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Sommario del 02/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: accogliere profughi ed emarginati, non abbandonarli

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Pregate perché profughi ed emarginati “trovino accoglienza e conforto nelle nostre comunità”. E’ l’esortazione di Papa Francesco nel videomessaggio per le intenzioni di preghiera del mese di febbraio, pubblicato oggi. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Viviamo in città che costruiscono torri e centri commerciali e realizzano grandi affari immobiliari, ma lasciano una parte ai margini, in periferia”. Papa Francesco constata con amarezza la situazione che si vive oggi in tante città del mondo. “Come conseguenza di questa situazione – ammonisce il Pontefice – grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza orizzonti, senza via d’uscita”.

Poveri ed emarginati trovino accoglienza nelle nostre città
“Non li abbandonate – è l’esortazione del Papa – Pregate con me per quanti sono nella prova, soprattutto i poveri, i profughi e gli emarginati, perché trovino accoglienza e conforto nelle nostre comunità”.

Nel videomessaggio che accompagna le intenzioni di preghiera del Papa si vedono immagini di un giovane emarginato, sulla strada di una grande città, prima nell’indifferenza della gente poi circondato dall’affetto e dalla solidarietà dei passanti.

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Mons. Di Tora: il Papa ci chiede di superare muri e chiusure

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Anche con il videomessaggio per le intenzioni di preghiera per il mese di febbraio, Papa Francesco è tornato a sottolineare l'urgenza di accogliere i profughi e di mostrare solidarietà verso i poveri e gli esclusi. In particolare, il Papa ha messo l'accento sull'emarginazione che sempre più si vive nelle aree metropolitane. Alessandro Gisotti ne ha parlato con mons. Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma, a lungo direttore della Caritas diocesana: 

R. – Il Papa ci riporta a questa attenzione particolare, direi proprio a questa peculiarità, che oggi dobbiamo esprimere nella nostra vita cristiana: il senso dell’accoglienza, il senso della prossimità; noi dobbiamo farci prossimi agli altri per sapere incontrare. Tante volte, al mattino ad esempio, nella metropolitana vediamo tantissima gente, ma ognuno è chiuso nel proprio individualismo. Allora, accogliere significa, anzitutto, una capacità che prima ancora come fatto esterno, bisogna avere nel proprio cuore questa relazionalità con l’altro, riconoscere l’altro come persona, come figlio di Dio.

D. - Nel videomessaggio, il Papa parla anche di torri. Evidentemente richiama anche una logica della "porta aperta" piuttosto che dei muri; muri non solo tra gli Stati, ma a volte, invisibili che sono dentro le nostre città …

R. - C’è una chiusura, prima ancora che materiale, psicologica. La chiusura parte dall’interno del cuore. Se io sono disinteressato all’altro, creerò dentro di me un muro, una barriera, che poi si potrà esprimere anche con un disinteresse o con un muro reale. Purtroppo ne abbiamo visti e sentiti di questi muri di filo spinato che nazioni stanno alzando per non accogliere l’altro, dimenticando probabilmente anche la propria storia, le proprie realtà originali. Occorre veramente un profondo ripensamento e questo si deve, a partire proprio dall’interno, dalla coscienza di ognuno di noi, di ogni cristiano.

D. - In qualche modo il Papa parla anche di una nuova geografia del cuore, della solidarietà che si opponga invece a quella che è la geografia delle nostre città; il centro, con negozi, centri commerciali e poi la periferia esclusa. Anche nella logica che dice Francesco si parte proprio dalle periferie …

R. - Il Papa, proprio dall’inizio del suo ministero, ha cominciato a parlare di periferie. Tutti ricordiamo che andò subito in una parrocchia della periferia del settore Nord di Roma. La periferia deve rappresentare l’attenzione, il riportare la centralità attraverso una relazionalità profonda con l’altro per fare in modo di ricongiungere, anche socialmente, queste realtà. C’è quindi una profonda divisione e dobbiamo ripararla, ricostruire non tanto geograficamente, ma prima attraverso la relazionalità. Penso che da questa relazionalità si possa più facilmente ricostruire anche questa sintonia tra periferia e centro, ricordando che è dalla periferia, dagli ultimi, che parte una realtà nuova, che parte la speranza e quel desiderio di ricominciare.

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Francesco: la vita consacrata è un grande dono di Dio alla Chiesa

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Nella festa della Presentazione del Signore, in cui la Chiesa celebra la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, il Papa presiede questo pomeriggio alle 17.30 nella Basilica Vaticana la Messa con i religiosi e le religiose. Il servizio di Sergio Centofanti

La benedizione della candele e la processione apriranno il rito in San Pietro. “Cristo – dirà il Papa prima di aspergere le candele con l’acqua benedetta – è “vera luce di tutte le genti”. Durante la preghiera dei fedeli si chiederà al Signore di far sorgere “numerose vocazioni”. “La vita consacrata - afferma il Papa in un tweet - è un grande dono di Dio: dono di Dio alla Chiesa, dono di Dio al suo Popolo”. Francesco invita a pregare per quanti hanno fatto la scelta dei consigli evangelici, perché possano irradiare nel mondo l’amore di Cristo con la loro testimonianza. Purtroppo questo è un questo tempo di crisi, che vede non solo una diminuzione di vocazioni ma anche numerosi frati e suore che abbandonano la vita religiosa. Su questa Giornata ascoltiamo il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, intervistato da Bianca Fraccalvieri:

R. - Il Papa ha insistito molto nel parlare del mistero della Presentazione di Gesù al Tempio, della figura di Maria e di Giuseppe che portano Gesù al Tempio: Maria ha il Figlio nelle sua braccia, ma è Lei che viene portata da Gesù al Tempio, è la volontà di Dio che conduce Maria e Giuseppe Gesù al Tempio. E dopo fa sì che Simeone e Anna lo accolgano lì: anche Simeone lo tiene nelle braccia, ma è Gesù che tiene Simeone nelle braccia nel senso che lo conduce alla novità del mistero. Oltre a questa necessità dell’incontro con Gesù, il Papa ha parlato molto anche della necessità per la vita consacrata di sapersi incontrare nel farsi piccoli, come si è fatto piccolo Gesù: cioè, come il Figlio di Dio si fa piccolo per trovare l’uomo, così anche l’uomo e la donna si fanno piccoli per amore, per poter trovare Dio e gli altri. E allora in questa Giornata mondiale della vita consacrata possiamo imparare da Maria, da Giuseppe, da Simeone, da Anna, ma soprattutto da Gesù presentato al Tempio, possiamo apprendere questa novità di Dio e consegnare questa novità di Dio agli altri come una eredità che noi abbiamo coltivato.

