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Sommario del 09/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Civiltà Cattolica: siate rivista ponte, in dialogo con il mondo

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Inquietudine, incompletezza, immaginazione. Sono i tre punti chiave sottolineati da Papa Francesco nel discorso alla comunità de La Civiltà Cattolica, in occasione del numero 4000 della storica rivista dei gesuiti nata 167 anni fa. In un chirografo, pubblicato sul quindicinale, il Pontefice ha inoltre esortato la rivista, diretta da padre Antonio Spadaro, ad essere “una rivista ponte, di frontiera e di discernimento”. Il Papa ha infine elogiato l’iniziativa delle nuove pubblicazioni in lingua inglese, francese, spagnolo e coreano. Il segno, ha detto, di una rivista “sempre più aperta al mondo”. All’udienza era presente il preposito generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa, dal quale – come ha ricordato Francesco, riprendendo il Beato Pio IX – Civiltà Cattolica dipende “completamente e in tutto”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Quattromila fascicoli “non sono una raccolta di carta”, “c’è una vita dentro”. Papa Francesco esordisce così incontrando la comunità di Civiltà Cattolica in occasione del numero 4 mila della rivista dei gesuiti fondata 167 anni fa. Il Papa gesuita invita con forza i suoi confratelli a proseguire “con coraggio” la “navigazione in mare aperto” e ribadisce che il gesuita deve evitare di aggrapparsi “a certezze e sicurezze”.

Civiltà Cattolica è sulla mia scrivania, vi seguo con affetto
Al tempo stesso, Francesco ricorda che quella di Civiltà Cattolica non è una navigazione "solitaria", si rema infatti sempre “a servizio della Chiesa” nella Barca di Pietro. Quindi, confida il suo affetto per il quindicinale dei gesuiti:

“Io nel mio lavoro vi vedo, vi seguo, vi accompagno con affetto. La vostra rivista è spesso sulla mia scrivania. E so che voi nel vostro lavoro non mi perdete mai di vista. Avete accompagnato fedelmente tutti i passaggi fondamentali del mio Pontificato a partire dalla lunga intervista che ho concesso al vostro direttore nell’agosto 2013”.

Apritevi sempre più al mondo, dialogando con tutti
Francesco sottolinea poi che - grazie alle nuove edizioni in spagnolo, inglese, francese e coreano - Civiltà Cattolòica allarga i suoi confini linguistici. Questa nuova tappa, evidenzia, contribuirà ad “ampliare” l’orizzonte della rivista:

“La cultura viva tende ad aprire, a integrare, a moltiplicare, a condividere, a dialogare, a dare e a ricevere all’interno di un popolo e con gli altri popoli con cui entra in rapporto. La Civiltà Cattolica sarà una rivista sempre più aperta al mondo. Questo è un nuovo modo di vivere la vostra missione specifica”.

La missione specifica, riprende, è quella di essere una rivista cattolica che non ha cura solamente di difendere “le idee cattoliche” ma di trasmettere e testimoniare lo sguardo di Cristo sul mondo.

La fede sia la certezza della vostra ricerca, senza inquietudine siamo sterili
Il Papa si è così soffermato su tre punti consegnati idealmente a Civiltà Cattolica per “andare avanti” nella sua missione, accompagnati da tre speciali “patroni”. Innanzitutto, inquietudine:

“Vi pongo una domanda: il vostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca? Solo l’inquietudine dà pace al cuore di un gesuita. Senza inquietudine siamo sterili. Se volete abitare ponti e frontiere dovete avere una mente e un cuore inquieti. A volte si confonde la sicurezza della dottrina con il sospetto per la ricerca. Per voi non sia così. I valori e le tradizioni cristiane non sono pezzi rari da chiudere nelle casse di un museo. La certezza della fede sia invece il motore della vostra ricerca”.

Come "patrono" il Papa ha consegnato San Pietro Favre ed ha chiesto di porsi sempre alcune domande: “Abbiamo grandi visioni e slancio? Siamo audaci? Oppure siamo mediocri, e ci accontentiamo di riflessioni di laboratorio?” La vostra rivista, ha detto ancora, “prenda consapevolezza delle ferite di questo mondo, e individui terapie”, “camminate con la vostra intelligenza inquieta che le tastiere dei vostri computer traducono in riflessioni utili per costruire un mondo migliore, il Regno di Dio”.

In un mondo pieno di sfide, la vostra fede apra il vostro pensiero
La seconda parola indicata dal Papa è "incompletezza". Dio, ha affermato, ci sorprende sempre”. Per questo, ha esortato, “dovete essere scrittori e giornalisti dal pensiero incompleto, cioè aperto e non chiuso e rigido”:

“La vostra fede apra il vostro pensiero. Fatevi guidare dallo spirito profetico del Vangelo per avere una visione originale, vitale, dinamica, non ovvia. E questo specialmente oggi in un mondo così complesso e pieno di sfide in cui sembra trionfare la ‘cultura del naufragio’ – nutrita di messianismo profano, di mediocrità relativista, di sospetto e di rigidità – e la ‘cultura del cassonetto’, dove ogni cosa che non funziona come si vorrebbe o che si considera ormai inutile si butta via”.

“Solo un pensiero davvero aperto – ha soggiunto – può affrontare la crisi e la comprensione di dove sta andando il mondo” ed ha offerto come “figura di riferimento”, padre Matteo Ricci. Sul suo esempio, ha detto, “fate conoscere qual è il significato della ‘civiltà’ cattolica, ma pure fate conoscere ai cattolici che Dio è al lavoro anche fuori dai confini della Chiesa, in ogni vera “civiltà”, col soffio del suo Spirito”.

Ascoltare la gente, avere la sapienza del discernimento
Infine, il terzo punto: immaginazione. “Questo nella Chiesa e nel mondo – ha affermato – è il tempo del discernimento”. Un discernimento, ha precisato, che “si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente”, “specialmente dei poveri”:

“La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita. Ma bisogna penetrare l’ambiguità, bisogna entrarci, come ha fatto il Signore Gesù assumendo la nostra carne. Il pensiero rigido non è divino perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte”.

“Chi ha immaginazione – ha ribadito – non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore”. E ricorda le opere pittoriche di fratel Andrea Pozzo che apriva “con l’immaginazione spazi aperti, cupole e corridoi, lì dove ci sono solo tetti e muri”.

Il pensiero della Chiesa recuperi la sua genialità
Di qui l’incoraggiamento del Papa a coltivare nella rivista “lo spazio per l’arte, la letteratura, il cinema, il teatro e la musica”:

“Il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento. E questa genialità aiuta a capire che la vita non è un quadro in bianco e nero. È un quadro a colori. Alcuni chiari e altri scuri, alcuni tenui e altri vivaci. Ma comunque prevalgono le sfumature. Ed è questo lo spazio del discernimento, lo spazio in cui lo Spirito agita il cielo come l’aria e il mare come l’acqua”.

Il Papa ha concluso il suo discorso auspicando che Civiltà Cattolica sia sostenuta dalla Compagnia di Gesù e dai vescovi. Una “rivista unica”, ha concluso, per il suo legame speciale con la Sede Apostolica.

