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Sommario del 10/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Gesù ha autorità perché è al servizio, clericalismo disprezza la gente

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Gesù aveva autorità perché serviva la gente, era vicino alle persone ed era coerente, al contrario dei dottori della legge che si sentivano principi. Queste tre caratteristiche dell’autorità di Gesù sono state messe in luce dal Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco sottolinea che invece i dottori della Legge insegnavano con un’autorità clericalistica, staccati dalla gente, non vivevano quello che predicavano. Il servizio di Debora Donnini

L’autorità di Gesù e quella dei farisei sono i due poli attorno ai quali ruota l’omelia del Papa. L’una un’autorità reale, l’altra formale. Nel Vangelo odierno si parla dello stupore della gente perché Gesù insegnava “come uno che ha autorità” e non come gli scribi: erano le autorità del popolo, sottolinea Francesco, ma quello che insegnavano non entrava nel cuore, mentre Gesù aveva un’autorità reale: non era “un seduttore”, insegnava la Legge “fino all’ultimo puntino”, insegnava la Verità ma con autorità.

Gesù serviva la gente mentre i dottori della legge si sentivano principi
Il Papa entra dunque nel dettaglio e si sofferma sulle tre caratteristiche che differenziano l’autorità di Gesù da quella dei dottori della Legge. Mentre Gesù “insegnava con umiltà” e dice ai suoi discepoli che “il più grande sia come quello che serve: si faccia il più piccolo”, i farisei si sentivano principi:

“Gesù serviva la gente, spiegava le cose perché la gente capisse bene: era al servizio della gente. Aveva un atteggiamento di servitore, e questo dava autorità. Invece, questi dottori della legge che la gente … sì, ascoltava, rispettava ma non sentiva che avessero autorità su di loro, questi avevano una psicologia di principi: 'Noi siamo i maestri, i principi, e noi insegniamo a voi. Non servizio: noi comandiamo, voi obbedite'. E Gesù mai si è fatto passare come un principe: sempre era il servitore di tutti e questo è quello che gli dava autorità".

La seconda caratteristica dell’autorità di Gesù è la vicinanza
E’ essere vicino alla gente, infatti, che conferisce autorità. La vicinanza è quindi la seconda caratteristica che differenzia l’autorità di Gesù da quella dei farisei. “Gesù non aveva allergia alla gente: toccare i lebbrosi, i malati, non gli faceva ribrezzo”, spiega Francesco mentre i farisei disprezzavano “la povera gente, ignorante”, gli piaceva passeggiare nelle piazze, ben vestiti:

“Erano staccati dalla gente, non erano vicini; Gesù era vicinissimo alla gente, e questo dava autorità. Quelli staccati, questi dottori, avevano una psicologia clericalistica: insegnavano con un’autorità clericalistica, cioè il clericalismo. A me piace tanto quando leggo la vicinanza alla gente che aveva il Beato Paolo VI; nel numero 48 della 'Evangelii Nuntiandi' si vede il cuore del pastore vicino: è lì l’autorità di quel Papa, la vicinanza. Primo, servitore, di servizio, di umiltà: il capo è quello che serve, capovolge tutto, come un iceberg. Dell’iceberg si vede il vertice; invece Gesù capovolge e il popolo è su e Lui che comanda è sotto e da sotto comanda. Secondo, vicinanza”.

Gesù era coerente. L’atteggiamento clericalistico è ipocrita
Ma c’è un terzo punto che differenzia l’autorità degli scribi da quella di Gesù ed è la coerenza. Gesù “viveva quello che predicava”: “c’era come una unità, un’armonia fra quello che pensava, sentiva, faceva”. Mentre chi si sente principe ha “un’atteggiamento clericalistico”, cioè ipocrita, dice una cosa e ne fa un’altra:

“Invece, questa gente non era coerente e la loro personalità era divisa al punto che Gesù consiglia ai suoi discepoli: 'Ma, fate quello che vi dicono, ma non quello che fanno': dicevano una cosa e ne facevano un’altra. Incoerenza. Erano incoerenti. E l’aggettivo che tante volte Gesù dice loro è ipocrita. E si capisce che uno che si sente principe, che ha un atteggiamento clericalistico, che è un ipocrita, non ha autorità! Dirà le verità, ma senza autorità. Invece Gesù, che è umile, che è al servizio, che è vicino, che non disprezza la gente e che è coerente, ha autorità. E questa è l’autorità che sente il popolo di Dio”.

