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Sommario del 22/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a udienza generale: l'orgoglio umano che sfrutta il creato distrugge

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“L’orgoglio umano sfruttando il creato, distrugge”. E’ uno dei passaggi forti della catechesi del Papa all’udienza generale, che da stamani torna a tenersi in Piazza San Pietro. Dal 23 novembre fino a mercoledì della scorsa settimana, si è invece tenuta in Aula Paolo VI. Il cristiano riconosce i segni del peccato, rileva il Papa, ma sa che stiamo vivendo il tempo dell’attesa. Il servizio di Debora Donnini

La creazione è un dono meraviglioso di Dio ma quando l’uomo si lascia prendere dall’egoismo, con l’esperienza tragica del peccato, finisce per rovinare anche le cose più belle che gli sono state affidate e corrompere la creazione stessa, rendendola schiava.

Quando rompe la comunione con Dio, l’uomo finisce per sfigurare ogni cosa
La catechesi del Papa parte dalla riflessione sul passo della Lettera ai Romani, nel quale si parla della creazione che geme:

“Quando rompe la comunione con Dio, l’uomo perde la propria bellezza originaria e finisce per sfigurare attorno a sé ogni cosa; e dove tutto prima rimandava al Padre Creatore e al suo amore infinito, adesso porta il segno triste e desolato dell’orgoglio e della voracità umani. L’orgoglio umano sfruttando il creato, distrugge”.

In un quadro desolante, leggere la realtà con gli occhi della Pasqua
Un esempio per tutti è proprio quello dell’acqua, fonte di vita, che viene però contaminata per sfruttare i minerali. Le conseguenze di questo sfruttamento, nota il Papa, sono sotto i nostri occhi. Ma in questo “quadro desolante”, il Signore non lascia solo l’uomo, e offre una “prospettiva nuova di liberazione”. Tutto geme attorno a noi - la creazione, gli esseri umani – ma non sono lamenti sterili. Sono come quelli di una partoriente, che soffre ma sa che sta per venire alla luce una vita nuova:

“Noi siamo ancora alle prese con le conseguenze del nostro peccato e tutto, attorno a noi, porta ancora il segno delle nostre fatiche, delle nostre mancanze, delle nostre chiusure. Nello stesso tempo, però, sappiamo di essere stati salvati dal Signore e già ci è dato di contemplare e di pregustare in noi e in ciò che ci circonda i segni della Risurrezione, della Pasqua, che opera una nuova creazione”.

Il cristiano quindi non vive fuori del mondo, sa riconoscere i segni del male nella propria vita e in ciò che lo circonda ma nello stesso tempo ha imparato a leggere la realtà “con gli occhi della Pasqua, con gli occhi di Cristo risorto”, cioè sa che “stiamo vivendo il tempo dell’attesa”. Questa è la dinamica con cui Francesco spiega quale sia il contenuto della speranza cristiana, proseguendo il ciclo di catechesi dedicate a questo tema:

“Nella speranza sappiamo che il Signore vuole risanare definitivamente con la sua misericordia i cuori feriti e umiliati e tutto ciò che l’uomo ha deturpato nella sua empietà, e che in questo modo Egli rigenera un mondo nuovo e una umanità nuova, finalmente riconciliati nel suo amore”.

Lo Spirito Santo vede per noi oltre le apparenze negative
Il cristiano è quindi “solidale” con chi “si sente disperato”, con chi piange. A volte però anche i cristiani sono tentati dal pessimismo:

“A volte ci lasciamo andare al lamento inutile, oppure rimaniamo senza parole e non sappiamo nemmeno che cosa chiedere, che cosa sperare… Ancora una volta però ci viene in aiuto lo Spirito Santo, respiro della nostra speranza, il quale mantiene vivi il gemito e l’attesa del nostro cuore. Lo Spirito vede per noi oltre le apparenze negative del presente e ci rivela già ora i cieli nuovi e la terra nuova che il Signore sta preparando per l’umanità”.

La fiaccola benedettina della pace e i saluti agli artisti del Rony Roller Circus
Al termine dell’udienza, Francesco rivolge un particolare saluto alla delegazione della “Fiaccola Benedettina Pro Pace et Europa”, con l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, l’abate di Montecassino Dom Donato Ogliari e l’abate di Subiaco Dom Mauro Meacci. “Invito ciascuno  - ha detto - a farsi promotore della cultura della pace in ogni ambiente di vita”. Francesco ringrazia calorosamente anche gli artisti del Rony Rollers Circus, che poco prima si erano esibiti in Piazza San Pietro con danze e acrobazie. “Continuate a fare bellezza!”, esclama, “continuate che fate bene a tutti noi”, la bellezza ci porta a Dio.

Francesco ricorda l'odierna Festa della Cattedra di San Pietro e il centenario delle apparizioni di Fatima
Infine un pensiero a Maria. Nei saluti ai pellegrini in lingua tedesca, il Papa ricorda il centenario delle apparizioni della Madonna di Fatima, dove si recherà in visita il 12 e 13 maggio prossimi:

“In quest’anno del centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima, affidiamoci a Maria, Madre della speranza, che ci invita a volgere lo sguardo verso la salvezza, verso un mondo nuovo e un’umanità nuova”.

In conclusione, Francesco sottolinea come l'odierna Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo sia un "giorno di speciale comunione dei credenti con il Successore di San Pietro e con la Santa Sede" e chiede ai giovani di intensificare la preghiera a favore del suo ministero petrino.

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Francesco: si aiuti il Sud Sudan, devastato da guerra e fame

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Forte appello di Francesco, all'udienza generale, per il Sud Sudan, Paese devastato da un conflitto che sta mettendo in ginocchio la popolazione già stremata da una carestia. Oltre 100mila le persone che soffrono la fame, un milione quelle a rischio di penuria di cibo, come denunciato dalle Nazioni Unite, un milione e mezzo i rifugiati. Servizio di Francesca Sabatinelli

Aiutiamo il Sud Sudan e non soltanto con le parole. E’ forte l’appello del Papa per un Paese radicato nel suo cuore, per il quale da tempo mostra preoccupazione e sofferenza. Una terra devastata da guerra, violenza e carestia:

“Destano particolare apprensione le dolorose notizie che giungono dal martoriato Sud Sudan, dove ad un conflitto fratricida si unisce una grave crisi alimentare che condanna alla morte per fame milioni di persone, tra cui molti bambini. In questo momento è più che mai necessario l’impegno di tutti a non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti. Il Signore sostenga questi nostri fratelli e quanti operano per aiutarli”.

