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Sommario del 27/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: la misericordia non resta indifferente al grido di chi soffre

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“La misericordia non può rimanere indifferente davanti alla sofferenza degli oppressi, al grido di chi è sottoposto a violenza, ridotto in schiavitù, condannato a morte”. È una delle affermazioni centrali della catechesi di Papa Francesco all’udienza generale svoltasi in Piazza San Pietro. Il Papa ha invitato anche alla pace in famiglia: il Giubileo, ha detto, “è una buona occasione” per “perdonarsi”. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Come tante pagine alte della Bibbia anche quelle più ordinarie della vita possono essere storie che parlano di misericordia, se si sceglie di amare e perdonare.

Ritrovarsi in un abbraccio
Papa Francesco lo mette in chiaro all’inizio della catechesi, quando afferma che “nella Sacra Scrittura, la misericordia di Dio è presente lungo tutta la storia del popolo d’Israele” e ricorda la vicenda di Giuseppe, venduto dai propri fratelli con i quali torna poi a riappacificarsi, aprendo il cuore alla riconciliazione piuttosto che chiuderlo al risentimento:

“E penso ai tanti fratelli che sono allontanati in una famiglia e non si parlano. Ma quest’Anno della Misericordia è una buona occasione per ritrovarsi, abbracciarsi e perdonarsi… Dimenticare le cose brutte”.

Non distogliere lo sguardo
Praticare la misericordia, afferma il Papa, significa avere il cuore di Dio, che “risponde e si prende cura dei poveri, di coloro che gridano la loro disperazione”. Che “ascolta e interviene per salvare”, ispirando donne e uomini generosi:

“La misericordia non può rimanere indifferente davanti alla sofferenza degli oppressi, al grido di chi è sottoposto a violenza, ridotto in schiavitù, condannato a morte. E’ una dolorosa realtà che affligge ogni epoca, compresa la nostra, e che fa sentire spesso impotenti, tentati di indurire il cuore e pensare ad altro. Dio invece ‘non è indifferente’, non distoglie mai lo sguardo dal dolore umano”.

Dio non resta in silenzio
Poco più tardi, Francesco lega questo pensiero alla situazione drammatica di tanta popolazione del Medio Oriente, salutando e rassicurando i pellegrini provenienti dall’Iraq e dal resto dell’area con queste parole:

“Dio non rimane ‎in silenzio dinanzi alle sofferenze e alle grida dei suoi figli, o dinanzi ‎all’ingiustizia e alla persecuzione, ma interviene e dona, con la Sua ‎Misericordia, la salvezza e il soccorso”.

La misericordia si muove per salvare
La Bibbia insegna che quando Dio si mostra misericordioso con l’uomo, stringe con lui un’alleanza. La figura che il Papa indica è quella di Mosè, il quale, salvato – dice – dalla morte nelle acque del Nilo per un atto di misericordia divina, “si fa mediatore di quella stessa misericordia permettendo al popolo di nascere alla libertà salvato dalle acque del Mar Rosso”:

“E anche noi in quest’Anno della Misericordia possiamo fare questo lavoro di essere mediatori di misericordia con le opere di misericordia per avvicinare, per dare sollievo, per fare unità… Tante cose buone si possono fare. La misericordia di Dio agisce sempre per salvare. È tutto il contrario dell’opera di quelli che agiscono sempre per uccidere: ad esempio quelli che fanno le guerre”.

“Facciamo cose di misericordia”
Anche noi, conclude Francesco, diventiamo come Mosè se accogliamo l’alleanza con Dio e ci lasciamo salvare da Lui:

“E se noi siamo figli di Dio e abbiamo la possibilità di aver questa eredità - quella della bontà e della misericordia - in confronto con gli altri, chiediamo al Signore che in quest’Anno della Misericordia anche noi facciamo cose di misericordia; apriamo il nostro cuore per arrivare a tutti con le opere di misericordia, l’eredità misericordiosa che Dio Padre ha avuto con noi”.

Prima della fine dell’udienza, un intervallo colorato e allegro ha portato sul sagrato della Piazza, di fronte al Papa, alcuni artisti del circo che si sono esibiti in numeri di danza e di acrobazia, suscitando l’apprezzamento di Francesco: “Voi – ha detto – siete fautori di bellezza” e “la bellezza fa bene all’anima”, “ci avvicina a Dio”.

