Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 21/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Trump: sue decisioni siano guidate dai valori spirituali ed etici

◊  

“Le invio i miei cordiali auguri assicurandole che pregherò Dio l’Altissimo perché le doni sapienza e forza nell’esercizio del suo alto incarico”. Così Papa Francesco nel messaggio che ha inviato a Donald Trump, in occasione del suo insediamento come 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. Ce ne parla Roberto Piermarini 

“In un tempo in cui la nostra famiglia umana è tormentata da gravi crisi umanitarie che richiedono risposte politiche lungimiranti e unite” scrive Papa Francesco, “prego affinché le sue decisioni siano guidate dai ricchi valori spirituali ed etici che hanno plasmato la storia del popolo americano e l’impegno della nazione per l’avanzamento della dignità umana e della libertà in tutto il mondo”. “Sotto la sua guida - scrive ancora il Papa - possa la statura dell’America continuare a misurarsi soprattutto per la sua preoccupazione per i poveri, gli esclusi e i bisognosi che come Lazzaro attendono di fronte alla nostra porta”. Il messaggio del Papa a Donald Trump si conclude con l’invocazione a Dio perché “doni la sua benedizione di pace, concordia e prosperità materiale e spirituale” al neo Presidente e alla sua famiglia e a tutto il popolo americano.

inizio pagina

Papa a Rota Romana: necessaria formazione prima e dopo il matrimonio

◊  

Serve un “nuovo catecumenato” che prepari al matrimonio, antidoto al moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle. E’ l’auspicio ribadito anche quest’anno da Papa Francesco nel discorso al Tribunale Apostolico della Rota Romana. Giudici, officiali, avvocati e collaboratori del Tribunale sono stati ricevuti stamani nella tradizionale udienza per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. Due i capisaldi che il Papa segnala per aiutare oggi gli sposi: una formazione efficace prima del sacramento e, dopo, l’accompagnamento da parte della Chiesa. Il servizio di Debora Donnini

Formazione, prima e dopo il sacramento del matrimonio. E’ la via principale indicata da Francesco nel suo discorso. Il Papa propone dunque questi due “rimedi” di fronte ad una mentalità diffusa che tende ad "oscurare l'accesso alle verità eterne" e che coinvolge, spesso in modo vasto e capillare, gli atteggiamenti degli stessi cristiani. Un contesto carente di valori religiosi, spiega, “non può non condizionare anche il consenso matrimoniale”. Diverse fra loro sono infatti le esperienze di fede di chi chiede il sacramento: da chi partecipa attivamente alla vita della parrocchia a chi è guidato da un generico sentimento religioso fino a chi è lontano dalla fede.

Un “nuovo catecumenato” per chi si prepara al matrimonio
Quindi prima di tutto, per quanto riguarda la preparazione al sacramento, il Papa chiede che vi sia un “nuovo catecumenato” ad hoc:

“In questo spirito, mi sento di ribadire la necessità di un ‘nuovo catecumenato’ in preparazione al matrimonio. Accogliendo gli auspici dei Padri dell’ultimo Sinodo Ordinario, è urgente attuare concretamente quanto già proposto in Familiaris consortio, che cioè, come per il battesimo degli adulti il catecumenato è parte del processo sacramentale, così anche la preparazione al matrimonio diventi parte integrante di tutta la procedura sacramentale del matrimonio, come antidoto che impedisca il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti”.

Il Papa auspica che la preparazione sia anche una “vera e propria occasione di evangelizzazione degli adulti” e dei “cosiddetti lontani”. L’approssimarsi delle nozze per molti giovani costituisce infatti l’occasione per incontrare di nuovo la fede, magari relegata ai margini della loro vita, anche perché stanno vivendo un particolare momento in cui sono disposti a cambiare l’orientamento della loro esistenza. Per rendere più efficaci gli itinerari di preparazione al matrimonio, per Francesco c’è bisogno di persone con “specifica competenza”, e una sinergia fra sacerdoti e coppie di sposi, con il generoso apporto di cristiani adulti nella pastorale familiare, per costruire "il capolavoro della società, cioè la famiglia: l’uomo e la donna che si amano". Il fine è la crescita della fede dei fidanzati realizzando un inserimento progressivo nel mistero di Cristo, “nella Chiesa e con la Chiesa”. Tutto questo per aiutare a far vivere il matrimonio non solo “validamente e lecitamente” ma anche “fruttuosamente”.

Formazione permanente per i giovani sposi
Il secondo caposaldo per Francesco è quello della formazione permanente. La comunità cristiana è quindi chiamata ad accompagnare le giovani coppie con strumenti adeguati, a partire dalla partecipazione alla Messa domenicale, per curare la vita spirituale sia nella parrocchia sia nelle aggregazioni:

“Nel cammino di crescita umana e spirituale dei giovani sposi è auspicabile che vi siano dei gruppi di riferimento nei quali poter compiere un cammino di formazione permanente: attraverso l’ascolto della Parola, il confronto sulle tematiche che interessano la vita delle famiglie, la preghiera, la condivisione fraterna”.

Bisogna far sentire alle giovani coppie che, nonostante le fatiche e le povertà con cui devono misurarsi nella vita quotidiana, la loro storia d’amore è parte della “storia sacra” perché Dio non viene mai meno all’impegno che ha assunto con gli sposi il giorno delle nozze.

La Chiesa sia vicina, non lasci sole le giovani famiglie
In sostanza, non bisogna lasciare i giovani sposi a se stessi ma dare loro vicinanza e sostegno:

“Spesso i giovani sposi vengono lasciati a sé stessi, magari per il semplice fatto che si fanno vedere meno in parrocchia; ciò avviene soprattutto con la nascita dei bambini. Ma è proprio in questi primi momenti della vita familiare che occorre garantire maggiore vicinanza e un forte sostegno spirituale, anche nell’opera educativa dei figli, nei confronti dei quali sono i primi testimoni e portatori del dono della fede”.