D. – Quest’anno questa Giornata viene vissuta ella prospettiva del prossimo Sinodo del Vescovi dedicato al tema dei giovani e del discernimento vocazionale … come si può cambiare questa tendenza alla diminuzione delle vocazioni?

R. - Dobbiamo servire il Signore quando c’è l’abbondanza e quando le vacche sono magre e i nostri pascoli sono vuoti. Occorre imparare a vivere nella fedeltà anche con le nostre difficoltà, quando forse il Signore non si manifesta nell’abbondanza. Però con intelligenza e con grande amore dobbiamo anche cercare le cause di questo fenomeno e noi le stiamo cercando. C’è stata recentemente la plenaria del Dicastero con i cardinali e i vescovi di tutto il mondo. Siamo una cinquantina… Abbiamo dedicato due giornate - in una c’è stata anche la presenza del Santo Padre, siamo stati da lui e ci ha parlato - per trattare il tema della fedeltà, sulle ragioni per cui la fedeltà è in difficoltà. La fedeltà e anche l’abbandono della vita consacrata. Infatti non solo le vocazioni sono in diminuzione - soprattutto in Europa, mentre in altri continenti sono abbondantissime - ma c’è anche il grande fenomeno dell’abbandono. Accade che dopo 10 anni, dopo 15 anni, la persona lascia e dice: “Io vado altrove perché qui non sono felice”. Cerchiamo di capire meglio questo fenomeno. Dobbiamo vivere questo nuovo momento con speranza e con tranquillità ma anche con impegno.

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Udienze e nomine

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Per le udienze e le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Il card. Parolin è giunto nella Repubblica del Congo

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin è giunto ieri a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, nuova tappa del suo viaggio in Africa. Ad accoglierlo, il primo ministro Clemente Mouamba. Occasione della visita sono le celebrazioni per il 40.mo anniversario dello stabilimento dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e Congo che culmineranno con la firma di un Accordo-Quadro di cooperazione. Il porporato celebrerà nella Basilica di Sant’Anna una Messa di ringraziamento alla presenza del presidente congolese Denis Sassou Nguesso e visiterà alcuni orfanotrofi e case di riposo della capitale.

Il cardinale Parolin proveniva dal Madagascar dove ha partecipato alle cerimonie per i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra il Paese e la Santa Sede. Come ultima tappa di questa visita, il segretario di Stato si è recato nel Centro Akamasoa di padre Pedro Opeka a Andralanitra, un quartiere periferico di Antananarivo, capitale malgascia. Nel Centro sono accolti circa 25 mila poveri e bisognosi, che qui trovano sostegno materiale e spirituale, aiuti alimentari e le cure mediche necessarie. Tra questi poveri ed abbandonati vi sono circa 12 mila tra bambini ed adolescenti, ai quali con attenzione viene impartita da parte dei collaboratori del Centro una educazione cristiana.

L’accoglienza che i ragazzi del Centro hanno riservato al porporato è stata festosa. Erano presenti tutti i vescovi del Paese, oltre ad amici e benefattori. Con canti e danze i ragazzi hanno voluto esprimere tutto il loro amore e la loro riconoscenza a Papa Francesco e due di loro, durante il breve saluto al cardinale, hanno rivolto l’invito al Santo Padre a visitare il Madagascar.

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Gallagher: nessun individuo è onnipotente e al di sopra del diritto

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La promozione di una cultura di pace: questo il tema della Lectio Magistralis di mons. Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, che si è tenuta oggi alla Sophia University di Tokyo. L’intervento rappresenta uno degli appuntamenti del viaggio in Giappone del presule iniziato lo scorso 27 gennaio e che si concluderà domani. Ascoltiamo una sintesi nel servizio di Adriana Masotti

La pace è una virtù attiva
Mons. Gallagher parla alla comunità di una Università cattolica, diretta dalla Compagnia di Gesù, il cui obiettivo è la formazione globale dell’uomo, non trascurando alcun tema riguardante la vita delle persone e dei popoli. Tra questi quello della pace. E mons. Gallagher spiega subito che il vero significato della pace che riguarda la dottrina della  Chiesa, ma anche potrebbe essere una sorta di agenda per le relazioni tra gli Stati, si identifica con una “virtù attiva” che chiede l’impegno di ogni singola persona e dell’intero corpo sociale. 

La giustizia a fondamento della pace
Perciò la pace, prima ancora che ordinata convivenza tra i popoli, consiste nella prevenzione delle cause che possono scatenare una guerra. Alla sua radice c’è dunque la giustizia, di cui ciascuno ha diritto, e il rispetto delle basi fondamentali delle relazioni umane. Troppo spesso si è dimenticato il collegamento essenziale tra pace e cultura di pace, sostiene mons.Gallagher, per questo il modello Onu, pur stabilendo norme e divieti, è testimone di continue violazioni alla pace. 

Infaticabile ricorso al negoziato
Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati declina quindi in che cosa consiste la “cultura di pace”: anzitutto il rifiuto della guerra. Di fronte però alla realtà concreta che dice il contrario, cultura della pace può voler dire almeno regolamentazione dell’uso della forza, secondo le norme dello jus in bello che proibiscono crimini o atti contro i civili o i feriti e i prigionieri di guerra. Così come l’infaticabile ricorso al negoziato e all’arbitrato. La cultura di pace può offrire soluzioni di fronte ad altri problemi o all’attività terroristica che destabilizza la vita interna e internazionale  attraverso il timore, la diffidenza e la mancanza di coesione tra i Paesi.

Dalla formazione all'obiezione di coscienza
Mons. Gallagher cita poi la “Dichiarazione sul diritto alla pace” all’esame dell’Assemblea generale dell’Onu che vorrebbe sancire la pace quale aspirazione dei singoli e dei popoli facendo riferimento alla prevenzione della guerra. Dalla pace in negativo, assenza di guerra, si passa dunque ad un concetto di pace in positivo legata ai presupposti della pace tra i quali formazione, educazione, studio, libertà intellettuali e di religione, obiezione di coscienza.

Diritti dei profughi
Cultura di pace significa anche diritto alla restituzione delle case e dei beni a rifugiati e sfollati a causa delle guerre o affrontare la questione delle sparizioni delle persone durante i conflitti. In caso di emergenze umanitarie alimentari o di mobilità, poi, mons. Gallagher indica la necessità del superamento dei singoli interessi per guardare alla promozione dei diritti umani e delle condizioni necessarie all’esistenza di tutti.