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Nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Porto Alegre padre Adilson Pedro Busin, della Congregazione dei Missionari di San Carlo, finora vicario regionale per la Regione sudamericana con sede a Porto Alegre. Il neo presule è nato il 20 maggio 1965 a Sarandi, arcidiocesi di Passo Fundo, nello Stato di Rio Grande do Sul. Ha studiato Filosofia presso l’Università di Caxias do Sul (1986-1987) e Teologia presso l’Istituto Teologico São Paulo (Itesp) a São Paulo (1989-1993). Ha ottenuto poi la Licenza in Scienza dell’educazione presso la Pontificia Università Salesiana di Roma (1996-1999). Ha fatto la Professione religiosa come Scalabriniano il 31 maggio 1992 ed è stato ordinato sacerdote il 9 gennaio 1993. Nell’ambito della sua Congregazione ha svolto gli incarichi di Animatore vocazionale e Rettore del Seminario minore a Ciudad del Este, in Paraguay (1992-1995); Maestro dei novizi a Porto Alegre (2001-2007) e Superiore Provinciale (2007-2013). Attualmente è Vicario regionale della Regione sudamericana, Presidente dell’Associazione Scalabriniana per il servizio dei migranti e Maestro dei novizi.

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Santa Sede: israeliani e palestinesi abbiano il coraggio della pace

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Servono decisioni coraggiose per risolvere il conflitto israelo-palestinese: è quanto ha affermato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu l’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, mons. Bernardito Auza. Il servizio di Stefano Leszczynski: 

Cresce la preoccupazione della Santa Sede per il difficile stallo in cui si trova il processo di pace israelo-palestinese, una crisi talmente grave – sostiene mons. Auza - da far sorgere dubbi sulla validità degli Accordi di Oslo. Di qui la convinzione da parte della Santa Sede della necessità di decisioni coraggiose e di concessioni reciproche sia da parte israeliana che palestinese per giungere ad una situazione di sicurezza, prosperità e pacifica coesistenza. Come già detto da Papa Francesco – ha incalzato mons. Auza – si tratta di due popoli che dal profondo dei loro cuori non chiedono altro che una pace troppo spesso ostacolata da una retorica di propaganda e dal ricorso alla violenza. Una violenza che non ha risparmiato sofferenze neppure ai cristiani in molte regioni del Medio Oriente, ma che può essere sconfitta attraverso la diplomazia e il dialogo, come dimostra l’Accordo concluso tra Santa Sede e Stato di Palestina nel gennaio 2015, definito da mons. Auza un vero esempio di dialogo e cooperazione anche per gli altri Paesi a maggioranza araba e musulmana.

Facendo esplicito riferimento al conflitto siriano e alla crisi libica, l’osservatore della Santa Sede ha ribadito l’appello a fermare l’afflusso di armi nella regione e a rinforzare, invece, le azioni umanitarie in favore dei rifugiati e dei profughi nella regione. La Santa Sede - ha detto mons. Bernardito Auza - sostiene la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza che garantisce il rispetto della sovranità, dell’indipendenza, dell’unità e dell’integrità territoriale della Repubblica Araba di Siria e che ribadisce la necessità di una soluzione politica del conflitto. A tal fine la Santa Sede guarda con particolare speranza alle iniziative di dialogo promosse dalla comunità internazionale e ai colloqui previsti per la fine di questa settimana a Ginevra.

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Turkson a Cebu: Eucaristia è amore per i poveri e per il creato

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“L'Eucaristia è il paradiso in terra” e ci invita alla condivisione dei beni del pianeta con i poveri e alla cura del creato: è quanto sottolinea in un messaggio il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in occasione del 51.mo Congresso eucaristico internazionale in corso a Cebu, nelle Filippine, sul tema “Cristo in voi, speranza della gloria”. Il porporato ha svolto la sua riflessione a partire dalla Enciclica di Papa Francesco Laudato sì. Sul Congresso eucaristico, il nostro inviato Sean-Patrick Lovett ha intervistato il padre agostiniano scalzo Luigi Kerschbamer, da 20 anni a Cebu: 

