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Sommario del 08/04/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco ai giovani: non abbiate paura di dire sì a Gesù

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“Cari giovani, non abbiate paura di dire ‘sì’ a Gesù con tutto lo slancio del cuore, di rispondergli generosamente e di seguirlo!”: è il tweet lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex in 9 lingue. Oggi pomeriggio, infatti, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, il Papa presiede la Veglia di preghiera in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù, che quest’anno si celebra a livello diocesano, quindi domani, Domenica della Palme. Ma questo è anche il primo incontro del Santo Padre con i giovani nel cammino di preparazione al Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2018 sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, e alla 34.ma Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà a Panama nel 2019. Il servizio di Debora Donnini

Il cammino delle Gmg internazionali vissuto finora da Papa Francesco, inizia nel 2013, con l'incontro a Rio de Janeiro. Domani, Domenica delle Palme, la 32.ma Gmg si vive a livello diocesano: in Piazza San Pietro giovani panamensi riceveranno la Croce Pellegrina e l’icona di Maria Salus Populi Romani dai coetanei polacchi, in vista della prossima Giornata mondiale a Panama nel 2019. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”: la frase di Maria nel Magnificat è il cuore della Gmg 2017. Da quest’anno, infatti, è la Vergine ad ispirare i temi di questa e delle prossime Giornate. Nel Messaggio per quella di quest’anno, Francesco esorta i ragazzi, sull’esempio di Maria, a non essere giovani-divano e a diventare strumenti per rendere migliore il mondo. In una parola, a essere protagonisti della propria storia, a decidere del proprio futuro. E in una società che tende a svalutare tutto quello che si eredita dal passato, come per esempio il matrimonio, la vita consacrata e il sacerdozio, bollandoli come forme superate, il Papa invita i giovani a non lasciarsi ingannare: per progettare meglio un futuro di felicità, serve aderire alla chiamata del Signore. Lo sguardo del Papa è infatti rivolto con decisione al prossimo Sinodo dei Vescovi del 2018, dedicato proprio a loro in relazione alla fede e al discernimento vocazionale. Un tema centrale tanto che in un recente Videomessaggio, legato alle prossime Gmg, dice espressamente che il cammino delle Gmg desidera si faccia in sintonia con la preparazione di questo Sinodo dedicato ai giovani, e li invita a costruire un mondo più umano e meno crudele.

La Gmg di Rio e di Cracovia
Un esortazione che aveva rivolto loro fin dalla Gmg del Brasile: “Voi siete  gli atleti di Cristo! Siete i costruttori di una Chiesa più bella e di un mondo migliore”, aveva detto. E per fare questo, li invitava a giocare nella squadra di Gesù. Quindi il mandato: “andate, senza paura, per servire”. I temi delle successive tre Gmg provenivano dalle Beatitudini. In quella celebrata a livello internazionale a Cracovia, lo scorso luglio, sul tema “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”, li esortava a credere in una nuova umanità che non accetta l’odio tra i popoli. “Noi – disse – non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore”. La nostra risposta alla guerra ha un nome: si chiama “fratellanza”, “comunione”, “famiglia”. Così la Gmg, istituzionalizzata nel 1985, continua il suo percorso nel mondo, di Continente in Continente, a testimonianza dell’attenzione della Chiesa ai giovani, come esprime anche la scelta di dedicare loro un Sinodo.

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Giornata rom e sinti. Papa: no a chiusure ma dialogo e integrazione

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Nella Giornata internazionale dei rom e dei sinti, che si celebra ogni 8 aprile, il Papa in un messaggio invita la Chiesa e la società civile a trovare soluzioni per superare le barriere che impediscono a queste popolazioni di godere dei loro diritti fondamentali e di adempiere ai loro doveri. Ieri pomeriggio nel suo intervento alla Conferenza sulla situazione dei rom in Europa organizzata dall’Ambasciata ungherese, il card. Peter Turkson, presidente del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, ha ribadito: la vera sfida è l’integrazione. Cecilia Seppia