Sicurezza e rispetto dei diritti
Nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone o comunità. Tutto ciò si traduce in una “teoria della sicurezza” e della prevenzione, afferma mons. Gallagher, non solo di guerre, che richiede quella “audacia creativa” di cui parla Papa Francesco e senza cui la cultura di pace resta lettera morta. Alla sfida rappresentata dal saper valutare quanto è in ragione del bene comune della famiglia umana e quanto è frutto di interessi o esigenze particolari, conclude mons. Gallagher, possono contribuire le diverse visioni religiose e la ricerca universitaria il cui compito fondamentale è: preparare la strada ad un futuro di pace, ad un futuro possibile, ad un futuro per tutti. Un compito dinamico, la cultura della pace, ma da non cessare di portare avanti perché come si legge nella “Pacem in terris”: «Si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace».

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Ryłko: grato al Papa per la nomina ad arciprete di S. Maria Maggiore

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Oggi alle 18.00, il cardinale Stanisław Ryłko, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Laici, prende possesso della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore come nuovo arciprete. Il cardinale Ryłko, 71 anni, polacco, è stato nominato il 28 dicembre scorso da Papa Francesco e succede al cardinale Santos Abril y Castelló. Sergio Centofanti lo ha intervistato: 

R. – Proprio il 2 febbraio, nella Festa  della Presentazione di Gesù al Tempio, ha inizio questo mio nuovo ministero come arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. Sono molto grato al Santo Padre per questo nuovo atto di fiducia nei miei confronti. Mi rendo conto anche della grande responsabilità che il Papa mi ha affidato. Questa Basilica è il più antico Santuario mariano dell’Occidente: risale al tempo del Concilio di Efeso del 431 che ha definito il dogma della Divina maternità di Maria. Questa Basilica di straordinaria bellezza è la madre di tutti i santuari mariani nel mondo cristiano. E’ un vero monumento della fede e dell’amore di tante generazioni dii cristiani verso la Vergine Maria, venerata lì nella famosa icona della Salus Populi Romani. E’ un’immensa eredità spirituale di 15 secoli di storia che ci interpella tutti e con la quale anche la nostra generazione deve misurarsi con un grande senso di responsabilità. Come vivere questa preziosa eredità oggi? Come trasmetterla alle generazioni future? Penso che sia questa la principale sfida pastorale che si pone in questo momento.

D.  – La preghiera a Santa Maria Maggiore, prima e dopo ogni viaggio internazionale, è diventata ormai una tradizione per Papa Francesco: quale il significato di questo appuntamento?

R.  – Tra il Papa Francesco e la Vergine Salus Populi Romani, venerata nella Basilica di Santa Maria Maggiore, esiste un legame molto forte e profondo. Ricordiamo che il giorno successivo dopo la sua elezione il Papa si è recato proprio in questa Basilica per affidare alla Madonna il suo Pontificato e da quel momento ha visitato questa Basilica più di 40 volte, spesso in maniera privata, riservata addirittura. Ma ancora prima, da cardinale, come racconta, ogni volta, quando veniva a Roma, non ha mai mancato di visitare la Salus Populi Romani. Per lui questo è stato sempre un punto fisso del suo soggiorno a Roma ed è un vivo desiderio del Santo Padre Francesco che questa Basilica sia sempre fedele alla sua vocazione originaria: essere un vero e proprio Santuario mariano, a tutti gli effetti, luogo di una viva e profonda devozione del popolo di Dio alla Madre di Dio, così come lo fu lungo molti secoli. E questa penso è un’altra sfida pastorale che si pone al nuovo arciprete della Basilica.

D. - Nella sua vita di fede, chi è Maria?

R.  – E’ una domanda molto impegnativa! Lei sa che sono polacco e noi, in Polonia, impariamo l’amore per la Madonna nelle nostre famiglie fin da piccoli. Per questo ho accolto la nomina del Santo Padre con grande gioia e vedo in essa un vero privilegio di poter servire la Madonna Salus Populi Romani proprio in questa stupenda Basilica. Vedo in questa nomina anche una specie di incoronamento del mio lavoro, ormai di 30 anni, al servizio del Successore di Pietro, qui a Roma. E poi devo dire che l’icona della Salus Populi Romani mi accompagna fin dalla mia infanzia dato che un’antica copia di questa icona viene venerata nella chiesa parrocchiale del mio paese natale. Quindi è un’immagine a me molto, molto cara! Le vie del Signore, devo riconoscere, sono veramente imperscrutabili. E inoltre in Polonia vengono venerate più di 350 copie di questa immagine e 37 di esse sono state insignite con le corone papali e circa 30 Santuari mariani in Polonia sono uniti alla Basilica di Santa Maria Maggiore come a un Santuario madre. Tutto questo spiega la mia gioia e la mia profonda riconoscenza al Santo Padre Francesco di avermi voluto chiamare al ministero pastorale in questa Basilica papale.

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"Vatileaks 2", padre Lombardi: "Un processo che era giusto fare"

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A poche settimane dalla pubblicazione delle motivazioni del Tribunale vaticano, un volume fa luce sul processo che ha portato alla condanna di mons. Lucio Angel Vallejo Balda e di Francesca Immacolata Chaouqui per “rivelazione e divulgazione di notizie e documenti riservati” e al proscioglimento dei giornalisti Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi. “Vatileaks 2. Il Vaticano alla prova della giustizia degli uomini”, edito da Rizzoli, porta la firma di padre Federico Lombardi, ora presidente della Fondazione Ratzinger, e di Massimiliano Menichetti, che per la Radio Vaticana ha seguito il processo in aula. Il libro è uscito oggi in libreria ed è stato presentato all’Associazione Stampa Estera a Roma. Il servizio di Michele Raviart:

Il processo Vatileaks 2 sulla sottrazione dei documenti riservati della Cosea, la commissione di studio sull'organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede, è stato improntato dalla magistratura vaticana nel segno della “libertà, trasparenza e imparzialità”.  Dimostrarlo con i fatti è quanto si propone questo volume, che racconta nel dettaglio le ventuno udienze che dal 24 novembre 2015 hanno portato alla lettura della sentenza, il 7 luglio scorso. Un processo che molti in Vaticano non avrebbero voluto istituire, ha spiegato padre Federico Lombardi, ma che era “giusto fare”, perché nessun danno di immagine e più importante della verità e della ricostruzione dei fatti:

“Noi pensiamo che sia giusto il fatto di spiegare e di far capire che si cerca di fare la verità, anche con molta umiltà: perché il fare la verità di un tribunale umano può avere i suoi limiti di documentazione, di argomentazione … Però è quello che bisogna comunque cercare di fare e il fatto di darne atto e di dimostrare che si cerca di andare in questa direzione con tutto l’impegno possibile mi sembra una testimonianza importante anche per capire la linea in cui si muove concretamente la Chiesa oggi”.