I parroci sono quindi chiamati a essere sempre più consapevoli del delicato compito loro affidato nel gestire il percorso dei futuri sposi: rendere comprensibile il legame fra il foedus, cioè il patto, e fides, la fede. All’inizio del suo discorso, il Papa si era richiamato all’insegnamento dei suoi predecessori, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il primo aveva sottolineato proprio il legame profondo fra fede e matrimonio: quanto più l’uomo si allontana dalla fede, tanto più non è capace di fissare lo sguardo sulle cose essenziali. Benedetto XVI nel suo ultimo discorso alla Rota Romana aveva messo in risalto il rapporto fra amore e verità: senza questo, l’amore è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo. “Occorre grande coraggio a sposarsi nel tempo in cui viviamo”, ribadisce in conclusione Francesco che, pertanto, chiede alla Chiesa di far sentire la sua vicinanza concreta a chi compie questo passo importante. 

Prima dell'udienza dal Papa, nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico, la Celebrazione eucaristica per l’inaugurazione del nuovo Anno giudiziario, presieduta da mons. Angelo Becciu, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato.

inizio pagina

Memoria di S. Agnese: presentati al Papa gli agnelli benedetti

◊  

Stamane, nella Cappella Urbano VIII in Vaticano, sono stati presentati al Papa due agnelli, benedetti questa mattina nella Basilica di Sant’Agnese in Via Nomentana, nel giorno in cui la Chiesa ricorda questa Santa romana, vergine e martire del III secolo. La lana di questi agnelli sarà utilizzata per confezionare i Pallii dei nuovi arcivescovi metropoliti. 

Il Pallio è una fascia di stoffa, tessuta in lana bianca, decorata da sei croci in seta nera, che viene indossata dal Papa e dagli arcivescovi. È simbolo del vescovo che come buon pastore porta l’agnello sulle spalle e ricorda anche l'Agnello crocifisso per la salvezza degli uomini. E’ segno della comunione degli arcivescovi con la Sede Apostolica.

Il rito della benedizione dei palli è compiuto dal Santo Padre il 29 giugno, nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Verranno poi imposti dai nunzi apostolici agli arcivescovi nelle loro sedi.

Riguardo a Sant’Agnese, ricordiamo che nasce nel III secolo a Roma da genitori cristiani appartenenti a una illustre famiglia patrizia. Ha 12 anni quando l’Imperatore Diocleziano scatena una feroce persecuzione contro i cristiani. Il figlio del prefetto di Roma s’invaghisce di lei e minaccia di denunciarla come cristiana se non cede. Lei non rinnega Gesù e lo respinge. Viene esposta nuda nel Circo Agonale, ovvero lo Stadio di Domiziano nei pressi dell'attuale Piazza Navona, e gettata nel fuoco, ma sopravvive. Infine, viene trafitta con colpo di spada alla gola e muore come in quel tempo si uccidevano gli agnelli. 

inizio pagina

Papa ai detenuti: tenete viva la speranza, mai incarcerare la dignità

◊  

Serve una conversione culturale, perché i detenuti non smettano mai di essere prima di tutto persone con la loro dignità e affinché la pena non sia la fine della loro vita; affinché ciascuno possa aspirare ad un avvenire migliore. Lo scrive Papa Francesco in una lettera rivolta ai detenuti della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova, in occasione di un convegno sull’ergastolo, organizzato nei giorni scorsi da “Ristretti orizzonti”, il giornale realizzato dai reclusi di Padova. Francesca Sabatinelli

Tenete accesa la luce della speranza. A chiederlo è il Papa, rivolto ai detenuti del carcere Due Palazzi di Padova. Nella lettera a loro rivolta, Francesco scrive di immaginare di cogliere nel loro sguardo “tante fatiche, pesi e delusioni, ma anche di intravedere la luce della speranza”, che lui stesso incoraggia “a non soffocare mai”. Prega per tutti loro Francesco e chiede a chi ha “la responsabilità e la possibilità” di aiutare i detenuti a far sì che la speranza non si spenga, affinché l’essere persone “prevalga” sull’essere detenuti. “Siete persone detenute – scrive il Papa – sempre il sostantivo deve prevalere sull’aggettivo, sempre la dignità umana deve precedere e illuminare le misure detentive”.

Il messaggio di Francesco è un incoraggiamento alla riflessione, perché si realizzino “sentieri di umanità” che possano attraversare “le porte blindate” e affinché i cuori non siano mai “blindati alla speranza di un avvenire migliore per ciascuno”. E’ urgente una conversione culturale, si legge ancora, “dove non ci si rassegni a pensare che la pena possa scrivere la parola fine sulla vita; dove si respinga la via cieca di una ingiustizia punitiva e non ci si accontenti di una giustizia solo retributiva; dove ci si apra a una giustizia riconciliativa e a prospettive concrete di reinserimento; dove l'ergastolo non sia una soluzione ai problemi, ma un problema da risolvere”. Se la dignità “viene definitivamente incarcerata”, è l’avvertimento di Francesco, “non c'è più spazio, nella società, per ricominciare e per credere nella forza rinnovatrice del perdono”. Ma è in Dio, è la conclusione, che c’è “sempre un posto per ricominciare, per essere consolati e riabilitati dalla misericordia che perdona”.