Quando individui e comunità sono liberi di partecipare integralmente alla vita pubblica offrendo il proprio contributo, è allora che è possibile realizzare una piena convivenza pacifica in cui le differenti culture e tradizioni riescano a conservare i loro rispettivi valori e consuetudini senza adottare gli uni verso gli altri atteggiamenti ostili e di chiusura ma attraverso il dialogo e l’integrazione. Lo scrive il Papa in un messaggio inviato ai partecipanti alla conferenza sulla situazione dei rom in Europa organizzato dall’Ambasciata ungherese presso la Santa Sede. Francesco torna a chiedere di promuovere e salvaguardare il bene di tutti all’interno della società e esprime l’auspicio che i deboli e gli emarginati possano finalmente godere dei loro diritti fondamentali e adempiere anche ai loro doveri nella comunità. Nel solco della strada tracciata dal Beato Paolo VI, il primo Pontefice che andò a visitare un campo nomadi a Pomezia spronando così la Chiesa all’impegno pastorale verso questo popolo, Francesco rinnova la sua attenzione e preoccupazione, lo spirito di accoglienza e vicinanza che il 26 ottobre del 2015 ha portato in Vaticano 7mila gitani.

“Conosco le difficoltà del vostro popolo. Visitando alcune parrocchie romane, nelle periferie della città, ho avuto modo di sentire i vostri problemi, le vostre inquietudini, e ho constatato che interpellano non soltanto la Chiesa, ma anche le autorità locali. Ho potuto vedere le condizioni precarie in cui vivono molti di voi, dovute alla trascuratezza e alla mancanza di lavoro e dei necessari mezzi di sussistenza. Ciò contrasta col diritto di ogni persona ad una vita dignitosa”.

Degrado, abbandono, che il Papa ha avuto modo di toccare con mano visitando a sorpresa il campo nomadi nel quartiere di Pietralata a Roma, poco prima di incontrare la comunità parrocchiale di San Michele Arcangelo, l’8 febbraio del 2015. Indifferenza e scarto, contro cui ha levato il suo appello:

“Non vogliamo più assistere a tragedie familiari in cui i bambini muoiono di freddo o tra le fiamme, o diventano oggetti in mano a persone depravate, i giovani e le donne sono coinvolti nel traffico di droga o di esseri umani. E questo perché spesso cadiamo nell’indifferenza e nell’incapacità di accettare costumi e modi di vita diversi da noi”.

I numeri solo in Italia della realtà del popolo gitano stando al rapporto dell’Associazione 21 luglio parlano di sgomberi forzati, 175 episodi di odio e di razzismo, e anche la pagina della cronaca odierna riporta di un incendio in un campo vicino Milano in cui risultano in condizioni drammatiche una mamma e il suo bimbo di tre anni. Perciò il Papa insiste ancora sulla sfida dell’integrazione, che vuol dire accettare costumi e modi di vita diversi da noi. Ma, come ribadiva nel 2015 , anche per i rom è arrivato un tempo nuovo:

“Vorrei che anche per il vostro popolo si desse inizio a una nuova storia, a una rinnovata storia. Che si volti pagina! È arrivato il tempo di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia. Nessuno si deve sentire isolato, nessuno è autorizzato a calpestare la dignità e i diritti degli altri… Cari amici, non date ai mezzi di comunicazione e all’opinione pubblica occasioni per parlare male di voi. Voi stessi siete i protagonisti del vostro presente e del vostro futuro. Come tutti i cittadini, potete contribuire al benessere e al progresso della società rispettandone le leggi, adempiendo ai vostri doveri e integrandovi anche attraverso l’emancipazione delle nuove generazioni”.

Superare le barriere comportandosi da buoni cristiani, garantendo ai propri figli l’istruzione e il diritto di andare a scuola, così da diventare cittadini attivi, di partecipare alla vita politica, sociale ed economica del Paese, è l’altra urgenza invocata da Francesco che allora diceva, riprendendo le parole di Papa Paolo VI: “Voi non siete ai margini, voi siete nel cuore della Chiesa”.

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Udienze e nomine

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Per le nomine e udienze odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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A Roma oltre 300 giovani per il Forum "Da Cracovia a Panama"

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A Roma da mercoledì scorso fino a domani, il Forum internazionale dei giovani: “Da Cracovia a Panama - il Sinodo in cammino con i giovani”, promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e dalla Segreteria del Sinodo. La giornata di oggi è dedicata alla preparazione della Gmg di Panama del 2019. Ce ne parla Elvira Ragosta

Il Forum internazionale, presso il Pontificio Collegio Mater Ecclesiae di Roma, ospita fino a domani circa trecento giovani delegati e operatori di pastorale giovanile di 103 Paesi e di 44 gruppi, movimenti e associazioni internazionali cattoliche. Luigi Marchitelli, addetto stampa della sezione giovani del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita:

“I giovani sono stati molto interessati e hanno colto quella che è la novità di questo incontro, cioè il collegamento tra il cammino delle Giornate Mondiali della Gioventù e il lavoro del Sinodo, che sarà il prossimo anno dedicato proprio ai giovani. Il Santo Padre desidera che queste due cose vadano insieme, e cioè che il percorso sinodale accompagni il pellegrinaggio della Giornata Mondiale della Gioventù e viceversa”.