Una delle esigenze che ha portato alla realizzazione del volume è stata quella di mostrare il funzionamento del sistema giuridico vaticano e l’applicazione delle nuove norme che cercano di integrarlo e perfezionarlo, nel caso specifico la legge IX dell’11 luglio 2013 che istituisce il reato di “divulgazione di documenti riservati”. Ancora padre Lombardi:

“Anche il Vaticano, come Stato e come organizzazione, ha degli strumenti che sono i tribunali per esercitare la giustizia all’interno di un sistema giuridico. Per noi era molto importante far capire che nell’insieme della realtà vaticana, essendoci stato - soprattutto negli ultimi anni - uno sviluppo importante di norme e di leggi anche per la trasparenza, per la correttezza dell’amministrazione…, ci sono poi anche gli strumenti perché questo sistema legislativo venga poi effettivamente messo in pratica”.

L’altro punto era quello di ribadire la libertà di stampa in Vaticano, in un duplice senso. Da un lato quella degli imputati Nuzzi e Fittipaldi, poi prosciolti per difetto di giurisdizione, ai quali non era contestato l’esercizio della professione giornalistica, ma eventuali pressioni compiute per ottenere i documenti riservati. Dall’altra quella dei “media vaticani”, che hanno raccontato senza “censure” lo svolgimento del processo. In questo senso il volume è arricchito dai resoconti del nostro collega Massimiliano Menichetti, che ha partecipato a tutte le udienze e ha potuto riportare le dichiarazioni pronunciate in aula spontaneamente da imputati e testimoni sebbene, per motivi procedurali, risultino agli atti solo in maniera sintetica. Ascoltiamolo:

"E’ stato un processo che prima di tutto mi ha mostrato i volti del processo stesso: dagli imputati, ai giudici, agli avvocati di parte e a noi stessi giornalisti che raccontavamo. Il rischio era cannibalizzare tutta questa vicenda per poter ridurre tutto ad un articolo o ad un mero giudizio. Lo sforzo più grande è stato rimanere concentrato sui volti, sui soggetti che affrontavano il processo. Quella difficoltà che, comunque, avrebbe segnato ed ha segnato la loro vita, come la vita di tutti noi. Questo è stato un timone che mi ha guidato, insieme ai tre timoni, che sono affermati anche nel libro in maniera molto forte, e cioè quello della trasparenza, della garanzia della libertà di informazione e dell’imparzialità della giustizia vaticana". 

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Oggi in Primo Piano



Vescovi Usa su decreto Trump: no alla discriminazione religiosa

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Un forte appello è stato lanciato dai vescovi statunitensi ai fedeli cattolici affinché uniscano la loro voce in difesa della dignità umana e contro ogni tipo di discriminazione per motivi religiosi. In una dichiarazione congiunta, il card. Daniel DiNardo, arcivescovo di Galveston-Houston e l'arcivescovo José Gomez di Los Angeles, rispettivamente presidente e vicepresidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb), hanno condannato il decreto del Presidente Donald Trump che sospende, per 120 giorni, l’ingresso dei rifugiati negli Stati Uniti, bloccando fino a nuovo ordine l’accesso a tutti i siriani, e vietando per 90 giorni l'ammissione di cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana.

Legame tra cristiani e musulmani si fonda su carità e giustizia
Nella loro dichiarazione, i vescovi affermano che “il legame tra cristiani e musulmani si fonda sulla forza indistruttibile della carità e della giustizia”. Il documento fa riferimento alla dichiarazione “Nostra Aetate” del Concilio Vaticano II che invita a promuovere, per il bene di tutti gli uomini, la giustizia sociale e il benessere morale, così come la pace e la libertà. “La Chiesa - afferma la presidenza dell’Usccb - non vacillerà nella difesa dei nostri fratelli e sorelle di tutte le fedi che soffrono per mano di persecutori spietati”.

Molte famiglie cercano sicurezza e protezione per i loro figli
La nota dell’episcopato spiega che i rifugiati in fuga dall'Isis e da altri estremisti stanno sacrificando tutti i lori averi in nome della pace e della libertà. “Spesso - continua la dichiarazione - essi potrebbero essere risparmiati se solo si arrendessero alla visione violenta dei loro aguzzini, ma rimangono saldi nella loro fede”. I vescovi avvertono che molte sono le famiglie, non diverse dalle nostre, alla ricerca di sicurezza e protezione per i loro figli.

I rifugiati sono alleati in una lotta comune contro il male
“La nostra nazione – affermano i vescovi - deve dare loro il benvenuto come alleati in una lotta comune contro il male”. I presuli statunitensi ribadiscono, poi, che sebbene  le autorità debbano essere vigili nel debellare gli infiltrati che potrebbero fare del male, devono essere altrettanto vigili nell’accoglienza delle persone amiche ed innocenti. “Accogliere lo straniero e coloro che sono in fuga – insistono i vescovi- non è un'opzione tra le tante nella vita cristiana, ma è il cristianesimo in se stesso”. “Dove i nostri fratelli e sorelle soffrono il rifiuto e l’abbandono – aggiungono – alzeremo la nostra voce per loro conto”.

La Chiesa non vuole entrare nell’arena politica
​“Il nostro desiderio non è quello di entrare nell'arena politica - conclude la dichiarazione dell’ Usccb - ma piuttosto quello di annunciare Cristo vivo nel mondo di oggi”, perché “nel momento stesso in cui una famiglia, minacciata di morte, abbandona la propria casa, Gesù è lì presente”. (A cura di Alina Tufani)

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Patriarca Sako: in Iraq la libertà arriverà

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In Iraq, prosegue l’offensiva dei governativi per liberare completamente la città di Mosul dalla presenza delle milizie del sedicente Stato islamico. Intanto, nella Piana di Ninive c’è stato il primo ritorno di una famiglia cristiana, nel villaggio di Telesku. Si tratta di una famiglia composta da padre, madre e tre figli, più il fratello del padre. Costretti ad abbandonare il villaggio due anni e mezzo fa, si erano trasferiti a Dohuk, ma ora sono potuti rientrare nella loro casa, fortunatamente non danneggiata. Ci sono tante famiglie che vogliono rientrare nella Piana di Ninive, dopo essere state costrette a fuggire, per l’occupazione dell’Is; quelle che sono rimaste in Iraq vivono attualmente a Dohuk e a Erbil. Il Patriarcato caldeo di Baghdad ha fatto un elenco delle cittadine della Piana di Ninive liberate dall’esercito irakeno e quelle liberate dai Peshmerga curdi. Il servizio di Elvira Ragosta