R. – Qui a Cebu, accanto ad ogni parrocchia, c’è la cappella per l’adorazione eucaristica, che normalmente si svolge in moltissime chiese 24 ore al giorno. Se la chiesa grande è chiusa, la cappella dell’adorazione è sempre aperta. E’ quasi logico, quindi, che il Congresso sia stato fatto proprio qui a Cebu. Può darsi che sia così anche in altre diocesi, ma so che a Cebu è qualcosa di speciale. Il Congresso si svolge a Cebu perché qui  è iniziata l’evangelizzazione, fra l’altro grazie ai miei confratelli agostiniani, oltre 450 anni fa, ed è l’unico Paese dell’Asia a maggioranza cattolica – i cattolici sono oltre il 90 per cento – e può essere il punto di partenza dell’evangelizzazione per gli altri Paesi. Al Congresso eucaristico di Cebu sono presenti tanti cinesi, abitanti del Myanmar e di altri Paesi vicini asiatici, dunque, sarà grande la sensibilizzazione per l’evangelizzazione. Le liturgie in questi giorni sono state intense e solenni. Pensando un poco all’Europa e anche al Brasile, dove sono stato per una quindicina di anni, vedere la solennità, la bellezza dei canti, l’organizzazione, tutto è stato davvero qualcosa di sorprendente. Quindi, indirettamente, è un incoraggiamento, per quelli che sono venuti da altri Paesi asiatici a ritornare nel proprio Paese per rilanciare l’evangelizzazione.

D. – Chi ha seguito il viaggio di Papa Francesco qui nelle Filippine, nel gennaio di un anno fa, ha potuto constatare di persona o almeno vedere, vivere attraverso le immagini  della televisione, questo entusiasmo, questa passione con cui i filippini esprimono la loro fede. E’ soltanto un’immagine o corrisponde a realtà?

R. – Beh, si può essere anche critici. Ma dico questo: la settimana scorsa c’è stata a Cebu la festa  del Santo Niño, del Santo Bambino, e in processione c’erano un milione e trecentomila persone con i vescovi che hanno camminato per cinque, sei chilometri a piedi, guidando una processione di cinque, sei ore. Ed è una cosa impressionante. Praticamente non ci si poteva muovere. E’ stata un’espressione della fede di questa gente, un atto di ringraziamento. Solo per dirne una: sono cappellano dell’Università e sono sempre sorpreso che ci siano dei danzatori ufficiali in onore di Gesù Bambino. Se in Italia abbiamo il carnevale, qui ci sono le sfilate, ma in onore di Gesù Bambino. Allora, all’Università c’è stata la danza in onore di Gesù Bambino, ma i danzatori principali erano tutti professori e la prima ballerina era la preside! Quest’anno, andando in pensione, aveva promesso che avrebbe danzato in onore di Gesù Bambino come ringraziamento.

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P. Benedettini: vi racconto i miei 20 anni alla Sala Stampa Vaticana

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Il 31 gennaio prossimo, dopo vent'anni di servizio, padre Ciro Benedettini lascerà l’incarico di vice-direttore della Sala Stampa della Santa Sede. A succedergli sarà il giornalista statunitense Greg Burke. Nell’intervista di Alessandro Gisotti, padre Ciro Benedettini racconta i suoi anni passati al servizio di tre Papi e si sofferma su come sia cambiata la comunicazione vaticana dal suo arrivo in Sala Stampa ad oggi. Innanzitutto, però, padre Ciro, con semplicità - così come è conosciuto con affetto dai vaticanisti di tutto il mondo - confida i sentimenti che prevalgono in lui in questo momento: 

R. – Con un misto di sentimenti, in parte gioia e in parte tristezza, ma domina la gioia. Domina la gioia perché sono grato al Signore che mi ha dato l’opportunità di lavorare per la Chiesa, al servizio di tre Papi e che Papi! Uno di questi poi è Santo e non capita a tutti di essere stati vicino a un Santo e non solo di averlo visto, ma di averci parlato, di averci mangiato insieme, di averlo servito per tanti anni: Giovanni Paolo II. C’è anche un po’ di tristezza, a dire il vero - perché sono stati 20 anni - soprattutto verso il personale della Sala Stampa: con la maggior parte di queste persone ho lavorato per 20 anni. Quindi c’è un rapporto affettivo. Ma anche con la stragrande dei giornalisti ho avuto un ottimo rapporto.

D. – Lei è stato vice-direttore della Sala Stampa della Santa Sede per 20 anni, al servizio – appunto – di tre Pontefici. Quali sono stati, secondo lei, i cambiamenti più significativi nel modo di lavorare e di comunicare proprio alla Sala Stampa?