I giovani riuniti a Roma guardano alla Gmg di Panama del 2019 col desiderio di mettere in pratica, tanto nella vita quotidiana quanto nella comunità, gli insegnamenti appresi a Cracovia. Renato Cursi ha preso parte alla sua prima Gmg nel 2005 a Colonia, oggi al Forum è il rappresentante del Movimento Giovanile Salesiano:

“È stato un incontro sorprendente, non solo per la varietà, l’universalità della Chiesa qui rappresentata. Si è respirata un’atmosfera di gioia e di desiderio di ascolto dei giovani, delle loro aspettative, dei loro bisogni, dei loro sogni”.

Lisia Oliveira Costa è brasiliana ed è rappresentante della Comunità Cansao Nova:

“Abbiamo condiviso tante esperienze belle e anche tante difficoltà che ognuno di noi vive. Abbiamo pensato a come lavorare e a come fare questo cammino verso Panama ma sempre ricordando che abbiamo un Sinodo da vivere in questo tempo. È stato bellissimo, è stato forte… Un’esperienza molto ricca per tutti noi”

E sulle parole e sugli incoraggiamenti che Papa Francesco rivolge ai giovani, Lisia aggiunge:

“Lui davvero parla il nostro linguaggio: noi lo capiamo benissimo! E quello che lui ci dice oggi è una verità: noi giovani abbiamo la paura di metterci in campo, di giocare, di vivere davvero. Lui ci chiede tanto questo: non avere paura ma avere il coraggio di essere anche protagonista. Per noi il messaggio del Papa è veramente un invito fortissimo a vivere, a non lasciare la nostra vita scorrere senza la nostra partecipazione. E questo per noi rimane sempre un istinto e una volontà di metterci in campo, in cammino, insieme agli altri”.

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Oggi in Primo Piano



Attacco a Stoccolma: per la polizia l'uomo fermato è il killer

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L’attentato a Stoccolma. Per la polizia l’uomo arrestato ieri, sarebbe l’autista del camion che, nel pomeriggio, in pieno centro città, ha ucciso 4 persone tra i passanti e ferito una quindicina. Non ancora nota la sua identità. Nel Paese ordinate nuove misure di controllo alle frontiere. Il servizio di Adriana Masotti:

 

In Svezia, procedono spedite le indagini dopo l’attentato: la persona arrestata ieri nelle ore immediatamente successive, è stato identificato formalmente come un sospetto di "reato terroristico mediante omicidio". Lo hanno reso noto fonti della polizia. Si tratta di un uzbeko di 39 anni, padre di quattro figli. Nel camion piombato sulla folla è stata trovata una borsa con dell'esplosivo di fabbricazione artigianale, che non è esploso. I media riferiscono anche di un secondo arresto, stamattina, che tuttavia la polizia non ha per ora confermato. L’uzbeko è dunque sospettato di essere stato proprio lui alla guida del camion piombato sui passanti nel centro di Stoccolma. Dieci sono i feriti ancora ricoverati in ospedale, di cui quattro gravi, sei quelli dimessi. L’uomo, di cui non si conosce l'identità, dovrà comparire martedì mattina davanti alla Corte che deciderà la sua carcerazione in vista del processo oppure se dovrà essere rilasciato. Intanto il primo ministro svedese, Stefan Lofven, ha ordinato l’immediato rafforzamento dei controlli alle frontiere del Paese con effetto immediato. Lofven ha sottolineando che la Svezia farà "tutto il necessario" per garantire la sicurezza della popolazione. Una richiesta fino ad oggi, forse, sottovalutata? Al microfono di Francesca Sabatinelli, il giornalista svedese Peter Loewe:

“Credo che sotto sotto si sia iniziato ad organizzare qualcosa. Ci sono state delle discussioni in Parlamento, nelle quali è stata fatta richiesta di una maggiore disponibilità da parte dello Stato, con la possibilità di intercettare le telefonate e controllare le e-mail dei cittadini. Da quanto mi ricordo, questa proposta era stata mandata in una Commissione per essere analizzata, e affinché si decidesse poi sul da farsi. La Svezia quindi ha preso tempo su questo punto per dare dei poteri più ampi ai Servizi Segreti della Polizia speciale. Secondo me adesso vedremo un veloce 'sprint' su questo punto".