Dopo aver liberato i quartieri orientali di Mosul, proclamata dai jihadisti capitale irachena del cosiddetto Stato islamico, le forze governative sarebbero pronte a un’offensiva su Mosul Ovest. A riferirlo un quotidiano iracheno, che cita fonti delle forze impegnate sul terreno e secondo cui si attende solo l’ordine del premier Abadi. Intanto, si aggiornano i dati sulle vittime della guerra in Iraq: per la Missione di assistenza delle Nazioni Unite nel Paese nel solo mese di Gennaio 2017 sarebbero stati almeno 382 i morti e oltre 900 i feriti tra i civili a causa di attacchi terroristici, violenze e scontri armati. Un segno di speranza arriva dalla Piana di Ninive, dove nei giorni scorsi una famiglia cristiana è rientrata nella propria casa, abbandonata nel 2014 a causa dell’avanzata jihadista nella zona. Si tratta di una famiglia caldea del villaggio di Teleskuf, che per oltre due anni aveva trovato riparo a Dohuk. Un segno positivo per le altre famiglie cristiane che vogliono rientrare. La testimonianza del patriarca caldeo di Baghdad Louis Sako:

R. - Per noi il ritorno della vita in questo villaggio che contava 14mila persone è una nascita. Questo ed altri cinque villaggi sono totalmente caldei. Personalmente, la settimana scorsa sono andato lì per dare il mio sostegno nella ricostruzione delle case, insieme ad un comitato e ad un prete, ai membri della Lega caldea e alla gente dei villaggi vicini. Tutto questo per lavorare insieme e incoraggiare la gente a tornare.

D. - Quanti sono i cristiani che sono fuggiti dalla Piana di Ninive?

R. – Dunque, prima della fuga, tutti questi villaggi della Piana di Ninive contavano circa 120mila persone. Adesso penso siano circa 90mila perché tanti sono fuggiti; sono andati in Giordania, in Libano e in Turchia per chiedere asilo in Occidente.  

D. - Sono tante le famiglie cristiane che vogliono rientrare nella Piana di Ninive, dopo essere state costrette a fuggire dall'Is. Quelle che sono rimaste in Iraq vivono attualmente a Dohuk e a Erbil. In alcuni dei villaggi abbandonati ci sono le condizioni di sicurezza per far rientrare i cristiani, in altri c'è ancora del lavoro da fare: liberare i terreni dalle mine lasciate dall'Is, ricostruire e riparare le case, riparare le infrastrutture...

R. – Piano piano noi aiuteremo tutte queste famiglie che vogliono tornare. Faremo tutto. Abbiamo fatto un appello per chiedere aiuto ai cristiani iracheni, alle nostre Chiese e Diocesi in America, in Canada, in Australia, ma anche in Europa.

D. - Di cosa c’è bisogna per ricreare la pace e la convivenza?

R. - Bisogna cambiare la mentalità e la cultura, riconoscere gli altri, rispettarli e rispettare la loro religione, i loro diritti. Dunque, piano piano bisogna arrivare ad uno Stato secolare civile, non ad uno Stato “un po’ teocratico”. Adesso anche i politici iracheni parlano della separazione della religione dallo Stato, ma ci vuole un progetto per realizzare tutto questo. La libertà arriverà, io sono sicuro, così come la pace. La guerra non può durare in eterno; dobbiamo avere pazienza, cercare l’unità, incoraggiarci e aiutarci l’un l’altro. La vita è così … Il futuro si fa. Non esiste un futuro magico che scende dal cielo già pronto. Piano piano … 

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Congo: è morto Tshisekedi, storico oppositore anti-Kabila

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Etienne Tshisekedi, storico oppositore congolese fin dai tempi dell’allora Zaire di Joseph-Désiré Mobutu, è morto ieri in un ospedale di Bruxelles. Tshisekedi, 84 anni, era Presidente dell’Union pour la Démocratie et le Progrès social (Udps), la principale componente di Le Rassemblement, la coalizione dell’opposizione che non aveva firmato gli accordi del 18 ottobre con il Presidente Joseph Kabila che prevedevano, tra l’altro, lo svolgimento delle elezioni presidenziali nel 2018. 

Il suo ruolo al tavolo dei negoziati in una trattativa mediata dai vescovi congolesi
​Di fronte alle manifestazioni indette da Le Rassemblement per costringere Kabila a cedere il potere entro la scadenza del suo mandato - riferisce l'agenzia Fides - il 20 dicembre 2016, il Presidente uscente aveva accettato di sedersi al tavolo con l’opposizione guidata da Tshisekedi, in una trattativa mediata dai vescovi locali. La trattativa è sfociata negli accordi di San Silvestro che prevedono la tenuta delle elezioni presidenziali e politiche entro dicembre 2017, la cui attuazione è però ancora in discussione.

La sua morte in un momento molto delicato della vita politica del Paese
La scomparsa di Etienne Tshisekedi è avvenuta dunque in un momento cruciale della storia della Repubblica Democratica del Congo. Le trattative per l’attuazione degli accordi di San Silvestro sono bloccate sulla nomina del Primo Ministro del governo di transizione, che deve essere un esponente dell’opposizione. La scomparsa del massimo esponente dell’opposizione apre ora spazi per altri candidati, ma anche a spaccature e divisioni all’interno del fronte anti Kabila. (L.M.)

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Romania: 200 mila in piazza contro la legge salvacorrotti

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Forti rischi di destabilizzazione in Romania. Ieri oltre 200 mila persone hanno nuovamente manifestato a Bucarest e in altre città, per protestare contro il governo del socialdemocratico Sorin Grindeanu, che ha varato una serie di misure che di fatto depenalizzano reati legati al fenomeno della corruzione, come l’abuso di ufficio e il favoreggiamento. In diverse piazze si sono registrati tafferugli. Il servizio di Giancarlo La Vella

In Romania manifestazioni del genere non si vedevano dal 1989. Allora il grido popolare fu uno schiaffo al governo comunista di Nicolae Ceausescu. Il regime, una volta graniticamente assolutista, una delle stampelle dell’Unione Sovietica, cadde miseramente. Di lì a poco anche Mosca avrebbe subito la stessa sorte. Lo stesso Ceausescu, insieme alla consorte, finì drammaticamente i suoi giorni dopo una discussa esecuzione a conclusione di un processo sommario. Oggi il clima è ben diverso. Una cittadinanza più matura, in uno Stato democratico, che si confronta con l’Unione Europea, di cui fa parte dal 2007, chiede oggi al governo di dimettersi o di fare marcia indietro sulla legge impopolare cosiddetta “salvacorrotti”. Un’iniziativa, questa dell’esecutivo, che rischia di tracciare un solco incolmabile nel rapporto di fiducia che deve necessariamente esistere tra il popolo e le sue istituzioni. Sui motivi della mobilitazione di massa, sentiamo la giornalista rumena, Mihaela Iordache:

R. – Proprio per le decisioni che il governo stesso ha preso. Mi riferisco ad un’ordinanza che è stata adottata con molta fretta dal governo di Sorin Grideanu  con la quale, in pratica, si salvano i corrotti. Il governo ha modificato i codici penali dando così onda verde ai politici di eludere procedimenti penali. Coloro che sono scesi in piazza vogliono difendere la giustizia; chiamano in causa e chiedono l’aiuto dell’Unione Europea proprio perché in Romania la lotta contro la corruzione possa continuare.

