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Sommario del 06/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: il cristiano è schiavo dell'amore non del dovere

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I rigidi hanno “paura” della libertà che Dio ci dà, hanno “paura dell’amore”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che il cristiano è “schiavo” dell’amore, non del dovere, e ha invitato i fedeli a non nascondersi nella “rigidità” dei Comandamenti. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Sei tanto grande Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal Salmo 103, un “canto di lode” a Dio per le sue meraviglie. “Il Padre – ha osservato – lavora per fare questa meraviglia della creazione e per fare col Figlio questa meraviglia della ri-creazione”. Francesco ha così rammentato che una volta un bambino gli ha chiesto che cosa Dio facesse prima di creare il mondo. “Amava”, è stata la sua risposta.

Aprire il cuore, non rifugiarsi nella rigidità dei Comandamenti
Perché allora Dio ha creato il mondo? “Semplicemente per condividere la sua pienezza – ha affermato Francesco – per avere qualcuno al quale dare e col quale condividere la sua pienezza”. E nella ri-creazione, Dio invia suo Figlio per “ri-sistemare”: fa “del brutto un bello, dell’errore un vero, del cattivo un buono”:

“Quando Gesù dice: ‘Il Padre sempre opera; anche io opero sempre’ i dottori della legge si scandalizzarono e volevano ucciderlo per questo. Perché? Perché non sapevano ricevere le cose di Dio come dono! Soltanto come giustizia: ‘Questi sono i Comandamenti. Ma sono pochi, ne facciamo di più’. E invece di aprire il cuore al dono, si sono nascosti, hanno cercato rifugio nella rigidità dei Comandamenti, che loro avevano moltiplicato fino a 500 o più… Non sapevano ricevere il dono. E il dono soltanto si riceve con la libertà. E questi rigidi avevano paura della libertà che Dio ci dà; avevano paura dell’amore”.

Il cristiano è schiavo dell’amore, non del dovere
Per questo dice il Vangelo, ha annotato il Papa, “dopo che Gesù dice quello: ‘Volevano uccidere Gesù’. Per questo, ha aggiunto, “perché ha detto che il Padre ha fatto questa meraviglia come dono. Ricevere il dono del Padre!”:

“E per questo oggi abbiamo lodato il Padre: ‘Sei grande Signore! Ti voglio tanto bene, perché mi hai dato questo dono. Mi hai salvato, mi hai creato’. E questa è la preghiera di lode, la preghiera di gioia, la preghiera che ci dà l’allegria della vita cristiana. E non quella preghiera chiusa, triste della persona che mai sa ricevere un dono perché ha paura della libertà che sempre porta con sé un dono. Soltanto sa fare il dovere, ma il dovere chiuso. Schiavi del dovere, ma non dell’amore. Quando tu diventi schiavo dell’amore, sei libero! E’ una bella schiavitù quella! Ma questi non capivano quello”.

Chiediamoci come riceviamo il dono della redenzione e del perdono di Dio
Ecco le “due meraviglie del Signore”, ha ripreso, “la meraviglia della creazione e la meraviglia della redenzione, della ri-creazione”. Quindi si è domandato: “Come ricevo io questo che Dio mi ha dato – la creazione – come un dono? E se lo ricevo come un dono, amo la creazione, custodisco il Creato?" Perché questo, ha ribadito, 'è stato un dono!'":

"Come ricevo io la redenzione, il perdono che Dio mi ha dato, il farmi figlio con suo Figlio, con amore, con tenerezza, con libertà o mi nascondo nella rigidità dei Comandamenti chiusi, che sempre sempre sono più sicuri – fra virgolette – ma non ti danno gioia, perché non ti fanno libero. Ognuno di noi può domandarsi come vive queste due meraviglie, la meraviglia della creazione e l’ancora più meraviglia della ri-creazione. E che il Signore ci faccia capire questa cosa grande e ci faccia capire quello che Lui faceva prima di creare il mondo: amava! Ci faccia capire il suo amore verso di noi e noi possiamo dire – come abbiamo detto oggi – ‘Sei tanto grande Signore! Grazie, grazie!’. Andiamo avanti così”.

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Francesco: inoltrarsi su percorsi nuovi per l'unità cristiani

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I cristiani non abbiano paura di proseguire verso la piena unità, inoltrandosi su “percorsi nuovi”, audaci e profetici, tracciati dallo Spirito Santo: è quanto ha detto Papa Francesco ricevendo in Vaticano una delegazione ecumenica della Chiesa Evangelica in Germania, accompagnata del cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca. Ascoltiamo le parole del Papa nel servizio di Sergio Centofanti

“Abbiamo lo stesso Battesimo: dobbiamo camminare insieme, senza stancarci!”.

Papa Francesco ribadisce l’impegno irrevocabile della Chiesa a proseguire “con coraggio e decisione verso un’unità sempre più piena”. Ricordando che quest’anno ricorre il 500.mo anniversario della Riforma, cita le parole di Benedetto XVI durante il suo incontro con gli evangelici, nel 2011, in Germania, quando aveva affermato che «la questione su Dio», su «come poter avere un Dio misericordioso», era «la passione profonda, la molla della vita e dell’intero cammino» di Lutero (cfr Benedetto XVI, Incontro con i Rappresentanti della Chiesa Evangelica in Germania, 23 settembre 2011).