La Svezia è nota per la forte politica di accoglienza e di integrazione verso gli immigrati e di apertura alle diversità. L’attentato di ieri potrebbe fermare questo orientamento? Luca Collodi lo ha chiesto a don Furio Cesare, canonista della diocesi di Stoccolma:

"Fermarsi non lo so, perché c’è una politica molto generosa da parte delle autorità nei confronti di chi chiede protezione o asilo qui in Svezia. Certamente la politica in questione manca di qualcosa di essenziale, perché abbiamo dei quartieri completamente “musulmani” nelle varie parti della città, che certamente diventano poi un ghetto, per così dire, dove l’integrazione con la società lascia veramente a desiderare. Dunque tradizioni e culture si scontrano con quella politica di libertà di cui la Svezia si vanta e che cerca di conservare. Questo sicuramente è un grosso problema: lo notiamo all’interno delle scuole, nelle varie associazioni presenti nella società. Ora non sappiamo esattamente lo scopo di questo attentato di ieri, se è veramente un atto terroristico. Ma tornando al discorso, qui manca qualcosa di umano, per così dire. La gente è sospettosa nei confronti degli altri, si ha paura di guardarsi negli occhi e questo naturalmente diventa uno scontro culturale e politico, secondo me. Speriamo che questo fatto tragico possa portare anche a creare una coscienza nuova all’interno della popolazione per una migliore integrazione e una migliore attenzione verso l’altro. Io lo spero".

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Il vescovo di Stoccolma: atto orribile di terrorismo

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“Stoccolma ha subito un atto orribile di terrorismo e siamo tutti scioccati”. Siamo costernati per il fatto “che la violenza insensata e spietata sia arrivata così vicino a noi”. E’ quanto scrive il vescovo cattolico di Stoccolma, mons. Anders Arborelius, in un messaggio rilanciato dal Sir in cui si ricorda quanto avvenuto ieri nel Paese scandinavo, dove un camion lanciato contro la folla ha travolto i passanti in una strada pedonale provocando la morte di almeno 4 persone. Il premier svedese Stefan Lofven ha dichiarato che si è trattato di “un attacco terroristico”.

Mons. Arborelius: viviamo in un mondo di male
“Sempre più ci rendiamo conto - aggiunge il vescovo di Stoccolma - che viviamo in un mondo di male e di quanto noi esseri umani siamo vulnerabili”. “Dopo ciò che è successo, la croce di Gesù ci sarà ancora più vicina”. “Dovremo unire la nostra sofferenza qui nel nostro Paese con la sofferenza del crocifisso per la salvezza del mondo”. Solo Gesù - ricorda mons. Arborelius - “ci può dare speranza e fiducia nella difficoltà e nella fatica”, perché “con la sua risurrezione ha sconfitto il peccato e la potenza della morte. La croce porta sempre alla vittoria pasquale”.

Consiglio interreligioso di Stoccolma: mostrato il volto del male
Il Consiglio interreligioso di Svezia sottolinea inoltre in una nota che “l’attacco a Stoccolma ha mostrato il volto codardo e disperato del male”. “Attacchi di questo genere - scrivono insieme i rappresentanti della comunità buddista, del Consiglio islamico, di quello ebraico e del Consiglio delle Chiese - sono stati progettati per distruggere la nostra società, polarizzando e minando la diversità di etnie, culture, religioni” della società svedese. “Le persone con diversa appartenenza religiosa - si legge infine nel messaggio ripreso dall’agenzia Sir - pensano in modi diversi, ma sono unite nella ricerca del bene”. (A.L.)