E’ a Don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, che Papa Francesco ha consegnato la lettera lo scorso 17 gennaio, missiva letta dallo stesso Don Pozza ieri ai detenuti. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – Appena ho finito di leggere la lettera che Papa Francesco ha indirizzato a noi, i detenuti e chi ha partecipato a questo convegno si sono alzati in piedi, come fosse una standing ovation allo stadio e gli hanno tributato un bellissimo applauso. Penso che questo nasca da una consapevolezza: che nemmeno questa volta erano delle parole di circostanza, quelle che Papa Francesco ha espresso, dalle parole emerge il cuore e la mente di un Papa che è seriamente dentro a questo margine di sofferenza che è la pena dell’ergastolo, della quale pure lui fa fatica a capirne il senso. E, di conseguenza, per noi ieri è stata una brezza più che leggera sapere che dentro la fatica di una condanna c’è però la vicinanza di un Papa, che non ha risolto minimamente il problema dell’ergastolo, che però ci ha dimostrato la sua vicinanza. E a noi in questo momento la vicinanza serviva tantissimo.

D. – Questa lettera, don Marco, ti è stata consegnata da Papa Francesco in occasione di una tua visita a Santa Marta?

R. – Questa visita è stata la forma di vicinanza concreta che il Papa ha voluto mostrare a questo convegno. Siamo stati invitati la mattina (17 gennaio scorso ndr) a celebrare la Messa con lui, e poi ci ha fatto il dono di questa lettera che noi non sapevamo ci avesse indirizzato, inoltre si è fermato e ha scambiato con noi anche due parole molto familiari. I carcerati a Papa Francesco accreditano quell’autorevolezza che oggi non si sentono di accreditare a nessun’altra persona. Quindi a me piace pensare che questa lettera, che è stata indirizzata a me e alla nostra realtà, sia però letta in queste ore e in questi giorni come una lettera rivolta a tutte quelle persone che dentro le carceri soffrono e a tutte quelle persone che dentro le carceri, come direbbe Calvino, aiutano i detenuti a scoprire, dentro all’inferno, quello che non è inferno e che magari noi cristiani chiamiamo con il nome della speranza.

D. – Ed è rivolta anche a tutte quelle persone che fanno parte di una giustizia che a volte oggi – e questo è il timore espresso dal Papa – è semplicemente di tipo punitivo. Soprattutto il Papa sottolinea, come dicevi tu, una giustizia che ancora vede nell’ergastolo una soluzione ai problemi…

R. – Esattamente. È tenerissimo quel passaggio; quando parla dell’ergastolo dice: “Cerchiamo di vedere nell’ergastolo non la soluzione ai problemi, ma l’ergastolo come il problema da risolvere”. Noi non lo dovremmo mai dimenticare questo, nei confronti di tutte quelle persone che soffrono per delle responsabilità che sono di coloro che oggi sono condannati alla pena dell’ergastolo. Penso ai familiari delle vittime; penso a tutte quelle forme di sofferenza che sono state causate. Immagino che pensare delle forme alternative di espiazione, che non siano solo punitive, ci potrebbe un giorno, e magari anche con l’aiuto della grazia di Dio, far veramente capire che anche chi è morto non è morto invano. Sono commoventi le storie di persone che raccontano come la loro conversione sia nata anche sulle ceneri di un delitto, grazie anche al perdono ricevuto dalle vittime; o semplicemente sia nata, sia iniziata a nascere, quando hanno realizzato il male che avevano commesso e hanno scoperto che il bene aveva una fantasia più grande. Mi piacerebbe tantissimo pensare che la riflessione sulla pena dell’ergastolo sia qualcosa di utile anche per chiederci a che cosa serva condannare una persona ad una pena che non ha più nessun fine. E da questo punto di vista Papa Francesco ha fatto il bellissimo gesto, che era in suo potere di fare: quello di cancellare la pena dell’ergastolo nello Stato del Vaticano. Un gesto che spero possa servire da pungolo anche per tutte le altre nazioni che non lo hanno fatto, tra le quali l’Italia. Penso che questo gesto (la lettera) non risolverà i problemi economici dell’associazione Ristretti Orizzonti ma, certamente, la aiuterà di fronte alla gente ad accreditare un po’ di fiducia. Perché un Papa che sposa un battaglia così perché ci crede, significa anche accreditare chi magari da 20 anni viene messo ai margini perché ritenuto utopistico nelle sue lotte. 

inizio pagina

Il padre cappuccino Arsenio da Trigolo sarà presto Beato

◊  

Papa Francesco ha ricevuto ieri pomeriggio il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il Dicastero a promulgare i decreti riguardanti un prossimo nuovo Beato, padre Arsenio da Trìgolo, e il riconoscimento delle virtù eroiche di sette nuovi Venerabili Servi di Dio. Ce ne parla Sergio Centofanti

La Chiesa avrà presto un nuovo Beato, padre Arsenio, al secolo Giuseppe Migliavacca. Nato a Trigolo in provincia di Cremona nel 1849, ha vissuto una vita all’insegna della precarietà. Sacerdote gesuita, gli chiedono di lasciare la Compagnia come ultimo atto di una serie di incomprensioni e difficoltà. Fonda tra mille difficoltà e anche qui incomprensioni la Congregazione religiosa femminile di Maria SS. Consolatrice. Invidie, gelosie e calunnie lo colpiscono nel pieno delle sue fatiche ed è costretto a lasciare l’istituto che lo aveva fatto così tanto penare.

La croce - diceva - è la via regale per il Paradiso: obbedisce in silenzio e a 53 anni chiede di farsi Cappuccino. Afferma che “chi ha un cuore grande, farà cose grandi”, ma è difficile crederci davvero nel fallimento, almeno apparente, di tutto quello che intraprende.

Il suo proposito è di perdere tutto pur di acquistare Dio: è dunque interiormente preparato a queste disavventure, ma la sua sofferenza è grande e ora si augura soltanto che nel silenzio e nel nascondimento tra i frati cappuccini tutti si dimenticheranno di lui, e così  potrà rifugiarsi “nel Cuore di Gesù, tutto, senza riserva”. Muore in silenzio, trovato cadavere nella sua cella per aneurisma il 10 dicembre 1909 e nel silenzio resta lungamente avvolto, fino ad oggi.