Indipendente dal 2011, il Sud Sudan nel 2013 è risprofondato in una guerra civile che, nonostante gli accordi di pace, si è riaccesa nel luglio scorso tra i gruppi che sostengono il presidente Salva Kiir e quelli legati all’ex suo vice, Riek Machar, il primo di etnia Dinka il secondo di quella Nuer. E il Paese è entrato di nuovo in una spirale di “deliberate uccisioni di civili, stupri e saccheggi” come denunciato da organizzazioni quali Amnesty International, ma anche da chi, come padre Daniele Moschetti, il Sud Sudan lo conosce molto bene. Il missionario comboniano ci ha vissuto sette anni, sei dei quali come provinciale, da gennaio è rientrato in Italia:

R. – E’ da tanto, da tanto che Francesco ha a cuore il Sud Sudan, vuole venire in Sud Sudan, l’ha detto a me personalmente e l’ha detto a tanti altri di noi che lavorano nel Paese. E a questo noi crediamo profondamente, perché prega moltissimo per il Sud Sudan in tantissimi momenti, non ultimo questo. Certo, vorrebbe vedere che i leader del Paese, soprattutto quelli militari e politici, mettessero da parte le differenze etniche che davvero imperversano e distruggono il Paese intero. Non è più soltanto una guerra tra Dinka e Nuer, le due maggiori etnie, ma lo è anche con le altre etnie perché ormai anche tutte le altre etnie sono stanche di questo potere Dinka che continua a imperversare perché ha un potere militare, politico, economico e comunque risorse.

D. – Quando dice: “E' più che mai necessario l’impegno di tutti” e, soprattutto, di “non fermarsi solo alle dichiarazioni”, a chi si rivolge Francesco?

R. – Certamente ai popoli, o almeno agli Stati, che hanno grandi interessi in Sud Sudan, quindi la Cina, l’India, molti Paesi asiatici ma, soprattutto, europei e americani, coloro che comunque sono anche dietro a questi conflitti per via dei grandi interessi energetici, di minerali, di petrolio e tanto altro, perché non stanno dando sostegno a questa emergenza-fame che davvero stiamo vivendo da diverso tempo, dai tre anni e mezzo che dura questa guerra. Quest’ultimo appello è condiviso anche dal governo del Sud Sudan e questo è molto importante, perché finora il governo ha sempre detto che non era vero, metteva in discussione molte cifre fornite dalle Nazioni Unite quindi, questo aspetto, fa capire ancora di più quanto sia grave la situazione. Specialmente nello Stato dell’Unità, quello più colpito dalla guerra, dal dicembre del 2013. Quindi, se si dice questo e anche il governo lo dice, vuol dire che questa gente sta già morendo di fame e quindi è proprio per questo che Papa Francesco ci chiede di essere molto più solleciti, perché c’è una grande urgenza, una fortissima urgenza, serve una grande solidarietà che per il momento non è ancora mostrata dai Paesi.

D. – La Chiesa cattolica, in tutto questo dramma, in questa tragedia, in questa violenza, come riesce a muoversi?

R. – Non è facile, perché il governo e anche i ribelli in questo momento non è che diano molto ascolto alla Chiesa cattolica o alle Chiese e questa è una delle maggiori difficoltà. Le Chiese in generale, nella guerra contro il Sudan, sono state fondamentali per arrivare, dopo 40 anni di guerra, a un’indipendenza e al riconoscimento come Stato. Però, in questa fase nuova, della nuova guerra – dal 2013 – hanno sicuramente cercato di allontanare le Chiese, la Chiesa, i leader religiosi perché, logicamente, richiamano i valori fondamentali della vita, del rispetto della dignità dell’uomo e della vita stessa, perché qui si parla di atrocità pazzesche, con stupri a migliaia di donne, di bambini castrati, bruciati vivi, si parla di cose veramente orrende, crimini di guerra che sono assurdi. La comunità internazionale sta comprendendo che è fondamentale dialogare con le Chiese per poter riportare un certo tipo di ordine, e anche di pace, di riconciliazione anche se comunque deve passare attraverso i leader politici e militari. C’è un lungo, lungo camino. Questa guerra ci ha riportato indietro di decenni di lavoro, sia per le Chiese, sia per la società civile …

D. – Ci stava parlando di crimini di guerra orrendi: tutto questo, in un clima di totale impunità e, soprattutto, crimini commessi da tutte le parti in conflitto …

R. – Certamente. Sia da una parte sia dall’altra, nessuno può tirarsi fuori da queste efferatezze, da queste violenze pazzesche, atroci.  E proprio per questo motivo bisogna ridare giustizia, dire la verità, perché se non si arriva a rivedere queste situazioni che ci sono state in passato e continuano anche oggi, è difficile, poi, ricominciare un cammino comune, come etnie, insieme. Sono 64 etnie, non sono poche …

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L'incontro del Santo Padre con i familiari delle vittime di Dacca

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Prima dell’udienza generale, Papa Francesco ha incontrato, nell’ Auletta dell’Aula Paolo VI, i familiari delle 9 vittime italiane dell’attentato a Dacca, in Bangladesh, il primo luglio dello scorso anno. Il gruppo, una trentina di persone, era accompagnato da mons. Valentino di Cerbo, Vescovo di Alife-Caiazzo. Ventinove in tutto i morti in quell’episodio di efferata crudeltà, compiuto da 5 giovani appartenenti all’estremismo islamico. I familiari stanno rispondendo con diverse iniziative di solidarietà e di pace alla violenza subita. Tra queste anche la costruzione di una chiesa in Bangladesh, in collaborazione con l’associazione "Aiuto alla Chiesa che Soffre". Nel servizio di Adriana Masotti, alcune loro testimonianze: 

"Sono Silvia, la sorella di Maria Riboli, che è morta nella strage di Dacca. Poter avere la possibilità di incontrare il Papa, è stato davvero emozionante. Abbiamo portato dei simboli di pace, che sono gli ulivi, alla persona che più di tutte riesce a trasmetterci questo senso di pace in questo momento. E’ stato davvero un’emozione forte".

"Io sono Rossella Riboli, sorella di Maria Riboli. Siamo di Bergamo. Credo che l’incontro con Papa Francesco oggi sia servito soprattutto per emozionare il nostro cuore, un respiro di pace. E ciò che vogliamo trasmettere è proprio questo: l’odio non porta a niente, la vendetta non porta a niente, solo rancore ed altra violenza. E noi davvero stiamo cercando di fare questo: ricordare i nostri cari per quello che erano e soprattutto il loro grande valore, che spero tutti conoscano pian piano. Voglio ringraziare davvero Papa Francesco perché ci aiuta, ci ha rincuorato in questa cosa e noi cammineremo ancora su questa strada".