D. - In quale fase della vita politica e sociale rumena si inserisce questa protesta?

R. - A dicembre ci sono state le elezioni politiche in Romania. Dopo lo scrutinio, il Partito socialdemocratico guidato da Liviu Dragnea - lui stesso ha problemi con la giustizia -, è riuscito a vincere le elezioni politiche con quasi 45 percento dei voti. C’è da aggiungere che l’affluenza al voto a dicembre  - solo il 40 percento degli aventi diritto - è stata la più bassa mai registrata in Romania. Infatti molti di quelli che non hanno votato a dicembre, ora sono in piazza.

Da Bruxelles si guarda con attenzione a quanto sta avvenendo in Romania. La Commissione Europea ha lanciato un duro monito al governo di Bucarest, esortandolo a rafforzare la lotta alla corruzione con la minaccia di bloccare il dossier per l’accesso della Romania nell’area Schengen. Ma le manifestazioni popolari rischiano di innescare conseguenze più gravi in questo momento per la Romania? Ancora Mihaela Iordache:

R. - La Romania è un partner dell’Unione Europea molto solido. Negli ultimi anni ha fatto progressi nella lotta alla corruzione che sono stati riconosciuti da Bruxelles. Non è nell’interesse della Romania questa instabilità. È il Paese che registra la crescita economica annua più alta! Nessuno ha intenzione di rischiare qualcosa di grave.

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Colombia: Farc depongono armi. Nasce Tribunale speciale per reati di guerra

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Procede in Colombia il processo di pacificazione, che mira a reintegrare i guerriglieri delle Farc, come previsto dai nuovi accordi di pace siglati nel novembre scorso, tra il governo di Bogotà e le Forze Armate Rivoluzionarie (Farc), dopo la bocciatura referendaria degli accordi firmati invece a settembre. Roberta Gisotti ha intervistato Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha supportato come membro della Comunità di Sant’Egidio, il processo negoziale, avviato nel 2012. 

Oltre 4.500 su circa 6.300 guerriglieri delle Farc – ha assicurato il Presidente colombiano Santos - sono già confluiti nelle 26 aree deputate dove deporranno le armi, per reintegrarsi nella società. Intanto ieri il Parlamento di Bogotà ha approvato la Speciale giurisdizione per la pace. Prof. Di Bella che cosa vuol dire?

R. – E’ una tappa molto importante! Sostanzialmente il Parlamento ha approvato l’istituzione di un Tribunale speciale - e le relative norme che lo regoleranno – che avrà il compito specifico di giudicare tutte quelle persone che, durante la lunga guerra civile, si sono macchiate di reati. Nell’Accordo precedente – quello che era stato bocciato dal referendum – questo Tribunale prevedeva anche l’inserzione di personalità straniere: invece la revisione dell’Accordo approvato in novembre ha cancellato questa aspetto e quindi sarà un Tribunale fatto da giudici e da uomini di legge colombiani. Questo è molto importante, perché può contribuire ancora di più a permettere un processo di unificazione e di ridefinizione della coesione nazionale.

D. - Ma c’è anche un altro fronte di pace, oltre le Farc, per normalizzare la Colombia?

R. - Siamo anche alla vigilia – martedì prossimo a Quito - del processo di pace che riguarda l’altra guerriglia colombiana, l’Eln-Esercito di liberazione nazionale. E questo appuntamento è un’altra tappa molto importante – e speriamo che sarà una trattativa breve – perché potrà portare a quella pace definitiva per il popolo colombiano.

D. – Le cronache della Colombia riportano di polemiche, di tensioni che persistono con la popolazione locale… Certo, non si cancella facilmente mezzo secolo di conflitto, che ha procurato solo sul fronte di guerra con le Farc 200 mila morti.

R. – Certo! E questo purtroppo avviene in ogni processo di pace. E non solo non si può cancellare in un giorno la storia di 50 anni, ma neanche le vicende personali che pesano molto: ci sono contesti e micro-contesti complessi in cui ricostruire tessuti sociali, che sono stati distrutti da anni di devastazione militare, di devastazione  guerrigliera, non è certo una cosa facile. Io credo che questi aspetti non debbano impedire né all’opinione pubblica né al Paese di perseverare in questo cammino di pace, che sarà evidentemente nel corso del tempo anche un grande processo di risanamento di tutte queste ferite. Il dialogo, l’assunzione delle responsabilità, la spiegazione di quanto è accaduto, la ricostruzione della storia di questi avvenimenti sono tutte tappe che permetteranno la nascita di questa nuova Colombia.

D. – Il nuovo Accordo, rispetto al precedente, ha previsto la restituzione da parte delle Farc dei loro beni e denari per aiutare le vittime del conflitto. Questo sarà facile da realizzare?

R. – Moderatamente facile, perché qui entriamo in un campo oserei direi ‘occulto’, di cui si sa poco o niente! Quanti sono questi soldi? Dove sono? Chi ne è il legittimo proprietario? Come verranno trasmessi e come potranno essere utilizzati per il riscatto delle condizioni delle persone che sono state vittime? Questo è un aspetto che ha oggettivamente delle difficoltà pratiche, ma mi sembra di poter dire che ambedue le parti – sia la dirigenza delle Farc, sia il governo – sono intenzionate a perseverare per raggiungere al più presto la sua realizzazione.

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Vescovi tedeschi: quale pastorale matrimoniale da Amoris laetitia?

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“Quali conseguenze derivano ora dall’Amoris Laetitia per la pastorale matrimoniale e della famiglia in Germania?” è la domanda che i vescovi tedeschi affrontano in un documento adottato dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale lo scorso 23 gennaio e reso noto ieri. Se molto di quanto indicato dal documento papale, “fonte ispiratrice per la vita della coppia e della famiglia”, dovrà essere “sviluppato nelle concrete situazioni pastorali”, i vescovi indicano per il cammino futuro della pastorale tedesca quattro temi che ritengono particolarmente importanti, seppure non esaustivi della “ricchezza di Amoris laetitia”.