“L’andar diritti in Paradiso per noi non è difficile - diceva - teniamo sempre la nostra volontà diretta a Dio, non vogliamo fare se non ciò che è di suo piacere e gloria, e il Paradiso è nostro”.

I sette nuovi Venerabili Servi di Dio sono:

- Raimondo Jardón Herrera, Sacerdote diocesano; nato il 21 gennaio 1887 e morto il 6 gennaio 1934;

- Giovanni Sáez Hurtado, Sacerdote diocesano; nato il 18 dicembre 1897 e morto l’8 agosto 1982;

- Ignazio Beschin (al secolo: Giuseppe), Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori; nato il 26 agosto 1880 e morto il 29 ottobre 1952;

- Giuseppe Wech Vandor, Sacerdote professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco; nato il 29 ottobre 1909 e morto l’8 ottobre 1979;

- Francesco Convertini, Sacerdote professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco; nato il 29 agosto 1898 e morto l’11 febbraio 1976;

- Santina Maria Addolorata (al secolo: Maria Addolorata De Pascali), Fondatrice della Congregazione delle Suore Discepole del Sacro Cuore; nata il 10 giugno 1897 e morta il 19 maggio 1981;

- Giovanni Tyranowski, Laico; nato il 9 febbraio 1901 e morto il 15 marzo 1947.

inizio pagina

Mons. Migliore nunzio anche in Uzbekistan, mons. Diquattro in India e Nepal

◊  

Papa Francesco ha dato oggi nuovi incarichi a due nunzi italiani. Ha chiamato l’arcivescovo piemontese Celestino Migliore, nunzio apostolico nella Federazione Russa, a guidare anche la nunziatura in Uzbekistan, e ha nominato nunzio in India e Nepal l’arcivescovo bolognese Giambattista Diquattro, finora nunzio in Bolivia.

Mons. Celestino Migliore è nato a Cuneo il primo luglio 1952. Nel 1980 è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, lavorando fino al 1984 presso la Delegazione apostolica dell'Angola e poi presso quella dell'Organizzazione degli Stati Americani fino al 1988. Dopo essere stato inviato nelle nunziature di Egitto e Polonia, nel 1992 è stato nominato osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa. Fra il 1995 e il 2002 è stato sottosegretario alla Sezione per le Relazioni con gli Stati della Segreteria di Stato. Quindi è stato nominato osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite ed elevato alla sede titolare di Canosa, con dignità di arcivescovo. Il 6 gennaio 2003 ha ricevuto la consacrazione episcopale da San Giovanni Paolo II. Nel 2010 è stato nominato nunzio in Polonia e nel 2016 in Russia.

Mons. Giambattista Diquattro è nato a Bologna il 18 marzo 1954. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, nel 2005 è nominato da San Giovanni Paolo II nunzio apostolico a Panama e viene elevato ad arcivescovo titolare di Giromonte. Riceve la consacrazione episcopale il 4 giugno 2005 dal cardinale Angelo Sodano. Il 21 novembre 2008 Benedetto XVI lo nomina nunzio apostolico in Bolivia.

inizio pagina

Messa del Papa per gli 800 anni dei Domenicani: "Avanti con gioia"

◊  

Papa Francesco ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Con San Domenico ‘andiamo avanti con gioia, pensando al nostro Salvatore’. #OP800”.

Oggi alle 16.00, Papa Francesco presiede nella Basilica di San Giovanni in Laterano la Santa Messa a conclusione del Giubileo per gli 800 anni della conferma dell’Ordine dei Predicatori, i Domenicani.  

inizio pagina

Francesco riceve i cardinali Ouellet e Müller

◊  

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina anche i cardinali Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

inizio pagina

E' morto a Roma il dottor Buzzonetti, medico dei Papi

◊  

Si è spento questa notte a Roma all'età 92 anni il dottor Renato Buzzonetti, che dal 1978 era stato medico di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Nato a Roma il 23 agosto 1924, Buzzonetti era andato in pensione nel giugno 2009. Per ventisei anni medico principale di Karol Wojtyla, per quattro di Joseph Ratzinger e, prima, del beato Paolo VI, come secondo del dottor Mario Fontana, e di Albino Luciani. Benedetto XVI gli aveva concesso il titolo onorifico di archiatra pontificio emerito. Intervistato da Tiziana Campisi, il dottor Buzzonetti aveva definito San Giovanni Paolo II "testimone di una fede incrollabile sino al termine della sua vita terrena" e si era soffermato sul rapporto tra Papa Wojtyla e la sofferenza. Riascoltiamo le sue parole: 

R. – Se è vero che il medico conosce la morte e deve, quanto più possibile, aiutare l’uomo a varcare questa soglia misteriosa, io ho sempre detto che assistere alla morte di un uomo fa sfiorare il mistero di Dio perchè in effetti la morte di una creatura umana, in qualche maniera, è un’icona della passione e della morte del Signore. Però stare accanto ad un Papa che muore è qualcosa di più perché - io ne ho la sensazione quasi fisica - è la morte di un uomo che lascia le chiavi del Regno dei Cieli, quelle chiavi di cui tutti abbiamo fatto tesoro e si presenta veramente povero al giudizio di Dio e a quello di tutta la Chiesa. Chi ha toccato il corpo del Papa morente ha toccato le sue piaghe che c’erano, di queste piaghe nessuno ha mai parlato, ma c’erano anche le piaghe vere, quelle che sanguinano, e non perché ci fossero fenomeni misteriosi.. erano fenomeni puramente medici, ma c’erano le piaghe e quindi il dolore delle piaghe. Chi ha ascoltato le sue ultime parole biascicate in polacco, porta dentro di sé un’esperienza che non si può cancellare ma nemmeno troppo facilmente comunicare agli altri.