R. – Cambiamenti radicali! Quando sono venuto c'era ancora tutta una informazione data sulla carta, una informazione cartacea. Ricordo che – esattamente un anno dopo il mio arrivo in Sala Stampa – nel Natale del 1995, insieme al dott. Navarro-Valls riuscimmo ad installare Internet: credo che sia uno dei miei punti di onore, di aver cioè fatto parte di questo team che ha portato avanti questo nuovo mezzo di comunicazione così importante nella Santa Sede. Man mano che si è andati avanti, la digitalizzazione e l’informatizzazione è progredita fino a rendere quasi soltanto complementare la parte cartacea. L’altra grande novità – a mio parere – è il fatto che c’è questa esplosione dell’informazione. Una ventina di anni fa la rassegna stampa e il monitoraggio era semplice: una ventina di giornali e riviste ed era fatta. Adesso con i blog, con i social media, c’è una esplosione tale di informazione che è difficile realmente controllarla. Anche perché, anche se non è quella ufficiale - come quella delle agenzie - ma semplicemente quella dei social media, spesso ha un'influenza molto importante e molto grande. Non si può non tenerne conto. Il problema è che, quando io sono venuto qui, i giornalisti per avere l’immediatezza dell’informazione vaticana erano "costretti" a venire in Sala Stampa: adesso siamo noi, con Internet, che li inseguiamo, che mandiamo l’informazione vaticana ad inseguirli dovunque sono! E questo è ovviamente un guadagno per l’immediatezza dell’informazione, per la rapidità; d’altra parte, però, non guardi più in faccia gli occhi del giornalista e questa penso che sia una grossa perdita: molti giornalisti noi li vediamo solo nelle grandi occasioni…

D. – In base alla sua esperienza, quali consigli si sentirebbe di rivolgere a quanti nella Chiesa – a diversi livelli – stanno per intraprendere il servizio della comunicazione?

R. – Lei ha usato la parola “servizio” e mi sembra che questa sia proprio la risposta migliore. Tutta l’informazione e in modo particolare l’informazione ecclesiastica deve essere intesa come un servizio, un servizio alla Chiesa, un servizio agli altri, un servizio alla verità. Dobbiamo essere coscienti che, dando le notizie, noi diamo agli altri dei mezzi di interpretazione della realtà che ci circonda. E quindi dobbiamo avere una umiltà, una prudenza e un rispetto grandissimo nel dare queste informazioni. Io penso che uno dei problemi grossi sia quello della fretta, che costringe ad essere superficiali.

D. – C’è un ricordo, un aneddoto, tra i tanti che ha, che vuole condividere per sintetizzare in qualche modo la sua esperienza bella, gioiosa – come ha detto lei – lunga e appassionante alla Sala Stampa?

R. – Io ricordo un fatto che è avvenuto a dire il vero un anno prima della mia assunzione qui alla Sala Stampa: ero qui per il Sinodo e il Santo Padre, insieme ai segretari linguistici, mi invitò a cena. Io ho presente il Santo Padre, che era proprio di fronte a me con i suoi occhi che interrogava: "Cosa fai? cosa non fai?". E ho visto la curiosità di questo uomo e ho pensato che spesso diciamo che le nostre autorità sono chiuse in una torre d’avorio, lontane, non conoscono la realtà… Questo Papa – eravamo in 6 – ad ognuno ha fatto dire cosa facesse, cosa non facesse, cosa pensasse del Sinodo e di tutto il resto! Quindi realmente si informava. Questo è uno dei ricordi più belli che ho di Giovanni Paolo II. E poi sempre di Giovanni Paolo II ho un altro ricordo, che magari per qualcuno potrebbe essere triste, in realtà io la chiamo “un’epopea”, e sono gli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II e il suo funerale… Noi eravamo “fasciati” – oserei dire – dalla gente, ma questa gente era silenziosa, appena sussurrava le preghiere; e poi ricordo che quando abbiamo annunciato la morte, i giornalisti venivano a portarci le condoglianze e c’erano delle persone che erano fuori la Sala Stampa, sotto i propilei, che chiedevano - anche loro - di entrare per venire a farci le condoglianze e ce le facevamo reciprocamente, perché tutti sentivamo che avevamo perduto una persona veramente cara. Io la chiamo “epopea” perché c’era come una osmosi tra noi e la folla: i sentimenti della folla erano i nostri, i nostri erano i sentimenti della folla. Certo, abbiamo sentito il dolore per la perdita del Papa, ma – nell’insieme – c’è stato questo trionfo di unità verso il Santo Padre e quindi un trionfo anche di fede, fede nella vita eterna.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Riserva d'oro e d'argento: all'udienza generale il Papa ricorda che ogni uomo è prezioso agli occhi di Dio.

