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Sommario del 08/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: aiutiamo i senzatetto in questi giorni di freddo

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All’Angelus in Piazza San Pietro, il pensiero di Papa Francesco va ai senzatetto che stanno soffrendo a causa dell’ondata di freddo. Il Pontefice incoraggia tutti ad aiutarli e prega per quanti, tra loro, sono morti in queste ultime ore. Prima delle parole sui senzatetto, il Papa si era soffermato sulla festa del Battesimo di Gesù. I cristiani, ha affermato, sono un “popolo di battezzati”, di “peccatori salvati dalla grazia di Cristo”. Ed ha esortato ad annunciare il Vangelo con mitezza, senza imposizioni. Tanti i fedeli presenti, nonostante il freddo pungente. Il servizio di Alessandro Gisotti

Aiutare chi rischia la vita a causa dell’ondata di gelo che ha colpito l’Italia e l’Europa in questi giorni. E’ l’appello che Francesco ha levato all’Angelus, parole che seguono l’impegno in prima persona del Papa per i senzatetto:

“In questi giorni di tanto freddo penso e vi invito a pensare a tutte le persone che vivono per la strada, colpite dal freddo e tante volte dall’indifferenza. Purtroppo, alcuni non ce l’hanno fatta. Preghiamo per loro e chiediamo al Signore di scaldarci il cuore per poterli aiutare”.

Prima delle parole sui senzatetto, Francesco si era soffermato sul Battesimo di Gesù al fiume Giordano, di cui narra il Vangelo domenicale. Un evento, ha affermato, in cui cogliamo la mitezza e l’umiltà di Gesù per essere solidale con “l’uomo fragile e peccatore”.

Annunciare il Vangelo con mitezza, missione non è proselitismo
Ha così sottolineato che la missione di Gesù è caratterizzata dallo stile del servo umile e mite, “munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia”:

“Ecco lo stile di Gesù e anche lo stile missionario dei discepoli di Cristo: annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza gridare, senza sgridare qualcuno, ma con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione. La vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo. Ma come? Come si fa, questa attrazione a Cristo? Con la propria nostra testimonianza, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli”.

Riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati
“Ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso – ha soggiunto – e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore”:

“Questa festa ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati, cioè di peccatori – tutti lo siamo – di peccatori salvati dalla grazia di Cristo, inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere”.

Unirsi alla Rete mondiale di preghiera del Papa
Il Papa ha rammentato che, prima dell’Angelus, aveva battezzato un gruppo di neonati nella Cappella Sistina e il giorno prima un giovane catecumeno. Francesco ha esteso la sua “preghiera a tutti i genitori che in questo periodo si stanno preparando al Battesimo di un loro figlio, o lo hanno appena celebrato”:

“Vorrei inoltre invitare ad unirsi alla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, che diffonde, anche attraverso le reti sociali, le intenzioni di preghiera che propongo ogni mese a tutta la Chiesa. Così si porta avanti l’apostolato della preghiera e si fa crescere la comunione”.

Infine, un incoraggiamento ai giovani di Cagliari, presenti in Piazza San Pietro, affinché proseguano “il cammino iniziato con il Sacramento della Confermazione”. La Cresima, ha sottolineato il Papa, “non è solo un punto di arrivo”, o addirittura come dicono alcuni “il Sacramento dell’addio”, ma è “soprattutto un punto di partenza nella vita cristiana”.

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Papa battezza 28 bimbi e scherza: il pianto, prima predica di Gesù

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Nella solenne cornice della Cappella Sistina, le grida dei bimbi, che stamani hanno ricevuto il Battesimo, durante la Messa presieduta dal Papa nel giorno che chiude il Tempo di Natale, nella prima domenica dopo l’Epifania, in ricordo del Battesimo di Gesù sulle rive del Giordano ad opera di San Giovanni Battista. Il servizio di Roberta Gisotti

Avete chiesto per i vostri figli la fede: così Francesco, nel suo stile semplice, ha parlato a braccio ai genitori emozionati dei 28 bambini, 13 femminucce e 15 maschietti, accolti sotto le volte michelangiolesche, nel giorno della festa del Battesimo del Signore, per ricevere in dono la fede. Una fede che va vissuta – ha ricordato il Papa – camminando e testimoniando sulla sua strada. Non basta infatti recitare il ‘Credo’ la domenica.