"Sono Fattore Concetta. Sono contenta di aver visto il Papa da vicino. Sono felice che ci ha ospitato, ci ha ascoltato. La nostra tragedia di Dacca è stata una cosa orribile, una cosa forse unica, una cosa bruttissima, che ci hanno fatto. E non c’è un perché ancora, non c’è un motivo, perché questi giovani hanno fatto questo… Noi vogliamo sapere perché".

D.  – Lei chi ha perso?

R. – Mio genero, una persona speciale perché era altruista e anche a Dacca pensava agli altri, ai bambini bisognosi.

D. – Rimanere vedova così… Posso chiedere come si fa a passare dal dolore e dalla rabbia alla capacità di trarre del bene per altri?

R. – Se avessi solo immaginato qualche mese prima tutto quello che poi è accaduto… Si sentiva parlare di attentati, di Is… Noi viaggiavamo spesso e ogni tanto mi veniva l’idea: "Ma se succedesse qualcosa? No, ma dai, proprio a noi…”. E non avrei mai immaginato, nel momento in cui ho avuto la notizia, dentro di me è venuta fuori una forza… anche se con mio marito eravamo insieme da 27 anni, una vita! Come ho fatto io oggi ancora non lo so. L’istinto mi ha portato subito a fare del bene, a Dacca. Abbiamo costituito l’associazione “In viaggio con Vincenzo” e porteremo avanti questi progetti di dare aiuto e sostegno ovunque ce ne sia bisogno, anche in Italia.

D. – Oggi il Papa cosa vi ha detto?

R. – Ci ha detto che è stata bellissima la nostra reazione all’odio. Lui ha detto: “E’ facile passare dall’amore all’odio ma è difficile il contrario”. Il Papa ci ha detto: “Grazie, grazie a voi per questo che avete fatto, mi avete dato un insegnamento”.

R . – Io sono il papà di Claudio Cappelli. Io ho rivolto un pensiero al Papa e gli ho detto che chiediamo più che altro il suo aiuto per superare questo momento particolare.

D. – Lui sicuramente ha apprezzato… La vostra è una risposta veramente cristiana, oltre che di umanità di fronte a tanto male…

R. - Sì, infatti, noi non portiamo odio. Vorremmo appunto che nel mondo ci fosse una svolta e che questi sacrifici servissero a tanti, che bisogna seguire altre strade. Non si può seguire la strada della violenza e speriamo che le nuove generazioni capiscano questo e che possano contribuire a migliorare questo mondo.

D. – Mons. Di Cerbo, che cosa può dirci….

R. –  Abbiamo scoperto queste persone, quelle che sono state uccise, che sono belle persone, che sono andate lì per lavorare, non a sfruttare la situazione: davano lavoro e aiutavano anche le suore che si occupavano dei bambini di strada.  Queste iniziative poi le hanno assunte i loro familiari. E anche nel giorno dei funerali di uno di loro, Vincenzo D’Allestro, della mia diocesi di Piedimonte, è stato bello che sui manifesti la famiglia abbia voluto scrivere: “Pensate ai bambini di Dacca”. Poi la moglie ha fondato un’altra associazione per provvedere a borse di studio per i giovani del Bangladesh. Loro stanno percorrendo questa strada. Poi un sacerdote, il fratello di una delle vittime che era anche incinta, sta collaborando con i suoi giovani per costruire una chiesa …

D. - Che sarà inaugurata proprio venerdì…

R. – Sì, venerdì. La cosa straordinaria è che da questo grande dolore sta fiorendo l’amore e questa è una testimonianza e un regalo che queste persone stanno facendo a tutti noi.

Grazie, dunque al contributo offerto dalla famiglia Monti, che ha perso Simona, ci sarà una nuovo piccolo luogo di culto in Bangladesh. Sentiamo il direttore di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, Alessandro Monteduro

R. – Certamente, sì. Vorrei precisare che la famiglia Monti non ha perso solo una figlia, ha perso anche un nipote perché Simona era in attesa di dare alla luce un bambino. Nei giorni successivi alla strage hanno avvertito la sensibilità di lanciare un messaggio di speranza. E quella speranza loro hanno pensato di riscontrarla, di individuarla chiedendo all’intera comunità di Magliano Sabina di farsi carico di un pensiero per quei cristiani, per quelle minoranze perseguitate del Bangladesh. Allora hanno pensato di destinare una somma che hanno raccolto durante le esequie di Simona, alla realizzazione di una chiesa in un piccolo villaggio, Harintana, a 150 km circa da Dacca, un villaggio talmente piccolo da ospitare appena 125 cattolici. Ma non avevano un vero e proprio luogo di preghiera, solo una piccola chiesetta in legno, che però a causa di uragani, tifoni, spesso andava a deteriorarsi e quindi ogni volta si doveva ricostruire.

D. – Una comunità piccola, come è una minoranza la presenza dei cattolici, dei cristiani in tutto il Paese. Di fronte a un ambiente non sempre pacifico verso i cristiani è bello questo amore dimostrato dalle famiglie italiane…

R. – Assolutamente, sì. E’ una notizia splendida, è il modo con il quale rispondere al terrorismo. E’ un’arma anche questa ma è l’arma della speranza. E’ il miglior antidoto, dal nostro punto di vista, contro il virus dell’estremismo. Questo riguarda il Bangladesh ma può riguardare qualsiasi angolo del mondo. In Bangladesh la popolazione è di circa 156 milioni di abitanti. E’ da considerarsi che l’89-90 per cento della popolazione è musulmana, solo lo 0,5 per cento è cristiano. Parliamo dunque di una comunità terribilmente piccola. Una comunità che in quanto minoranza soffre anche la povertà, quindi una difficile condizione sociale, economica… Per loro il sentirsi membri sia pure di questa piccola comunità attorno ad un luogo di preghiera è essenziale non solo per ritrovarsi nella loro spiritualità ma anche per poter socializzare. E come ci ha raccontato il vescovo della diocesi di Khulna, dove inaugureremo la chiesa di San Michele, questa è importante anche per un’attività correlata all’evangelizzazione. Non si può pensare di avvicinare alla fede cristiana altre persone se non c’è la possibilità di accompagnarli in un dignitoso luogo di preghiera.