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Il colloquio del Papa con i superiori degli ordini religiosi

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In occasione del suo numero 4000, «La Civiltà cattolica» ha pubblicato ampi stralci del colloquio che Papa Francesco ha avuto con i superiori degli ordini religiosi in Aula Paolo VI, il 25 novembre scorso. Erano presenti 140 superiori generali, che avevano appena concluso la loro 88.ma assemblea generale. Il Papa ha risposto per circa tre ore alle loro domande.

Crescere nel discernimento: no a logica del bianco e nero
Parlando del prossimo Sinodo dei Vescovi in programma per il 2018 su giovani, fede e discernimento vocazionale il Papa ha sottolineato che il tema del discernimento “è uno dei problemi più grandi” che oggi ci sono nella formazione sacerdotale: “Nella formazione siamo abituati alle formule, ai bianchi e ai neri, ma non ai grigi della vita. E ciò che conta è la vita, non le formule. Dobbiamo crescere nel discernimento. La logica del bianco e nero può portare all’astrazione casuistica. Invece il discernimento è andare avanti nel grigio della vita secondo la volontà di Dio. E la volontà di Dio si cerca secondo la vera dottrina del Vangelo e non nel fissismo di una dottrina astratta”. “La Chiesa deve accompagnare i giovani nel loro cammino verso la maturità, e solo con il discernimento e non con le astrazioni i giovani possono scoprire il loro progetto di vita e vivere una vita davvero aperta a Dio e al mondo”.

Nuovi Istituti che sembrano dare sicurezza ma danno rigidità
“La diminuzione della vita religiosa in Occidente mi preoccupa” - osserva il Papa rispondendo ad un’altra domanda – “Ma mi preoccupa anche un’altra cosa: il sorgere di alcuni nuovi Istituti religiosi che sollevano alcune preoccupazioni. Non dico che non debbano esserci nuovi Istituti religiosi! Assolutamente no. Ma in alcuni casi mi interrogo su che cosa stia accadendo oggi. Alcuni di essi sembrano una grande novità, sembrano esprimere una grande forza apostolica, trascinano tanti e poi… falliscono. A volte si scopre persino che dietro c’erano cose scandalose… Ci sono piccole fondazioni nuove che sono davvero buone e che fanno sul serio. Vedo che dietro queste buone fondazioni ci sono a volte anche gruppi di vescovi che accompagnano e garantiscono la loro crescita. Però ce ne sono altre che nascono non da un carisma dello Spirito Santo, ma da un carisma umano, da una persona carismatica che attira per le sue doti umane di fascinazione. Alcune sono, potrei dire, «restaurazioniste»: esse sembrano dare sicurezza e invece danno solo rigidità. Quando mi dicono che c’è una Congregazione che attira tante vocazioni, lo confesso, io mi preoccupo. Lo Spirito non funziona con la logica del successo umano: ha un altro modo. Ma mi dicono: ci sono tanti giovani decisi a tutto, che pregano tanto, che sono fedelissimi. E io mi dico: «Benissimo: vedremo se è il Signore!». Alcuni poi sono pelagiani: vogliono tornare all’ascesi, fanno penitenze, sembrano soldati pronti a tutto per la difesa della fede e di buoni costumi… e poi scoppia lo scandalo del fondatore o della fondatrice… Noi sappiamo, vero? Lo stile di Gesù è un altro. Lo Spirito Santo ha fatto rumore il giorno della Pentecoste: era all’inizio. Ma di solito non fa tanto rumore, porta la croce. Lo Spirito Santo non è trionfalista”.

Devozione mariana
Parlando delle tematiche mariane scelte in America Latina per le tre Gmg che condurrano alla Giornata di Pnama, ha sottolineato quale sia la vera devozione mariana: non è – ha detto - quella della “Madonna capo di un ufficio postale che ogni giorno manda una lettera diversa, dicendo: «Figli miei, fate questo e poi il giorno dopo fate quest’altro». No, non questa. La Madonna vera è quella che genera Gesù nel nostro cuore, che è Madre. Questa moda della Madonna superstar, come una protagonista che mette se stessa al centro, non è cattolica”. 

La mia pace è un regalo del Signore
Gli viene chiesto: “Qual è la sorgente della sua serenità?”. “Non prendo pastiglie tranquillanti! – risponde il Papa - Gli italiani danno un bel consiglio: per vivere in pace ci vuole un sano menefreghismo. Io non ho problemi nel dire che questa che sto vivendo è un’esperienza completamente nuova per me. A Buenos Aires ero più ansioso, lo ammetto. Mi sentivo più teso e preoccupato. Insomma: non ero come adesso. Ho avuto un’esperienza molto particolare di pace profonda dal momento che sono stato eletto. E non mi lascia più”. Prima della sua elezione, “nelle Congregazioni Generali si parlava dei problemi del Vaticano, si parlava di riforme. Tutti le volevano. C’è corruzione in Vaticano. Ma io sono in pace. Se c’è un problema, io scrivo un biglietto a san Giuseppe e lo metto sotto una statuetta che ho in camera mia. È la statua di san Giuseppe che dorme. E ormai lui dorme sotto un materasso di biglietti! Per questo io dormo bene: è una grazia di Dio. Dormo sempre sei ore. E prego. Prego a mio modo. Il breviario mi piace tanto e mai lo lascio. La Messa tutti i giorni. Il rosario…. Quando prego, prendo sempre la Bibbia. E la pace cresce. Non so se questo è il segreto… La mia pace è un regalo del Signore. Che non me la tolga!”.

Vita religiosa è profezia
Quindi torna a ribadire che ciò che specifica la vita religiosa è la profezia: “Essere radicali nella profezia è il famoso sine glossa, la regola sine glossa, il Vangelo sine glossa. Cioè: senza calmanti! Il Vangelo va preso senza calmanti. Così hanno fatto i nostri fondatori”. 

Nelle comunità religiose ci sia misericordia e fraternità
Riguardo alla vita comunitaria, ricorda che “alcuni santi l’hanno definita una continua penitenza. Ci sono comunità in cui la gente si spella e si spiuma! Se la misericordia non entra nella comunità, non va bene. Per i religiosi la capacità di perdono deve spesso iniziare nella comunità. E questo è profetico. Si comincia sempre con l’ascolto: che tutti si sentano ascoltati”. “Nei consigli presbiterali delle diocesi i religiosi aiutano nel cammino. E non devono avere paura di dire le cose. Nelle strutture della Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto. E non c’è bisogno di diventare cardinali per credersi prìncipi! Basta essere clericali. Questo è quanto di peggio ci sia nell’organizzazione della Chiesa. I religiosi possono contribuire con la testimonianza di una fratellanza più umile. I religiosi possono dare la testimonianza di un iceberg capovolto, dove la punta, cioè il vertice, il capo, è capovolta, sta in basso”. 