Lo stupore del locandiere nella parabola del Buon Samaritano
In conclusione, il Papa per fare comprendere appieno questo, ricorda la parabola del Buon Samaritano. Davanti all’uomo lasciato mezzo morto sulla strada dai briganti, passa il sacerdote e se ne va magari perché c’è il sangue e pensa che se lo avesse toccato, sarebbe diventato impuro, passa il levita e, dice il Papa, “credo che pensasse” che si fosse immischiato sarebbe poi dovuto andare in tribunale a rendere testimonianza e aveva tante cose da fare. Anche lui quindi se ne va. Alla fine viene il samaritano, un peccatore, che, invece, ha pietà. Ma c’è un altro personaggio, il locandiere, nota il Papa, che rimane stupito non per l’assalto dei briganti, perché era una cosa che accadeva su quella strada, non per il comportamento del sacerdote e del levita, perché li conosceva, ma per quello del samaritano. Lo stupore del locandiere di fronte al samaritano: “Ma, questo è pazzo”, “non è ebreo, è un peccatore”, poteva pensare. Francesco si riallaccia, dunque, allo stupore della gente del Vangelo odierno di fronte all’autorità di Gesù: “un’autorità umile, di servizio”, “un’autorità vicina alla gente” e “coerente”.

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Il Presidente palestinese sabato dal Papa in Vaticano

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Il Papa riceverà in udienza in Vaticano il Presidente palestinese Mahmoud Abbas, sabato prossimo, 14 gennaio. Lo riferisce la Sala Stampa vaticana. Non è il primo incontro fra Papa Francesco e il Presidente palestinese. Tra l'altro in una Nota informativa, la stessa Sala Stampa riferisce che le cancellerie di Ambasciata con sede a Roma sono 88, essendosi aggiunta nel corso dell’anno anche l' Ambasciata di Palestina, in seguito all’entrata in vigore dell’Accordo globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina del 26 giugno 2015.

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Osservatore Romano: presentata la nuova edizione del settimanale

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“E’ una nuova sfida nella continuità”. Così, l’Arcivescovo Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato, oggi in Sala Stampa Vaticana per illustrare ai giornalisti la nuova edizione settimanale de L’Osservatore Romano. Presenti anche il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Viganò e il prof. Giovanni Maria Vian, direttore del quotidiano vaticano. Per noi c’era Massimiliano Menichetti: 

E’ mostrando ai giornalisti la nuova veste grafica del settimanale de L’Osservatore Romano, nel 70esimo di pubblicazione, che si è aperto il “meeting point”, la “festa” come ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke. “Una sfida” ha ribadito mons. Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato, il quale ha sottolineato che “l’indirizzo politico” dell’Osservatore dipende dal suo ufficio e che il settimanale si inserisce nella riforma dei media in un ottica di rilancio:

“È la novità nella continuità, che è una costante della Chiesa. Direi che è anche una sfida, perché insistere sul cartaceo, ai tempi d’oggi, è un pochino andare controcorrente”.

Mons. Becciu ha anche parlato “dell’apertura al mondo” delle rotative:

“Conferma lo stile de L’Osservatore Romano – del quotidiano – che deve essere il portavoce del Papa, della sua parola, della sua attività, ma con questa peculiarità, che è poi lo stile del Papa, di aprirsi al mondo, di aprirsi ai non credenti, di aprirsi all’area laica… E qui ci possono essere dei punti che ci accomunano, come la passione per l’ecologia, il portare la pace”.

“La Chiesa è in pima linea nel creare ponti e riportare la pace in zone di guerra” - ha aggiunto - ricordando il grande lavoro dei vescovi in Congo, raccontato anche con l’inchiostro vaticano:

“Personalmente mi complimento con loro, perché i vescovi della Repubblica Democratica del Congo sono riusciti ad evitare una crisi pericolosa che poteva portare a una guerra civile. Sono stati capaci di creare un accordo e di aiutare il Presidente, diremmo, a prendere le sagge risoluzioni”.

“Particolare attenzione – ha detto mons. Becciu – è data al ruolo delle donne nella Chiesa”, ha ricordato quindi il mensile “che in questo senso viene pubblicato dall’Osservatore e che verrà collegato con il settimanale” presentato oggi.

Il prof. Vian, direttore dell’Ossevatore Romano, ha ribadito che la pubblicazione periodica esiste dal 1948, ma che si è completamente rinnovata:

“Le tre sezioni, oltre a quella vaticana, sono caratterizzate, oltre che da una presenza selezionata di articoli, da rubriche nuove. Per l’internazionale e per la cultura si alternano un laico e un cattolico: per l’internazionale, il presidente Luciano Violante e l’ambasciatore Antonio Zanardi Landi; per la cultura, due colleghi che conosciamo da molto tempo, Dario Fertilio e Roberto Righetto; per l’informazione religiosa, che ne L’Osservatore non significa solo mondo cattolico ma anche l’ecumene cristiana e le altre religioni, ci sono Zouhir Louassini, collega della Rai e nostro editorialista; c’è poi Anna Foa, un’altra editorialista del giornale; un protestante, Marcelo Figueroa, argentino, nuovissimo direttore dell’edizione argentina; e il card. Bassetti, l’arcivescovo metropolita di Perugia - Città della Pieve. Ognuno di questi autori si alterna nel corso di un mese: quindi è una rubrica mensile in realtà per ciascuno di loro”.