“La fede è credere quello che è la Verità: Dio Padre che ha inviato suo Figlio e lo Spirito che ci vivifica. Ma anche la fede è affidarsi a Dio, e questo voi dovete insegnare loro, con il vostro esempio, con la vostra vita”.

“La fede è luce”, ha spiegato ancora, Francesco, la simbologia della candela accesa, che viene consegnata nel giorno del Battesimo, che nei primi giorni della Chiesa si chiamava ‘illuminazione’.

“…perché la fede illumina il cuore, fa vedere le cose con un’altra luce".

Poi il pianto dei bambini e le loro urla, il “concerto”, come - scherzosamente - lo ha chiamato il Papa, non hanno infranto la sacralità del rito:

“A me piace pensare che la prima predica di Gesù nella stalla è stato un pianto: la prima. E poi, siccome la cerimonia è un po’ lunga, qualcuno piange di fame: se è così, voi mamme allattateli, eh!, senza paura, con tutta normalità. Come la Madonna allattava Gesù…”.

Infine l’invito di Francesco alle mamme e ai papà:

“Non dimenticare: avete chiesto la fede, a voi il compito di custodire la fede, farla crescere, che sia testimonianza per tutti noi, per tutti noi: anche per noi, preti, sacerdoti, vescovi, tutti. Grazie".

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Maltempo. Papa: apertura no-stop di dormitori e auto per senzatetto

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Papa Francesco ha autorizzato l’Elemosineria apostolica, l’ufficio della carità del Pontefice, a lasciare i dormitori aperti 24 su 24 per i senzatetto di Roma. Si tratta del Dono di Misericordia, accanto alla Chiesa di Santo Spirito in Sassia, del Dono di Maria, il dormitorio in Vaticano gestito dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, e della struttura di via Rattazzi, alla stazione Termini. “Per coloro che invece non intendono lasciare i loro ritrovi abituali – riferisce alla Radio Vaticana mons. Konrad Krajewski, l’Elemosiniere del Papa – sono state messe a disposizione le auto dell’Elemosineria dove già la scorsa notte una clochard di 85 anni ha dormito nelle vicinanze del Vaticano”. Per i senzatetto anche sacchi a pelo speciali resistenti a temperature di meno 20 gradi e guanti per il freddo “comprati – aggiunge l’Elemosiniere – proprio oggi” (ieri ndr). “Nel dormitorio di via dei Penitenzieri ieri sera abbiamo ospitato 20 persone in più ma ci sono anche 40 sedie. Insomma, chi bussa - sottolinea mons. Krajewski - viene accolto e può restare al caldo, ricevendo the, caffè e da mangiare”.

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Francesco: i miei viaggi per incoraggiare i semi di speranza

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Esce nelle librerie martedì 10 gennaio il libro “In Viaggio” di Andrea Tornielli, edito da Piemme. Il volume racconta i viaggi internazionali di Papa Francesco con retroscena ed episodi inediti. Il libro si apre con un lungo colloquio del vaticanista de “La Stampa” con Francesco sui suoi viaggi. Una sintesi di questa intervista di Tornielli al Papa, nel servizio di Alessandro Gisotti

“Sinceramente, non mi è mai piaciuto molto viaggiare”. Jorge Mario Bergoglio risponde così, con la sincerità che gli è propria, alla domanda di Andrea Tornielli sui viaggi apostolici. “Mi è sempre pesato – precisa il Papa – stare lontano dalla mia diocesi, che per noi vescovi è la nostra sposa”. Racconta così del suo primo viaggio da Papa a Lampedusa, una visita non programmata. “Ho sentito che dovevo andare – sottolinea – mi avevano toccato e commosso le notizie sui migranti morti in mare”, “era importante andare là”.