Vocazioni religiose: accertarsi di una adeguata maturità affettiva
Il Papa risponde ad una domanda sugli abusi sessuali compiuti da esponenti del clero sui minori. “Circa gli abusi sessuali – dice - pare che su 4 persone che abusano, 2 siano state abusate a loro volta. Si semina l’abuso nel futuro: è devastante. Se sono coinvolti preti o religiosi, è chiaro che è in azione la presenza del diavolo che rovina l’opera di Gesù tramite colui che doveva annunciare Gesù. Ma parliamoci chiaro: questa è una malattia. Se non siamo convinti che questa è una malattia, non si potrà risolvere bene il problema. Quindi, attenzione a ricevere in formazione candidati alla vita religiosa senza accertarsi bene della loro adeguata maturità affettiva”. 

Chiesa è nata in uscita, non torni a chiudersi nel Cenacolo
Infine, il Papa ricorda che “la Chiesa è nata in uscita. Era chiusa nel Cenacolo e poi è uscita. E deve rimanere in uscita. Non deve tornare a chiudersi nel Cenacolo. Gesù ha voluto che fosse così. E «fuori» significa quelle che io chiamo periferie, esistenziali e sociali. I poveri esistenziali e i poveri sociali spingono la Chiesa fuori di sé. Pensiamo a una forma di povertà, quella legata al problema dei migranti e dei rifugiati: più importante degli accordi internazionali è la vita di quelle persone!”. E conclude: “Ricordiamolo sempre: la misericordia è Dio in uscita. E Dio è sempre misericordioso. Anche voi uscite!”.

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Papa: educazione cattolica offra orizzonti aperti a trascendenza

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“Le scuole e le università cattoliche sono al servizio della crescita in umanità, nel dialogo e nella speranza”: lo ha ricordato il Papa stamane ricevendo i partecipanti alla Plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica, accompagnati dal prefetto, cardinale Giuseppe Versaldi. Il servizio di Roberta Gisotti: 

L’orizzonte è quello dell’evangelizzazione, dove ci sono attese da raccogliere per offrire un valido contributo alla missione della Chiesa. E la Plenaria - ha osservato il Papa - è occasione “per tracciare gli orientamenti degli impegni futuri”, a partire dal rilancio del documento conciliare Gravissimus educationis, allo studio della omonima Fondazione. Tra le urgenze da affrontare è anzitutto - ha evidenziato Francesco – “l’invadente individualismo che rende umanamente poveri e culturalmente sterili”. Da qui la necessità di “umanizzare l’educazione”:

“La scuola e l’università hanno senso pieno solo in relazione alla formazione della persona”.  

Tutti gli educatori sono chiamati ad “aiutare i giovani ad esser costruttori di un mondo più solidale e pacifico”:

“Ancor di più le istituzioni educative cattoliche hanno la missione di offrire orizzonti aperti alla trascendenza”.

Altra attesa – ha indicato il Papa - è che cresca “la cultura del dialogo”, in un mondo divenuto “un villaggio globale”, dove “ogni persona appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli”:

“Nello stesso tempo, purtroppo, ci sono tante forme di violenza, povertà, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali che creano una cultura dello scarto”.

Gli istituti educativi cattolici sono dunque “chiamati in prima linea a praticare la grammatica del dialogo che forma all’incontro e alla valorizzazione delle diversità culturali e religiose”.

“Il dialogo, infatti, educa quando la persona si relaziona con rispetto, stima, sincerità d’ascolto e si esprime con autenticità, senza offuscare o mitigare la propria identità nutrita dall’ispirazione evangelica”.

Le giovani generazioni se “educate cristianamente al dialogo, sapranno “costruire ponti” e “trovare nuove risposte alle molte sfide del nostro tempo”. Ultima attesa è che l’educazione sappia “seminare la speranza”:

“Sono convinto che i giovani di oggi hanno soprattutto necessità di questa vita che costruisce futuro. Perciò, il vero educatore è come un padre e una madre che trasmette una vita capace di futuro. Per avere questa tempra occorre mettersi in ascolto dei giovani: il ‘lavoro dell’orecchio’, mettersi in ascolto dei giovani!”.

E “lo faremo - ha aggiunto Francesco – nel prossimo Sinodo dei Vescovi dedicato a loro”. L’educazione - ha concluso il Papa - “ha in comune con la speranza la stessa “stoffa” del rischio:

"La speranza non è un superficiale ottimismo, nemmeno la capacità di guardare alle cose benevolmente, ma anzitutto è un saper rischiare nel modo giusto, proprio come l’educazione".

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Francesco: Chiesa accanto agli ebrei contro antisemitismo

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“L’atteggiamento antisemitico è contrario in tutto ai principi cristiani e a ogni visione che sia degna dell’uomo”. Lo ha detto il Papa, ricevendo stamani in Vaticano una delegazione dell’Anti-Defamation League, l’organismo nato nel 1913 negli Stati Uniti, con l’obiettivo di combattere i tentativi di diffamazione nei confronti del popolo ebreo. Il servizio di Giancarlo La Vella

L’antisemitismo è un male che ancora oggi sopravvive in diverse società. Il Papa ricorda che “se la cultura dell’incontro e della riconciliazione genera vita e produce speranza, la non-cultura dell’odio semina morte e miete disperazione”. Poi ricorda il viaggio fatto lo scorso anno nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau:

“Non ci sono parole e pensieri adeguati di fronte a simili orrori della crudeltà e del peccato; c’è la preghiera, perché Dio abbia pietà e perché tali tragedie non si ripetano”.

Francesco deplora l’atteggiamento antisemitico in ogni sua forma come contrario in tutto ai principi cristiani e ad ogni visione che sia degna dell’uomo. Ricordando un celebre discorso di San Giovanni Paolo II, Francesco afferma con forza: “L’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile”, un obiettivo al quale concorre la Chiesa:

“La Chiesa cattolica si sente particolarmente in dovere di fare quanto è in suo potere, insieme ai nostri amici ebrei, per respingere le tendenze antisemite”.

Ma l’antisemitismo – sottolinea il Pontefice – è tutt’oggi ancora diffuso. Ma più che in passato – afferma il Santo Padre – attualmente strumenti come l’informazione e la formazione possono aiutarci a combattere questa piaga, e poi continua:

“Custodire il sacro tesoro di ogni vita umana, dal concepimento sino alla fine, tutelandone la dignità, è la via migliore per prevenire ogni forma violenta. Di fronte alla troppa violenza che dilaga nel mondo, siamo chiamati a un di più di nonviolenza, che non significa passività, ma promozione attiva del bene. Infatti, se è necessario estirpare l’erba del male, è ancora più urgente seminare il bene: coltivare la giustizia, accrescere la concordia, sostenere l’integrazione, senza mai stancarsi; solo così si potranno raccogliere frutti di pace”.

Quindi l’incoraggiamento del Papa “a promuovere la cultura e favorire dovunque la libertà di culto, anche proteggendo i credenti e le religioni da ogni manifestazione di violenza e strumentalizzazione”. Atti questi, che sono i migliori antidoti contro l’insorgere dell’odio. Infine la gratitudine del Papa all’associazione “per il dialogo che, a vari livelli, alimentate con la Chiesa Cattolica”.