Soli all'uscita di scuola: Ferdinando Cancelli sui bambini ebrei salvati in Francia durante l'occupazione nazista.

La parola: Giulia Galeotti recensisce il nuovo romanzo di Mariapia Veladiano.

Con gli occhi della preghiera: Silvia Gusmano su una storia di una suora.

Un articolo di Cristiana Dobner dal titolo "Con lo sguardo alla luna": alla ricerca di una dimensione che caratterizzi un ebreo e la sua cultura.

Sul cammino dell'umanità: Silvia Guidi su homo sapiens e senso religioso.

Storia d'amore: il postulatore della causa, Piergiorgio Confalonieri, sulla spiritualità di Giuseppe Lazzati.

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Oggi in Primo Piano



Cisgiordania. Netanyahu critica Ban Ki-moon, l'Onu risponde

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Ban Ki-moon ha condannato la violenza e “non l'ha incoraggiata in alcun modo”: così il Palazzo di Vetro replica alle critiche del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che aveva accusato il segretario generale dell’Onu di “incoraggiare il terrorismo”. Dopo che nei giorni scorsi lo Stato ebraico aveva approvato la costruzione di 153 nuove case per coloni della Cisgiordania, Ban Ki-moon – parlando alla riunione sul Medio Oriente in Consiglio di Sicurezza – aveva definito le attività di insediamento israeliane “un affronto al popolo palestinese e alla comunità internazionale” e aveva esortato entrambe le parti a perseguire la soluzione dei due Stati, aggiungendo che “è nella natura umana per i popoli oppressi reagire all'occupazione”. Quali sono dunque i motivi che hanno portato Netanyahu a reagire così duramente contro Ban Ki-moon e l’Onu? L'opinione di Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze, intervistata da Giada Aquilino

R. – La paura. Anche perché Ban Ki-moon ha parlato davanti al Consiglio di Sicurezza e quindi ha detto cose implicitamente approvate dai membri del Consiglio. Ed è il Consiglio il terreno della battaglia, perché ciò che preoccupa moltissimo Netanyahu è il cambio di atteggiamento degli Stati Uniti. Proprio ieri, assieme al dibattito all’Onu, è arrivata la notizia che stanno cominciando a costruire di nuovo nel West Bank e gli americani si sono sempre opposti a questo. Inoltre, nelle ultime settimane l’ambasciatore americano in Israele, Dan Shapiro, ha in ben due occasioni parlato assai duramente. Ha smentito che la legge israeliana contro le organizzazioni non governative sia modellata sul modello americano – scopo della legge israeliana è quello di limitare l’azione delle agenzie – e inoltre a un convegno l’ambasciatore Shapiro ha detto che ci sono nel West Bank due leggi: una per gli israeliani e una per i palestinesi. Quello che preoccupa veramente Netanyahu è che questo è l’ultimo anno della presidenza Obama, con cui ha sempre avuto rapporti assai tesi, e c’è il rischio che in tale periodo venga meno in seno di Consiglio il veto americano e che quindi il Consiglio voti una risoluzione contro Israele. Questa potrebbe avere grosso modo due contenuti: o il divieto di nuove costruzioni nel West Bank, oppure la ripresa di un’iniziativa, finora di marca francese, che vuole obbligare le parti al negoziato in tempi certi.

D. – Eppure., negli anni ci sono state da parte dell’Onu dei pronunciamenti di condanna contro il muro in Cisgiordania, ci sono stati rapporti sull’operazione “Piombo Fuso” a Gaza nel 2009…

R. – Non erano vincolanti. Erano dichiarazioni, ma non erano risoluzioni.

D. – Le critiche di Netanyahu sono arrivate dopo la morte di una giovane donna ferita da due assalitori palestinesi. Potrebbero essere collegati pure alla cosiddetta “Intifada dei coltelli” che si protrae da ottobre?

R. – Certo, anche perché i vertici militari sanno che l’“Intifada dei coltelli” o di altro non ha una direzione – è assolutamente spontanea – e quindi è assolutamente intrattabile sia in termini militari sia politici, se non forse con un radicale cambiamento.

D. – Negli ultimi giorni, dopo una pausa di 18 mesi, Israele ha dunque autorizzato la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. Perché ora?

R. – Perché questo governo Netanyahu è ancora più a destra del precedente e perché non può resistere oltre né alle pressioni della base che lo sostiene né alle iniziative di certi ministri, come Naftali Bennett o Ayelet Shaked, che sono ancora più a destra di Netanyahu.