D. – C’è un motivo particolare per cui questa chiesa sarà dedicata a San Michele?

R. – L’intestazione di San Michele è stata particolarmente apprezzata dalla famiglia Monti perché sarebbe stato, da quello che ci hanno raccontato, il nome che Simona avrebbe dato alla sua creatura.

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Le nomine

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Per le nomine di Papa Francesco, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Papa: affidate a Pietro le chiavi per aprire non per chiudere il Regno

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Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Festa della Cattedra di San Pietro, Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Gesù ha affidato a Pietro le chiavi per aprire l’ingresso nel Regno dei Cieli, non per chiuderlo”.

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Card. Parolin al Forum "Migrazioni e pace": cambiare regole sistema economico-sociale

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“Far sì che le migrazioni si trasformino da necessità in opportunità, per la pace e lo sviluppo armonico della famiglia umana”: è l’auspicio del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, che è intervenuto stamani a Roma al VI Forum Internazionale su Migrazioni e Pace, sul tema “Integrazione e sviluppo: dalla reazione all’azione”. L’evento è stato organizzato dal Dicastero sullo Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, lo Scalabrini International Migration Network (SIMN) e la Fondazione Konrad Adenauer. Il porporato ha ricordato anzitutto l’incoraggiamento di Papa Francesco, in diverse occasioni, a farsi carico del fenomeno delle migrazioni, “uno dei problemi fondamentali del mondo d’oggi”. “Nell’attuale quadro mondiale, segnato dalla globalizzazione – ha detto il card. Parolin – è sempre più evidente la forte interdipendenza tra pace, sviluppo e rispetto dei diritti fondamentali. Si stenta oggi, però, a cogliere i segni di un importante impegno in questo senso nei rapporti tra gli Stati e tra i popoli”.

Le migrazioni nell’attuale quadro politico internazionale
“Strategie politiche guidate da interessi fluttuanti, da insicurezze e dalla paura, disegni politici contrastanti, sotto-sviluppo e distrazione dei fondi destinati a debellarlo, conflitti interminabili, violazioni dei diritti umani, timori per le conseguenze dei cambiamenti climatici e della crisi economica non risolta, imposizioni ideologiche anche all’assistenza umanitaria, deterioramento di situazioni politiche, sociali, umanitarie, ambientali, con commerci criminali di prodotti, persone e risorse”: sono queste cose a generare migrazioni, e in più, ostacoli e barriere nell’ambito della politica migratoria “favoriscono il ricorso a vie alternative e più pericolose di migrazione irregolare, di sfruttamento e di abuso da parte di trafficanti di persone, e perdita di vite umane”. Il porporato ha aggiunto che “per fermare questi crimini, poi, si spostano i problemi su altri Paesi, con oneri economici e politici tanto ingenti quanto pericolosi e inadeguati a risolverli ed a garantire i diritti fondamentali delle persone, la loro protezione e la loro dignità”.

La migrazione internazionale diritto umano da salvaguardare
La migrazione internazionale non può considerarsi emergenza transitoria, ha proseguito il card. Parolin, ma “un diritto umano da salvaguardare; una componente strutturale, che riguarda tutti i continenti e che occorre affrontare nelle sue cause e nel suo compimento con sinergia e cooperazione a livello globale, con un programma sistematico e articolato di interventi, condiviso a livello multi-laterale, con strategie e misure organiche di sistema, con condivisione di oneri e di responsabilità”. Per il card. segretario di Stato “occorre una cooperazione a tutti i livelli che nasce dalla constatazione delle attuali difficoltà e dei limiti di ciascuno Stato … di far fronte da soli a questa grande sfida per la comunità internazionale che, in primo luogo, dovrebbe mirare ad assicurare ai popoli ed ai singoli pace e sviluppo, facendo così della migrazione una libera opzione anziché una necessità”.

I migranti preziosa risorsa umana
E’ “spesso sotto-stimato – inoltre – il grande contributo offerto dai migranti … ai Paesi di accoglienza, … al prodotto interno lordo ed al sistema fiscale, come a copertura di vuoti demografici, lavorativi e di abilità in settori-chiave dell’economia e dei servizi, come di apporti di innovazione, coinvolgimento, dinamismo, determinazione, capacità d’iniziativa, di adattamento e di resilienza, sia nella sfera economica, sia in quelle sociale e di arricchimento culturale”. Il porporato ha affermato che i migranti “possono dare un tale apporto conformandosi alle norme del Paese che li accoglie e rispettandone le consuetudini e i principi che ne regolano il vivere sociale, e quando il Paese che li accoglie assicura il rispetto dei loro diritti e della loro dignità, sin dall’arrivo, attento a chi è vulnerabile”. E ricordando il discorso del Papa del 4 febbraio scorso ai partecipanti all’incontro di “Economia di comunione”, il card. Parolin ha evidenziato che “bisogna anche puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale”. “Occorre che questa economia inclusiva nasca da una cultura che inglobi l’equità sociale, economica e ambientale, che sappia far fronte alle attuali sfide sociali e tecnologiche – ha specificato il porporato –. Una cultura della condivisione che presuppone la reciprocità, intesa … come coinvolgimento partecipe e solidale di tutti i soggetti interessati, in cui tutti possono e devono offrire il proprio contributo, inclusi i migranti, i Paesi di provenienza e di transito e di approdo, la società civile”. Una cultura offerta con umiltà e rispetto, “condividendo la propria esperienza con fiducia nella fraternità umana e nella solidarietà – che per noi cristiani significa carità – come unica risposta ragionevole, nell’evidente inadeguatezza di altri approcci”.

Una economia inclusiva che crea vita
Insomma, ha concluso, il card. Parolin, dovrebbe trattarsi di “una economia inclusiva che crea vita, perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare comunione e può far sperare in un mondo ove i cammini, incrociandosi, portino nuova speranza, dignità, ricchezza di rapporti; ove anche il denaro, in questa ottica di dono reciproco, entra nel circuito di quel centuplo annunciato dal Vangelo, per chi dà e per chi riceve, affinché la gioia sia di tutti. (T.C.)