Un’edizione particolare quella settimanale – ha precisato – chiamata in gergo dei parroci:

“Perché permetteva ai parroci di avere una sintesi rapida del giornale e poi delle tracce di omelia. E oggi abbiamo anche la fortuna di avere una meditazione settimanale del priore di Bose, Enzo Bianchi”

Vian rispondendo ai giornalisti sul settimanale, ha ribadito lo sforzo di rinnovamento, “frutto di un lavoro di squadra”, seppur nel contenimento dei costi del quotidiano, che a tutt’oggi, in sette lingue e grazie al lavoro di circa 60 persone informa (anche on-line gratuitamente) sull’attività vaticana, internazionale, parla di cultura e religione.

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Ambasciatore Ferrara: per Francesco, terrorismo è miseria spirituale

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All'indomani dell'intenso e articolato discorso di Papa Francesco al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, dedicato al tema della sicurezza e della pace, ascoltiamo il commento dell'ambasciatore Pasquale Ferrara, docente di diplomazia all'Università Luiss e di relazioni internazionali all'Istituto Sophia di Loppiano. L'intervista è di Fabio Colagrande

R. – Mi ha colpito molto il riferimento a due date. Innanzitutto il 1917 e soprattutto l’accento sul fatto che in quell’anno la Prima guerra mondiale diventò veramente globale. Questo fa un po’ da pendant all’affermazione del Papa, che è stata ripetuta in varie circostanze, circa la “guerra mondiale a pezzetti”, non dichiarata ma a segmenti, a sottolineare un po’ l’instabilità che caratterizza questo periodo della storia mondiale. Ma c’è anche un’altra data, questa volta positiva, nel discorso. Un altro anniversario, che è quello dei 50 anni della “Populorum Progressio” del Beato Paolo VI che credo il Papa abbia voluto menzionare per dare il senso al ruolo che la Chiesa cattolica anche oggi ha nella direzione della pace. Il grande slogan dell’Enciclica “Populorum Progressio” era: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”.

D. – Come le sembra che il Papa abbia affrontato il tema centrale del rapporto tra religioni e pace?

R. – Lì il Papa ha immediatamente sgombrato il campo, come di solito fa, in modo molto preciso e molto deciso, rispetto all’uso - strumentale, ovviamente - della religione per scopi di violenza o addirittura di terrorismo. E si è detto convinto che in realtà ogni espressione religiosa sia chiamata a promuovere la pace, richiamando anche le opere di pace delle grandi religioni. Questo mi sembra un messaggio molto importante in questo momento in cui molte espressioni del terrorismo internazionale e transnazionale si rifanno a una sorta di pseudo-ideologia religiosa che non può assolutamente essere accettata perché presenta la religione come un pretesto ideologico per ben altri scopi. Mi sembra importantissimo che si associ il terrorismo non tanto e non solo a una miseria - nel senso di povertà ed esclusione - come talvolta viene fatto con analisi un po’ frettolose, ma soprattutto a una miseria spirituale, cioè al fraintendimento o all’utilizzo - come dicevo prima - strumentale della religione.

D. – Ecco: un altro argomento affrontato nel discorso, dal Papa, è stato quello della gestione dei flussi migratori. In che modo l’ha approcciato Papa Francesco?

R. – Questa volta mi sembra che il Papa sia stato molto chiaro e anche molto equilibrato nel prospettare da una parte il diritto di ogni essere umano ad immigrare in altre comunità; però, dall’altra parte, sottolineando che questo deve avvenire senza che le comunità che accolgono gli immigrati percepiscano questo come una minaccia alla propria sicurezza o anche alla propria identità culturale. Per fare ciò c’è bisogno - dice il Papa - di saggezza e lungimiranza dei responsabili politici, cosa che purtroppo non sempre riscontriamo, soprattutto nella nostra amata Europa. E da questo punto di vista, credo che sia stato molto importante che il Papa abbia citato e ringraziato non solo l’Italia ma anche la Germania, la Grecia e la Svezia per l’accoglienza umanitaria.

