudad Don Bosco” di Medellin, che negli ultimi 14 anni ha accompagnato oltre 2.300 ex bambini soldato, attraverso il programma “Construyendo sueños” (Costruendo Sogni), lavorando per la loro ricostruzione emotiva e psicologica e il loro reinserimento nella società. A parlare di questa esperienza - riporta l'agenzia Sir - saranno fr. Rafael Bejarano, direttore di Ciudad Don Bosco a Medellín, José Antonio Sanmartín, direttore delle missioni salesiane e alcuni protagonisti di un documentario che sarà presentato nel corso dell’evento, “Alto el fuego” (Cessate il fuoco), sul processo di riabilitazione personale e il reinserimento sociale dei bambini soldato. Il documentario, diretto da Raul de la Fuente e realizzato dai Salesiani, ripercorre in 21 minuti le vicende di due di loro, Catalina e Manuel. (A.P.)

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India. Card. Gracias: cambiamento climatico colpisce donne e poveri

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“Sono le donne, i poveri, i più vulnerabili, le prime vittime dei cambiamenti climatici. Noi siamo amministratori e non siamo padroni della creazione. Abbiamo l'obbligo morale di proteggerla e preservarla”: lo ha detto all’agenzia Fides il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia (Fabc), a margine del convegno organizzato nei giorni scorsi a Mumbai dalla Fabc, dal titolo “I cambiamenti climatici: l’impatto sui gruppi vulnerabili e la prospettiva delle donne”. Alla conferenza hanno preso parte 45 delegati ed esperti provenienti da Bangladesh, Nepal, India: tutti rappresentanti che operano in uffici, organizzazioni, segretariati e commissioni che si occupano dei cambiamenti climatici.

Nel convegno studiato un piano comune d'azione regionale
La conferenza intendeva apportare un contributo di riflessione e comprensione sul fenomeno del cambiamento climatico e sul suo impatto sui gruppi più vulnerabili. L’incontro ha dato l’opportunità di uno spazio per la condivisione e discussione sui programmi esistenti e sulle buone pratiche da mettere in atto per affrontare il mutamento del clima, esplorando le possibilità di sviluppo di una nuova visione, per rispondere collettivamente con un piano comune d'azione regionale.

Le responsabilità per l'aumento delle emissioni di gas serra
Parlando a Fides, il card. Gracias ha ricordato che tutti gli uomini hanno un ruolo per affrontare il cambiamento climatico: un problema globale, con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, politiche, che rappresenta una delle principali sfide che l'umanità deve affrontare al giorno d'oggi. “Il mondo sviluppato rimane il principale responsabile delle emissioni di gas serra che hanno contribuito al riscaldamento globale. Allo stesso tempo, i Paesi in via di sviluppo e le economie emergenti (compresi i paesi dell'Asia del Sud) continuano a contribuire alle emissioni di gas serra a causa delle loro pressanti esigenze di sviluppo”, ha spiegato il vescovo Allwyn D'Silva, segretario esecutivo dell'Ufficio per lo sviluppo umano nella Fabc. “Urge che tutte le nazioni comprendano che il clima è un bene comune, che appartiene a tutti ed è destinato a tutti. L'umanità intera è chiamata a riconoscere la necessità di cambiamenti nello stile di vita, nella produzione e nel consumo per combattere questo riscaldamento o almeno le cause umane che lo aggravano”, ha osservato Deepika Singh, coordinatore dell’Ufficio per il cambiamento climatico nella Fabc.

Promuovere una cultura di rispetto per la creazione
​Compito fondamentale della Chiesa in Asia è “richiamare ogni battezzato e ogni uomo alla conversione radicale, ad abbandonare il consumo eccessivo e a scegliere uno stile di vita più sostenibile, per una rinnovata cultura di rispetto per la creazione, di semplicità e di sobrietà, di speranza e di gioia”, ha aggiunto il vescovo Jacob Mar Barnabas, presidente del Consiglio per le donne nella Conferenza episcopale indiana. Le comunità cattoliche, su questo punto, “guidate dagli insegnamenti sociali della Chiesa, devono promuovere strategie e programmi come tecnologie verdi, produzione agricola biologica e sostenibile, consumo responsabile, riciclaggio, contribuendo così alla giustizia intergenerazionale”, ha proseguito.