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Forum migrazioni e pace: card. Hummes, attenzione ai popoli dell'Amazzonia

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Tra i temi dibattuti al Forum internazionale su migrazioni e pace, in corso a Roma presso la Camera dei Deputati, c’è stato anche quello della difficile questione dei popoli indigeni dell’Amazzonia, costretti spesso a migrare dalla foresta alle città. Ne ha parlato il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, presidente della Commissione episcopale per l’Amazzonia. Cristiane Murray lo ha intervistato: 

"Prima cosa: è importantissimo che gli indigeni restino lì dove sono, perché si sono sempre presi cura della foresta, dell’acqua, della biodiversità. Sono stati i grandi guardiani di tutto questo. In fondo, è quello che vogliono essere. Però le condizioni sono così difficili perché il governo non dà loro questa possibilità di vivere bene, felici. La loro storia, la loro cultura sono state portate via, loro non hanno un futuro davanti a sé come indigeni. Questo è il lato tragico, drammatico della situazione dei nostri indigeni. Li abbiamo privati della loro storia e del loro futuro. Questo fa sì che molti di loro si sentono praticamente costretti ad andare in città, a migrare verso le città. Oggi tantissimi indigeni sono presenti nei centri urbani dell’Amazzonia. Sono tanti quelli che migrano in città. Ma lì si trovano totalmente spaesati dal punto di vista culturale, economico, sociale; non hanno lavoro, non sono preparati per una professione... È una tragedia perché in città si perdono; non hanno opportunità, chance. Allora, come accogliere gli indigeni che vengono in città? Dobbiamo fare di tutto affinché loro siano felici nella loro storia e nella loro cultura. Tanti vengono per volontà propria, perché si sentono attratti dalle novità che una città può offrire, ma la maggior parte è spinta, costretta a causa delle circostanze a migrare verso le città. In questo caso, non hanno buone chance perché mancano le strutture di accoglienza, di accompagnamento verso questo difficile cambiamento, verso questa integrazione in un’altra cultura e verso una vita e un lavoro diversi. Tutte queste cose mancano da parte del governo, ma anche da parte dell’opinione pubblica, della città che non è sufficientemente accogliente. Credo che la Chiesa potrebbe dare un esempio, fare qualcosa di più specifico per accogliere coloro che arrivano: prima di tutto far sì che siano felici come prima. Ovviamente, hanno il diritto di spostarsi in città: ma hanno bisogno di essere accompagnati".

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Segreteria di Stato monitorerà utilizzo immagini del Papa

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“La Segreteria di Stato effettuerà sistematiche attività di sorveglianza volte a monitorare le modalità con cui l’immagine del Santo Padre e gli stemmi della Santa Sede vengono utilizzati, intervenendo all’occorrenza con opportuni provvedimenti”: è quanto rende noto un comunicato dello stesso Dicastero.

La Segreteria di Stato – si precisa – ha tra i suoi compiti “anche quello di tutelare l’immagine del Santo Padre, affinché il Suo messaggio possa giungere ai fedeli integro e la Sua persona non venga strumentalizzata. Per le medesime finalità la Segreteria di Stato tutela i simboli e gli stemmi ufficiali della Santa Sede, attraverso appositi strumenti normativi previsti a livello internazionale”. Per questo, le attività di sorveglianza avranno lo scopo di rendere l’azione di tutela “sempre più efficace rispetto agli scopi indicati, e interrompere situazioni di illegalità eventualmente riscontrate”.

La direzione della Sala Stampa vaticana ha inoltre chiarito che il comunicato della Segreteria di Stato “non trae origine” da alcun recente fatto di cronaca, bensì “fa riferimento ad un'attività da tempo avviata”, volta a tutelare l'immagine del Santo Padre e gli stemmi ufficiali “nei confronti di casi di utilizzo illecito e di sfruttamento a fini di lucro non autorizzati”.

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Mons. Auza, all'Onu, invoca soluzione politica per il conflitto in Ucraina

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Proteggere i civili, compiere ogni sforzo possibile per evitare il proseguimento del “conflitto irrisolto” in Ucraina e trovare una soluzione politica attraverso il dialogo e la negoziazione. Sono queste le priorità indicate dell’Osservatore permanente Santa Sede alle Nazioni Unite, mons. Bernardito Auza, intervenendo ieri a New York al dibattito incentrato sul tema del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e, in particolare, sul conflitto in Ucraina. La Santa Sede – ha aggiunto il presule - continua ad accogliere gli sforzi compiuti dalle Nazioni Unite, dall’Osce e da altre organizzazioni per promuovere la pace in tutta Europa, anche in Ucraina. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Il dramma del conflitto in Ucraina dal suo inizio nel 2014 “continua a destare grave preoccupazione”. La Santa Sede – ha detto mons. Auza – continua ad essere impegnata nell’offrire assistenza umanitaria alla popolazione delle zone colpite e ribadisce che devono essere prese “tutte le misure necessarie per garantire il cessate il fuoco”. Questi sforzi – ha osservato mons. Auza – devono essere “accompagnati dal sincero impegno di tutte le parti coinvolte” in modo che siano salvaguardati tutti i diritti fondamentali e venga garantito il ripristino della stabilità a livello nazionale e internazionale, anche attraverso “il rispetto della legalità internazionale per quanto riguarda il territorio e i confini dell’Ucraina”.

La salvaguardia della vita umana ispiri ogni iniziativa di pace
La Santa Sede – ha detto inoltre mons. Auza - ribadisce vicinanza e solidarietà a tutti i popoli afflitti da violenze e da aggressioni di ogni tipo, tra cui “situazioni di conflitto congelate” e le cosiddette “guerre ibride”, condotte con strumenti convenzionali e non convenzionali. Qualsiasi iniziativa finalizzata al mantenimento della pace e alla sicurezza internazionale – ha aggiunto il presule – deve essere ispirata e guidata da “considerazioni umanitarie”, ovvero dalla “salvaguardia della vita umana” in modo che vengano assicurate “adeguate condizioni di vita e l’alleviamento della sofferenza”. Allo stesso tempo – ha spiegato mons. Auza – “è un dovere degli Stati quello di astenersi da azioni che destabilizzino i Paesi vicini”. Gli Stati – ha concluso il presule – devono anche lavorare insieme al fine di creare “le condizioni necessarie per la pace e per la riconciliazione”.

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Oggi in Primo Piano



Shevchuk: conflitto in Ucraina non resti invisibile. Tregua non funziona

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Quella umanitaria in Ucraina è una emergenza, “nel cuore” del continente europeo, “che non può e non deve restare invisibile”. Quando il conflitto nelle regioni orientali del Paese tra governativi e separatisti filorussi sta entrando nel suo quarto anno, con un bilancio ufficiale di almeno 10 mila morti, l’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, a nome della Chiesa greco-cattolica ucraina lancia un appello alla comunità internazionale per fermare le violenze. Sul terreno infatti non pare rispettata la tregua scattata ad inizio settimana e l’Osce denuncia come non vengano osservate le intese sul ritiro delle armi pesanti, previste dagli accordi di Minsk. Ascoltiamo Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, in questi giorni a Roma, intervistato da Giada Aquilino

R. – Nelle ultime ore abbiamo ricevuto notizie di scontri che continuano. La tregua che è stata annunciata lunedì scorso non funziona. Questo scontro militare va avanti già da tre anni: le armi pesanti continuano ad entrare in territorio ucraino e ciò provoca davvero gravi sofferenze per la popolazione.