D. – Che tipo di paziente era Giovanni Paolo II?

R. – Era un paziente buono, si faceva visitare, collaborava, raccontava con esattezza i suoi disturbi, anzi era molto attento e vigile sui suoi malesseri piccoli e grandi perché voleva guarire presto e voleva aiutare il medico a trovare il bandolo della matassa dei suoi disturbi. Certo, come tutti i malati, non amava le iniezioni endovenose, però il resto della terapia, che poi è anche quella più pesante, più difficile da sopportare, lo accettò senza fare difficoltà fino alla tracheotomia. Si fece spiegare da me in cosa consistesse e quale era lo scopo, e dopo qualche minuto di riflessione e di silenzio diede il suo benestare.

D. – Che cosa invece lei ha imparato da Karol Wojtyla?

R. – Anzitutto a fare meglio il medico, cioè a ricordarmi che ogni malato ha gli stessi privilegi e diritti che può aver un Papa, nel senso che dinnanzi al medico, tutti i malati, i più poveri, i più dimenticati, sono anch’essi fratelli miei e figli di Dio. La sostanza è che il medico serve l’uomo, questo ho imparato. Poi dal Papa Giovanni Paolo ho appreso il suo grande spirito di fede, questa fede di acciaio che lo ha sostenuto in tutta la vita nei capitoli che ci hanno raccontato i libri, i film… questa fede veramente incrollabile che lo portava ad accettare e sopportare, non solo il male fisico, ma anche la difficoltà di un ministero estremamente impegnativo e anche rischioso.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Hotel Rigopiano: salvate 9 persone, 23 i dispersi

◊  

Alle pendici del Gran Sasso, prosegue la corsa contro il tempo delle operazioni di soccorso tese a recuperare le persone ancora disperse all’interno dell’hotel Rigopiano, investito da una slavina mercoledì sera. Due sono le persone individuate ancora da estrarre e nelle prime ore della mattina altri quattro sopravvissuti sono stati tratti in salvo. Recuperato anche un morto. Il bilancio provvisorio vede quindi 9 superstiti, 5 vittime accertate e 23 persone che mancano ancora all’appello. Riguardo ai sopravvissuti il segretario generale della Cei, mons. Galantino parla di “bella notizia”, riferisce che “il Papa è informato” e garantisce il sostegno di Caritas nelle zone terremotate. Il servizio di Marco Guerra

"Abbiamo altri segnali da sotto la neve e le macerie, stiamo verificando. Potrebbero essere persone vive, ma anche le strutture dell'albergo che si muovono sotto il peso della neve", Così  riferiscono i Vigili del fuoco che lavorano senza sosta per raggiungere i 23 dispersi stimati. Nelle prime ore di questa mattina gli ultimi quattro salvataggi. I soccorritori sono dotati di micro-telecamere e cosiddetti serpenti hi-tech e ora si cerca di captare anche i segnali dei cellulari. I 9 superstiti sono in discrete condizioni. Ma le ultime 24 ore sono state caratterizzate dalla gioia per i quattro bambini salvati. Un lavoro difficilissimo per le condizioni ambientali in cui operano i soccorritori. Sentiamo il presidente nazionale dei geomorfologi, Gilberto Bambianchi, che studia i cambiamenti della morfologia dell’Appennino determinati dai terremoti:

R. – Abbiamo notizie storiche di modificazioni di versanti, di grandi frane, di scomparse di sorgenti e di scomparse di fiumi. Ecco, questi effetti di superfice li abbiamo notati anche con la sequenza sismica che è iniziata il 24 agosto e che si sta ancora evolvendo. Il nostro compito è naturalmente quello di tenere sotto controllo i versanti…

D. – Riguardo alla situazione disastrosa di Rigopiano, che considerazioni si possono fare dal punto di vista geologico?

R. – L’area in cui sorgeva l’albergo è fortemente a rischio: si trova alla base di un versante molto pendente e si trova allo sbocco di un grande canalone che noi – geomorfologi – chiamiamo “canalone di colate di detrito” e “canaloni di valanga”. Per cui si vede benissimo che fenomeni passati hanno interessato quella zona.

Intanto prosegue all’Ospedale di Penne l’attesa straziante dei Parenti dei dispersi, mentre i feriti sono stati visitati dal vescovo di Pescara, mons. Tommaso Valentinetti. E in tutto l’Abruzzo, molte frazioni risultano ancora isolate dalla neve e senza energia elettrica. Tre finora i morti per le rigide temperature. Servono urgentemente turbine per la neve. Come conferma Daniele Berardi guida escursionistica in attività nel pescarese:

R. - Ad oggi i comuni sono stati tutti liberati dalla neve, ma molte frazioni continuano ad essere irraggiungibili, quindi raggiungibili solo a piedi, con gli sci o con il gatto delle nevi. Qui ci sono zone con oltre quattro metri di neve compatta che nel tempo si è ghiacciata. Immagini che uno degli interventi più delicati, cui ho partecipato, è stato il soccorso a due persone anziane rimaste intossicate dall’ossido di carbonio fuoriuscito da un generatore di corrente.

D. - Situazione aggravata dalla mancanza di energia elettrica …

R. - Sì, senza corrente elettrica purtroppo non possiamo fare più nulla, perché i frigoriferi, i cellulari, … Parliamo di cose più importanti: ci sono persone legate ad apparati salvavita; durante le nostre attività abbiamo visto gli operatori dell’Enel operare in condizioni particolari … Ci sono tralicci caduti a terra, spezzati …

Stessa realtà difficile anche nelle Marche, con 40 frazioni ancora difficili da raggiungere. Il Consiglio dei ministri ha stanziato 30 milioni per le prime necessità e ha esteso lo stato di emergenza ai nuovi Comuni colpiti dall'ultimo sisma.   