Le strategie per agire nei confronti del cambiamento climatico
Per agire nei confronti del cambiamento climatico, “urge un senso di solidarietà e un orientamento fondamentale per il bene comune, che può essere raggiunto attraverso un continuo processo educativo di riflessione-azione”, ha detto Wendy Louis, segretario esecutivo dell’ Ufficio Fabc per il laicato e la famiglia. Per questo i vescovi asiatici continueranno a operare in questo campo, a livello di riflessione e di azione. (P.A.-S.D.)

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Italia, ferma in Parlamento la riforma della legge di cittadinanza. Protestano i promotori

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Tre anni fa è nata la campagna “l’Italia sono anch’io” per varare una riforma della legge sulla cittadinanza. Oggi in una conferenza stampa al Senato le organizzazioni promotrici dell’iniziativa hanno sollecitato l’approvazione definitiva del nuovo testo. Tra le tante associazioni e movimenti protagoniste della campagna è il Centro Astalli. Giulia Angelucci ha intervistato  Donatella Parisi, responsabile comunicazione dell’organismo umanitario: 

R. – .E’ una legge vecchia, quella che c’è attualmente in vigore; è una legge che va riformata, perché diversa è la società di oggi.  La nostra è una società multiculturale: e continuare a negarlo e a far finta che non lo sia è veramente un grosso errore anacronistico!

D. – Qual è la sensibilità della popolazione italiana su questo tema?

R. – Noi come “L’Italia sono anche io” cerchiamo ovviamente di comunicare quanto più possibile e di far conoscere le istanze dei cittadini di fatto, chiamiamoli così: di quegli italiani cioè  senza cittadinanza, ma che italiani lo sono.  L’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa ad avere e ad applicare ancora lo “ius sanguinis” come criterio di attribuzione della cittadinanza. Forse è il momento di fare un passo avanti e di riconoscere uno “ius soli”. Oggi quello che la legge propone, dopo il passaggio alla Camera dei Deputati, è uno “ius soli temperato”, che verrebbe riconosciuto ai bambini che fanno un ciclo di studi qui in Italia e ai bambini nati da genitori migranti regolarmente soggiornanti da molto tempo.

D. – Il Centro Astalli, dal suo osservatorio privilegiato sulla realtà dei migranti, cosa chiede

R. –  Chiediamo che venga veramente fatto un atto di civiltà. E’ una questione urgente quella del diritto di cittadinanza per i figli dei migranti nati in Italia. La legge che noi proponiamo con “L’Italia sono anche io” è un fattore di coesione sociale: chiediamo di allargare il riconoscimento dei diritti, chiediamo di includere persone che vogliono essere incluse, che già si sentono italiane. E non farlo sarebbe un grande errore!

D. – Questa campagna, secondo lei, può essere coadiuvata in qualche modo da un impegno da parte anche dei cittadini?

R. – Tutti noi cittadini possiamo fare molto, perché siamo la società civile, che deve prendere voce e farla sentire ai propri rappresentanti. E’ per questo che dalla prossima settimana, ogni martedì pomeriggio al Pantheon, ci sarà una mobilitazione permanente dell’”Italia sono anche io”: ci ritroveremo, lì, in piazza, con i ragazzi di seconda generazione, le loro famiglie e i protagonisti di questa privazione di diritto di cittadinanza e le associazioni de “L’Italia sono anche io”, tra cui il Centro Astalli. Chiederemo, insieme ai rappresentanti politici, di portare a termine questo iter legislativo, cui manca il passaggio finale. Abbiamo raccolto le firme necessarie a proporre una legge di iniziativa personale. Centinaia di migliaia di persone hanno messo il loro nome affinché venga riconosciuto il diritto di cittadini ai figli di migranti nati in Italia. Ora richiediamo a quelle stesse persone che hanno dato il via a questo processo, di aiutarci a chiuderlo e di portarlo a buon fine, chiedendo al Senato di votare la legge e farla diventare effettiva. 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 30

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.