D. – Non poteva mancare poi l’analisi dei conflitti irrisolti, in primis quello israelo-palestinese. Qui il Papa ha fatto alcune annotazioni interessanti…

R. – Noi, spesso, ci abituiamo a dei conflitti che rischiano di diventare eterni, come nel caso del conflitto israelo-palestinese. Il Papa dice: questa non è una situazione che noi possiamo accettare; bisogna che in modo negoziale, in modo bilanciato, si trovino delle soluzioni. Non basta solamente il processo di pace: questo processo deve portare anche a degli accordi di pace. Mi sembra anche che in tale contesto abbia avuto un ruolo importante l’Africa. Rricordiamo il grande gesto dell’inaugurazione dell’Anno Santo con l’apertura della Porta Santa a Bangui, proprio dal cuore del continente africano; e l’Africa è anche molto presente in questo discorso. Il Papa ha menzionato in particolare il Sudan, il Sud Sudan, la Repubblica Democratica del Congo e credo che questo sia un altro dei punti di riferimento, uno degli ancoraggi importanti che il Papa consegna alla comunità internazionale.

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Le nomine di Papa Francesco

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Le nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.
 

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Oggi in Primo Piano



Iraq: l’esercito avanza a Mosul. Don Karam: non sarà facile ritornare

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Le truppe governative irachene hanno riconquistato diversi quartieri orientali di Mosul, dove dal 17 ottobre è in corso l’offensiva per strappare la città al sedicente Stato Islamico. Tra le zone tornate sotto il controllo di Baghdad anche al Sukkar, un tempo abitata da famiglie cristiane. Intanto nelle aree tornate sotto il controllo di Baghdad nella piana di Ninive si contano i danni della furia jihadista, secondo un funzionario del Kurdistan sono stati distrutti almeno 100 luoghi di culto, in gran parte cristiani. Ma sulla situazione nel nord dell’Iraq e nei villaggi  cristiani liberati, Marco Guerra ha intervistato don Karam  Najeeb, collaboratore di ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ e sacerdote della diocesi di  Alqosh: 

R. – L’esercito sta liberando alcuni paesi che si trovano proprio nella Piana di Ninive, in cui vivevano più di 120 mila cristiani, che sono stati forzati a lasciare tutta la Piana di Ninive. Quello che sta accadendo adesso rappresenta certamente una speranza, perché stanno liberando… Ma, purtroppo, quando vediamo quello che hanno lasciato sia l’esercito iracheno che quelli dell’Is: c’è solo tanta distruzione! Migliaia di case sono state bruciate; anche alcune chiese sono state bruciate, altre chiese sono completamente distrutte e saccheggiate… Sicuramente abbiamo bisogno di tanto tempo per ricostruire tutto questo. Le famiglie non possono assolutamente tornare adesso! Ad esempio nel mio paese, così come in altri paesi della Piana di Ninive,  perché si trovano al confine tra l’esercito del governo iracheno e l’Is: c’è una distanza di soli tre chilometri… In questo caso è impossibile tornare, perché ogni volta ci sono nuove battaglie. Non dimentichiamo che in questi due anni l’Is ha  anche realizzato tanti tunnel…

D. – Anche Mosul è interessata dai combattimenti e alcuni quartieri sono stati riconquistati. C’è la volontà di tornare in città da parte dei cristiani?

R. – Sì, sicuramente! Lì i cristiani avevano delle case e tanti di loro erano docenti all’università ed erano indipendenti dal governo. E quindi tanti hanno il desiderio e l’interesse a tornare. Il problema è invece come potranno vivere con queste persone, che sono musulmane: non dimentichiamo che tanti nostri vicini ci hanno derubato, ci hanno minacciato e ci hanno obbligato a lasciare il nostro paese, la nostra casa. Hanno rubato tutte le nostre case! E questo è certamente difficile. Ma è anche importante ritornare in quelle terre, in cui siamo presenti da oltre duemila anni e anche se i nostri padri e i nostri nonni hanno vissuto una tragedia, che non è certo di questi giorni: i cristiani hanno vissuto una tragedia in questo secolo e che va ancora avanti oggi, perché sempre sono esistite queste persecuzioni.  Ma noi abbiamo sempre questo grande amore per la nostra terra e sempre cerchiamo di ritornare e di ricreare una realtà di pace con gli altri, così come ci ha insegnato il nostro Signore Gesù: noi diamo amore anche ai nostri persecutori…

D. – Certo, il nord dell’Iraq è una delle aree storiche di presenza del cristianesimo fin dagli albori: i cristiani possono essere un collante della società irachena in queste regioni?