D. – Quali sono i casi più urgenti?

R. – Ci sono tre gruppi di persone che devono essere al centro dell’attenzione della comunità internazionale. Anzitutto, le persone che sono rimaste intrappolate nella cosiddetta “zona grigia”: noi chiamiamo così quella zona al confine con la linea di divisione tra il territorio occupato e quello controllato dal governo ucraino, dove le persone vivono già da tre anni sotto bombardamenti costanti. Si tratta di quasi 200 mila persone: soprattutto anziani e madri con bambini piccoli. Queste persone non possono andare via, non sanno dove andare! Secondo le statistiche ufficiali dell’Unicef, in questa “zona grigia” vivono 12 mila bambini. Molti casi che abbiamo verificato ci indicano che tanti di questi bambini sono stati feriti non soltanto fisicamente ma anche psicologicamente: ci sono bambini che dopo un bombardamento non parlano più, perdono il dono della parola. Noi, in quanto Chiesa, facciamo di tutto per arrivare a questa gente. Gli organismi statali non arrivano: soltanto le comunità religiose, che sono motivate dall’amore per Dio e per il prossimo, hanno la forza interiore di voler raggiungere queste persone. Adesso, con l’azione umanitaria avviata dal Santo Padre, che in Ucraina è conosciuta come “Il Papa per l’Ucraina”, gli agenti pastorali hanno anche i mezzi per comprare cibo, medicine, le cose più necessarie alla sopravvivenza di queste persone.

D. – Lei ha fatto cenno a tre categorie a rischio…

R. – La seconda categoria riguarda le persone rimaste intrappolate nel territorio occupato: lì gli aiuti internazionali non arrivano. L’unico modo che la nostra Chiesa ha di portare qualche aiuto in quella zona, è rappresentato dai nostri sacerdoti che sono rimasti lì, tra la gente. Loro spesso tornano nel territorio controllato dal governo ucraino, riempiono le loro macchine con generi di prima necessità e li portano a questa gente. Lì, si soffre la fame. La terza categoria poi è rappresentata dagli sfollati, che sia dalla zona occupata, sia anche dalla “zona grigia” sono affluiti nella parte centro-occidentale del territorio ucraino. Ufficialmente, adesso sono un milione e 700 mila persone, ma la cifra reale è molto più alta: si calcola siano oltre due milioni. Nella nostra Chiesa ucraina greco-cattolica, abbiamo la struttura della Caritas nazionale che è quasi l’unico “strumento” che va in cerca di questa gente, per portare aiuti.

D. – C’è stato un nuovo appello dell’Unicef: un milione di bambini ha urgente bisogno di aiuto umanitario nell’est dell’Ucraina. Qual è la situazione e qual è il suo appello?

R. – Le statistiche ufficiali dell’Unicef ci hanno colpito. Sapevamo che il numero fosse alto, ma sotto alcuni aspetti ha superato le nostre preoccupazioni. La sofferenza di un milione di bambini è la sofferenza degli innocenti. Per questo, mi sono sentito in dovere di fare un appello alla comunità internazionale, per fare di tutto affinché cessi il fuoco: è condizione indispensabile per frenare questa violenza. La Chiesa dà voce a chi è senza voce: è veramente impressionante vedere come vivano i bambini, come possano studiare, in scuole quasi distrutte. Inoltre 19 mila bambini di questa zona sono in costante pericolo a causa degli oggetti esplosivi e mine sparsi sul territorio. In ogni aula c’è un cartello che spiega ai piccoli di non toccare oggetti sconosciuti, ma ciò nonostante ogni giorno un bambino rimane ferito. I gruppi paramilitari lasciano sul terreno giocattoli pieni di esplosivo: e a prendere questi giocattoli non sono i soldati, ma purtroppo i bambini.

D. – Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che continueranno a chiedere il rispetto degli accordi di Minsk da parte della Russia. E’ cambiato qualcosa con la nuova amministrazione Trump?

R. – Non è cambiato niente. Tutti questi accordi – di Minsk o anche altri – sul territorio purtroppo non funzionano. Noi sappiamo che non c’è una soluzione militare del conflitto in Ucraina; perciò, nel mio appello chiedo che la comunità internazionale continui gli sforzi diplomatici per far cessare il fuoco.

D. – Ha citato gli aiuti inviati da Papa Francesco personalmente, con la Colletta per l’Ucraina. Lei informa il Papa costantemente della situazione in Ucraina?

R. – Cerchiamo di far arrivare al Santo Padre le notizie, ma devo dire che il Pontefice è molto ben informato: il nunzio apostolico visita continuamente queste zone. E quando incontro il Papa gli racconto storie umane, storie di persone concrete. Un altro messaggio che ho riportato al Santo Padre è che il popolo ucraino aspetta la visita del Papa, perché crede così spontaneamente – non soltanto i cattolici ma anche i non credenti – che la visita di Francesco farà finire la guerra. Noi abbiamo presentato l’invito, come pure il Sinodo dei Vescovi greco-cattolici, la Conferenza episcopale dei vescovi latini, il presidente ucraino. Ovviamente, la decisione – che rispettiamo – sarà presa dal Santo Padre.

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Siria. Speranze e timori per l'avvio domani di Ginevra 4

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Parte dell'opposizione siriana parteciperà ai negoziati per la pace, che inizieranno domani a Ginevra sotto l’egida dell’Onu. Si tratta del Fronte Popolare per il Cambiamento e la Liberazione. Intanto sul terreno, nonostante la tregua, continuano gli scontri. Sulle aspettative per Ginevra 4, Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Germano Dottori, docente di Studi strategici all'Università Luiss: 

R. – Per quanto si facciano dei progressi, non si possono coltivare grandi speranze nei confronti di questo nuovo incontro diplomatico che si svolgerà a Ginevra. Mancano ancora dei tasselli piuttosto importanti: non soltanto perché non ci sono i curdi, al tavolo, ma anche perché sul terreno non è stato ancora liquidato lo Stato islamico, e quindi manca una premessa fondamentale per poter arrivare alla determinazione di un nuovo ordine in Siria, che io immagino – alla fine di tutto – possa assestarsi su una forma federale o confederale.