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Siria: Usa pronti a nuovi attacchi. Vescovo Aleppo: troppi interessi

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Gli Stati Uniti si preparano a varare nuove sanzioni contro il regime siriano di Assad e sono pronti a compiere nuovi azioni se necessario. All’indomani del bombardamento americano sulla base aerea in Siria, la Casa Bianca lancia un duro monito a Damasco. Intanto, negli Usa si manifesta contro la decisione del presidente Trump. Il servizio di Sergio Centofanti

Il presidente Trump non molla la presa su Damasco e lancia nuovi moniti dopo l’attacco chimico che ha ucciso più di 80 persone, di cui almeno 28 bambini, martedì nel Nord della Siria. Gli Stati Uniti accusano il regime di Assad - che nega - e con il lancio di 59 missili da due portaerei nel Mediterraneo hanno distrutto la base siriana di Khan Shaykun da dove sarebbe partito il raid con i gas chimici: in questo bombardamento sarebbero morte 15 persone, tra cui 4 bambini. Ma le notizie sono discordanti: è guerra anche dell’informazione.

La Russia condanna l’attacco americano e invia una nave militare nell’area: gli Stati Uniti – afferma Mosca – colpiscono chi sta combattendo gli integralisti dello Stato Islamico. L’Unione Europea e Israele si schierano invece con Trump. Appoggio anche da Arabia Saudita e Turchia, che vogliono la caduta di Assad. Per l’Iran, l’attacco degli Stati Uniti è pericoloso, distruttivo e viola i principi della legge internazionale, rafforzerà i terroristi e complicherà ulteriormente la situazione in Siria.

Da parte sua, mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, ha espresso in un'intervista a Tg2000 la grave preoccupazione della Santa Sede: "Siamo esterrefatti" dagli accadimenti in Siria - ha detto - sia per l'attacco chimico contro la popolazione inerme e sia per le conseguenze che possono derivare dai contraccolpi successivi.

Sulla situazione nel Paese, a partire dall’intervento Usa, ascoltiamo mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria e vescovo caldeo di Aleppo, al microfono di Luca Collodi:

 

R. – È stata veramente una sorpresa per tutti. È una cosa nuova: sembra un cambiamento nella politica militare a livello internazionale … e non si sa dove andremo. Qui in Siria, si domandano - non è il mio pensiero - se questa storia delle armi chimiche fosse una preparazione per questo intervento, per preparare l’opinione internazionale: dicono così.

D. – Qual è il sentimento della popolazione?

R. – Quelli che sono con i gruppi armati generalmente sono contenti di vedere questa distruzione dello Stato siriano: sono parecchi. Gli altri invece aspettano di vedere cosa succederà: c’è un progetto di divisione della Siria. Tutto questo prepara il modello dell’Iraq: questo è sempre un riferimento per noi. Pensavamo che le cose avvenute in Iraq non potessero succedere in Siria, ma adesso stiamo vedendo questo.

D. – Di fatto, il governo siriano ha ripreso il controllo di buona parte del Paese…

R. – Sì, sembra che abbia ripreso il controllo della linea che va da Damasco fino ad Aleppo. Le città più importanti sono Damasco, Aleppo, Homs, Hama e le città che si trovano sul litorale, generalmente. Ma gli attacchi continuano: ogni tanto ci sono bombardamenti su Damasco, sui quartieri di Aleppo, di Homs: non è finita.

D. – Mons. Audo, perché la comunità internazionale è così concentrata sulla Siria?

R. – Penso che ci siano interessi a livello internazionale. E penso che si tratti di interessi di natura soprattutto economica, che ruotano intorno a tutta la questione del gas e del petrolio. E poi penso che a livello islamico, del Medio Oriente, tutta questa lotta tra sciiti e sunniti sia usata per mantenere in atto queste guerre e portare avanti il commercio della armi. A livello interno, la debolezza della Siria consiste anche nell’usare lo squilibrio tra minoranze e maggioranze. Penso che sia questo il problema.

D. – La comunità cristiana di Aleppo come si prepara alla Domenica delle Palme?

R. – Sono momenti importanti. Sono stato molto sorpreso venerdì sera: da noi, nella Cattedrale, ogni venerdì si svolge la Via Crucis dopo l’Eucarestia. E la chiesa era più piena del solito! Questo avveniva dopo il bombardamento e in questa situazione di inquietudine e di paura. La gente viene di nuovo in chiesa: la fede è una cosa straordinaria! È la sola cosa che ci rimane, perché non abbiamo mezzi politici né economici. Facciamo tutto il possibile per assicurare questa presenza cristiana. Tutto quello che facciamo come vescovi, come sacerdoti e come cristiani, lo facciamo per rimanere presenti qui e per dare testimonianza della nostra fede. Non abbiamo nessun interesse. Tutti hanno interessi in questa guerra in Siria, a livello internazionale, regionale, locale. Noi cristiani della Siria siamo i primi ad aver perso tutto…