 

 

 

 

inizio pagina

Usa. Trump giura da Presidente: "L'America prima di tutto"

◊  

Donald Trump ha giurato ieri a Washington come 45.mo Presidente degli Stati Uniti. Nel suo discorso ha affermato con forza: "L'America prima di tutto". Oggi - ha aggiunto - il "potere torna al popolo". Poi le due linee guida: "Comprate americano, assumete americani". Come primo atto presidenziale ha firmato un decreto che taglia i costi della Riforma sanitaria di Obama, la cosiddetta 'Obamacare'. Ieri non sono mancate le proteste con manifestazioni che a volte sono degenerate in scontri con la polizia: oltre 200 gli arresti. Massimiliano Menichetti ha intervistato Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano La Stampa: 

R. – Il Presidente Trump ha fatto un discorso in linea con ciò che diceva durante la campagna elettorale. Molti si aspettavano che sarebbe cambiato una volta alla Casa Bianca, invece ha dimostrato che quelle erano effettivamente le sue idee, le idee con cui intende governare gli Stati Uniti. In sostanza ha detto che il suo progetto è quello di rifare grande l’America, rilanciando l’economia, restituendo il governo al popolo e anche sul piano internazionale mettendo l’interesse dell’America al primo posto, “America first”. E’ convinto che con questa strategia riesca a rilanciare l’America, a farle avere successo, tanto dal punto di vista economico, quanto dal punto di vista della presenza sulla scena internazionale. Quindi in questa maniera pensa forse di unificare il Paese, nel senso che avendo successo poi anche le persone che non l’hanno votato si convinceranno a seguire la sua leadership.

D. – Tante le proteste nella giornata di insediamento. Si vede ancora la spaccatura che c’era durante la campagna elettorale…

R. – La spaccatura è rimasta, gli Stati Uniti sono un Paese diviso e chiaramente l’elezione di Trump, almeno al momento, non è riuscita a curare questa divisione che però è precedente a lui, e che va avanti da circa 20 anni. Trump è un Presidente di minoranza, lo hanno votato poco più di 60 milioni di americani, certamente meno della metà degli aventi diritto. E in più ha anche perso il voto popolare rispetto a Hillary Clinton, con tre milioni di consensi in meno. Quindi è in una posizione veramente difficile. I sondaggi dicono che la sua popolarità è al 40%, quindi è abbastanza bassa. E da qui deve cercare di partire per riconquistare tutta quanta questa fetta di americani che non lo hanno votato e non accettano addirittura la sua elezione. Trump per avere successo deve diventare il Presidente di tutti gli americani, non può restare solo il Presidente di coloro che lo hanno votato.

D. - Di cosa ha bisogno l’America adesso?

R. – Secondo Trump - è quello che lui ha detto in maniera informale ai suoi collaboratori - ha bisogno di successo economico. Ha detto che la cosa fondamentale su cui si baserà il successo della sua presidenza è il rilancio dell’economia e soprattutto il lavoro. E’ vero che la disoccupazione è bassa, sotto il 5% ma secondo lui molti americani sono insoddisfatti perché o non cercano più il lavoro oppure quello che hanno non gli dà abbastanza sicurezza, non gli dà la possibilità di realizzare il sogno americano, di vivere meglio di come facevano i propri genitori. Lui punta soprattutto su questo. E poi naturalmente sulla sicurezza, infatti ha detto che l’obiettivo principale della sua amministrazione sarà quello di sradicare l’islam radicale e il terrorismo che produce in tutto quanto il mondo.

D. – Siamo abituati a vedere un’America che vive e interpreta la democrazia anche con le grandi proteste, ma anche un’America che poi si ricompatta sotto la bandiera: qual è l’America di oggi?

R. – Trump ha fatto l’appello al patriottismo, ha detto: potete essere bianchi, neri, marroni, potete essere repubblicani o democratici, ma alla fine quello che ci unisce è il patriottismo, l’adesione alla stessa bandiera. In questo momento però non ho l’impressione che ci sia questo denominatore. Il patriottismo, la fedeltà agli Stati Uniti, alla bandiera, ai valori americani probabilmente esistono nel fondo del cuore di tutti quanti gli abitanti di questo Paese, ma quelle che emergono di più sono le divisioni, le differenze politiche che sono state accentuate durante la scorsa campagna elettorale. Questa effettivamente è la sfida di Donald Trump. La divisione del Paese esisteva prima che lui arrivasse ma si è accentuata adesso. E certamente se lui non riesce a ricompattare il Paese, se lui resta solamente il Presidente dei 60 milioni di americani che lo hanno votato, questo rischia di diventare un problema serio per la tenuta degli Stati Uniti e per il loro successo economico e nella politica estera.

inizio pagina

Gambia: Yahya Jammeh annuncia l'uscita dalla scena politica

◊  

Il Presidente uscente del Gambia Yahya Jammeh ha accettato di lasciare il potere ed il Paese. A riferirlo fonti della Mauritania e della Guinea che hanno condotto le trattative a Banjul e che lasciano trapelare come Jammeh possa trasferirsi a breve proprio in Mauritania o in Qatar. Il servizio di Giada Aquilino