Il cammino della pastorale matrimoniale in 4 punti
Un primo punto - riporta l'agenzia Sir - riguarda la pastorale della preparazione al matrimonio, che dovrà essere “intensificata, dovrà avere un carattere più vincolante e al tempo stesso più convincente”. I vescovi indicano la strada di un “catecumenato del matrimonio” che accompagni il cammino al sacramento come “consapevole cammino di fede”, tenendo in considerazione le concrete situazioni di vita. In secondo luogo sarà necessario “rafforzare gli sforzi nell’accompagnamento della vita matrimoniale”: diverse le indicazioni offerte, tra cui l’invito a “sviluppare una spiritualità del matrimonio e della famiglia”. Accompagnamento dovrà però anche significare aiuto “nei problemi e nelle difficoltà” concrete della vita: “Solo in questo modo si potrà sperimentare nella quotidianità delle persone la disponibilità e l’umanità della Chiesa”.

Famiglie sostenute come luoghi di fede
Una delle quattro indicazioni concrete offerte dai vescovi riguarda la dimensione della fede: “Le famiglie dovrebbero essere sostenute come luoghi di apprendimento della fede e rafforzati in questo compito spesso difficile”. Il documento sollecita alla disponibilità ad accompagnare pastoralmente le famiglie nella ricerca di “sempre nuove forme adatte” per far crescere i propri figli e camminare loro stessi nella fede e nell’esperienza religiosa nelle situazioni della vita quotidiana.

La sfida delle famiglie interconfessionali
Tra i numerosi riferimenti “alla molteplicità delle situazioni in cui vivono oggi coppie e famiglie” è quello alle famiglie interconfessionali, “sfida e chance nel dialogo ecumenico” . “La non ancora possibile piena comunione nella Cena del Signore rende più evidente il dolore della divisione dei cristiani in queste coppie e famiglie”, scrivono i vescovi. “Siamo consapevoli che non è facile trasmettere la posizione cattolica nel nostro tempo e contemporaneamente affrontare questo problema nella responsabilità pastorale”.

Indicazioni sulle “fragilità” del matrimonio secondo la linea di Amoris laetitia
I vescovi tedeschi offrono anche indicazioni riguardo le “fragilità” del matrimonio secondo la linea di Amoris laetitia: “accompagnare; differenziare; integrare”. Se “l’indissolubilità del matrimonio è parte essenziale della fede della Chiesa”, scrivono i vescovi tedeschi, “Amoris laetitia lascia pochi dubbi circa la necessità di sguardi differenziati sulle singole situazioni di vita delle persone”. Con i divorziati risposati “deve essere chiaro che essi appartengono alla Chiesa, che Dio non li priva del suo amore e che sono chiamati a vivere l’amore per Dio e per il prossimo per essere autentici testimoni di Gesù Cristo”.

Di fronte alle fragilità matrimoniali, nè lassismo e nè rigorismo
Citando in numerosi passi il documento papale, i vescovi indicano come l’Amoris laetitia indichi per alcune situazioni la possibilità di “ricevere l’aiuto della Chiesa e in alcuni casi anche l’aiuto dei sacramenti” per continuare a camminare nella grazia e nell’amore di Dio. Quando il matrimonio non può essere annullato, sono “indispensabili soluzioni differenziate, che rispondano alle singole situazioni”. Per giungere a ciò, l’indicazione è quella di “processi decisionali accompagnati pastoralmente” che possono aprire alla “possibilità di ricevere i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia”. In questo ambito i vescovi mettono in guardia da “lassismo” e dal “rigorismo”: occorre invece lavorare per “consolidare la formazione di una coscienza credente”. (R.P.)

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Meeting a Lampedusa: immigrazione legata a mancanza di lavoro

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Otto per mille europeo da destinare a progetti di lavoro nei Paesi a più alto tasso di emigrazione del Mediterraneo per gestire l'immigrazione". É la proposta del Segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, al 1' Meeting internazionale "Per un mare di Pace e Lavoro" svoltosi oggi a Lampedusa. Il premio Nobel per la Pace 2015, il tunisino Hassine Abbassi, sindacalista, sottolinea lo stretto rapporto tra mancanza di lavoro e immigrazione nel Mediterraneo. E denuncia quello che definisce "il terrorismo organizzato", come ulteriore causa che alimenta l'immigrazione. "Molti governi, ha detto Abbassi, hanno scelto il terrorismo per fini espansionistici anche al prezzo della distruzione di interi Paesi".

"La rivoluzione tunisina è riuscita contro la povertà e l'ingiustizia sociale per ottenere lavoro, libertà e distribuzione equa della ricchezza". Il segretario generale del sindacato palestinese, Husain Foqahaa, ricorda come 6 milioni di Palestinesi siano in diaspora nel mondo, molti in campi profughi. "Come palestinesi, ha sottolineato, abbiamo accettato lo Stato di Israele ma ci sono oggi più di 400 check-point che ci dividono, con i coloni israeliani in Cisgiordania, privandoci dei più semplici diritti. Noi palestinesi siamo immigrati nella nostra patria". Il sindacato palestinese dichiara il 28% di disoccupati, su una popolazione di un milione e mezzo di persone, con gran parte delle persone che vive sotto la soglia di povertà. Il sindaco di Lampedusa, Giuseppina Maria Nicolini, ha invitato tutti a guardare all'isola come "una realtà normale". Parla della scelta politica di lasciare, in passato, Lampedusa sola nell'accoglienza dei migranti, sottolineando come "l' emergenza profughi è ancora oggi sventolata dall'Unione Europea per coprire i fallimenti politici dell'Ue". 

I migranti clandestini sono giovani, maschi, tra i 18 e 35 anni. Molti sono laureati e diplomati. Esperti di informatica. Appartengono a un'economia sommersa o sono disoccupati. Le ragioni economiche, la mancanza di lavoro, la impossibilità di emigrare in modo legittimo, il ruolo dei media che mostrano la ricchezza della società europea, sono alla base della scelta degli immigrati. Il desiderio del viaggio aumenta intorno ai 25 anni. Ma negli ultimi anni è in crescita l'immigrazione minorile perché i giovani sanno che le leggi italiane si prendono cura di loro. Prima del viaggio i migranti sono "sequestrati" dagli scafisti che trasportano "armi e droga". (Da Lampedusa, Luca Collodi)

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Cei: 18 milioni di euro per sostenere 119 progetti nel Terzo mondo

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Oltre 18 milioni di euro destinati a 119 progetti nel mondo. È la cifra stanziata dal Comitato Cei per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo nella riunione tenutasi a Roma. Nel dettaglio, 9.000.637 euro - riporta l'agenzia Sir - andranno a finanziare 53 progetti in Africa; 2.947.597 euro 34 progetti in America Latina; 3.194.573 euro 22 progetti in Asia; 2.068.780 euro 6 progetti in Medio Oriente; 721.871 euro 3 progetti in Est Europa; 350.584 euro 1 progetto in Oceania. Per un totale complessivo di 18.284.042 euro.