Oggi - osserva Francesco - è necessario “riproporre agli uomini e donne del nostro tempo la novità radicale di Gesù, la misericordia senza limiti di Dio”, che è “proprio ciò che i Riformatori ai loro tempi volevano stimolare”. Nel cammino ecumenico - sottolinea - occorre guardare “al passato senza rancori”, senza tuttavia nascondersi una verità: la divisione tra i cristiani è stato un fatto "certamente tragico” e un "fallimento di entrambi", cattolici e luterani:

“I credenti non si sono più sentiti fratelli e sorelle nella fede, ma avversari e concorrenti; per troppo tempo hanno alimentato ostilità e si sono accaniti in lotte, fomentate da interessi politici e di potere, talvolta senza nemmeno farsi scrupolo nell’usare violenza gli uni contro gli altri, fratelli contro fratelli. Oggi, invece, rendiamo grazie a Dio perché finalmente, «deposto tutto ciò che è di peso», fraternamente «corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,1-2)”.

Il Papa esorta a inoltrarsi su “percorsi nuovi” per raggiungere la piena unità:

“Le differenze in questioni di fede e di morale, che tuttora sussistono, rimangono sfide sul percorso verso la visibile unità, alla quale anelano i nostri fedeli. Il dolore è avvertito specialmente dagli sposi che appartengono a confessioni diverse. In modo avveduto occorre che ci impegniamo, con preghiera insistente e con tutte le forze, a superare gli ostacoli ancora esistenti, intensificando il dialogo teologico e rafforzando la collaborazione tra noi, soprattutto nel servizio a coloro che maggiormente soffrono e nella custodia del creato minacciato”.

Cattolici ed evangelici - conclude il Papa – possono portare insieme Gesù all’umanità di oggi, “in una diversità ormai riconciliata”, servendo i fratelli in un mondo che vede “gravi lacerazioni e nuove forme di esclusione e di emarginazione”.

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Dal Papa i vescovi della Chiesa Patriarcale di Alessandria dei Copti

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Tra le altre udienze odierne, il Papa ha ricevuto i presuli della Chiesa Patriarcale di Alessandria dei Copti, in visita “ad Limina Apostolorum". Consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Videomessaggio del Papa per il Super Bowl negli Usa

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Video messaggio del Papa per la più importante manifestazione sportiva negli Stati Uniti, la finale del campionato di football americano, nota come Super Bowl. Il servizio di Roberto Piermarini: 

L’attesissimo evento - che è stato seguito da 150 milioni di telespettatori - ha visto la storica vittoria dei New England Patriots, che hanno battuto gli Atlanta Falcon a Houston, in Texas, per 34 a 28, in una rimonta tesissima conclusasi ai supplementari, la prima volta in una finalissima del campionato di Football americano. Di fronte impatto l'intervento del Papa prima dell'incontro

“I grandi eventi sportivi come il Super Bowl – sottolinea Francesco nel vidoemessaggio - sono altamente simbolici dimostrando che è possibile costruire una cultura di incontro e un mondo di pace”.

“Prendere parte ad attività sportive – prosegue il Papa - ci fa andare oltre la nostra visione personale della vita - e in modo sano - ci fa imparare il significato del sacrificio, crescere nel rispetto e fedeltà alle regole”.

“Possa il Super Bowl di quest’anno – l’augurio di Francesco - essere un segno di pace, amicizia e solidarietà per il mondo”.

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La Chiesa beatifica il martire giapponese Ukon, samurai di Cristo

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Domani sarà beatificato il martire giapponese Justus Takayama Ukon, signore feudale e samurai, vissuto nel XVI secolo. Sposato e padre di 5 figli, scelse la via dell’esilio piuttosto che abiurare la fede cristiana. La Messa di Beatificazione ad Osaka, in Giappone, sarà presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Ripercorriamo la figura di Ukon con il servizio di Debora Donnini

Un guerriero con la katana, la spada dei guerrieri giapponesi, rivolta verso il basso, sormontata da una croce. La statua di Ukon, il samurai di Cristo, rappresenta la parabola della sua vita: da daimyo, grande signore feudale, potente in battaglia, a povero ed esiliato fino alla morte. Nato nel 1552, viene battezzato a 12 anni quando suo padre abbraccia la fede cristiana attraverso la predicazione del gesuita san Francesco Saverio. Signori feudali, i Takayama arrivano a dominare la regione di Takatsuki e Ukon si impegna per la diffusione del cristianesimo con la fondazione di seminari e la formazione di missionari e catechisti: nei suoi territori su una popolazione di 30mila persone, circa 25 mila abbracciarono la fede. Il cardinale Angelo Amato:

“Aveva colto il messaggio centrale di Gesù, che è la legge della carità. Per questo era misericordioso con i suoi sudditi, aiutava i poveri, dava il sostentamento ai samurai bisognosi. Fondò la confraternita della misericordia. Visitava gli ammalati, era generoso nell'elemosina, portava assieme al padre Dario la bara dei defunti, che non avevano famiglia, e provvedeva a seppellirli. Tutto ciò provocava stupore e desiderio di imitazione”.

Le persecuzioni iniziarono nel 1587 quando lo shogun Hideyoschi ordina l’espulsione dei missionari. Ukon e suo padre rinunciano agli onori, scegliendo la povertà. Vennero poi le crocifissioni, infine nel 1614, quando lo shogun Tokugawa bandì definitivamente il cristianesimo, Ukon per non abiurare va in esilio nelle Filippine assieme a 300 cristiani. Morirà circa 40 giorni dopo il suo arrivo. Ancora il cardinale Amato:

“Educato all'onore e alla lealtà, fu un autentico guerriero di Cristo, non con le armi di cui era esperto, ma con la parola e l'esempio. La fedeltà al Signore Gesù era così fortemente radicata nel suo cuore, da confortarlo nella persecuzione, nell'esilio, nell'abbandono. La perdita della sua posizione di privilegio e la riduzione a una vita povera e di nascondimento non lo rattristarono, ma lo resero sereno e perfino gioioso perché si manteneva fedele alle promesse del Battesimo”.