D. – Uno dei problemi è anche la rappresentatività dell’opposizione siriana, anche se c’è la conferma che il cosiddetto “Gruppo di Mosca” dell’opposizione parteciperà ai colloqui di pace …

R. – Il cosiddetto “Gruppo di Mosca” è composto dalle opposizioni non armate al regime di Assad; quindi entro un certo margine, potrà offrire un quadro di riferimento allargato per ricomporre la situazione a Damasco. Tuttavia l’opposizione che conta non è quella, ma è quella armata. Qui non si tratta soltanto di discutere di Stato islamico ma, per esempio, di tutte le articolazioni della ribellione siriana che sono particolarmente vicine ad al Qaeda: penso, ad esempio, ad al Nusra. Trovo comunque interessante che negli ultimi mesi la Turchia abbia cambiato lato e sia adesso tra le forze in campo che sono favorevoli a una soluzione di compromesso; tuttavia – ripeto – ci sono delle condizioni che ancora non sono soddisfatte. Una parte del territorio siriano è nelle mani di criminali autentici, che sono appunto gli uomini del Daesh; e poi, non sappiamo ancora che cosa voglia fare l’America di Trump. In questo senso, forse, Ginevra potrà portare qualche elemento di novità perché sarà la prima volta che vedremo gli americani della nuova amministrazione muoversi apertamente, cioè in un contesto di diplomazia pubblica, in rapporto alla crisi siriana.

D. – Dopo cinque anni di conflitto, oltre 300 mila morti, ancora siamo alle prime battute?

R. – In realtà a mio avviso, stiamo entrando nella fase finale anche se ci sono degli elementi da sistemare affinché sul terreno si determinino le condizioni per una soluzione politica definitiva. Ripeto, finché c’è lo Stato islamico c’è poco da fare: una parte della Siria sfuggirà a questa intesa. Però, ci sono segnali importanti che l’Is si stia indebolendo e soprattutto è veramente soggetto a una pressione concentrica:  non sono soltanto i lealisti, i russi, gli iraniani, l’Hezbollah; adesso con maggiore efficacia, un po’ tutti gli attori stanno accrescendo la pressione e si parla anche di un coinvolgimento di truppe di terra americane in un’offensiva finale contro Raqqa. Diciamo che questo lascia ben sperare. Ripeto, comunque: a Ginevra, domani, vedremo in che modo gli Stati Uniti della nuova amministrazione si rapportano all’incubo siriano.

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Romania: abrogata la cosiddetta legge salva-corrotti

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In Romania, dopo il Senato, anche la Camera dei Deputati ha votato all’unanimità per la cancellazione del cosiddetto “decreto salva-corrotti”. La normativa ha suscitato le più imponenti manifestazioni di protesta dal 1989, anno in cui cadde il regime comunista di Ceausescu. Per settimane decine di migliaia di manifestanti hanno espresso una forte opposizione al governo e alla legge. Il servizio di Giancarlo La Vella

L’intenzione del governo, nonostante la contrarietà della piazza e le perplessità dell’Unione Europea, di cui la Romania fa parte dal 2007, era quella di depenalizzare una serie di reati legati alla corruzione, come il favoreggiamento e l’abuso di potere, a meno che il danno allo Stato non fosse stato superiore ai 44 mila euro. Dopo gli ultimi giorni di manifestazioni, con almeno 140 mila persone a protestare di fronte alla sede del governo, era stato il premier social-democratico in persona, Sorin Grindeanu, ad annunciare la revoca della legge, che, secondo gli oppositori, avrebbe favorito una serie di personaggi eccellenti alle prese con la giustizia. Il capo del governo ha anche esposto le tappe della marcia indietro: una serie di sedute parlamentari con le quali, però, presentare un nuovo disegno di legge anti-corruzione. Da parte sua il presidente Klaus Iohannis, schierato sin dall'inizio a sostegno dei manifestanti antigovernativi, intende indire su tale tema un referendum, sul quale il Parlamento ha già dato parere favorevole. A questo punto la piazza ha avuto la meglio sul governo, ma non si esclude che la vicenda non sia del tutto conclusa. Tutto sta a vedere quali saranno i contenuti della nuova normativa che verrà presentata dall’esecutivo. Ma soprattutto, secondo alcuni osservatori, non si escludono ricadute sulle sorti politiche del governo Grindeanu.

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Rapporto Amnesty: mondo vittima della retorica dell'odio

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“Il mondo nel 2016 è diventato un posto più cupo e più instabile”, lo scrive il segretario generale di Amnesty International, Salil Shetty, nel Rapporto 2016 sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Il documento racconta una realtà preoccupante: l’incapacità dei leader mondiali di gestire la crisi dei rifugiati, un linguaggio politico improntato all’odio, la repressione brutale del dissenso, le persecuzioni contro i cristiani ma anche contro altre minoranze. I dati del Rapporto sono stati presentati ieri a Roma da Amnesty International Italia. Il servizio di Eugenio Murrali

È la fotografia dolorosa di un mondo che sta tornando indietro e abbandona molte conquiste in materia di diritti umani. Il presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, riassume così il Rapporto 2016:

“Prevalgono nettamente le ombre, in particolare a causa di questa retorica del 'noi contro loro', che porta a negare i diritti ad intere categorie di persone”.

La famiglia umana è in serio pericolo. In oltre 600 pagine che attraversano i cinque continenti, il Rapporto ricorda, tra l'altro, la distruzione di Aleppo, ospedali compresi, i 75 mila rifugiati intrappolati nel deserto tra Siria e Giordania, l’uso di armi chimiche in Darfur, il grido di dolore dello Yemen, del Sud Sudan, ma addita anche la repressione del dissenso in Etiopia, Turchia, Corea del Nord. Una mole di informazioni impressionante. Osserva il direttore generale di Amnesty International Italia, Gianni Rufini:

“La crescita della diseguaglianza economica ha portato ormai al parossismo e all’insostenibilità e fa da sfondo ad altri fenomeni gravi, come un cambiamento climatico che colpisce innanzi tutto le persone più deboli, povere e vulnerabili. Pensiamo ai discorsi del ‘Noi prima di loro’, ‘America’s first’, ‘Prima gli italiani, poi i migranti’…”.