Nei miei viaggi per incoraggiare i semi di speranza
Confida così che, dopo la Gmg di Rio de Janeiro, che era un viaggio programmato prima della sua elezione, ha risposto “semplicemente sì” ai successivi inviti, si è lasciato “portare”. Ora, riprende, “sento che devo fare i viaggi, andare a visitare le Chiese, incoraggiare i semi di speranza che ci sono”. I viaggi, confida, “sono pesanti, ma diciamo che per il momento me la cavo”. Forse, rileva, “mi pesano dal punto di vista psicologico più ancora che dal punto di vista fisico”. Tuttavia, soggiunge, c’è una “ricchezza inimmaginabile” nei viaggi, “volti, testimonianze, immagini, esperienze”. Una ricchezza “che mi fa sempre dire: ne è valsa la pena”.

Quando viaggiano, i Pontefici portano Gesù a chi soffre
Il Papa parla anche dell’entusiasmo della gente durante i suoi viaggi. E ricordando Paolo VI commenta che “il Papa deve aver coscienza del fatto che lui porta Gesù, testimonia Gesù e la sua vicinanza, prossimità e tenerezza a tutte le creature, in modo speciale quelle che soffrono”. Francesco rammenta dunque alcuni momenti indelebili dei suoi viaggi, dall’“entusiasmo dei giovani a Rio de Janeiro, che mi tiravano di tutto nella papamobile” all’accoglienza nelle Filippine in particolare a Tacloban, sotto una pioggia torrenziale.

Porto le persone che incontro nel mio cuore, prego sempre per loro
Tornielli chiede come il Papa ricordi le persone incontrate. “Le porto nel mio cuore – risponde Francesco – prego per loro, prego per le situazioni dolorose e difficili con le quali sono venuto in contatto. Prego perché si riducano le diseguaglianze che ho visto”. Il Papa ribadisce che in Europa ha preferito visitare Paesi che “sono o che sono stati in gravi difficoltà”. Questo, aggiunge, “non significa non avere attenzione per l’Europa che incoraggio come posso a riscoprire e a mettere in pratica le sue radici più autentiche, i suoi valori”. Il Papa si dice convinto che “non saranno le burocrazie o gli strumenti dell’alta finanza a salvarci dalla crisi attuale e a risolvere il problema dell’immigrazione, che per i Paesi dell’Europa è la maggiore emergenza dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale”.

Capisco le esigenze della sicurezza, ma non accetto barriere tra me e la gente
Francesco risponde infine sul tema della sicurezza nei suoi viaggi apostolici. “Io – evidenzia – sono grato ai gendarmi e alle guardie svizzere per essersi adattati al mio stile”, “non riesco a muovermi nelle macchine blindate o nella papamobile con i vetri antiproiettile chiusi”. “Un vescovo – sottolinea – è un pastore, un padre, non ci possono essere troppe barriere tra lui e la gente”. “Bisogna fidarsi e affidarsi – aggiunge – sono consapevole dei rischi”, ma “non ho timori per la mia persona”. C’è sempre, conclude, “il pericolo di un gesto inconsulto da parte di qualche pazzo. Ma c’è sempre il Signore”.

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Corpo Diplomatico. Prof. Giovagnoli: Francesco leader morale mondiale

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Grande attesa per il discorso che Papa Francesco rivolgerà, domani mattina, ai membri del Corpo Diplomatico accreditati in Vaticano. Attualmente la Santa Sede intrattiene rapporti diplomatici con 181 Paesi. Sul ruolo per la pace del Papa e l’impegno della diplomazia vaticana per il dialogo tra i popoli, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Agostino Giovagnoli, docente di Storia Contemporanea alla Cattolica di Milano: 

R. – La voce del Papa sulle più grandi questioni internazionali è sempre più ascoltata; forse non malgrado non abbia un potere politico da esercitare, ma anche e soprattutto grazie a questo: l’essere cioè semplicemente un leader morale, ma anche il rappresentante di una fede diffusissima in tutto il mondo. E anche perché la Chiesa cattolica, e in particolare i Sommi Pontefici, nel corso del XX secolo e anche in quello attuale, hanno posto sempre più attenzione ai problemi della pace e ai problemi di tutto il mondo, al di là di una visione specificatamente confessionale. E questo rende la voce del Papa una delle pochissime voci che hanno una proiezione globale e un’attenzione così intensa al problema della pace.