R. – I cristiani hanno sempre rappresentato quelle persone che hanno dato – e che continuano a dare - questa speranza a tutti gli altri cittadini dell’Iraq. Ma la difficoltà è di vivere con persone che non ci vogliono bene e che tante volte cercano di cancellare la nostra stessa esistenza in quella terra: la nostra esistenza in quella terra è molto importante, perché anche oggi i cristiani dell’Iraq  parlano, pregano nella lingua aramaica; dal primo secolo, noi come caldei, la nostra discendenza è collegata ad Abramo e quindi un’esistenza molto ricca.  Ma rimangono purtroppo le situazioni in questa maniera e abbiamo paura di perdere questa nostra presenza e questa nostra esistenza in quella terra così speciale.

D. – Il governo iracheno, la comunità internazionale e anche la Chiesa cosa possano fare e cosa stanno facendo per fare in modo che i cristiani tornino in queste terre?

R. – Ad oggi non è chiaro cosa farà il governo per i cristiani che vogliono tornare: non hanno liberato tutta Mosul o tutta la Piana di Ninive… Speriamo, però, che il governo faccia il suo dovere e ricostruisca tutto quello che è ormai distrutto. La Chiesa, invece, sin dal primo giorno - e anche oggi - ha fatto tanto e questo grazie anche a tanti benefattori e tante fondazioni che hanno aiutato e incoraggiato le persone a rimanere: per questo hanno anche costruito scuole al nord dell’Iraq… Il governo non ha fatto questo, così come i Paesi Occidentali! E’ certo che abbiamo bisogno di vicinanza e di un aiuto per continuare a vivere e continuare ad esistere in quella terra. 

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Presidente Caritas polacca su emergenza gelo per i senzatetto

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Ondata di maltempo tra Polonia, Serbia, Ungheria e Grecia. 20 morti in tutta Europa negli ultimi giorni. Gelo che non colpisce solo l’Italia. Solo nell’Est europeo  7 vittime ieri e 3 nei giorni precedenti, 53 in tutto dal 1 novembre. Come è possibile arginare questa emergenza e quali misure possono essere prese per aiutare i senzatetto in Polonia ce ne parla al microfono di Giulia Angelucci il  Presidente della Caritas polacca  don Marian Subocz

R. – Il maltempo è sempre brutto! Non nevica ma fa freddo… Tante persone senzatetto sono morte: in tre mesi sono morte già 70 persone a causa del freddo.

D.  – Le soluzioni proposte dalla Caritas?

R. – La Caritas in Polonia ha Centri per le persone senzatetto. Abbiamo 69 Centri dove i senzatetto possono trovare posto però quando fa freddo possiamo ricevere più persone. Normalmente, come Caritas in Polonia,  riceviamo 2.600 persone; quando fa freddo possiamo riceverne di più. Anche il presidente della Conferenza episcopale polacca si è rivolta a tutti perché siano più sensibili riguardo alle persone senzatetto: accoglierli in ogni posto, anche, per quello che riguarda la Caritas, le Case dei religiosi e religiosi. Ci sono anche le Case per le persone senzatetto gestite da alcune organizzazioni ecclesiastiche, cerchiamo di aiutarli. Però il problema è che alcune persone senzatetto non vogliono essere nei Centri organizzati da parte della Caritas o in diversi Centri anche nelle città perché loro preferiscono, per esempio, l’alcol e a causa dell’alcol poi purtroppo pagano con la vita, muoiono. Normalmente le persone senzatetto vivono nelle città grandi perché è più facile trovare qualche posto e avere un po’ di soldi o non so, ricevere aiuto, e quindi come Caritas polacca, qui a Varsavia, con la polizia e con i medici visitiamo i Centri dove sono le persone senzatetto: si distribuiscono i vestiti per queste persone e poi si porta anche la zuppa calda e si propone, se vogliono o se hanno bisogno, qualche aiuto medico, si organizza questo. Alcune persone accettano, alcune persone non vogliono accettare e dicono che stanno bene così.

D. – La Polonia come nuovo Paese di frontiera: accogliete anche da altri Paesi chi soffre a causa di questo maltempo?

R. – Quelli che soffrono a causa del maltempo sono specialmente i polacchi: 70 persone sono morte dal primo novembre. Anche da parte del governo hanno lanciato l’appello di organizzare queste Case per le persone senzatetto. Secondo me la popolazione sa molto bene che bisogna aiutare questa gente e cerca di fare qualcosa. Anche la polizia cerca questi posti dove dormono le persone senzatetto, propone loro una casa dove possono abitare in questo periodo più difficile. Da parte del governo c’è un aiuto.