“Non è necessario che venga sparsa neanche una goccia di sangue”. Con queste parole, in un discorso televisivo, Yahya Jammeh ha annunciato di lasciare il potere e scegliere l’esilio all’estero. Eppure sono trascorsi quasi 23 anni dal colpo di Stato con cui nel 1994 prese il potere: più di due decenni non certo facili per la popolazione che nel tempo ha denunciato sparizioni, omicidi, incarcerazioni senza processo, persecuzioni. Era scaduto ieri l'ultimatum posto a Jammeh dalla Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale, l’Ecowas, le cui truppe avevano fatto il loro ingresso in Gambia giovedì, dopo il giuramento a Dakar, in Senegal, di Adama Barrow, eletto nelle consultazioni del dicembre scorso. L’Onu ha reso noto che circa 45 mila persone sono fuggite in Senegal nel timore dell'inizio di un conflitto armato, in un Paese – il più piccolo dell’Africa - già afflitto da povertà e crisi economica, che negli anni hanno spinto soprattutto i giovani a migrare in condizioni drammatiche. L’africanista Vincenzo Giardina:

“Un caso che ha commosso il mondo, a novembre, è stato quello della morte in mare, nel Mediterraneo, di una ragazza di 19 anni, portiere della nazionale femminile di calcio del Gambia: un fatto che racconta di un Paese dove una persona su tre vive al di sotto della soglia di povertà fissata dalle Nazioni Unite e dove la disoccupazione è endemica. Il Gambia è un Paese con meno di due milioni di abitanti e con una superficie inferiore a quella della Campania, incuneato e completamente abbracciato dal Senegal, che dipende quasi interamente, per la propria economia, dalle esportazioni di prodotti agricoli”.

Jammeh non ha fornito dettagli su come intenda procedere nella transizione. Dopo il voto di dicembre, aveva fatto sapere di accettare la vittoria elettorale di Barrow, tornando poi sui suoi passi. Al lavoro ancora i mediatori dell’Africa occidentale, in un continente dove non di rado si assiste al protrarsi di presidenze e mandati:

“In Africa si è parlato molto, negli ultimi mesi, di situazioni di crisi importanti, legate allo svolgimento o al mancato svolgimento di elezioni. Penso anzitutto al Gabon, dove Ali Bongo è rimasto al potere nonostante elezioni contestate, anche a livello internazionale; e penso soprattutto alla Repubblica Democratica del Congo, dove - nonostante la scadenza del proprio mandato - il Presidente Joseph Kabila non ha lasciato il potere e le elezioni sono state rinviate a un futuro da definirsi. Il Gambia, da un punto di vista del proprio peso demografico e geopolitico, è un caso un po’ differente: è un Paese piccolo e quindi l’ipotesi di un intervento come quello a cui stiamo assistendo è difficilmente replicabile in contesti quali il Gabon o la Repubblica Democratica del Congo. Evidentemente si pone e torna un problema: quello cioè dei Presidenti aggrappati al potere, dei Presidenti che non rispettano le prescrizioni costituzionali e dunque di un sistema di alternanza di tipo liberaldemocratico che in Africa fa difficoltà ad affermarsi”.

In Gambia, poco prima del Natale 2015, Jammeh proclamò la Repubblica islamica:

“Nei giorni scorsi mi è capitato di intervistare, per l’Agenzia di stampa ‘Dire’, padre Benedict Mbah, un missionario della Congregazione dei Missionary of Saint Paul, che si trova in Gambia. Raccontava della crisi economica e raccontava anche di questo passaggio contestato della proclamazione di una Repubblica islamica in Gambia, un Paese che è in grande maggioranza musulmano, ma dove c’è anche un’importante, significativa e preziosa tradizione di convivenza tra cristiani e musulmani. La lettura che padre Benedict ha dato è quella di un tentativo, negli ultimi anni, di distogliere l’attenzione da condizioni economiche molto, molto difficili; oltre che di tentare di riposizionare il Gambia in modo tale da ottenere aiuti e alleanze da parte delle monarchie del Golfo, allontanandosi invece – come testimoniato dalla decisione di uscire dal Commonwealth, assunta nel 2013 - dall’Unione Europea e dagli ex colonizzatori britannici. Peraltro c’è stata una sospensione di aiuti significativa da parte europea, che ha avuto anche un impatto sull’economia e la società del Gambia”.

La popolazione, soprattutto quella in fuga su piroghe di fortuna lungo il fiume Gambia, attende che il nuovo capo di Stato Barrow prenda le redini di un Paese che la stampa internazionale ha più volte definito “in macerie”.

inizio pagina

Sud Sudan: appello per migliaia di sfollati della missione Rii-menze

◊  

“Chiedo aiuto per 7 delle 22 parrocchie della mia diocesi che sono state colpite dalle violenze che imperversano nell’area” scrive all’agenzia Fides mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, nel Sud Sudan, dove il conflitto tra il Presidente, Salva Kiir, e l’ex vice Presidente, Riek Machar, ha fatto esplodere una serie di conflitti etnici in diverse zone del Paese.

Violenze riesplose per attacco contro militari dell'Spla
Tra queste zone c’è l’area di Tombura-Yambio dove - come spiega mons. Kussala - le violenze sono esplose quando intorno al 28 dicembre 2016 i militari dell’Spla (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese, la formazione guerrigliera di Kiir che è diventato l’esercito regolare del Sud Sudan dopo l’indipendenza nel 2011) sono stati attaccati sulla strada verso Ibba da giovani armati. Secondo fonti ufficiose, nell’agguato i militari dell’Spla hanno perso una notevole somma di denaro e personale chiave dei loro quadri dirigenziali; questo fatto ha reso i soldati dell’Spla estremamente aggressivi e pieni di rabbia. La gente dice che un elicottero speciale è stato mandato da Juba per raccogliere i morti.