D. – Che momento politico è per Netanyahu e per il Likud?

R. – Stanno aspettando il nuovo presidente americano e temono quello che il presidente uscente possa fare con ciò che loro considererebbero un “colpo di coda”.

D. – La linea degli Stati Uniti a fine mandato Obama allora può cambiare?

R. – Più che cambiare, può fare quello che hanno detto sempre di voler fare: incoraggiare un vero negoziato ed evitare passi falsi sul terreno. In sede Onu, possono concretizzare tale indirizzo con il semplice sistema di non porre il veto: cioè non devono neanche votare a favore di una risoluzione, basta che si astengano.

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Giornata della Memoria: la testimonianza di Alberto Mieli

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Tante le cerimonie in tutto il mondo in occasione della Giornata della Memoria delle vittime della Shoah. La data scelta per la commemorazione è quella dell’anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, avvenuto il 27 gennaio 1945, da parte delle truppe sovietiche. Un ebreo opravvissuto, Alberto Mieli, ha deciso di raccontare dopo 71 anni la sua infernale esperienza di deportato nel lager di Auschwitz. L’intervista è di Fabio Colagrande

R. – Sono diversi anni che vado nelle scuole, nelle università e negli atenei a raccontare la verità di quello che succedeva nei lager. Però i particolari li racconto adesso…

D. – Perché ha deciso di raccontare?

R. – Prima di tutto per dovere verso quei compagni che non sono ritornati a casa; e poi perché è un dovere raccontare ai giovani quello che è successo in quei lager e ciò che i miei occhi hanno dovuto vedere.

D. – Lei racconta, più volte, che era impossibile immaginare l’orrore che avreste trovato nei lager e poi, per molto tempo, è stato impossibile raccontarlo…

R. – Ho assistito a episodi che nessuna mente umana può immaginare! Uno in particolare, lo racconto ai ragazzi quando vado a testimoniare: chi è che non si è mai intenerito davanti a un cucciolo di un cane, a un micino. Abbiamo paura pure di toccarlo per non fargli del male: invece loro, i nazisti, prendevano bambini di 6-7 mesi, che balbettavano dal freddo; li prendevano per i piedini, come quando escono dalla pancia della madre; li facevano dondolare 6-7 volte e poi con violenza li tiravano in alto e sparavano, come se fossero dei volatili…

D. – Nel suo libro lei dice che i giovani devono sapere, devono conoscere anche questi episodi crudeli e orribili: perché?

R. – I giovani devono sapere! E’ giusto che sappiano, perché non c’è stato solo quell’episodio: ce ne sono stati a centinaia… Uccidere un deportato era una cosa normalissima. Non era una cosa anormale: per loro, specialmente la domenica, quando si ubriacavano, uccidere 10-20 deportati così, per divertimento, era una cosa normale.

D. – Ci sono degli episodi di solidarietà che le sono rimasti impressi: persone che pur in quell’inferno facevano del bene, cercavano di fare del bene?

R.- Io sono uno esempio di quelli: quando mi hanno liberato, il cervello è andato subito a pensare alla famiglia e mi domandavo: “Che fine avranno fatto? Si saranno salvati?”… E il Signore mi ha premiato: 8 inquilini hanno preso i miei 8 fratelli: ogni inquilino del palazzo ha preso un mio fratello e lo curava, gli dava da mangiare, lo lavava, come se fosse un figlio…

D. – Signor Mieli, dopo Auschwitz, come è riuscito a mantenere la fede e anche la fede, in qualche modo, nell’umanità?

R. – Anche io ho peccato nel lager: quante volte ho detto: “Ma dov’è questo Signore? Dov’è questo Padre Eterno che permette tutti questi eccidi?”. Poi  magari ritornavo di nuovo a pregarlo affinché salvasse tutta la mia famiglia… Un giorno Papa Wojtyla mi domandò: “Figliolo, come hai fatto a salvarti da quell’inferno?”. Io lo guardai e gli dissi: “Santità, a questa domanda non so rispondere! Però so una cosa certa: lei è una persona molto più colta di me, molto più istruita, molto più brava e perciò gli sta molto più vicino lei che non io: dovrebbe domandarlo al Signore...”.