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E' morto Zygmunt Bauman, teorico della "società liquida"

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E’ morto ieri all’età di 91 anni Zygmunt Bauman, intellettuale celebre per la definizione di “società liquida”. Nato in Polonia da famiglia ebrea, Bauman si è occupato, tra i tanti temi dei suoi studi, di postmodernità e globalizzazione. Viva è la memoria della sua partecipazione agli ultimi incontri internazionali, promossi dalla Comunità di Sant'Egidio nello "spirito di Assisi", anche a quello dello scorso settembre, in cui espresse con convinzione la visione di un dialogo necessario tra laici e credenti per la costruzione della pace. Sulla figura di Bauman, Michele Raviart ha intervistato Cecilia Costa, docente di Sociologia dei processi culturali all’Università Roma Tre: 

R. – Era uno studioso a tutto tondo, perché si è occupato di fenomeni e di temi di attualità molto importanti. Forse verrà ricordato per il termine “liquido”, che ha usato in modo appropriato, applicandolo a una serie di concetti: ad esempio “società liquida”, “amore liquido”. Io trovo che gli studi più importanti che ha fatto sono quelli sull’ambivalenza e sulla modernità. Cioè lui ha colto un tratto caratteristico della modernità avanzata, che è quello della contraddizione, continua e costante, che è presente trasversalmente in tutti i fenomeni sociali. Ha fatto degli studi molto seri sulla povertà di oggi, che non è più l’assenza di lavoro, ma è l’assenza di consumo. E ultimamente ha scritto un testo dove indica i guasti di una democrazia che sta involvendo, invece di evolversi. E poi, al contrario di quello che comunemente si immagina e si pensa, questa continua connessione, che viene vista come democratizzazione delle informazioni, in realtà non produce conoscenza.

D. – Che eredità lascia Bauman?

R. – Intanto l’atteggiamento: di un’estrema onesta intellettuale, il che non è poco per uno studioso. Lui, un po’ come i classici del pensiero, ha vissuto intensamente, intellettualmente, esistenzialmente, i problemi che ha messo sotto osservazione. Secondo me questa è un’eredità molto seria, perché c’è un coinvolgimento a tutto tondo della personalità e della riflessione scientifica.

D. – Bauman era polacco e ha vissuto sia l’esperienza del nazismo sia quella del comunismo. Quanto hanno influito queste esperienze nel suo percorso intellettuale?

R. – Molto, molto. È stata quasi una capacità di sofisticare la sua elaborazione teorica e scientifica, proprio perché ha vissuto quelle esperienze ed esse in qualche modo sono rimaste vitali, sono rimaste all’interno del suo pensiero. Non le he messe tra parentesi, ha voluto sempre ricordarle, tenerle presenti, per poter elaborare poi tutta la sua produzione all’insegna di un’estrema onestà intellettuale.

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Vescovi Venezuela: mai nessun governo ci aveva fatto soffrire così tanto

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“Nel nostro Paese, il 2016 è finito in malo modo, con grande disperazione. Il bilancio è da tutti i punti di vista”. Così il presidente della Conferenza episcopale venezuelana (Cev) e vescovo di Cumaná, mons. Diego Padrón Sánchez, nel corso della prolusione che sabato scorso ha inaugurato a Caracas l’Assemblea plenaria dei vescovi venezuelani, intitolata “Una Chiesa di comunione per un Venezuela più giusto e credente”, che si è aperta - riferisce l'agenzia Sir - anche al Consiglio nazionale dei laici. 

Il presidente della Cev ha elencato le cifre e i fatti degli ultimi mesi
“Quasi 29.000 morti violente; la fame e la mancanza di cibo che causano agonia e malnutrizione; la carenza di medicinali, che provoca decessi e il riapparire di epidemie; più di 120 prigionieri politici ingiustamente e illegalmente detenuti; la corruzione diffusa, l’attacco sistematico alle imprese private e ai media indipendenti; l’inconsulta, violenta e incostituzionale ideologizzazione dell’educazione; i tentativi di ignorare l’Assemblea nazionale; la chiusura al percorso elettorale (per il referendum revocatorio del presidente Maduro, ndr); la crisi finanziaria e, più recentemente, l’improvvisazione e la confusione con il ritiro, poi smentito, della banconota di maggior valore, decisione che ha creato grande incertezza e ansia nella popolazione, soprattutto i più poveri”.

Mons. Padrón ha citato anche alcuni fatti accaduti nelle ultime settimane 
Tra questi il massacro di Barlovento, commesso da gruppi paramilitari, saccheggi e atti di vandalismo a Cumaná, Ciudad Bolívar e altre città, l’aggressione al monastero trappista di Mérida. Nel corso della relazione il presidente della Cev ha difeso il tentativo della Santa Sede di favorire il dialogo tra la parti, pur ammettendo che tale sforzo non ha finora funzionato. Ed ha smentito con energia che sia stato proprio questo tentativo di dialogo a far naufragare i tentativi dell’opposizione di promuovere un referendum revocatorio rispetto alla presidenza Maduro. L’unico responsabile della mancata convocazione del referendum, richiesto dal parlamento, è stato secondo il vescovo il Governo nazionale.