L'incidente ha causato una vera e propria catastrofe umanitaria
“Quello che è successo dopo è stata una vera e propria catastrofe umanitaria - afferma mons. Kussala -. I militari dell’Spla hanno inseguito coloro che li avevano assaliti intorno a Yambio, sulla strada di Maridi. Per questo molti civili sono stati coinvolti nel conflitto a fuoco o volontariamente uccisi dai militari. Non è possibile sapere il numero esatto dei morti attraverso le organizzazioni umanitarie, e noi stessi in diocesi non abbiamo dati sicuri perché è molto difficile poter raggiungere le zone interessate”.

Gli sfollati hanno perso tutto
“La nostra diocesi insieme ad altre agenzie umanitarie, coordinate dalla Commissione municipale che si occupa degli aiuti, sta registrando gli sfollati nei Campi profughi presso la Yambio Primary School dove alcuni hanno trovato accoglienza” racconta il vescovo. La maggioranza degli sfollati ha perso tutte le provviste di cibo, mentre le loro case sono state bruciate o saccheggiate.

In migliaia stanno raggiungendo la missione per questo c'è bisogno di aiuto
​Nella Stazione missionaria Rii-menze, Nostra Signora Assunta, migliaia di sfollati hanno trovato rifugio nel compound della missione. Le donne, i bambini e gli anziani dormono in chiesa e nelle aule della scuola. Il loro numero aumenta ogni giorno, perché la gente che può farlo esce dal bosco e raggiunge la missione. Mons. Kussala chiede l’invio di aiuti per assistere queste persone. “Qualsiasi donazione per sostenere la popolazione di Rii-menze sarà ricevuta con riconoscenza e gratitudine. Io stesso ho vissuto per due anni in questa parrocchia e quindi conosco personalmente molti di loro. È veramente doloroso e sento una profonda tristezza nel cuore al vedere tanta violenza e sofferenza imposta agli innocenti” conclude il vescovo. (L.M.)

inizio pagina

Sri Lanka: al via l’Anno di San Giuseppe Vaz, apostolo dell'isola

◊  

La Chiesa srilankese ha proclamato il 2017 Anno di San Giuseppe Vaz, apostolo dello Sri Lanka e primo santo del Paese canonizzato da Papa Francesco durante il viaggio pastorale del 2015.  

L’inaugurazione ufficiale presieduta dal card. Malcom Ranjith a Colombo
L’anno – riporta le agenzie Ucanews e Asianews – è stato inaugurato il 14 gennaio con una celebrazione presieduta dal card. Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo nella cattedrale di Santa Lucia a Kotahena della capitale. “San Giuseppe Vaz - ha detto ai presenti il porporato - è stato uno straordinario esempio di riconciliazione per i tamil e i singalesi in Sri Lanka. Egli non solo parlava entrambe le lingue, ma ha vissuto in modo pacifico con i membri delle due etnie”.

Un’occasione per  promuovere l’armonia etnica e religiosa in Sri Lanka
L’arcivescovo di Colombo ha precisato che l’Anno di San Giuseppe Vaz sarà un’occasione per fare conoscere il ”coraggioso lavoro per lo Sri Lanka e per i cattolici nel mondo. Particolare attenzione – ha detto - verrà data alla lotta contro la povertà e alla crescita dell’armonia religiosa tra le differenti religioni e i gruppi etnici, virtù che San Giuseppe Vaz ha incarnato in pieno”.

Dal 31 marzo la reliquia collocata nella basilica di Nostra Signora di Tewat
Nel giorno di inaugurazione dell’Anno, una reliquia del Santo (un mantello di cotone blu) è stata esposta per la devozione in due luoghi di culto: dalle 6 di mattina alle 4 di pomeriggio, presso il santuario di sant’Antonio di Kochchikade; dalle 4.30 di pomeriggio alle 9 di sera nella cattedrale di santa Lucia, dove era stata portata in processione. Dal prossimo 31 marzo la reliquia verrà collocata nella basilica di Nostra Signora di Tewatte, il santuario mariano nazionale. Per l’occasione è stato annunciato anche l’inno ufficiale, il brano “Vandaneeyawu, Pujaneeyawu” composto da J.K.S. Perera. Il cardinale ha invitato i vescovi e i sacerdoti presenti a promuovere il canto in tutte le parrocchie delle diocesi durante l’anno. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Commento di don Sanfilippo al Vangelo della terza Domenica T.O.

◊  

Nella terza Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù comincia a predicare dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre cammina lungo il mare di Galilea, chiama alcuni pescatori, Simone, chiamato Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, che lasciano tutto e lo seguono:

“Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

“Il Regno dei cieli è vicino, convertitevi”. Questa buona notizia libera le persone dall’angoscia e dal non-senso offrendo l’unica via d’uscita che dà pace: verità, perdono e vita nuova. Quanto è urgente far sapere a tutti che in Cristo esiste questa possibilità concreta di aiuto! Gesù, beneficando le persone, le coinvolge in questa missione che merita totale dedizione. Nel vangelo il Signore sconvolge totalmente la vita di alcuni uomini chiamandoli a seguirlo, coinvolti in questa stessa passione: liberare ognuno dall’oppressione del diavolo. Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni percepiscono nello sguardo e nella voce del Salvatore quel “guizzo d’Assoluto” che attira, fino a strapparli perfino dall’attaccamento al lavoro e dai legami familiari: essi lasciano la barca con le reti,  il padre e i propri familiari. Con il Salvatore, partendo dai villaggi della Galilea, essi diffondono la gioia di Dio che illumina il senso della vita e guarisce dalla superbia ottusa, dalla volontà malata che non combatte per vivere, dai dubbi sulla propria identità. Pure oggi il Messia percorre le nostre città con i suoi inviati per sanarci dal male, accogliamo il suo invito discreto, anche se sconvolge i nostri progetti, e a nostra volta facciamo risuonare ovunque il grido: ”Il Regno dei cieli è vicino, convertitevi!”.

inizio pagina
Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 21

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.