“’Via della Spada, Via della Croce… Tante domande mi risuonavano in testa giorno e notte…'. Sono parole del film-documentario 'Ukon il samurai – La via della spada, la via della Croce' descrive proprio questo cammino di spoliazione. Ma come avviene il processo di conversione per Ukon? La regista del film, Lia Beltrami:

“La vita di Ukon percorre, possiamo dire, tre fasi di conversione: il Battesimo, quando era ancora piccolo, assieme al padre, il momento in cui si trova in mezzo ad un combattimento, in cui capisce che non è quella la sua via e quando si trova a scegliere tra due grandi signori feudali. La scelta di uno avrebbe provocato una persecuzione contro la Chiesa nascente, mentre la scelta dell’altro l’avrebbe portato a perdere due suoi familiari che erano stati sequestrati. Lui sceglie di non entrare nella logica del mondo, ma di rinunciare a tutto, di rinunciare allo stato di signore, di rinunciare al castello per seguire la Via della Croce”.

Ukon non abbandona la cultura giapponese, che anzi valorizzerà sempre. Ancora Lia Beltrami:

“Ukon vive pienamente e fino in fondo il suo essere giapponese e non pone mai in conflitto la nuova religione, il cristianesimo. Takayama Ukon è conosciuto in tutto il Giappone, anche non cristiano, come “Gran Maestro della Cerimonia del Thè”: là dentro, nella stanza spogliata di tutto, dove ci si trova di fronte al proprio interlocutore, quella è la via per annunciare il Vangelo, quella è la via della missione negli ultimi anni della sua vita”.

Affascinato dal messaggio di Gesù che dona la sua vita per amore, Ukon capì che quello era il vero sacrificio e il vero onore.

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Giornata malato: presentata la Nuova Carta per operatori sanitari

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Per la terza volta torna a Lourdes - che ospitò la prima edizione - la Giornata mondiale del malato, istituita 25 anni fa da Giovanni Paolo II, celebrata ogni anno l'11 febbraio. Tema del 2017: “Stupore per quanto Dio compie: grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente”. Ancor oggi “uno straordinario evento ecclesiale”, ha sottolineato mons. Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, segretario del dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, promotore della Giornata, presentata nella Sala Stampa della Santa Sede, occasione per illustrare, anche, la Nuova Carta degli Operatori Sanitari. Il servizio di Roberta Gisotti

Si è fatto latore mons. Mupendawatu del cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero, assente per malattia all’incontro con la stampa. E il primo grazie del porporato è andato ai giornalisti, che prestano attenzione al mondo della salute:

“Un’attenzione di cui le persone malate, sofferenti e coloro che se ne fanno carico, in maniera professionale o volontaria che sia, hanno davvero un grande bisogno”.

Alla Giornata, articolata dal 10 al 13 febbraio, parteciperà quale Legato del Papa, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, che presiederà la Messa solenne dell’11 febbraio. Ancora oggi, un evento “straordinario” per la Chiesa, ha sottolineato mons. Mupendawatu:

“È un momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e un momento di richiamo per tutti per riconoscere il Volto di Cristo nel volto del fratello infermo.”

E quale sussidio, aggiornato sul piano dottrinale e scientifico, è la Nuova Carta degli operatori sanitari, piuttosto “un libro” – ha osservato il direttore della Sala Stampa Greg Burke - rivolto non solo alle figure professionali dell’assistenza, a medici, infermieri e ausiliari, ma anche a ricercatori, farmacisti, amministratori, legislatori che lavorano nel campo della sanità. Per tutti una base comune, ha spiegato il prof. Antonio Gioacchino Spagnoli, ordinario di Bioetica all’Università Cattolica di Roma, tra gli esperti che hanno rinnovato la Carta:

“Tutti si collocano nello spirito originario della fiducia che incontra la coscienza”.

Tre le sezioni della Carta dedicate a "Generare", "Vivere", "Morire". Diverse le novità che tengono conto della ricerca scientifica e dei progressi per salute umana e ribadiscono pure le pratiche bandite come aborto, diagnosi pre-impianto segno di mentalità eugenetica e sperimentazione su minori e adulti incapaci a decidere. Non si ha la pretesa di avere affrontato tutto, ha concluso il prof. Spagnoli:

“Sicuramente la Carta non è esaustiva dei problemi che si possono incontrare, ma è stata realizzata proprio per offrire una linea-guida il più possibile chiara per i problemi etici che devono essere affrontati nel mondo della salute, in armonia con gli insegnamenti di Cristo e del Magistero della Chiesa”.

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Parolin conclude il viaggio in Africa: solidarietà vinca indifferenza

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Si è concluso il viaggio in Africa del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Il porporato ha visitato Madagascar e Repubblica del Congo e ha fatto una breve tappa in Kenya. La missione è terminata a Brazzaville, sabato scorso.