Il ruolo della Chiesa nella critica situazione che sta attraversando il Paese
“Nella storia del Paese mai nessun Governo aveva fatto soffrire così tanto, per le sue azioni e omissioni” ha detto mons. Padrón Sánchez, il quale ha sottolineato nel contempo che la Chiesa durante il 2016 “non ha cessato di offrire una visione realistica della situazione”, richiamando gli attori politici a pensare al bene del Paese piuttosto che a quello della propria parte e non cessando di chiedere alle autorità governative l’apertura di un canale umanitario, mettendo a disposizione le strutture della Caritas per la distribuzione di medicinali, “servizio che viene prestato solo su piccola scala”. Proprio nei primi giorni dell’anno il Presidente Nicolás Maduro ha lanciato una nuova controversa iniziativa, il Carnet de la Patria, un razionamento dei generi di prima necessità peraltro quasi introvabili.

Il Paese vive una tragedia reale di proporzioni storiche
“Noi venezuelani – ha concluso mons. Padrón – iniziamo il 2017 immersi nel caos, viviamo una tragedia reale, di proporzioni storiche, che colpisce le persone, le comunità e le istituzioni, e non solo nel loro funzionamento, ma anche nelle loro radici più profonde”. “Non tutto è perduto, però, se ci sarà una cittadinanza cosciente, attiva nella fede e nella speranza, capace di progettare e intraprendere nuove e migliori strade”. L’Assemblea dei vescovi e del laicato del Venezuela, che si è conclusa ieri, ha anche lavorato a lungo sul ruolo dei laici nella Chiesa del Paese.

In aumento il tasso di denutrizione di bambini e anziani a causa della crisi
Uno studio dell’Università Centrale del Venezuela stima che nel 2017 il tasso di denutrizione dei bambini in età scolare aumenterà del 3% rispetto al 2016, e raggiungerà tra i 350 e i 380 mila minori. E’ previsto che la mancanza di generi alimentari peggiori a causa della semina insufficiente del 2016 e della mancanza di risorse per importare cibo. Secondo i dati raccolti dall'agenzia Fides, in Venezuela ci sono 3.200.000 bambini minori di 5 anni, e tra questi il 12% soffrirà di denutrizione acuta grave nel 2017. Il problema colpirà anche le donne incinte, le persone anziane, i malati psichiatrici e i detenuti. Si registrerà una maggiore propensione alle malattie perché il sistema immunitario non avrà difese. (R.P.)

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Terra Santa: pellegrinaggio dei vescovi dell'Holy Land Coordination

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Sarà con una giornata dedicata alla situazione dei migranti e dei rifugiati cristiani presenti in Israele, alla vigilia della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che prenderà avvio, sabato 14 gennaio, l’annuale incontro dell'Hlc, il Coordinamento dei vescovi di Terra Santa che si concluderà il 19 gennaio. Il Coordinamento Terra Santa, costituito da vescovi provenienti da tutta l’Europa, dal Nord-America e dal Sud-Africa, è stato istituito alla fine del ventesimo secolo su invito della Santa Sede con lo scopo di visitare e sostenere le comunità cristiane locali di Terra Santa.

Ascolto delle esperienze volte a promuovere il dialogo israelo-palestinese
Quest’anno i vescovi partecipanti sono 13 e si ritroveranno il 14 gennaio a Jaffa per presenziare alla tradizionale “Messa dei Popoli” animata dalle varie comunità nazionali presenti in Israele. Nel pomeriggio si trasferiranno a Tel Aviv dove visiteranno il Centro pastorale per i Migranti. Nei giorni successivi, facendo base a Betlemme, i membri dell'Hlc2017 affronteranno il tema dei 50 anni di occupazione con una visita a Hebron e Gerusalemme Est, approfondendo l’attuale situazione nel dialogo tra israeliani e palestinesi, visitando esperienze volte a promuovere il dialogo e il rispetto reciproco quale la Tenda delle Nazioni.

Gli appuntamenti per segnare la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
​Le giornate di lavoro, scandite da momenti di preghiera e dalla celebrazione quotidiana con le varie parrocchie cattoliche nel distretto di Betlemme, prevedono incontri con i vescovi locali di Terra Santa, il corpo docente, amministrativo e gli studenti dell’Università di Betlemme, diplomatici e con i responsabili degli organismi cattolici di carità. Per segnare la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, il pomeriggio di mercoledì 18 gennaio sarà interamente dedicato al dialogo ecumenico con un incontro dei leader cristiani locali di Terra Santa e, alle ore 17, con un momento di preghiera nella cattedrale anglicana di San Giorgio a Gerusalemme. L’Hlc2017 sarà preceduto da una due giorni di visita (12-13 gennaio) alla comunità cristiana di Gaza di una parte della delegazione.