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Papa: la donna porta l'armonia che fa del mondo una cosa bella

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“Senza la donna, non c’è l'armonia nel mondo”. Così il Papa nell’omelia della Messa mattutina, stamani, a Casa Santa Marta. Al centro della riflessione di Francesco, la figura della donna a partire dalla Creazione narrata nel Libro della Genesi. Uomo e donna non sono uguali né uno superiore all’altro, ma è la donna e non l’uomo a portare quell’armonia che fa del mondo una cosa bella, sottolinea il Papa. Il servizio di Debora Donnini

Francesco prosegue la sua riflessione sulla Creazione proposta, in questi giorni, dalle Letture tratte dal Libro della Genesi. Il Signore aveva plasmato ogni sorta di animali ma l’uomo non trovava in loro una compagnia, “era solo”. Quindi il Signore gli tolse una costola e fece la donna che l’uomo riconobbe come carne della sua carne. “Ma prima di vederla – dice il Papa – l’ha sognata”: “per capire una donna è necessario sognarla, prima”, spiega Francesco.

Senza la donna, non c'è armonia
“Tante volte, quando noi parliamo delle donne”, ne parliamo in modo funzionale: “ma, la donna è per fare questo”, nota il Papa. Invece la donna porta una ricchezza che l’uomo non ha, la donna porta armonia al Creato:

“Quando non c’è la donna, manca l’armonia. Noi diciamo, parlando: ma questa è una società con un forte atteggiamento maschile, e questo, no? Manca la donna. ‘Sì, sì: la donna è per lavare i piatti, per fare …’. No, no, no: la donna è per portare armonia. Senza la donna non c’è armonia. Non sono uguali, non sono uno superiore all’altro: no. Soltanto che l’uomo non porta l’armonia: è lei. E’ lei che porta quella armonia che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella”.

Sfruttare le persone è un crimine, sfruttare una donna è di più, è distruggere l'armonia
L’omelia di Francesco si snoda dunque attraverso tre momenti: la solitudine dell’uomo, il sogno e, terzo, il destino di tutti e due, essere “una sola carne”. E il Papa fa un esempio concreto. Racconta quando in un’udienza, mentre salutava la gente, ha domandato ad una coppia che celebrava il 60.mo anniversario di matrimonio: “Chi di voi ha avuto più pazienza?”:

“E loro che mi guardavano, si sono guardati negli occhi – non dimentico mai quegli occhi, eh? – poi sono tornati e mi hanno detto, tutti e due insieme: ‘Siamo innamorati’. Dopo 60 anni, questo significa una sola carne. E questo è quello che porta la donna: la capacità di innamorarsi. L’armonia al mondo. Tante volte, sentiamo: ‘No, è necessario che in questa società, in questa istituzione, che qui ci sia una donna perché faccia questo, faccia queste cose …’. No, no, no, no: la funzionalità non è lo scopo della donna. E' vero che la donna deve fare cose, e fa – come tutti noi facciamo – cose. Lo scopo della donna è fare l’armonia, e senza la donna non c’è l’armonia nel mondo. Sfruttare le persone è un crimine di lesa umanità: è vero. Ma sfruttare una donna è di più: è distruggere l’armonia che Dio ha voluto dare al mondo. E’ distruggere”.

Sfruttare una donna è quindi non solo “un crimine” ma è “distruggere l’armonia”, ribadisce Francesco che fa riferimento anche al Vangelo odierno dove si narra della donna siro-fenicia.

Dio ha creato la donna perché tutti noi avessimo una madre
Quindi il Papa conclude con una nota personale:

“Questo è il grande dono di Dio: ci ha dato la donna. E nel Vangelo, abbiamo sentito di che cosa è capace una donna, eh? E' coraggiosa, quella, eh? E’ andata avanti con coraggio. Ma è di più, è di più: la donna è l’armonia, è la poesia, è la bellezza. Senza di lei il mondo non sarebbe così bello, non sarebbe armonico. E a me piace pensare – ma questa è una cosa personale – che Dio ha creato la donna perché tutti noi avessimo una madre”.

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"La Stampa" ha 150 anni. Molinari apre con gli auguri del Papa

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Il quotidiano “La Stampa” compie oggi 150 anni. Per celebrare il passato, ma con lo sguardo rivolto al futuro, il giornale è uscito in edicola con un’edizione speciale firmata da personalità di tutto il mondo, mentre alla celebrazione organizzata nel pomeriggio al Lingotto di Torino parteciperà il presidente Sergio Mattarella. A “La Stampa” anche gli auguri di Papa Francesco. Il servizio di Adriana Masotti

“Auguro alla Stampa, di raccontare il mondo in cui viviamo sapendone sempre descrivere la complessità, senza mai dimenticare quell’oceano di bene che ci fa guardare al futuro con speranza”. Papa Francesco scrive al quotidiano torinese, il terzo più importante quotidiano in Italia, un ampio e non formale messaggio in cui torna sul concetto della “globalizzazione dell’indifferenza” che oggi rischia di pietrificare i nostri cuori togliendoci la capacità di piangere sui tanti drammi dell’umanità. Un rischio da vincere, dice, sentendoci appartenenti ad “una casa comune e dunque interessandoci gli uni agli altri”. Il Papa ricorda che “la pace, la giustizia si costruiscono giorno per giorno, “riconoscendo l’insopprimibile dignità di ogni vita umana e riconoscendo ogni essere umano come nostro fratello”. Ma sentiamo il direttore de “La Stampa”, Maurizio Molinari:

R. - La scelta di aprire il numero speciale del "La Stampa" con l’intervento di Papa Francesco ha a che vedere con il suo messaggio, ovvero l’importanza di un leader che è stato fra i primi, se non il primo, a sollevare il tema delle diseguaglianze come chiave di lettura di quanto sta avvenendo. Nel momento stesso in cui lui scrive sul nostro giornale: “No alla globalizzazione dell’indifferenza” accusando a questa indifferenza la responsabilità di pietrificare i cuori e c’è un messaggio che ha a che vedere con la necessità di rivalutare gli individui, la migliore e più efficace risposta alle diseguaglianze è dare attenzione a quelle persone, a quegli esseri umani che come Papa Francesco dice vengono trattati, si sentono degli scarti. Noi dobbiamo ripartire da questi scarti, dare loro protezione e attenzione. Dobbiamo far venire meno quest’indifferenza e quindi sanare le ferite della globalizzazione. In questo c’è un’indicazione che può essere patrimonio di tutti, anche di un giornale laico come "La Stampa".

D. – Lei, sempre sul numero di oggi, descrive quella che è stata l’identità e la storia del quotidiano. Dice: espressione di Torino, radicato nel Nordovest, custode dei valori dell’Italia repubblicana, con un’identità europea. Come è cambiata "La Stampa" e che cosa ancora rimane?