Qui, venerdì 3 febbraio, è stato firmato un Accordo Quadro tra Santa Sede e Congo. In occasione della cerimonia della firma, il porporato ha avuto un colloquio con il presidente della Repubblica del Congo, Denis Sassou N’Guesso: sono stati affrontati vari argomenti di politica internazionale, con riferimento alla situazione in Libia, in Centrafrica e nella Repubblica Democratica del Congo. Sono stati evidenziati i buoni rapporti esistenti tra la Chiesa cattolica locale e le Autorità dello Stato, rafforzati ora dalla stipula dell'Accordo Quadro. Si è accennato ai 40 anni delle Relazioni diplomatiche con la Santa Sede e alle istituzioni ecclesiastiche che lavorano a beneficio della popolazione, in particolare in campo educativo e sanitario. Il presidente si è pure soffermato sul conflitto nella Regione del Pool e sulla politica del governo per riportare stabilità ed ordine pubblico e permettere alla popolazione di vivere tranquillamente. Ha elogiato l’attività del Santo Padre e della Santa Sede per ciò che fanno per promuovere la pace e la composizione dei conflitti. Infine, ha chiesto ufficialmente al card. Parolin che il Santo Padre visiti il Congo, nel suo prossimo viaggio in Africa.

La giornata di venerdì si è conclusa con la visita alla casa dei poveri gestita dalle Suore Minime dei Poveri. Nell’Istituto sono accolte circa 70 persone anziane. Le suore, a turno, giornalmente fanno la questua nella capitale per poterli sfamare. Tra gli anziani sono assistiti pure due sacerdoti gravemente ammalati.  Il segretario di Stato si è intrattenuto con ciascuno di loro. Prima di lasciare l’istituto, in un breve saluto ricordando le parole del Papa, ha detto che gli anziani sono come le radici di un albero, se vengono esclusi dalla società essa muore; poi ha ringraziato le suore per questo meritorio e prezioso ministero d’amore.

Il 4 febbraio, ultimo giorno della permanenza del card. Parolin in terra congolese, nella Basilica nazionale di Sant’Anna si è avuta la solenne concelebrazione eucaristica con il nunzio apostolico, tutti i vescovi, 150 sacerdoti e circa tremila fedeli, che gremivano l’interno e l’esterno dell’enorme chiesa. La Santa Messa è stata celebrata col formulario della Madonna Patrona del Congo. Al rito hanno partecipato il capo dello Stato e le massime autorità del Paese.

L’omelia pronunciata dal segretario di Stato è stata più volte interrotta da applausi, soprattutto quando ha lanciato un accorato appello alla giustizia e alla pace: «Vivete nella pace e nel dialogo - è stata la sua esortazione - coltivate la tenerezza di Dio, la sua compassione e non il rancore e l’odio, la condivisione e non l’egoismo, l’unità e non la divisione o il tribalismo, la solidarietà e non l’indifferenza».

La celebrazione è terminata con l’Atto di Consacrazione del Congo alla Vergine Maria. Nella serata di sabato 4 febbraio, terminando la sua visita in Africa, il card. Parolin è stato accompagnato all’aeroporto  Maya-Maya, da dove è ripartito per Roma dopo la cerimonia di congedo. 

 

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Spc: al Papa 200mila euro dell’iniziativa “Christo’s box” per ospedale pediatrico di Bangui

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“L’arte e la misericordia si sono unite in una concreta opera, un gesto accolto e condiviso da tutti coloro che hanno sostenuto il progetto”. Così la Segreteria per la comunicazione della Santa Sede in una nota diffusa oggi, a conclusione dell’iniziativa a scopo benefico “Christo’s box. Between art and mercy. A gift for Bangui”, opera d’arte realizzata dal celebre artista bulgaro Christo, che ha impacchettato un cofanetto contenente la serie documentaristica “Alla scoperta dei musei Vaticani” prodotta dal Centro televisivo vaticano e da Officina della comunicazione. 

Confronto artistico-culturale tra mons. Viganò e l'artista bulgaro Christo
Il progetto, presentato l’11 maggio 2016 presso i Musei Vaticani, ha fatto tappa successivamente a Bergamo e a Milano. “L’opera – viene ricordato nella nota – è stata donata dall’artista a mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione, con il quale è nato un confronto artistico-culturale. Da essa sono state realizzate delle repliche d’autore, singolarmente numerate e firmate dall’artista. I cofanetti numerati sono stati messi in vendita per sostenere l’opera di beneficenza indicata dal Santo Padre: un sostegno all’Ospedale pediatrico di Bangui, nella Repubblica del Centrafrica”. 

Le donazioni, destinate dal Papa a Ospedale per bambini poveri, senza distinzione di religione
Le donazioni, informa la Segreteria per la comunicazione, hanno raggiunto l’obiettivo prefissato di 200mila euro. La somma raccolta è stata consegnata a Papa Francesco il 20 gennaio 2017. “Il Papa – si legge nella nota – ha ricevuto la donazione con grande entusiasmo e ha ribadito il suo desiderio di sostenere il luogo di cura dedicato ai bambini poveri, senza distinzione di religione, perché tutti i bambini hanno bisogno di cure e di attenzioni”. (R.P.)