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Vescovi Usa: in Siria tregua e soluzione politica

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I vescovi degli Stati Uniti chiedono al governo a lavorare "senza sosta" per ottenere un cessate il fuoco e una soluzione politica in Siria. L'esortazione arriva dopo il lancio di missili Tomahawk ordinato ieri dal presidente Donald Trump contro la base militare siriana di Shayrat responsabile, secondo l’amministrazione statunitense, dell’attacco con armi chimiche avvenuto martedì scorso contro la città di Khan Shaikun, nella provincia di Idlib. Un raid che ha provocato la morte secondo fonti di stampa di oltre 80 persone, tra cui una trentina di bambini.

Necessaria una soluzione politica per la Siria
In un messaggio, firmato dal cardinale Daniel DiNardo e dal vescovo Oscar Cantú, rispettivamente presidente e vice presidente della Conferenza episcopale statunitense, i presuli americani ricordano che “il popolo siriano ha disperatamente bisogno di una soluzione politica”. "Chiediamo agli Stati Uniti di lavorare instancabilmente con altri governi - aggiungono i vescovi - per conseguire un cessate il fuoco, avviare negoziati seri, fornire assistenza umanitaria imparziale e incoraggiare gli sforzi per costruire una società inclusiva in Siria che protegga i diritti di tutti i suoi cittadini, tra cui i cristiani e le altre minoranze". I presuli ricordano anche l’invito del Santo Padre a costruire la pace e ad aiutare tutte le persone colpite dal conflitto in Medio Oriente.

I vescovi chiedono l’intercessione di Nostra Signora Regina della Pace
"Unitevi a noi – si legge infine nel messaggio dei presuli statunitensi - mentre preghiamo per l'intercessione di Nostra Signora Regina della Pace, perché lo sforzo nell’aiuto umanitario e nella costruzione della pace trovi forza nell'amore misericordioso di Suo Figlio, nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo". (A cura di Anna Poce)

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L'Eta consegna gli arsenali e dichiara conclusa la lotta armata

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Giornata storica quella odierna per la definitiva rinuncia alla lotta armata dell’Eta. L’organizzazione separatista basca ha completato il processo di disarmo, fornendo alle autorità una lista di 12 depositi di armi ed esplosivi, situati nella Francia sud-occidentale, alla frontiera con la Spagna. Si chiude un periodo  drammatico per il Paese iberico, costato in passato la vita a oltre 800 persone. Rimane in piedi la questione dei circa 360 appartenenti all’Eta, tuttora reclusi nelle carceri spagnole e francesi. Il servizio di padre Ignacio Arregui

È un giorno importante per la pace e la convivenza nei Paesi Baschi, in Francia e in Spagna. La procedura per il disarmo è un po’ complessa: alcuni mediatori internazionali hanno ricevuto l’informazione precisa riguardo la localizzazione delle armi. Poi, questi mediatori hanno consegnato l’informazione al governo francese, poiché i depositi si trovano nel territorio transalpino. Sono parecchi i dubbi su questa operazione. Innanzitutto, ci si chiede se l'Eta ha consegnato tutte le armi.

Si dice che l'organizzazione oggi non controlla tutto il suo arsenale; quindi si impegna a consegnare quegli armamenti di cui ha conoscenza. Ma c’è anche un altro dubbio: ha consegnato anche le armi usate nei suoi attentati? Si dice che la polizia scientifica potrebbe trovare in queste armi usate i segnali precisi per l’individuazione di tanti attentati che non sono stati chiariti.

Per quanto riguarda il governo di Madrid, questo ha dato prova di una forte chiusura, ripetendo che l’Eta non riceverà alcun premio o compenso per questo gesto. Ma qui viene in evidenza la questione dei prigionieri dell’Eta, che sono ancora tanti. Con l’Eta disarmata non si giustificherebbe più che i prigionieri si trovino in carceri situate in Francia o in Spagna, lontano dai loro familiari. Quindi, anche senza dare un riconoscimento all’Eta, si potrebbe però permettere che i prigionieri siano trattati con meno rigore rispetto a quello attuale. Per quanto riguarda l’Eta stessa, essa dovrà affrontare un’altra decisione, che tutti si aspettano e desiderano: il suo scioglimento come associazione. Insomma, vale la pena ricordare quello che si ripete, che il disarmo dovrà essere totale, legale, definitivo, e che non avrà alcun compenso.