R.  – Ciò che resta è il Dna delle origini. Non c’è dubbio che "La Stampa" sia espressione di Torino e radicata nel Nordovest perché appartiene a questo territorio. Ed è un territorio che ha una forte identità non solamente nazionale e repubblicana ma anche europea ed è capace, nelle famiglie che lo abitano, di avere uno sguardo sul mondo. E la sfida per un giornale guardando avanti agli anni che verranno è quella di declinare questa identità glocal sulle molteplici piattaforme della comunicazione, non solamente quelle che noi conosciamo e che esistono: digitale, in carta, video o sui social network, ma anche quelle che verranno.

D. – Ecco guardando proprio alle sfide del futuro, è interessante quello che scrive Romano Prodi: invita "La Stampa" a continuare a discutere di Europa nella consapevolezza che solo uniti si può affrontare il futuro…

R. – L’Europa si trova di fronte a tre sfide da far tremare i polsi. La prima sono le diseguaglianze, la seconda sono le migrazioni, lo spostamento di masse umane che arrivano nei nostri Paesi da zone di crisi e di guerra e di impoverimento. E la terza è il terrorismo che minaccia la sicurezza di tutti soprattutto quello di matrice jihadista. L’Europa deve dare risposte a queste tre emergenze per riuscire ad essere più vicina ai cittadini e, per riuscire a fare questo, l’Europa deve essere guidata e interpretata da leader capaci di declinare una visione europea. Noi oggi guardiamo in più capitali europee cercando di capire e di raccontare chi possono essere questi leader.

D. - Se dovesse in sintesi esprimere l’impegno che oggi "La Stampa" e quindi le persone che ci lavorano si assumono, quale potrebbe essere questo impegno?

R. – L’impegno è quello di sommare il vecchio mestiere alle nuove tecnologie. Non c’è nessun dubbio che le tecnologie mutano, si moltiplicano e sfidano la nostra immaginazione arricchendo la possibilità di comunicare ma, per essere efficaci i contenuti, a prescindere da come vengono distribuiti, devono essere contenuti di qualità. Affinché siano di qualità a generarli devono essere giornalisti che lavorano oggi come nel passato, ovvero andando in giro, consumando le suole delle scarpe, cercando le fonti, dimostrandosi rispettosi delle notizie e dei lettori e dei fatti, differenziando i fatti dalle opinioni: è nel momento in cui il racconto diventa credibile e affidabile che l’informazione vince la sua sfida più bella.

 

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Summit internazionale in Vaticano: appello a fermare traffico organi

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La determinazione a combattere il traffico di organi e di esseri umani ad esso collegato è stata assunta con una Dichiarazione dai partecipanti all’incontro conclusosi ieri alla Pontificia Accademia delle Scienze che per due giorni ha visto dialogare esperti del settore provenienti da diverse parti del mondo, sollecitati dalla richiesta di Papa Francesco di combattere il traffico di esseri umani e di organi in tutte le sue forme. Francesca Sabatinelli

L’appello è a 360 gradi: ai governi, agli attori sanitari, alle autorità giudiziarie, a tutti coloro, comprese Organizzazioni internazionali, che possano contribuire alla eliminazione del fenomeno del traffico di organi e di esseri umani ad esso collegato. I partecipanti all’incontro in Vaticano hanno ribadito come all’origine di questo mercato vi siano da sempre la povertà, la disoccupazione, la mancanza di opportunità socio-economiche, tutto ciò che rende le persone vulnerabili, perché sono gli indigenti che diventano le vittime del traffico “costretti a vendere i loro organi alla disperata ricerca di una vita migliore”. Ma le vittime sono anche quei pazienti “disposti a pagare somme ingenti e a viaggiare in altri Paesi come turisti del trapianto, al fine di ottenere un organo che possa consentire loro di vivere". Chi rende possibile tutto questo, trascurando la dignità di esseri umani, sono broker e operatori sanitari senza scrupoli. Nonostante i progressi compiuti nella lotta al traffico di organi, ancora si registrano Paesi meta di turismo del trapianto. Di qui l’impegno a  perseguire queste pratiche illecite e immorali, anche in risposta alla “richiesta di Papa Francesco di combattere il traffico di esseri umani e di organi in tute le loro forme".

Ecco, quindi, che la dichiarazione chiama in causa tutte le nazioni affinché riconoscano come crimine il traffico di esseri umani a scopo di prelievo di organi e il traffico di organi, l’appello è anche ai leader religiosi. Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontifica accademia delle scienze:

“Quello che è venuto fuori, naturalmente, è che dove i Paesi sono organizzati con buoni medici e con un sistema ospedaliero in cui si faciliti la pratica e la gente è abituata a donare gli organi, praticamente non c’è traffico, perché c’è disponibilità di organi. Invece, nei Paesi in cui non ci sono buoni medici e non c’è un sistema di ospedali o di enti per la cura dei malati e la gente non ha consapevolezza della possibilità di donare organi, naturalmente c’è il traffico di organi, nel senso che alla gente gli organi vengono tolti ... come se fossero schiavi. Quindi, la raccomandazione generale è che le comunità religiose, i leader religiosi, favoriscano la donazione di organi, in maniera che quando le persone muoiono lascino scritta nel testamento l’autorizzazione al prelievo degli organi. Allo stesso tempo si chiede che siano molto critici nei confronti del traffico di organi”.

Tra le varie raccomandazioni anche quella ai governi di istituire un quadro giuridico tale da fornire gli strumenti per prevenire e reprimere i reati legati ai trapianti e da proteggere le vittime indipendentmente dal luogo in cui sono stati commessi i crimini. L’appello, inoltre, è rivolto alle Nazioni Unite e a tutte le organizzazioni che dall’Onu dipendono, così come al Consiglio europeo. Si tratta di un grave fenomeno che ad oggi ancora non ha cifre globali e tantomeno una stima del movimento economico che vi è dietro. Ben vengano, quindi, iniziative come quella di questi due giorni in Vaticano, ancora mons. Sorondo:

“Io credo che, tutto sommato, la conclusione che possiamo trarre è che l’incontro sia stato molto positivo: è la prima volta che si traccia un bilancio generale del problema, in Italia; è la prima volta che si fa in Vaticano".

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Oggi in Primo Piano



Kenya. Alta Corte annulla chiusura del campo profughi di Dadaab

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L'Alta Corte del Kenya ha annullato la decisione del governo di chiudere il campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo, in cui sono accolte quasi 700 mila persone, in gran parte parte somali. "La decisione del governo di cacciare i rifugiati somali - ha sentenziato l’Alta Corte - è un atto di persecuzione di un gruppo, è illegale, discriminatoria e quindi incostituzionale e viola il diritto internazionale" andando a colpire chi fugge dalla fame, dalla guerra civile e dalle violenze dell'estremismo islamico. Inoltre, il Tribunale ha stabilito che il governo keniano non ha provato che i rifugiati somali possono tornare in patria in sicurezza. Fonti governative di Nairobi sostengono che il campo di Dadaab viene utilizzato dal gruppo terroristico al-Shabab per reclutare nuovi membri e come base per sferrare attacchi in Kenya. Tuttavia, non sono state fornite prove al riguardo. La stragrande maggioranza dei profughi vuole restare. Il governo del Kenya ha reso noto che farà appello contro la decisione. Al microfono di Giulia Angelucci, il commento del direttore di Africa-Express.info, Massimo Alberizzi:  