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Oggi in Primo Piano



I rischi delle politiche protezioniste negli Usa e Ue

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Dagli Stati Uniti all’Europa si vive un momento di chiusura e protezionismo. Dopo il bando all’immigrazione voluto dal Presidente americano Trump, in Francia Marine Le Pen, candidata all’Eliseo per il Front National, parla di possibili blocchi degli ingressi e di misure restrittive nei confronti degli stranieri. Negli Usa un centinaio di aziende americane hi-tech di primo piano, tra le quali Apple, Microsoft e Google, ha firmato un documento comune contro le politiche di Trump, mentre la Caritas e altre organizzazioni umanitarie criticano l’accordo dell’Italia con la Libia per il controllo delle partenze. Inoltre nei Paesi dell’est Europa si continua a parlare di muri sulla rotta balcanica. Giancarlo La Vella ha intervistato mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, e membro della Commissione Cei per le Migrazioni: 

R. - La prima impressione che ho, e che ho da parecchio tempo, è la crisi della politica, cioè la crisi di una progettualità politica che sappia coniugare sicurezza e accoglienza. Di fatto, si pensa che il futuro debba essere contraddistinto da una chiusura in se stessi nei limiti degli Stati nazionali e delle economie nazionali. Questa, certamente è una reazione di fronte ad una globalizzazione che ha messo in ginocchio tanta parte di tanti popoli, ma certamente chiudersi in se stessi non è una risposta al problema. Purtroppo mancano delle leadership politiche. Però penso che questa, possa essere di converso, come è stato notato di recente da  alcuni autorevoli commentatori, una chance per l’Europa che deve saper mostrare, innanzi tutto a se stessa, all’Occidente,  poi agli Stati Uniti e al mondo che è possibile coniugare sicurezza e accoglienza, che non si torna indietro attraverso delle politiche nazionalistiche, ma che si può costruire qualcosa che sia un bene per i propri popoli e un bene anche quelli che stanno arrivando. Nella storia dell’Europa abbiamo visto come al coniugazione tra popoli possa essere portatrice di futuro e, certamente, occorre una politica che sappia gestire questo progetto per il futuro.

D. - Come far capire che non accogliere per un Paese vuol dire anche implodere su  se stesso soprattutto dal punto di vista economico?

R. - Certo, ma poi le chiusure si pagano sempre e la storia lo ha mostrato. Noi dobbiamo aiutare le persone ad avere speranza, capacità di progettualità. Quindi dobbiamo aiutare le persone a comprendere che l’accoglienza di chi sta arrivando non va contro la propria sicurezza, ma qui – ancora - nasce l’urgenza di un progetto politico. D’altra parte, lo vedo qui nella mia diocesi. Abbiamo accolto tanti profughi, abbiamo cercato di dare loro delle sedi dignitose, di fare delle scuole perché apprendano la lingua italiana e i valori fondamentali della nostra storia, abbiamo cercato anche di offrire occasioni di lavoro - non posti di lavoro, perché questo non è ancora possibile - perché sentano di avere una dignità. Penso che questa sia la strada e la popolazione locale capisce.

D. - Si rischia una frattura in questo momento in Europa o anche nei confronti degli Stati Uniti?

R. -  Penso che i  rischi siano molto grossi. Bisogna occupare tutte le energie possibili perché questi rischi vengano affrontati ed evitati. Bisogna costruire in avanti e non indietro.

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Coppa d'Africa fa sognare il Camerun, Paese in difficoltà

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Grande festa del calcio ieri sera a Libreville in Gabon dove si è disputata la finale della Coppa d’Africa. A trionfare è stato il Camerun :una gioia per la tifoseria e per tutto un popolo che sul fronte politico e sociale soffre da decenni per l’avanzata islamista di Boko Haram e per i violenti scontri tra governo e opposizione.Chi è fuggito da questa realtà, come Marc Nanko, oggi mediatore culturale dell’Associazione Africa nel cuore, racconta timori e speranze per il futuro del suo Paese, partendo proprio dalla giovane squadra di calcio . L’intervista è di Gabriella Ceraso

R. – Vorrei ringraziare questi giovani ragazzi, che hanno ridato orgoglio a tanti altri milioni di ragazzi - soprattutto camerunensi - che non hanno alcun futuro: e questo è dovuto al malgoverno, è dovuto alla corruzione che vivono nel loro Paese. Bisogna ricordare anche che questi ragazzi non li conosceva nessuno: sono partiti dal nulla e sono riuscire a fare un’exploit di questo tipo! Quindi questa è una vittoria che dà speranza ad altri ragazzi, che hanno soltanto bisogno di un po’ di fiducia e di un po’ di considerazione. E questo dimostra anche il talento che hanno, vista anche la ricchezza che questo Paese vanta.

D. – Qual è la ricchezza di questo Paese?

R. – Il Camerun ha quasi 220 mila tribù e questa multiculturalità è una ricchezza per tutto il Paese. Inoltre è uno dei Paesi africani che ha milioni di laureati; ma ci sono anche ricchezze nel sottosuolo - il petrolio, i diamanti, l’oro… ; e poi c’è l’agricoltura.

D. – La violenza delle milizie di Boko Haram quanto pesa sulla gente?

R. – Il vero problema del Camerun adesso è non avere una stabilità interna e una coesione interna. Il mio auspicio è che questo governo che sta al potere da ormai quasi 50 anni, trovi un modo di dialogare, garantendo un’opposizione, che ovviamente deve essere sempre pacifica. Il mio sogno è vedere i  13 milioni di giovani camerunensi avere un lavoro, costruire il loro Paese, poter servire il loro Paese.