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Via Crucis a Roma a sostegno delle vittime della prostituzione

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In migliaia sono scesi in strada ieri nel quartiere Garbatella di Roma per una Via Crucis di solidarietà e preghiera in favore delle giovani donne vittime di tratta, prostituzione coatta e violenza. Un evento organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata nel 1968 da Don Oreste Benzi, con l’obiettivo di sensibilizzare cittadinanza e istituzioni su un fenomeno che in Italia riguarda 90 mila ragazze. C’era per noi Michele Raviart

“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonata?”. Lo urla, al femminile rispetto alla tradizione evangelica, una ragazza "crocifissa" sul sagrato della chiesa di Santa Francesca Romana, a pochi metri dalla via Cristoforo Colombo dove decine di ragazze sono costrette a vendere il proprio corpo. A pochi giorni dall’inizio della Settimana Santa, il suo grido è quello di tutte le donne ridotte in schiavitù con la promessa di un futuro migliore. Donne come Jennifer, questo il nome che ha scelto per non essere riconosciuta, che dalla Nigeria ha raggiunto Londra e poi Milano e Cuneo, dove è stata obbligata a prostituirsi per cinque anni. Le era stato promesso di lavorare in un negozio di vestiti, ma al suo arrivo quello che sarebbe stato il suo sfruttatore le ha chiesto 70 mila euro per riscattarsi. Ascoltiamo la sua testimonianza:

"Mi ha dato una piccola gonna, un reggiseno e mi ha detto: 'Mettilo. Stai lì, questo è il tuo posto', ed io: 'Il posto, per fare cosa?' – 'Se tu non vuoi fare questo lavoro, dove trovi i soldi? Altrimenti io parlo con la polizia'. Avevo paura. Se parlavo, andava nel mio Paese e ammazzava la mia famiglia, i miei figli. Adesso sto bene, vivo in una casa comunità, ho trovato un lavoro. La mia vita non è più come prima. Adesso la mia vita mi piace".

La terza edizione della Via Crucis “per le donne crocifisse” ha chiamato a raccolta istituzioni e società civile che simbolicamente si sono passate la croce dopo ogni stazione dal percorso. Dalla magistratura ai ministri della Salute Beatrice Lorenzin e degli Esteri Angelino Alfano, dalle forze dell’ordine italiane alla Gendarmeria Vaticana: una testimonianza dell’impegno comune nel lottare contro questa tratta di esseri umani. Un fenomeno, quello della prostituzione di strada, quadruplicato negli ultimi due anni e spesso legato allo sfruttamento dell’immigrazione dall’Africa. Spiega Antonio Tajani presidente del Parlamento europeo:

"Se non risolviamo il problema di Boko Haram, la siccità e la carestia in Somalia, la situazione in Niger, la situazione nella Repubblica Centrafricana ci sarà sempre gente che fuggirà, e tutti coloro che speculano sulla disperazione di queste persone cercano di fare affari in tutti i modi, soprattutto con le ragazze, che quando credono di essere arrivate ad una condizione di vita migliore rispetto a quella che avevano nel loro Paese, scoprono invece mercanti di carne umana. Quindi il problema va risolto a monte".

Nel corso dell’udienza generale di mercoledì scorso Papa Francesco aveva esortato la Comunità Giovanni XXIII, già incontrata durante uno dei “Venerdì di Misericordia”, a continuare la sua opera in favore delle ragazze sottratte dalla strada. Un lavoro che vuole superare anche l’indifferenza di chi vede queste donne e fa finta di niente. Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Giovanni XXIII:

"Il motivo di questa marcia è questo: dire che la Risurrezione è possibile. Cristo è risorto veramente e queste ragazze sono state liberate. La responsabilità della società è ovviamente dei clienti ma anche dell’indifferenza dei cosiddetti 'onesti' che se ne disinteressano. Molte di loro sono bambine, sono minorenni, hanno dei bimbi. Questo oggi non è più ammissibile. Queste ragazze quando sentono che qualcuno veramente offre loro un’alternativa scappano, corrono via, sono felici".