R. – E’ stata l’Alta Corte del Kenya che ha bloccato la chiusura di Dadaab. Quindi c’è la volontà giudiziaria, ma la volontà politica non c’è! Ci sono dei problemi… Sarebbero 260 mila i rifugiati somali che dovrebbero essere rimpatriati e sicuramente si può trovare un minimo di soddisfazione naturalmente su questo, però non è certo che vada a buon fine tutta l’operazione e che quindi il campo rimanga aperto. D’altro canto, questo campo - dove sono stato più volte – è molto, molto pericoloso per il Kenya, perché non riescono a controllare quella massa di somali che continuamente arrivano e che vivono lì. Il campo è praticamente gestito dalle mafie, mafie che controllano tutto il commercio della benzina, del carburante; il commercio del cibo, il commercio perfino delle schede telefoniche. Quindi è abbastanza complicato e questo preoccupa molto le autorità kenyote, perché il Kenya è un nervo scoperto – se vogliamo – e c’è sempre il rischio di attentati, di infiltrazioni, di fondamentalisti islamici verso l’ex colonia inglese e poi verso l’Europa.

D. - Una decisione, quella di chiudere il campo e di rimpatriare i rifugiati somali, che è stata rinviata più volte….

R. – Sì, il campo è aperto dal 1991…. La decisione, sì, è stata rinviata più volte perché dal punto di vista umanitario è francamente una cosa odiosa rimpatriare della gente che va via dalla guerra, dalla fame, dai disagi che questo comporta… D’altro canto, però, ci sono i problemi di sicurezza del Kenya e riuscire a coniugare le due cose è abbastanza difficile e trovare una soluzione che rispetti i diritti umani e quindi rispetti anche la sicurezza del Kenya è complicato.

D. – A difesa di queste persone, oltre l’Onu e in questo caso la magistratura, chi c’è?

R. – Non c’è nessuno! Ci sono le organizzazioni non governative che, ovviamente ci tengono al rispetto dei diritti umani e quindi lottano perché resti aperto, ma non c’è un piano strategico che permetta di trovare la soluzione per i due problemi, appunto quello umanitario e quello della sicurezza. Si potrebbe smembrare il campo, ma sono già 3-4 e sono vicinissimi: il campo di Dadaab è composto da un campo solo. Risulta di fatto un campo solo a distanza di 4-5 chilometri uno dall’altro. Pensare ad una soluzione non di rimpatrio, ma di tutela della loro incolumità smembrandolo in vari campi, tenendoli così maggiormente sotto controllo. Questo, però, ha un costo ovviamente.

D. – L’Africa - e in particolare il Kenya - ha adottato delle misure contro i rifugiati che sono simili ad alcune linee europee. E’ un segno di globalizzazione, in senso ovviamente negativo?

R. – Oggi in Kenya ci sono misure di sicurezza molto, molto forti. Per esempio: per entrare nei supermercati, c’è un check dei metalli, ti fanno passare in mezzo a porte che controllano se tu hai addosso dei metalli e quindi delle pistole, quindi dei mitra; le borse devono essere messe nei tunnel di controllo ai Raggi X. E questo soprattutto dopo il Westgate, l’attacco commerciale al centro commerciale del Westgate nel settembre di qualche anno fa. E si vive in quel modo, soprattutto nella capitale ovviamente e sulla costa, dove il rischio di infiltrazioni dalla Somalia è ancora più alto, perché lì si arriva proprio via terra o addirittura via bara: le frontiere sono già estremamente permeabili in quella parte del mondo. La situazione di sicurezza è abbastanza precaria in Kenya, anche se oggi è molto più tranquillo rispetto a qualche anno fa. Il problema è l’intelligence: se l’intelligence è in grado di muoversi bene, di fare i controlli bene, di investigare bene, allora si può pensare di tornare ad una situazione antiattentato al Centro Commerciale Westgate; l’intelligence del Kenya è aiutata dagli israeliani… E’ abbastanza difficile la situazione!

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La sorte dei Rohingya, gente pacifica che viene perseguitata

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Più di mille persone appartenenti alla comunità musulmana dei Rohingya sarebbero state uccise in Myanmar da quando, nell'autunno scorso, è iniziata una nuova operazione dei militari birmani che la comunità internazionale - sulla base di denunce di Onu e Ong - addita come “pulizia etnica”. Le autorità del Paese asiatico ridimensionano il bilancio, parlando di un centinaio di vittime in scontri con la guerriglia locale. Il servizio di Giada Aquilino

I Rohingya sono fratelli e sorelle “cacciati via dal Myanmar”, gente “pacifica” che soffre “da anni”: sono stati “torturati, uccisi”, semplicemente perché portano avanti “le loro tradizioni, la loro fede musulmana”. Così il Papa all’udienza generale del mercoledì, parlando di questa popolazione di oltre un milione di persone, di lingua affine al bengalese, che vive nel nord dello Stato birmano occidentale di Rakhine. Paolo Affatato, responsabile della redazione Asia dell’agenzia Fides:

“Il governo non li considera cittadini, bensì immigrati illegali e cioè non hanno uno status di cittadinanza. C’è quindi un sorta di discriminazione istituzionalizzata che dura da decenni: non possono avere terre, non possono avere più di due figli, devono chiedere un permesso per viaggiare… Sono una minoranza che non viene considerata parte dell’attuale Myanmar. Questo ha creato da sempre una sorta di emarginazione e poi anche tensioni sociali e religiose rinate dopo il risorgere di movimenti nazionalisti di marca buddista, che hanno acuito questa situazione di vera e propria persecuzione. Alcuni rapporti recenti parlano anche di pulizia etnica, di genocidio nascosto”.

La maggior parte della popolazione del Myanmar considera i Rohingya migranti provenienti illegalmente dal Bangladesh e le autorità li accusano di aver prodotto una milizia terrorista. Nelle ultime ore, fonti Onu citate dalla stampa internazionale hanno denunciato che oltre mille Rohingya sono stati uccisi da quando, nell'autunno scorso, è iniziata una nuova offensiva dei militari birmani. Ma si parla di altre violazioni:

“Possiamo rifarci sicuramente all’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani. Sono state documentate barbarie veramente di grande disumanità: si parla di brutalità commesse dalla polizia birmana in operazioni di rastrellamento, distruzione di villaggi, spostamento coatto della popolazione, uccisione di adulti e bambini, sparizioni e stupri. Il tutto compiuto con una persistente immunità e impunità delle forze di sicurezza ed anche di movimenti nazionalisti”.