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Afghanistan: nel 2016 record di vittime

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Per l' Afghanistan il 2016 è stato un anno tragico. Si parla di 11.418 vittime civili, 3% in più rispetto all'anno precedente. Addirittura il numero più alto dall'inizio del conflitto, dove a pagarne le spese sono stati soprattutto i bambini. Guerra, esplosivi e mine le cause di questo enorme numero di morti e feriti in Afghanistan. Per fare una lettura più approfondita di questo rapporto dal punto di vista geopolitico Giulia Angelucci ha intervistato Marco Maiolino, ricercatore di analisi internazionale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: 

R. – Tuttora l’Afghanistan è caratterizzato da una forte instabilità diffusa; c’è un movimento talebano che continua comunque a operare e sviluppare  diversi attacchi, soprattutto nelle province di Elmand e Kandahar. Mesi fa la leadership del gruppo talebano è cambiata: a seguito dell’assassinio del precedente leader, è salito al potere Mullah Baitullah, il quale ha iniziato un grossissimo processo di rafforzamento dei ranghi talebani, che sembravano essere molto frammentati prima del suo arrivo, contro alcune milizie relative anche al Daesh che sembra avere sviluppato nel Paese Afghano una presenza tramite l’infiltrazione delle regioni che ho citato prima. Gli attacchi del gruppo talebano sono continuativi e soprattutto diretti verso obiettivi politici da una parte e della sicurezza e militari dall’altra. Le vittime civili purtroppo, derivano in maggioranza dagli scontri, dagli attacchi dei talebani e degli scontri di questi ultimi con le forze di sicurezza, ma anche e soprattutto dalle operazioni terroristiche sviluppate dalle fazioni che sono legate al Daesh che hanno obiettivi ben diversi; colpiscono soft target, colpiscono la componente sciita presente nel Paese e soprattutto attaccano i civili. La crisi attuale ha fatto sì che nuove truppe siano state stanziate in Afghanistan per supportare le forze di contro terrorismo dell’esercito regolare afghano.

D. - A partire dall’Afghanistan cosa sta cambiando nella geopolitica internazionale?

R. - L’Afghanistan è un Paese caratterizzato da instabilità diffusa; non è un elemento che si mantiene all’interno dei confini del Paese ma ha degli spillover su tutta la regione; lo vediamo, per esempio, in Pakistan dove il movimento talebano pakistano è molto attivo così come le milizie legate al Daesh, nonostante il governo del Paese smentisca la presenza di quest’ultimo. Abbiamo visto come nelle ultime due settimane anche la Russia si sia fatta avanti a livello di interesse geopolitico sull’ Afghanistan per quanto riguarda una serie di contatti diplomatici con il fronte talebano. L’interesse degli Stati Uniti di mantenere una presenza in un Paese estremamente instabile rimane così come per altre potenze come la Russia. Non possiamo dimenticare l’importanza che ha l’Afghanistan nel panorama regionale. Quindi tutta la regione potrebbe subire una destabilizzazione dovuta alla crisi presente nel Paese.

D. – L’Afghanistan quindi è un Paese dimenticato dal punto di vista mediatico, dell’informazione?

R. – Quando in Afghanistan è scoppiato il conflitto c’è stato l’intervento americano. Il Paese era sotto i riflettori mediatici, ma purtroppo l’attenzione dei media è focalizzato sul grande evento. Essendo una zona di conflitto, in cui comunque continua ad essere molto forte l’attività terroristica, si può registrare anche un aumento del numero di vittime, perché in ogni caso i talebani non colpiscono target sciiti.

D. – Quindi, una soluzione in questo senso …

R. – Servirebbe la stabilizzazione dell’intero contesto afghano, nel senso che oltre agli sforzi militari, dovrebbe essere organizzato un tavolo a livello diplomatico che prenda in considerazione anche la presenza del fronte insurrezionale talebano per riuscire a risolvere la situazione, a creare quanto meno un cessate il fuoco e cercare di stabilizzare tutta l’area, per mettere fine alla continua morte di civili. Oltre agli interventi militari del breve periodo di contro terrorismo è necessario applicare comunque una visione di medio, lungo periodo a livello politico con un buon piano di stabilizzazione del contesto.

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Vescovi filippini: clima di terrore per lotta governativa al narcotraffico

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In una lettera pastorale diffusa ieri, domenica 5 febbraio, in tutte le chiese delle Filippine, i vescovi del Paese denunciano il “regno di terrore” nel quale vivono molte persone, dovuto alle esecuzioni senza processo promosse dal governo all’interno della Campagna di lotta al narcotraffico promossa dal Presidente Rodrigo Duterte.

Oltre 7mila persone in sei mesi nell’ambito della lotta al narcotraffico
Si stima che oltre 7mila persone siano state uccise negli ultimi sei mesi nelle Filippine nell’ambito della lotta del governo contro il traffico di droga. Varie organizzazioni impegnate a difesa dei diritti umani accusano il Presidente di promuovere uccisioni mirate e denunciano che la sua lotta al narcotraffico ha consentito alla polizia locale numerosi abusi come estorsioni, sequestri, furti e uccisioni. Solo lo scorso 2 febbraio Duterte aveva dato l’annuncio di aver ingaggiato le Forze armate delle Filippine nella lotta contro il traffico di droga, precisando che il tema costituisce una “minaccia alla sicurezza nazionale”. 

Appello dei vescovi: tacere di fronte al male, vuol dire esserne complici
Nel messaggio diffuso ieri, la Conferenza episcopale delle Filippine, ha avvertito  i fedeli che “consentire il male e tacere di fronte ad esso vuol dire esserne complici”. “Non permettiamo che la paura regni e ci chiuda la bocca;” – hanno esortato i vescovi  - “se permettiamo l'uccisione di presunti tossicodipendenti, siamo anche responsabili della loro morte”.