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Immigrati. Unhcr: da Danimarca cattivo esempio all'Europa

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Con 81 voti a favore e 27 contrari, il Parlamento danese ha approvato ieri nuove e controverse misure sui richiedenti asilo, su proposta del governo liberale di minoranza, con l’appoggio degli alleati dei partiti di centrodestra e del Partito socialdemocratico. Accanto alle proteste internazionali, timori sono stati sollevati da parte delle organizzazioni per i diritti umani e delle Nazioni Unite. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Un segnale di declino per l’Europa in un giorno nero per il diritto d’asilo. Si riassumono così gli amari commenti alla modifica, in Danimarca, della legislazione in materia di asilo, che ora prevede norme sul prelievo ai migranti di denaro e oggetti per un valore superiore ai 1.350 euro (diecimila corone danesi), per contribuire alle spese di mantenimento e alloggio, a esclusione degli oggetti di valore affettivo speciale. Oltre a questo, si allungheranno i tempi di ricongiungimento familiare, che arriveranno fino a tre anni, un punto che – secondo Amnesty International – violerebbe le convenzioni europee. Sin dall’inizio di gennaio, dall’annuncio di aver raggiunto un accordo sulla legge, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva parlato di rischio di alimentare paura e xenofobia nel mondo. Federico Fossi dell’Unhcr:

R. – Come Unhcr, abbiamo espresso già in passato la nostra preoccupazione su questa decisione del governo danese. Una misura che rischia di dare un segnale innanzi tutto negativo ad altri Stati europei che andranno in direzione di una restrizione dello spazio e dell’asilo invece che di un ampliamento, come noi invece auspichiamo. Una misura che quindi rischia anche, in un certo qual modo, di alimentare sentimenti di paura, discriminazione e xenofobia nei confronti dei rifugiati che, ricordiamo, sono persone traumatizzate, in fuga da guerre e persecuzioni e che hanno diritto a ricevere protezione ed assistenza nell’Unione Europea.

D. – Quindi, l’Unhcr teme in sostanza che possa esserci un "effetto domino" in Europa…

R. – Sì, così come abbiamo visto anche per la chiusura delle frontiere lungo la direttrice balcanica. Una misura come questa rischia di andare in senso opposto a quello che invece noi vorremmo ci fosse, cioè una solidarietà globale in espansione nei Paesi europei. Nei mesi scorsi ci sono state grosse iniziative di solidarietà nei Paesi di arrivo, adesso stiamo vedendo una pericolosa chiusura. Oltre ad andare contro la dignità di queste persone, è una misura sbagliata anche per un altro motivo: i richiedenti asilo e i rifugiati hanno ovviamente bisogno dei loro averi per iniziare una vita nuova nel Paese di arrivo. Ad esempio, avere la possibilità di affittare una casa è un trampolino che rendersi autonomi il prima possibile.

D. – Nonostante Copenaghen abbia annunciato la volontà, con questa legge, di voler portare i rifugiati in linea con i disoccupati danesi, in realtà questa è un’operazione per scoraggiare i profughi dal chiedere asilo in Danimarca...

R. – Assolutamente. È un disincentivo a chiedere protezione internazionale in Danimarca. Ricordiamo, invece, che l’Unhcr spinge per una collaborazione di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea affinché garantiscano a persone che ne hanno diritto accesso al territorio dell’Unione in egual misura, dove possano ricevere assistenza e protezione.

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Rapporto Trasparency: corruzione male sociale che grava su tutti

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Somalia e Corea del Nord i Paesi più corrotti, Danimarca e Finlandia i più virtuosi, mentre l’Italia è al 61.mo posto nella classifica mondiale 2015 – 168 gli Stati presi in esame – stilata ogni anno da "Trasparency International", organizzazione con sede a Berlino, presente in oltre 100 Paesi, impegnata a prevenire e contrastare questo male sociale diffuso ovunque, nella pubblica amministrazione e nella politica. Nessuno Stato è escluso. Roberta Gisotti ha intervistato Virgino Carnevali, presidente di "Trasparency Italia": 

D. – Dott. Carnevali, quale evidenze da sottolineare nella classifica 2015?

R. – Un caso specifico è quello del Brasile: dopo lo scandalo Petrobras è crollato il suo indice di corruzione, però mediamente nel mondo siamo agli stessi livelli degli altri anni, chi più chi meno tra tutti gli Stati.