Centinaia di migliaia di persone si sono rifugiate in particolare in Bangladesh, le cui autorità puntano a trasferire i profughi su un'isola costiera disabitata e sottosviluppata nel Golfo del Bengala, misura fortemente criticata anche dall'organizzazione umanitaria Human Rights Watch:

“Parliamo di circa 100 mila Rohingya che dal 2012 hanno lasciato il Paese. Altri 150 mila sono rifugiati in campi profughi che si trovano nell’area di confine fra Bangladesh e Myanmar. Però ricordiamo che anche solo due anni fa c’era stato un grande esodo che aveva ricordato il fenomeno dei cosiddetti “boat people”, con tentativi di approdo in Paesi vicini come Thailandia, Indonesia, Malaysia e respingimenti. In Bangladesh c’è stata sicuramente la maggior parte dell’esodo. Naturalmente il Paese è anche in una situazione di difficoltà per il gran numero di cittadini che hanno varcato la frontiera. Certo, quella di cui politicamente si sta discutendo ora è una sorta di segregazione perché questi profughi sarebbero trasferiti su un’isola del Golfo del Bengala, l’isola di Hatiya, e quindi di fatto confinati in una sorta di ghettizzazione”.

La questione dei Rohingya, sottolineano osservatori internazionali, rischia di pesare sulla giovanissima democrazia birmana e sulle spalle della Nobel per la pace Aun San Suu Kyi:

“Questa democrazia è giovane, fragile. Si trova ad affrontare una questione come questa crisi che ha radici molto antiche. Ci vorrebbe sicuramente un atto di coraggio e una forte presa di posizione dell’attuale governo birmano, fermo restando che il ‘lavoro sporco’ finora compiuto nei confronti dei Rohingya l’hanno compiuto le forze dell’ordine. Quindi c’è anche il delicato rapporto fra l’attuale esecutivo e le forze dell’ordine che, ricordiamo, hanno tenuto il potere nel Paese: è stata una dittatura militare quella che fino a pochi anni fa ha guidato il Myanmar. Quindi sicuramente è una questione molto complessa anche per il governo birmano, un terreno scivoloso e rischia di costituire un tallone di Achille per l’attuale esecutivo”.

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Terra Santa. Patriarcato: legge su insediamenti mina la pace

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“Annessione de facto di Territori privati palestinesi” che “mina la soluzione dei due Stati”, elimina ancora di più le “speranze di pace” e rischia di provocare “gravi conseguenze”; Con queste parole determinate il Patriarcato latino di Gerusalemme ha espresso ieri il suo giudizio fortemente negativo e le proprie preoccupazioni rispetto alla legge approvata dal Parlamento israeliano lunedì 6 febbraio, che ha “regolarizzato” retroattivamente circa 4mila unità abitative degli insediamenti dei coloni israeliani costruiti abusivamente su territori palestinesi occupati illegalmente dall'esercito israeliano.

Patriarcato latino: Legge sugli insediamenti ingiusta e unilaterale
In un comunicato diffuso attraverso i suoi media ufficiali e ripreso dall’agenzia Fides , il Patriarcato latino definisce tale provvedimento “ingiusto e unilaterale”, e esprime la sua forte preoccupazione per il futuro di pace e di giustizia in Terra Santa, chiamando i leader a “assumere provvedimenti decisivi in favore della pace, della giustizia e della dignità per tutti”. Dallo scorso 20 gennaio, Israele ha approvato la costruzione di 566 unità abitative per coloni in tre aree del territori di Gerusalemme, e 5.502 nuove unità abitative sparse in varie zone della Cisgiordania.

Caritas Gerusalemme: fin dall’inizio sabotati gli accordi di Oslo
Il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha annunciato l'inizio di una “nuova era dove la vita in Giudea e Samaria sta tornando al suo corso naturale”. “In questo modo” ha dichiarato alcuni giorni fa all'agenzia Fides padre Raed Abusahliah, direttore di Caritas Jerusalem “si prosegue la politica dei fatti compiuti che fin dall'inizio ha di fatto sabotato gli accordi di pace di Oslo. Lo slogan di quegli accordi di pace era 'land for peace', terra in cambio della pace. Nel 1993, la firma degli accordi prevedeva il ritiro di Israele dai territori palestinesi entro 3 anni. 23 anni dopo, continuano a costruire.

Nei Territori palestinesi oltre 400 insediamenti
Gli insediamenti costruiti sui Territori palestinesi sono più di 400. Hanno circondato Gerusalemme e vengono costruiti intorno a Betlemme, a Hebron, a Ramallah, a pochi chilometri dalla casa di Abu Mazen. Ci abitano 650mila coloni, che sono ideologicamente orientati, e per i quali Samaria e Giudea sono la Terra promessa da Dio a loro, che sono il Popolo eletto. Tutto questo vuol dire semplicemente che la proposta 'due Stati per due popoli' è già morta. Questa è la realtà che abbiamo davanti”. (A.L.)

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Haiti. Card. Langlois al neo presidente: è il momento di agire

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Jovenel Moise ha prestato giuramento lo scorso 7 febbraio ed è ufficialmente diventato il nuovo Presidente di Haiti. Il card. Chibly Langlois, presidente della Conferenza episcopale haitiana, ha presieduto la celebrazione liturgica, seguita dal Te Deum, prima del giuramento del neo Presidente. In questa circostanza – rende noto l’agenzia Fides - il cardinale ha sottolineato la necessità, per il nuovo Capo dello stato, di scegliere persone oneste e competenti per la sua squadra, pensando in particolare a quelli più vulnerabili e poveri.

Pesanti responsabilità per il neo Presidente
Alla presenza di numerosi ospiti, in un palazzo nazionale al completo, il cardinale ha ricordato a Jovenel Moise che lui è il Presidente di tutti gli haitiani, e deve essere al servizio del popolo haitiano, al fine di migliorare le condizioni di vita della popolazione. Dopo aver chiesto a Dio di dare saggezza e fortezza al nuovo Presidente perché dovrà affrontare pesanti responsabilità, il cardinale si è soffermato sui temi della famiglia e della giustizia, chiedendo di vivere nel dialogo, nella comprensione, nell'unità e nell'armonia.

Il card. Langlois: lo Stato si impegni per il popolo
I problemi del Paese infatti sono molti e richiedono la collaborazione di tutti per affrontarli. "E' il momento di lavorare e di agire. Il compito che abbiamo fra le mani – ha detto il card. Langlois - è “enorme", invitando il Presidente ad assumersi le sue responsabilità personali e sociali, ed esortando tutti a lasciarsi guidare dalla parola di Dio per orientare le proprie azioni in questo compito. Nell'affrontare la questione del buon governo, il card. Langlois ha ricordato che il ruolo dello Stato è di impegnarsi per il popolo, garantendo nel contempo lo stato di diritto.

Un Paese da ricostruire istituzioni da rafforzare
In questa prospettiva, ha detto, credo che lo Stato dovrà adottare misure per ricostruire il Paese e per rafforzare le istituzioni. Dopo un anno e mezzo di crisi politica, Moise è succeduto a Michel Martelly. Moise infatti aveva vinto le elezioni presidenziali del 2015, ma il voto era stato annullato per denunce di brogli ed irregolarità. La consultazione elettorale si è ripetuta nel novembre 2016 confermando la vittoria di Moise. (A.L.)