La Chiesa denuncia il male e non teme la persecuzione
I presuli assicurano che la Chiesa continuerà a denunciare il male in un Paese “avvolto dall’oscurità del vizio e della morte”. “Proseguiremo – precisano – anche a costo della persecuzione, perché siamo tutti fratelli e sorelle responsabili gli uni degli altri”.  I vescovi dichiarano di essere d’accordo con il governo sul fatto che il traffico di droga debba essere combattuto, ma che l’uccisione di uomini sospettati di vendere o consumare droga non rappresenta la soluzione del problema.

I vescovi denunciano “un regno di terrore”
Inoltre la Conferenza episcopale delle Filippine si dice preoccupata dall’instaurarsi di un vero e proprio “regno del terrore” in molti luoghi in cui vivono persone povere dove molte persone innocenti vengono uccise e i veri responsabili del traffico di droga restano impuniti. Chiare le parole dei vescovi: “ ad eccezione della legittima difesa, uccidere è un peccato grave: non possiamo correggere il male facendo altro male e un buon fine  non giustifica mezzi cattivi. E’ cosa buona eliminare il problema della droga, ma uccidere per ottenere questo obbiettivo è un male”.

Appello a combattere la corruzione nelle istituzioni
I presuli esortano inoltre il governo a combattere la corruzione nelle istituzioni: “Occorre dare priorità nel rimuovere poliziotti disonesti e giudici corrotti. La lentezza eccessiva dei processi è una delle cause principali del propagarsi della criminalità”.  L’episcopato filippino infine chiede “ai politici eletti di servire il bene comune del popolo e non gli interessi personali.  Dobbiamo lavorare insieme per risolvere il problema della droga e favorire la riabilitazione dei tossicodipendenti”. (A cura di Paolo Ondarza)

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Giornata contro le mutilazioni genitali femminili: 200 milioni le vittime

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Ricorre oggi la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili: una piaga che colpisce almeno 200milioni di donne e di ragazze in almeno 30 Paesi nel mondo. Si tratta di un fenomeno culturale che è ancora radicato soprattutto nel continente africano, eppure come conseguenza dei flussi migratori degli ultimi decenni è divenuto una triste realtà anche in Europa. Come conferma al microfono di Stefano LeszczynskiEmanuela Zuccalà, giornalista e autrice di un cortometraggio intitolato Uncut: 

R. - Un tema da indagare soprattutto è capire se il processo migratorio di queste donne provenienti da Paesi a tradizione escissoria in Europa ferma la tradizione, cioè le donne si integrano e quindi decidono di abbandonare questa pratica e di non infliggerla alle loro figlie oppure, come ipotizzano degli studi condotti in Belgio, la mutilazione genitale rappresenti invece una sorta di simbolo di identità, di appartenenza ad una comunità per donne che a volte nei nostri Paesi di accoglienza vivono isolate perché magari non lavorano, non parlano ancora la lingua del Paese ospitante. Quindi la mutilazione genitale paradossalmente diventa un modo per sentirsi appartenenti alla propria comunità di origine e quindi la si pratica ancora sulle proprie figlie o illegalmente nel Paese dove stanno o portandole in vacanza. Questo è uno dei grossi temi ancora da indagare.

Anche in Italia il dramma delle mutilazioni genitali femminili è divenuto un tema di allarmante urgenza. Come ci confermano i dati recentemente diffusi da uno studio dell’Università Bicocca di Milano. Ce ne parla Chiara Fattori, responsabile del progetto “After” di Action Aid Italia:

R. - Questo studio condotto dall’Università degli studi di Milano Bicocca ha fornito dei dati molto interessanti anche sull’Italia in quanto afferma la presenza di 162mila donne straniere provenienti dai Paesi considerati a rischio; si stima che tra queste, tra le 46mila e le 57mila siano state sottoposte a mutilazioni genitali femminili. Oltre il 60% di queste provengono in particolare dalla Nigeria e dall’Egitto. Con Action Aid, in particolare, abbiamo lanciato il progetto “After”, proprio per contribuire a ridurre il rischio per le donne migranti di subire mutilazioni genitali femminili.

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Somalia: carestia e siccità colpiscono la popolazione

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Le condizioni della popolazione somala continuano ad essere estremamente gravi: 363 mila bambini soffrono di denutrizione e 71 mila di loro vivono il tipo di fame più letale. Secondo le ultime cifre dell’Unità di Analisi di Sicurezza Alimentare e Nutrizione (Fsnau), il Paese ancora non riesce a riprendersi dalla carestia del 2011. La Fsnau avverte sulla possibilità che si verifichi una nuova carestia se in primavera la stagione delle piogge sarà scarsa. 

6 milioni di persone hanno bisogno di aiuti urgenti
Attualmente oltre 6 milioni di persone, circa la metà della popolazione, hanno bisogno di aiuti urgenti. Migliaia di famiglie disperate si stanno spostando internamente o si dirigono nei Paesi vicini. Questi cambiamenti stanno costringendo i bambini ad abbandonare la scuola, facendo aumentare il rischio di separarli dalle famiglie o di una maggiore esposizione allo sfruttamento e alla morte.

Gravi carenze idriche: triplicato il prezzo dell'acqua
Le diverse stagioni di piogge scarse hanno portato il Paese a gravi carenze idriche, triplicando il prezzo dell’acqua che ha raggiunto 15 dollari per barile (200 litri). Tre quarti del bestiame nel Paese è morto e la produzione dei cereali è scesa del 75%, facendo aumentare il prezzo dei generi alimentari.