Certamente al centro dell’agenda di Amnesty vi è infatti la crisi dei rifugiati, che desta molte preoccupazioni, come ricorda Marchesi:

“Noi registriamo casi di rimpatri forzato verso Paesi in cui la persona rischia di subire gravi violazioni dei diritti umani. Questo accade in 36 Paesi, è una cifra piuttosto alta. In Italia siamo preoccupati perché l’approccio degli hot spot, deciso tra l’altro a livello europeo, non garantisce i diritti delle persone che arrivano di vedersi esaminata in modo equo e approfondito la richiesta di protezione internazionale, la richiesta di asilo”.

E più in generale, a questo si aggiungono gli accordi stipulati con regimi illiberali, al fine di garantire il contenimento dei flussi migratori. E non è solo l’Europa, un’Europa da cui non ci si aspettava, osservano ad Amnesty, tante violazioni dei diritti, a non saper gestire i flussi migratori. Rufini spiega come il rapporto si soffermi anche sui Rohingia e altre popolazioni:

“Queste sono popolazioni che sono state rifiutate da tutti; dal Paese in cui vivevano da generazioni – Myanmar – che li ha espulsi con la violenza, con la repressione e anche con delitti di massa e stupri, ai Paesi che potrebbero accoglierli e dare loro ospitalità”.

E a proposito delle persecuzioni religiose aggiunge:

“Ci sono certamente cristiani perseguitati in molte zone del Medio Oriente. Ma citiamo anche i Rohingya che sono i musulmani perseguitati questa volta dai buddisti con azioni di estrema violenza”.

Un quadro decisamente negativo su cui, spiegano i relatori, pesa un linguaggio dell’odio, xenofobo e misogino, utilizzato durante le campagne elettorali. Ma tra le ombre emerge anche il coraggio di chi affronta sfide e minacce e il sacrificio dei difensori di diritti umani, che, nel 2016, sono stati uccisi in 22 Paesi.

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Fao: vincere povertà e cambiare consumi per sfamare 10 miliardi di persone nel 2050

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“Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura: tendenze e sfide”. E’ il titolo di un nuovo Rapporto della Fao per sollecitare la presa d’atto e le dovute risposte all’imperativo di dover nutrire la popolazione mondiale, con l’obiettivo di sconfiggere la fame, in modo sostenibile per il Pianeta. Roberta Gisotti ha intervistato l’economista della Fao, Lorenzo Giovanni Bellù, principale autore dello studio pubblicato oggi. 

R. – La Fao ha stimato che la produzione agricola dovrebbe crescere intorno al 50 per cento, perché gli aumenti di reddito che ci aspettiamo spingeranno verso l’alto soprattutto i consumi di proteine animali - carne, latte e uova - ma dipende anche dalla popolazione. Intorno al 2050 potremmo essere 10 miliardi, quasi 2 miliardi e mezzo di persone in più rispetto ad adesso.

D. - Dal rapporto si evince che l’obiettivo è di produrre di più – perché è una necessità – con meno costi sul piano ambientale…

R. - Qui cominciano le vere sfide. Mentre da una parte possiamo dire: “Cerchiamo di contenere la domanda”, soprattutto per quanto riguarda i Paesi ricchi che consumano diete molto ricche di proteine e spostandosi verso diete più sostenibili e anche più salutari, dall’altra parte abbiamo anche la possibilità di ridurre gli sprechi alimentari sia in fase di consumo che di produzione. Però è innegabile che 2 miliardi e mezzo di persone in più, comunque, richiederanno più produzione agricole. Inoltre, dovremo poi affrontare anche il problema dell’energia, perché di fronte ai cambiamenti climatici dovremo ridurre i consumi di energie fossili e probabilmente dovremo aumentare la produzione di energie alternative, incluse le bioenergie, ben sapendo che le risorse naturali sono molto vicine al loro limite, intendo dire terra ed acqua. Dunque dobbiamo cambiare modo di produrre e di consumare. In agricoltura già si sperimentano alcune tecniche di conservazione, ci sono di tecniche  di agro-ecologia che cercano di conciliare agricoltura e ecologia e ci sono tecniche che cercano di conciliare foreste ed agricoltura. Tutte queste tecniche devono essere esplorate ulteriormente, devono essere rese applicabili in contesti specifici e, soprattutto, devono essere disponibili anche per i piccoli produttori.

D. - Lei ha citato il gravissimo problema degli sprechi alimentari. Su questo si fa poco a dire la verità, mi sembra …

R. - Ci sono tante iniziative. Anche la Fao stessa è coinvolta in alcune iniziative significative. Ma il tutto sicuramente passa attraverso una maggiore consapevolezza dei consumatori, quindi educazione nel consumo, e passa anche attraverso meccanismi di prezzo che meglio riflettano il valore di ciò che si compra e si consuma. Per esempio, in questo momento nel prezzo dei beni che consumiamo l’impatto sulle emissioni di anidride carbonica non è tenuto molto presente.

D. - Negli scenari futuri, quale ruolo avranno i poveri? Sembra di capire un ruolo importante …

R. - Siamo in un contesto di sviluppo economico in cui le disuguaglianza crescono, la differenza tra ricchi e poveri aumenta e le otto persone più ricche sul pianeta usufruiscono di tanta ricchezza quanto il 50 per cento dell’umanità più povera. È chiaro che noi ci interroghiamo: su come fare in modo che nei cambiamenti che avvengono nei sistemi alimentari, che per esempio spingono verso filiere sempre più lunghe e sempre a maggiore intensità di capitale,  i poveri, in particolare, i piccoli produttori, possano trovare un posto all’interno di queste filiere o che qualora dovessero abbandonare l’agricoltura possano trovare opportunità di lavoro remunerati in modo decente?

D. - Una domanda forse provocatoria. Questi rapporti così documentati della Fao, sono tenuti sufficientemente in considerazione dagli Stati, dai governi?

R. - La Fao cerca di giocare un ruolo che è quello di produrre del materiale che sia utile per prendere delle decisioni che vadano verso un futuro più equo e sostenibile. Ovviamente i mezzi di comunicazione, incluso il vostro, hanno un ruolo molto importante nel coinvolgere tutte le persone che comunque sono consumatori, ma sono anche cittadini, sono persone che votano, quindi scelgono i propri governi affinché scelgano quelle persone che più sono sensibili all’evoluzione del nostri sistemi socio-economici. Quindi l’invito è quello di diffondere il più possibile questi nostri “campanelli d’allarme” perché da una parte i consumatori diventino più consapevoli e dall’altra parte anche i decisori spossano inserire nel loro orizzonte decisionale alcune delle considerazioni che noi proponiamo in questo rapporto.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 53

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.