D. – Oltre alla voce del Papa, c’è poi anche proprio un’azione concreta che la Santa Sede ha espresso, anche nel 2016: pensiamo alla ripresa dei rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Cuba; alla riconciliazione in Colombia; agli sforzi per la pacificazione in Venezuela. Quindi c’è anche questo elemento molto concreto, molto fattivo…

R. – Papa Francesco ha un interesse e un impegno molto attivo per il tema della pace, anche nelle molte situazioni concrete in cui si sta sviluppando quella che lui ha chiamato una sorta di “Terza guerra mondiale a pezzi”; da questo punto di vista, bisogna constatare una certa crescente solitudine del Papa come voce di pace. Il Papa ha parlato recentemente nel Concistoro di un “virus dell’inimicizia”. Mentre lo scorso anno aveva parlato al Corpo diplomatico del problema dell’indifferenza come di un “grave male del nostro tempo”, toccare il tema dell’inimicizia significa constatare quasi un aggravamento che forse c’è nel mondo attuale, che rende la guerra qualche cosa di sempre più abituale ed accettato. Ciononostante, Papa Francesco è decisamente controcorrente e per questo le sue parole diventano ancora più importanti.

D. – C’è, secondo lei, qualche elemento specifico di Francesco, che si pone, sempre ovviamente nella scia dei grandi Papi, per la pace, però con qualche elemento nuovo, qualche rinnovamento di contenuti?

R. – Certamente i tratti originali di questo Pontificato non sono pochi, e anche su questo terreno. Direi che in Francesco c’è una sensibilità particolare dal punto di vista dei popoli - se così posso dire - cioè di coloro che sono, ovunque nel mondo, sofferenti per la guerra: dall’America Latina al Medio Oriente, all’Ucraina e ad altri luoghi a cui egli rivolge spesso la sua attenzione. Questo è particolarmente adatto al tempo in cui viviamo, che è un tempo di affievolimento dei grandi disegni internazionali e delle grandi organizzazioni internazionali, e in cui invece ciò che conta è la capacità di un’iniziativa, presente nelle situazioni di crisi e attenta a cogliere le grandi questioni, come per esempio quelle delle migrazioni internazionali, che sono anch’esse in qualche modo legate al tema della pace. Ecco, è un Papa che sa leggere il mondo post-moderno, se così posso dire.

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Oggi in Primo Piano



Gelo in Europa: una ventina le vittime in Italia e Polonia

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Prosegue l’ondata di maltempo in Italia, dove sono 8 i morti accertati, ma il freddo imperversa anche in altre parti d’Europa e in particolare in Polonia con 53 vittime da novembre. Il servizio di Benedetta Capelli

L’Italia è ancora stretta nella morsa del maltempo, soprattutto il Centro Sud resta il più colpito con bufere di neve e forte vento su Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e il Nordest della Sicilia. Preoccupa anche la situazione delle zone colpite dal recente sisma, ma il premier italiano, Paolo Gentiloni, ha assicurato massimo impegno. Intanto, domani molte scuole resteranno chiuse mentre la viabilità sulle regioni interessate permane difficoltosa. Si cerca di scongiurare l’isolamento dei comuni siciliani rimasti senza acqua, corrente e linee telefoniche. Riaperti gli scali di Brindisi e Bari. E il maltempo sta creando difficoltà soprattutto in Polonia dove, da novembre, si contano 53 vittime per il freddo, 10 solo negli ultimi giorni. In Turchia le pesanti nevicate hanno bloccato l’aeroporto di Istanbul, centinaia i voli cancellati, almeno diecimila persone sono rimaste a terra. Tre i senzatetto che sono morti a Praga dove le temperature sono scese di 15 gradi e in Russia è record di freddo glaciale con meno 30 gradi nella notte: da 120 anni che non si registrava una temperatura così bassa.