Gli aiuti di Save the Children
“Cinque anni fa oltre un quarto di milione di persone, tra le quali 130 mila bambini, hanno perso la vita inutilmente” dichiara il direttore di Save the Children in Somalia. “Non possiamo permettere che questa tragedia si ripeta”. L’organizzazione sta già intervenendo, nelle comunità più colpite, con camion cisterna per distribuire acqua, servizi sanitari, aiuti alimentari, buoni pasto e trasferimenti di denaro alle famiglie per far fronte alla crisi. (A.P.) 

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Vescovi Cerna: aiuti per migranti e dialogo interreligioso

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Le migrazioni verso l’Europa, il dialogo fra cristiani e musulmani, le difficoltà del nord Africa: sono alcuni dei temi discussi dalla Conferenza Episcopale della Regione Nord dell’Africa (Cerna) riunitasi in Assemblea dal 2 al 5 febbraio nel monastero di Keur Moussa, nella diocesi di Thiés, in Senegal. L’incontro, presieduto da mons. Paul Desfarges - vescovo di Costantina e Ippona, nominato il 24 dicembre scorso arcivescovo di Algeri dove si insedierà il 10 febbraio - è stato preceduto da un ritiro spirituale durante il quale ha offerto delle meditazioni il card. Théodore Adrien Sarr, arcivescovo emerito di Dakar. I vescovi della Cerna hanno avuto diversi incontri in alcune diocesi del Paese e sono stati ricevuti dal Presidente Macky Sall.

I migranti nel Nord Africa
Sulla questione migranti i presuli hanno rimarcato l’accoglienza offerta dalle comunità cristiane, considerata una priorità nel nome del Vangelo, insieme a quanti contribuiscono accompagnando e sostenendo prioritariamente malati, donne sole o con bambini, minori non accompagnati e detenuti. “Sottolineamo l’immenso bisogno dei migranti di essere ascoltati – si legge nel comunicato finale dell’Assemblea –. Siamo particolarmente interpellati dalla solitudine, dalle prove interiori che vivono molti di loro. Ringraziamo le nostre Caritas, organizzazioni diocesane, le nostre parrocchie e comunità e tutte le persone, di qualunque nazionalità e confessione, che si impegnano di fronte a ciò che costituisce uno dei drammi più grandi del nostro secolo”. L’auspicio è che “la coscienza dei popoli e in primo luogo delle comunità ecclesiali” sostengano i leader “nella ricerca di vie più degne e giuste”.

Le Chiese maghrebine hanno bisogno di volontari, sacerdoti e religiosi
Per le necessità del Maghreb i vescovi chiedono aiuti da parte di volontari, sacerdoti fidei donum, religiosi e religiose, per studenti e migranti sub sahariani e per condividere con le comunità cristiane ciò che viene vissuto con i popoli maghrebini musulmani. “L’incontro con i musulmani è un guadagno per tutta l’Africa e oltre – aggiungono i presuli –. Siamo stati testimoni, qui in Senegal, di una convivialità cristiano-islamica fin nelle famiglie”.

L’impegno delle comunità ecclesiali di fronte alle difficoltà sociali
​Circa la realtà sociale dei Paesi africani si registrano ancora violenze, prospettive politiche ed economiche incerte, blocchi e restrizioni che possono indebolire singoli e comunità. “Ci sforziamo di guardare queste difficoltà con lucidità e di affrontarle con coraggio – prosegue il documento –. L’influenza del Vangelo non si misura con un peso numerico, ma secondo la qualità dell’impegno nella società. Crediamo sia una grazia … essere Chiese modeste. Il servizio, in particolare presso i più deboli – concludono i vescovi del nord Africa – contribuisca al cammino dei popoli verso più giustizia e pace”. (A cura di Tiziana Campisi)

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Centrafrica: 18 morti a Bocaranga. Assalita missione cattolica

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Assalita la missione cappuccina a Bocaranga, una cittadina di 15.000 abitanti, nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana. Fonti missionarie riferiscono a Fides che all’alba del 2 febbraio, intorno alle 5.45, almeno 3 gruppi di ribelli per un totale di una sessantina di persone, hanno assalito la cittadina, sparando all’impazzata e terrorizzando la popolazione. Si tratterebbe del gruppo 3R (“Retour, Réclamation et Réhabilitation”) formato da pastori Peuls, “una ribellione che ha portato allo sfollamento, solo nella nostra regione, di più di 30.000 persone”. 

I ribelli hanno forzato le porte della missione cappuccina razziando ogni cosa
I tiri delle armi da fuoco sono durati per circa 4 ore, mentre i ribelli saccheggiavano negozi (almeno 35), diverse abitazioni e le sedi locali di due Ong, il Consiglio Danese per i Rifugiati (Drc) e dell’Irc (International Rescue Committee). I ribelli hanno forzato le porte della missione cappuccina, dove si erano rifugiate una ventina di persone, e hanno portato via computer, denaro e una moto. Le Suore della Carità sono riuscite a rifugiarsi nelle loro missione insieme a circa 200 tra donne e bambini.

I missionari si chiedono dove trovano le armi i ribelli
Al termine della razzia si contavano 18 morti, uccisi a colpi d’arma da fuoco o sgozzati, mentre i numerosi feriti sono stati trasportati negli ospedali della zona. “Come è possibile che una sessantina di persone terrorizzino una cittadina di 15.000 abitanti, senza contare gli sfollati? Dove trovano le armi, per quale motivo, per ottenere cosa?” si chiedono i missionari. (L.M.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 37

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.