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Bagnasco: vicini ai giovani in cerca di lavoro

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“Non lasciate che qualcuno uccida la speranza dei vostri cuori". E’ l’appello lanciato oggi ai giovani dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella Messa celebrata a Napoli nella seconda giornata del convegno "Chiesa e lavoro" che vede riuniti i vescovi delle Diocesi del Sud. Il nostro inviato Federico Piana ha chiesto al porporato come la Chiesa possa manifestare la sua vicinanza ai giovani in questo momento così difficile: 

R. – Innanzitutto con la vicinanza quotidiana alla gente e ai giovani in modo particolare, perché la vicinanza vuol dire che i giovani non devono sentirsi soli. E’ la prima cosa che devono fare e che fanno i sacerdoti e i vescovi come dono e come gioia, accanto a loro: mantenere la fiducia nel cuore dei ragazzi. In secondo luogo, sollecitarli e sostenerli e stimolarli a mettersi insieme, a non rassegnarsi. Questo è possibile se tra di loro riescono a creare reti buone e a creare e inventare lavoro facendosi finanziare dall’Europa, perché ogni anno l’Italia deve restituire all’Europa più di 4 miliardi di euro che non sono stati spesi per progetti particolari. Questa è una opportunità che non viene raccolta ed è un grave peccato. Bisogna utilizzare di più questi fondi.

D. – Molti dicono che la mancanza di lavoro soprattutto per il Mezzogiorno sia tra le cause che spingono molti giovani a finire tra le braccia della criminalità organizzata …

R. – Certo: questo è vero, purtroppo. Ma non dobbiamo rassegnarci. Soprattutto i giovani non devono rassegnarsi a questo, perché significa fare il gioco della malavita sulla loro pelle, sulla loro giovinezza, sulla loro capacità di inventare, sulla loro generosità: perché i giovani, veramente, oltre che intelligenti e capaci, sono anche generosi e desiderosi. Sono molto buoni. Mancano dei maestri e noi sacerdoti vogliamo essere vicini a loro come amici e come pastori. Detto questo, torno a dire che se i ragazzi, i giovani, aiutati dai sacerdoti, dai vescovi, dalle persone di buona volontà, dalle amministrazioni, riescono a creare dei mondi lavorativi, delle reti virtuose, si sostengono per non cadere nella rete della malavita e diventano contagiosi per la società intera.

D. – Per quanto riguarda le parrocchie, Papa Francesco parla sempre di andare incontro a chi sta nelle periferie…

R. – Ma i parroci ci sono, in tutte le periferie del centro e del non-centro delle nostre città, perché le periferie non sono soltanto localistiche, logistiche, ma sono interiori, come lui, il Santo Padre, dice spesso: sono esistenziali. E i preti, appunto, condividono; sono gli unici a condividere la vita della gente: diciamolo chiaramente. Sono gli unici, perché sono sempre accanto a loro, alla gente; e questo è un dovere ma è anche una grande grazia per noi preti: poter stare accanto alla gente, conoscerla da vicino e condividere per tutto quello che possiamo.

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Un libro sui 30 anni di "spirito di Assisi", tra storia e profezia

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Poco più di trent’anni fa, nell’ottobre del 1986, San Giovanni Paolo II ebbe l’intuizione di riunire ad Assisi i leader di tutte le religioni in nome della pace nel mondo. Da allora si sono svolti altri quattro incontri, l’ultimo dei quali lo scorso settembre con Papa Francesco. Il libro “Pace, in nome di Dio. Lo spirito di Assisi tra storia e profezia”, scritto dal vaticanista di Tv 2000 Paolo Fucili, ne racconta la genesi e gli sviluppi. Il volume, pubblicato da Tau Edizioni, è stato presentato ieri a Roma. Il servizio di Michele Raviart

Mai prima del 27 ottobre dell’86 gli esponenti delle più diffuse religioni del mondo si erano ritrovati insieme nello stesso luogo. L’occasione per gli oltre sessanta partecipanti fu la Giornata mondiale di preghiera per la pace, indetta da Giovanni Paolo II ad Assisi. Lontano da ogni sincretismo religioso – una delle critiche mosse all’evento - l’incontro di Assisi aveva tra i suoi presupposti il dialogo ecumenico e la dichiarazione Nostra Aetate  del Concilio Vaticano II. Si calava in un contesto, quello della Guerra fredda, in cui la religione era in secondo piano nel dibattito pubblico e in cui la parola “pace” era più nominata dai regimi comunisti, che Papa Wojtyla ben conosceva, che dal mondo occidentale. Spiega Paolo Fucili, autore del volume:

“Chiaramente oggi il vissuto religioso riveste un’importanza che 30 anni fa non aveva. Per scrivere questo libro ho consultato anche giornali dell’epoca. C’è una cosa che mi ha sorpreso: oggi come oggi chiunque metterebbe in prima pagina un evento del genere, sarebbe la prima notizia del giorno. C’erano giornali, il giorno dopo, il 28 ottobre dell’86 dove per trovare la cronaca dell’evento di Assisi dovevi andare a pagina 3, 4, se non 5 addirittura… La religione chiaramente oggi ha acquisito un’altra importanza”.

L’audacia del gesto di Giovanni Paolo II, che aveva progressivamente ampliato la partecipazione a quello che aveva originariamente immaginato come un incontro fra i soli cristiani, rivelerà la sua fondatezza negli anni successivi, come spiega Mario Marazziti, portavoce della Comunità di S.Egidio, presente ad Assisi e che ogni anno organizza incontri internazionali di preghiera per la Pace:

“Nell’86 era il tempo della Guerra Fredda, si parlava ancora di guerra nucleare e le minacce di guerra erano molto forti. Dunque San Giovanni Paolo II ebbe questa intuizione profetica di richiamare la responsabilità non solo dei cattolici ma di tutti i cristiani e di tutte le religioni a lavorare e soprattutto a pregare per la pace. L’intuizione di Giovanni Paolo II è stata fondamentale se pensiamo agli anni successivi, quantomeno quando c’è stato uno sfruttamento dei temi religiosi per giustificare la violenza terrorista. E qui nuovamente lo spirito di Assisi entra in campo per dire che la vera anima delle religioni è la pace, il vero DNA delle religioni - del cristianesimo, dell’islam, dell’ebraismo, delle religioni orientali - è la pace”.

Giovanni Paolo II organizzò ad Assisi altri due incontri di dialogo interreligioso nel 1993 e nel 2002, così come Benedetto XVI nel 2011 e Francesco lo scorso 20 settembre. Ognuno di questi Pontefici ha portato il suo contributo allo “spirito di Assisi”. Ancora Paolo Fucili:

R.  – In qualche modo ogni Papa ha dato un po’ la sua coloritura. Mi viene in mente la giornata del 2011 con Benedetto XVI, in cui ha invitato anche rappresentanti del mondo della cultura, atei, agnostici … Questo per sottolineare che la ricerca della pace è qualcosa che riguarda tutta la famiglia umana. Si può dire che tutto il Pontificato di Francesco è un Pontificato in cui c’è stato grandissimo spazio per i temi del dialogo. Quello che penso abbia aggiunto lui è stata la sua figura, la sua capacità di tessere rapporti umani molto spontanei, molto cordiali, quindi chissà che non si possa ripetere questo incontro.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 40

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.