In Ghana finanziati progetti ospedalieri
Tra i progetti più interessanti vi è quello finanziato in Ghana per la realizzazione e l’allestimento, con equipaggiamenti e macchinari medici, del reparto ortopedico e fisioterapico al Centro medico “Papa Giovanni Paolo II” nella diocesi di Konongo-Mampong. “Il Centro – precisa una nota – è particolarmente importante sia per l’alta densità della popolazione e dei bisognosi, sia per fare fronte con tempestività ai tanti incidenti stradali che accadono nella vicina Jamasi, dove si trova un’autostrada molto trafficata che collega la regione di Ashanti alla regione Nord del Paese”. 

In Centrafrica fondi per un Centro per bambini che hanno subito traumi a causa del conflitto
Nella Repubblica Centrafricana, invece, con tali fondi verrà costruito un Centro di cura psicosociale e igiene mentale nella diocesi di Bangui, per assistere i bambini che hanno subito traumi di tipo psicologico durante il conflitto che ha martoriato il Paese. Si tratta della prima struttura di questo tipo presente nel Paese. Nella Repubblica Democratica del Congo, promosso dall’Associazione Tumaini, che opera da 10 anni a Goma, teatro di conflitti che hanno causato migliaia di morti, il progetto è volto alla promozione sociale di vedove con figli in età minorile. Il Centro offrirà attività formative di base (alfabetizzazione e informatica), laboratori professionali (taglio e cucito, cucina, meccanica) per migliorare le condizioni di vita delle famiglie con l’acquisizione di competenze per attività generatrici di reddito.

Sostegno nel settore agricolo in America latina e per i profughi nel Kurdistan iracheno
​Nell’America latina, in Guatemala, lo stanziamento sosterrà una serie di incontri fra leader contadini, formazione degli stessi e delle donne, interscambi di esperienze per rafforzare il comparto agricolo e la sicurezza alimentare della parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe. Due progetti, infine, nel Kurdistan e in Papua Nuova Guinea. Il primo per il sostegno alle popolazioni sfollate e a quelle residenti presso il Governatorato di Erbil, la provincia di Kirkuk e nella città di Al Kosh. Il secondo in Oceania, riguarda la costruzione di nuovi edifici per ampliare il Centro professionale di Kefano. (R.P.)

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Ravasi: musica sacra, di alta qualità se unisce arte e fede

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E’ stato presentato nella sede del Pontificio Consiglio della Cultura il Convegno “Musica e Chiesa: culto e cultura a 50 anni dalla Istruzione Musicam Sacram” che si terrà a Roma dal 2 al 4 marzo: un appuntamento per riflettere sul rapporto millenario tra liturgia e musica e rivisitare il ruolo del musicista nella Chiesa. Il servizio di Luca Pellegrini

Sono passati cinquant’anni dalla pubblicazione dell’Istruzione “Musicam Sacram” e il Pontificio Consiglio della Cultura vuole ricordare il documento riflettendo proprio sulla presenza e la qualità della musica sacra e sul suo rapporto millenario con la liturgia, nella dimensione non soltanto del culto e della composizione, ma considerando le fondamenta teologiche e fenomenologiche dello scrivere musica, nell’orizzonte assai vasto del dialogo tra la fede e l’arte. Una proposta di grande importanza, dunque, che vede l’esperienza religiosa incarnata nella liturgia come stimolo dell’esperienza estetica che include quella musicale. Ma è ancora un rapporto propositivo o in crisi? Lo abbiamo chiesto al cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Dicastero vaticano:

R. - Lo stimolo apparentemente sembrerebbe essere in azione, perché io stesso ricevo qui molto spesso delle partiture; ma dall’altra parte devo anche dire che esiste, invece, una carenza della proposta musicale di alta qualità. In passato, difatti, la composizione veniva effettuata da tutti i grandi autori, musicisti, che intervenivano. Perché? Perché allora era profondamente unito il rapporto tra arte e fede. Ed è per questo motivo che tutto il lavoro che io direi si deve fare, è cercare di fare in modo di avvicinare sempre di più artisti e uomini di Chiesa e liturgia - o anche semplicemente d’esperienza religiosa - per far sì che poi alla fine sbocci anche un’opera, sboccino opere che siano di grande qualità, come avveniva in passato.

D. - Bach scrive parole illuminanti: “La musica è la massima espressione di gloria a Dio, ma deve allo stesso tempo essere diletto e ricreazione della mente”...

R. - Questa è veramente una intuizione forte da parte di Bach, che è stata invece qualche volta anche disattesa nell’interno dell’esperienza propria della cultura contemporanea. Perché o da un lato soltanto ci si preoccupava della cosiddetta spiritualità, quindi della gloria di Dio, e così si sconfinava perfino nel devozionale; oppure ci si interessava soltanto delle composizioni di qualità tecnica e di qualità culturale rilevante. E allora si andava a produrre musica che sostanzialmente, nonostante fosse religiosa e persino liturgica, era da concerto. Per questo motivo, probabilmente, tenere insieme questi due elementi è una realtà necessaria, decisiva, ma anche estremamente delicata. E’ come camminare su un crinale in cui tutti e due i versanti devono essere custoditi: la qualità estetica musicale e dall’altra parte la dimensione però di trascendenza, di tensione verso il culto e verso Dio e il suo Cristo.

D. - Eminenza, il vostro Convegno vuole considerare anche la dimensione ecumenica della musica sacra...

R. - Difatti io vorrei ricordare che, appunto, Lutero ha scritto un trattato intitolato “Frau Musika” – “La signora musica”, dedicandola quindi a questa componente che è poi diventata, dopo di lui soprattutto, fondamentale nel culto luterano. Anche perché la cancellazione delle immagini, l’aniconismo e cioè l’assenza di elementi esteriori considerati troppo idolatrici, ha permesso alla musica di diventare la vera signora del culto luterano. Adesso, in questo anno che è proprio il quinto centenario delle 95 tesi di Wittenberg, è il momento anche per ricordare che possiamo veramente scambiarci – come avviene ed è avvenuto - alcuni corali di Bach. Dobbiamo aprirci anche al contributo che ci viene offerto proprio dal mondo protestante con la sua grande tradizione e forse ancora con il suo desiderio di far sì che il culto abbia nella musica la declinazione concreta del Salmo che diceva: “Cantate a Dio con arte”. 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 33

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.