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Attentato a Gerusalemme: camion contro la folla, 4 morti

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Attentato di stampo terroristico a Gerusalemme. Stamani un camion è piombato su un gruppo di soldati che erano appena scesi da un autobus. Il bilancio è di 4 vittime - tre donne e un uomo - e una decina di feriti. L’assalitore, dopo averli investiti, ha ingranato la marcia indietro per colpire di nuovo. A quel punto i soldati, rimasti illesi, hanno sparato uccidendolo. Secondo fonti palestinesi, l'autore dell'attacco sarebbe un palestinese di Jabel Mukaber, quartiere Est della città. Si chiamerebbe Fadial-Qanbar e avrebbe 28 anni. La modalità richiama quella dei recenti attacchi di Nizza e Berlino. Intanto si registra il plauso di Hamas per l'attacco di oggi, sulla pagina Facebook del portavoce del movimento, Hazzem Qassem, si legge che "le continue operazioni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est provano che l'Intifada di Gerusalemme non è un evento isolato, ma piuttosto una decisione del popolo palestinese di ribellarsi finchè non otterrà la sua liberazione dall'occupazione israeliana". (B.C.)

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Identificato responsabile della strage di Capodanno in Turchia

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Ha un nome il responsabile della "strage di Capodanno" nel locale Reina di Istanbul nella quale hanno perso la vita 39 persone. Secondo i media turchi si tratterebbe di un cittadino uzbeko, Abdulkadir Masharipov, presunto militante del sedicente Stato Islamico. L’uomo, ancora oggi in fuga e protetto da una cellula dell’Is, sarebbe giunto nel Paese circa 15 giorni prima dalla provincia di Konya. Intanto il governo Erdogan ha deciso di licenziare altri ottomila dipendenti statali per presunti legami con organizzazioni terroristiche. Nel mirino ci sono uomini legati al Partito curdo del Pkk e a Fethullah Gulen, considerato il nemico numero uno di Erdogan. E l'Is ha anche rivendicato oggi l’attacco suicida di questa mattina a Baghdad, nel distretto di Sadr City a maggioranza sciita, costato la vita a 12 persone mentre altre 25 sono rimaste ferite. Intanto le forze irachene hanno conquistato diversi quartieri di Mosul. (B.C.)

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Clima teso tra Serbia e Kosovo per arresto ex comandante Uck

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Di nuovo clima teso tra Serbia e Kosovo, dopo l’arresto, pochi giorni fa, di Ramush Haradìnaj, ex premier di Pristina nonché ex comandante dell’Uck, l’Esercito di Liberazione del Kosovo. L’uomo è stato arrestato in Francia su mandato di cattura internazionale emesso dalla Serbia anni fa, con l’accusa di omicidio e di crimini di guerra commessi durante il conflitto del 1998-1999. Haradinaj, oggi leader del partito di opposizione Alleanza per il Futuro del Kosovo, è stato processato e prosciolto due volte dal Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia. La sua cattura rischia di aggravare le già forti tensioni tra Pristina e Belgrado. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Martino, esperto dell’area di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa: 

R. – Difficile capire come possa evolvere la situazione: ricordiamo che Haradìnaj era già stato arrestato una volta nel 2015 in Slovenia, per poi essere liberato. L’arresto è arrivato in seguito a una richiesta della procura serba che, appunto, accusa Ramush Haradìnaj di crimini contro l’umanità: almeno 63 omicidi. Un’accusa che risale al 2004, quindi diciamo che sono accuse abbastanza vecchie, per così dire; nel frattempo, Haradìnaj è stato giudicato non una ma due volte dal Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, venendo assolto entrambe le volte. Ricordiamo, però, che è stata un’assoluzione che ha fatto molto discutere. Haradìnaj è l’unico degli accusati al Tribunale dell’Aja che è stato giudicato due volte, visto che la prima volta c’erano stati grossi dubbi sulla regolarità del processo: moltissimi testimoni erano stati intimiditi e quindi la prima sentenza è stata ricusata dallo stesso Tribunale.

D. – Questo che cosa significa? Che a oggi ci sono ancora dei dubbi sulla possibile innocenza di Haradìnaj?

R. – Ma … dubbi … sicuramente per la procura serba ci sono dubbi molto pesanti; per quanto riguarda il Tribunale dell’Aja – ripetiamo – ci sono state due assoluzioni piene alla fine di tutto il percorso giuridico. Per la Serbia, però, questo vale poco: per la Serbia, Haradìnaj – che prima di entrare in politica era stato uno dei leader militari dell’Uck – avrebbe commesso gravissimi crimini di guerra, crimini contro l’umanità e proprio per tali crimini è stato spiccato questo mandato di cattura internazionale a cui le autorità francesi hanno deciso di rispondere.