A rappresentare il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, sarà mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee, mentre per la Conferenza episcopale italiana sarà mons. Riccardo Fontana, arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. (R.P.)

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Usa: Settimana delle migrazioni tra solidarietà e speranza

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“Questa Settimana nazionale delle Migrazioni è l'opportunità di continuare il lavoro importante di accogliere lo straniero e di servire i più vulnerabili, come parte di una politica umanitaria d'immigrazione” si legge all’inizio del testo diffuso dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) in occasione della Settimana delle Migrazioni, che viene celebrata dalla Chiesa cattolica statunitense - riferisce l'agenzia Sir - dall’8 al 14 gennaio.

Tutta la popolazione Usa è figlia di migranti
“La migrazione - scrivono i vescovi - è un atto di grande speranza. I nostri fratelli e sorelle che sono costretti ad emigrare, soffrono separazioni familiari devastanti e spesso devono affrontare condizioni economiche disperate… Come cattolici negli Usa, la maggior parte di noi può trovare storie nelle nostre famiglie di genitori, nonni o bisnonni che hanno lasciato il loro antico Paese per un futuro promettente negli Stati Uniti".

Lettera a Trump a non mettere in atto piano di espulsione dei migranti
A 10 giorni dall'insediamento del neo Presidente Donald Trump, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti è quindi tornata ad esprimersi sulla politica delle migrazioni. Il 15 novembre 2016, sette giorni dopo l'elezione del Trump, i vescovi cattolici avevano inviato una lettera a Trump per congratularsi per la vittoria ma anche per esprimere l'augurio di iniziare il suo mandato "riconoscendo" il contributo degli immigrati alla nazione, e non separando le famiglie con il suo piano di espulsioni di massa annunciato durante la campagna elettorale.

Difesa delle famiglie senza documenti e sostegno a chi sfugge alle persecuzioni
In conclusione l'Usccb sottolinea che i vescovi e i religiosi devono difendere le famiglie senza documenti ed esprime sostegno ai "fratelli e sorelle" che arrivano nel Paese per sfuggire alle persecuzioni e per lavorare sodo: "Siamo con voi" ribadisce il testo. Nelle comunità degli immigrati si temono le politiche restrittive annunciate dal nuovo Presidente. (C.E.)

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Fifa: dal 2026 Mondiali a 48 squadre. Vince il calcio-business

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Il Consiglio della Fifa, l’organismo internazionale che governa il calcio, ha deciso a Zurigo che dal torneo del 2026, le squadre partecipanti alla fase finale del Campionato Mondiale saranno 48, invece delle 32 attuali. Di questa decisione, che ha suscitato contemporaneamente critiche e pareri favorevoli, Giancarlo La Vella ha parlato con Italo Cucci, una delle firme di punta del giornalismo sportivo italiano: 

R. – Diciamo che è una decisione attesa e temuta, a seconda di come la si vede. Per me rappresenta un ulteriore passo avanti verso la definitiva commercializzazione dello sport più popolare del mondo. Qui ormai non si parla più di calcio, ma di calcio-business. Ho sentito dire che questa scelta dovrebbe, invece, avere una sua forte base sociale ed equalitaria per invitare i piccoli Paesi a far parte del sistema calcio. In realtà è una somma di interessi televisivi, che porteranno ad accumulare altre centinaia di milioni di diritti da spartirsi tra quelli che per ora sono già ricchi e potenti.

D. – Coloro che si sono dichiarati favorevoli a questa decisione plaudono al fatto che la vetrina dei Mondiali consenta proprio ai Paesi del Terzo Mondo una visibilità che può costituire un volano importante per avviare una sorta di progresso …

R. – Io ho vissuto il momento in cui è stato dato spazio all’Africa. Ci sono stati dei Paesi africani – ad esempio il Camerun – che si sono attrezzati adeguatamente e questo è durato fino a che l’apporto di quel mondo è stato importante anche per il calcio internazionale. Ma oggi, se andiamo a vedere bene, buona parte dell’Africa è completamente fuori dal giro dei Paesi che contano. Sentivo proprio l’altro giorno che anche il civilissimo e interessatissimo Sud Africa, che ha organizzato molto bene un Mondiale, oggi ha le classiche cattedrali nel deserto, cioè ha degli stadi inutilizzati e l’interesse del calcio è ora assolutamente e semplicemente televisivo. Ho abbastanza naso per cogliere che in questo tipo di manifestazione non c’è nulla di etico, ma solamente la ricerca di un interesse economico.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 10

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.