La solidarietà del Papa è stata portata da mons. Angelo Giovanni Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, che ha chiesto perdono a migliaia di ragazze che hanno subito violenze indicibili in “terre che si dicono civili e cristiane”. Una schiavitù come quella del male definito “moderno, troppo moderno” delle madri surrogate e dell’utero in affitto, “che riduce la donna a un mero strumento per la fabbricazione di esseri umani”. Il cardinale vicario Agostino Vallini:

"La donna viene sopraffatta dal male, dal peccato, dall’abuso, dalla violenza. Attraverso la preghiera e soprattutto attraverso la meditazione della Passione di Gesù, vogliamo creare una sorta di presa di coscienza: queste donne crocifisse meritano di essere particolarmente amate e riscattate dalla società".

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Il card. Betori ai politici: superare interessi personali

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“Nella vita sociale e politica, ogni momento siamo provocati a superare gli interessi personali o di parte, per cercare il bene comune, in una costante attenzione agli altri e ai loro veri bisogni”. E’ quanto ha affermato ieri pomeriggio l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, presiedendo nella Chiesa di san Salvatore la celebrazione eucaristica per le persone impegnate in ambito sociale e politico. Il porporato ha sottolineato che non ogni desiderio e non ogni presunto bisogno indotto dai modelli di pensiero dominanti “costituiscono il vero bene della persona umana e della convivenza civile”.

Il volto di Dio si rivela nella fragilità dell’uomo Gesù
Gli oppositori di Gesù, ha aggiunto l’arcivescovo, “non accettano che il volto di Dio si riveli nella fragilità dell’uomo Gesù, nella misericordia che tutti accoglie, soprattutto i più marginali, nel proporsi non con gesti di potere e di dominio bensì con la generosità del dono di sé con cui ci si consegna agli altri fino al sacrificio”. “Questo volto di Dio e di Gesù – ha detto il cardinale Betori le cui parole sono state riprese dall'agenzia Sir- scandalizza e ostacola ancora oggi la fede”.

Sconfiggere la logica del primato del denaro
È una scelta di fede – ha osservato – ma “è anche una scelta di come stare al mondo: chiusi nella torre d’avorio del nostro egoismo o aperti agli altri? Alla ricerca della soddisfazione di ogni nostro desiderio o pronti a costruire il bene attraverso il sacrificio?”. L’arcivescovo di Firenze ha infine ricordato un’esortazione più volte  lanciata da Papa Francesco: “mettere al centro delle scelte l’attenzione alle marginalità e sconfiggere la logica del primato del denaro a scapito della persona”. “Su questo – ha concluso – si misura la coerenza di un cattolico che si sente chiamato a spendere la propria vita nel sociale”. (A.L.)

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica delle Palme

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Nella Domenica delle Palme, la liturgia ci presenta la Passione del Signore secondo il Vangelo di Matteo. Gesù, prima di essere arrestato, avverte Pietro che, prima che il gallo canti, lo rinnegherà tre volte. Quando accade ciò che aveva detto Gesù, Pietro piange amaramente. Il Signore viene flagellato, deriso, alla fine è crocifisso. Sulla croce, poco prima di morire, grida a gran voce:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Sulla Domenica della Passione del Signore ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Quanto è utile, anzi, fondamentale, entrando nella Settimana santa, trovare il tempo per soffermarsi a meditare la Passione del Signore. Molti santi sottolineano l’efficacia del contemplare le sofferenze e le umiliazioni, a cui il Salvatore si è volontariamente sottoposto per liberarci dai condizionamenti del diavolo, per far sgorgare dal nostro cuore sentimenti d’amore e di gratitudine nei suoi confronti. Per questo, già dal principio della Quaresima, la Chiesa ci esorta a rivivere, specie in questa settimana, la dolorosa Via Crucis con cui Gesù assume su di sé la nostra condanna. Tale riflessione può aiutare anche a comprendere la contraddizione di Pietro, che dopo aver proclamato di seguire il Messia senza alcuna esitazione, è colto da improvviso terrore fino a rinnegare Colui che diceva di amare. L’agire del principe degli apostoli illumina tanti nostri tradimenti ed incoerenze che ci umiliano e ci svelano la nostra fragilità. La consapevolezza del proprio peccato ha preparato il primo Papa ad assumere la grande missione di guidare la Chiesa dei salvati confermando i fratelli. Anche noi, illuminati dalla Passione del Figlio di Dio e sperimentandone profondamente la tenerezza per le nostre cadute, veniamo preparati ad assumere umilmente la missione che il Padre ci affida, rinnovati dalla potenza della Pasqua.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 98

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