D. – Il ministero degli Esteri di Pristina ha definito inaccettabile la vicenda, che fa pensare comunque a come le tensioni covino sempre sotto le ceneri, e neanche tanto sotto. Questo è soltanto uno dei tanti aspetti che lo mette in luce. La situazione nei rapporti tra Kosovo e Serbia, qual è?

R. – Sono due Paesi che continuano a essere indissolubilmente legati, anche – ad esempio – per l’aspetto dell’avvicinamento all’Unione Europea, che rimane oggi uno degli obiettivi fissati da entrambe le leadership. La Serbia è stata vincolata – per quanto riguarda la possibilità di entrare nell’Ue – alla sua capacità di risolvere i suoi rapporti con il Kosovo che per la Serbia continua a essere una sua provincia, anche se ha dichiarato l’indipendenza nel 2008. Lo stesso vale per il Kosovo. Sono quindi due Paesi impegnati in un difficile processo di normalizzazione dei rapporti, che ha raggiunto il culmine nel 2013 con la firma di importanti accordi a Bruxelles; però questo processo è ancora in corso, in divenire, lontano da una soluzione. Non si è ancora capito se l’Unione Europea pretenderà dalla Serbia il riconoscimento del Kosovo per potere entrare nella famiglia dell’Unione Europea, oppure se si troverà una strada terza. Al momento questo non è chiaro, però sicuramente si chiedono sforzi importanti a entrambe le parti per poter normalizzare i rapporti reciproci.

D. – E’ stato lanciato recentemente per l’Albania l’allarme sulle tante bandiere dell’Is che vengono esposte in diversi villaggi; in Kosovo, la situazione com’è?

R. – In Kosovo sono sicuramente alcune centinaia le persone, soprattutto giovani, che sono partite per il Medio Oriente per combattere nelle fila dello Stato islamico e di altre organizzazioni, di altri gruppi armati attivi soprattutto in Siria e in Iraq. Quindi è evidente un processo di radicalizzazione, forse in qualche modo iperesposto nei media, ma che comunque c’è e che desta preoccupazione e che molto spesso viene legato, da chi osserva quest’area, al permanere di una situazione sociale ed economica estremamente penalizzante, soprattutto per i tanti giovani. Quindi, mentre l’indipendenza del Kosovo ha almeno parzialmente risolto il problema politico dei rapporti tra Serbia e Kosovo, non ha però risolto minimamente la questione sociale ed economica: c’è tantissima povertà, tantissima disoccupazione, sicuramente terreno fertile per fenomeni quali la radicalizzazione islamica.

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Allarme per l'Antartico: distacco di un immenso iceberg

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Nuovo allarme per l’Antartico: un gruppo di studiosi dell'università britannica di Swansea ha lanciato l’allarme per il distacco di un immenso iceberg da una delle piattaforme più grandi della calotta glaciale. Un fenomeno osservato da tempo, che secondo gli scienziati avrà il suo epilogo finale nell’arco di pochi mesi e che potrebbe rivoluzionare l’ambiente circostante. Il servizio di Paola Simonetti: 

L’allarme era stato lanciato già anni fa, ma ora il distacco di un icerberg di 5000 chilometri quadrati è cosa concreta. Si tratta di una montagna di ghiaccio grande come l’isola caraibica di Trinidad che si sta separando dalla piattaforma Larsen C, la più grande della calotta antartica, che ha visto già nel ’95 e nel 2002 altri distacchi di grandi masse di ghiaccio. A renderlo noto un gruppo di scienziati dell'università britannica di Swansea, che sottolinea come la frattura lunga 80 km, abbia avuto una straordinaria accelerazione nel corso di dicembre e come al distacco finale manchi un "filo" di appena 20 km. Un campanello d’allarme molto serio come evidenza del riscaldamento globale, in una zona che si era difesa bene finora dagli attacchi dei cambiamenti climatici, rispetto all’Artide, come spiega Guido Di Donfrancesco, responsabile protezione ambientale dell’Unità tecnica Antartide dell’Enea:

R. – Innanzitutto, un iceberg di queste dimensioni è un campanello d’allarme. Questi sono tutti campanelli d’allarme che sostanzialmente l’Antartide, la penisola antartica, soprattutto nella sua parte che si posiziona sotto l’America Latina ci sta dando ormai da decenni. E’ una zona che sta subendo, più che il resto dell’Antartide, un riscaldamento legato, secondo molti degli scienziati, a questo riscaldamento globale che sta avvenendo sul pianeta ormai da un trentennio abbondante. Questo è un grosso campanello d’allarme perché sono 5 mila chilometri quadrati, quindi è una massa veramente imponente di ghiaccio che si sta staccando dalla penisola. Ora, conseguenze dirette sue sul clima, possono essere verosimilmente legate a un aumento anche se minimo dei livelli del mare. Certo, non parliamo dei 70 metri di cui si potrebbe parlare se si sciogliesse tutto il ghiaccio dell’Antartide: quindi parliamo comunque di entità minime nell’ordine dei millimetri. Però sono comunque quantità che possono – essendo acqua che va in giro al di fuori di dove è stata prodotta – dare un contributo a cambiare magari delle correnti che invece in Antartide hanno un ruolo importanti, perché sono correnti marine che girano intorno al continente. In realtà, la cosa più importante è che è un campanello d’allarme su qualcosa che sta avvenendo, perché questi grossi blocchi di ghiaccio di queste dimensioni si staccano sostanzialmente perché sta aumentando sia la temperatura dell’acqua sottostante sia la temperatura dell’aria sovrastante.

D. – Invece, le ripercussioni sulla fauna locale?

R. – In realtà, quello che sta succedendo in Antartide è in minima parte quello che invece è avvenuto già ormai in Artide, dove veramente sta avvenendo un dramma di proporzioni inaudite, perché si sta assottigliando e sciogliendo gran parte di quello che era il ghiaccio marino esistente. Quindi l’Artide sta piano piano andando verso una scomparsa; invece, l’Antartide comunque regge. La penisola antartica è la parte più fragile da questo punto di vista perché è quella che soffre in maniera più evidente il riscaldamento; addirittura, dall’altra parte l’Antartide sta mostrando un non evidente ma "quasi raffreddamento", aumentando addirittura l’estensione dei ghiacci marini durante la notte polare. Quindi non sta arrivando a essere drammatica come è avvenuto un Artide negli ultimi decenni, ma dove appunto la popolazione degli orsi bianchi sta subendo l’attacco di questo cambiamento climatico; però sostanzialmente – ripeto – è un campanello d’allarme per l’uomo e per l’intero pianeta su quello che sta avvenendo globalmente. L’Antartide è una zona che si protegge bene da sé, è circondata da una corrente marina molto forte, è circondata da una corrente atmosferica circolare molto robusta attorno alla zona, che difende parecchio da inquinanti e da cambiamenti di qualunque tipo. Quindi, quello che avviene in Antartide è il posto dove avviene per ultimo, perciò se sta avvenendo in Antartide vuol dire che c’è qualcosa di evidente che sta andando in atto su tutto il pianeta e che è arrivato fino in Antartide.

D. – Per il distacco finale di questo grande iceberg, gli studiosi britannici che hanno lanciato l’allarme parlano addirittura di pochi mesi: lei che ne pensa?

R. – Quello che ha sconvolto un po’ gli scienziati e che appunto ha fatto uscire questa notizia un po’ allarmata, è che c’è stata una brusca accelerazione della crepa che si vedeva ormai da anni in questo blocco che probabilmente entro uno o due mesi si distaccherà, perché sono rimasti una ventina di chilometri che lo tengono. La crepa ha improvvisamente accelerato la velocità di estensione negli ultimi mesi, quindi veramente parliamo di fenomeni che si pensava si potessero realizzare nell’arco di anni, e invece si stanno realizzando – alla fine – nell’arco di mesi. Quindi, l’allarme è anche sulla velocità con cui sta avvenendo questa separazione, che era non prevista.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 8

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.