D. – La corruzione è un male morale ma anche un male economico che si riflette poi nella vita di tutti i cittadini…

R. – Certamente sì. La corruzione si batterà solo quando il cittadino capirà che la paghiamo tutti, un po’ come l’evasione fiscale. Finché si tollera l’evasione fiscale del vicino, non ci si rende conto che le tasse che non paga lui le paghi tu, l’evasione fiscale non sarà mai debellata. La stessa cosa accade con la corruzione: bisogna che i cittadini si rendano conto che non è possibile tollerare anche le piccole forme di corruzione, perché da queste nasce una mentalità che porta alle grandi forme. La corruzione è un male che paghiamo tutti.

D. – Veniamo all’Italia: tra i Paesi del G20 è al decimo posto preceduta da Corea del Sud e Arabia Saudita ed è penultima nell’Unione Europea, seguita solo da Bulgaria e preceduta da Romania e Grecia…

R. – In Italia, stanno emergendo clamorosi fatti di corruzione e siccome questo indice misura la percezione della corruzione è chiaro che quando viene scoperto un caso clamoroso come quello di "Roma Capitale" la percezione schizza in alto. Per cui, io mi sarei aspettato addirittura un peggioramento, visti tutti i casi che vengono scoperti. Come ha detto il nostro capo di Stato, l’Italia forse è il Paese dove la corruzione è combattuta di più nel mondo. Per cui, che il Paese sia corrotto è inutile negarlo, lo sanno tutti. Ma d’altro canto, più si combatte e fai emergere i fatti corruttivi più la percezione aumenta. Ed è per questo che noi vediamo dei Paesi dove la corruzione è endemica che hanno un posizionamento in molti casi addirittura migliore del nostro, perché in questi casi nessuno la percepisce come tale.

D. – La vostra organizzazione è impegnata a prevenire, a contrastare al corruzione. Quale proposta arriva da questo Rapporto?

R. – Noi ci muoviamo su vari campi. Da molti anni andiamo nelle scuole a spiegare i problemi della corruzione ai ragazzi, ci muoviamo facendo dei protocolli, delle collaborazioni – come il protocollo che oggi abbiamo firmato con Anac. Abbiamo un protocollo anche con Unioncanìmere... Cerchiamo di mettere insieme delle "buone pratiche", che vadano a contrastare la corruzione, promuoviamo iniziative legislative.

D. – Sembra di capire che il fatto più importante per contrastare la corruzione sia la presa di coscienza da parte della società civile che deve farsi parte attiva…

R. – Sicuramente sì. Non devono essere tollerati i piccoli casi di corruzione, il cosiddetto “ungere le ruote”... Quello non fa altro che predisporre gli animi alla corruzione.

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De Palo: Family Day opportunità per costruire e rilanciare il Paese

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Crescono le adesioni al Family Day che si terrà a Roma il prossimo 30 gennaio. Il Comitato organizzatore dell’evento ribadisce l'impegno a fermare il ddl Cirinnà sulle unioni civili, che domani approda in Parlamento per le questioni pregiudiziali presentate dalle opposizioni, ma il cui voto slitta al 2 febbraio. Il provvedimento prevede anche l’adozione del figlio del partner, punto cruciale che divide ulteriormente la politica italiana. Al microfono di Massimiliano Menichetti il presidente del Forum delle Famiglie, Gianluigi De Palo, sottolinea che il Family Day dirà “no” al ddl Cirinnà mostrando la bellezza e il dinamismo dell’Italia, ovvero della famiglia: 

R. – Credo che sia una bella occasione. Se riusciamo a portare in piazza tutte quelle famiglie che non sono contro qualcuno, ma che vogliono dire in questo Paese, al Paese intero, che la famiglia è un bene da preservare, ma soprattutto che è un bene da rilanciare; se riusciamo ad alzare il livello del dibattito senza contrapposizioni ideologiche ma cercando di dire in maniera chiara che siamo contrari al ddl Cirinnà perché svilisce la famiglia e, nello stesso tempo, chiediamo a questo Paese che la famiglia venga tutelata perché siamo anni luce indietro rispetto a qualsiasi altro Paese al mondo perché non nascono più bambini - e in Italia fare un figlio diventa la causa maggiore di povertà nonostante una crisi demografica - credo che raggiungeremo un bell’obiettivo.

D. - C’è chi vuole però cavalcare l’onda della contrapposizione. Forse fa comodo …

R. - Le contrapposizioni inducono le persone a non dialogare. Io sono  convinto che anche sul tema delle unioni omosessuali se ci si mette attorno ad un tavolo e si vedono i diritti individuali delle persone si trova un accordo in poco tempo. Il problema oggi è che c’è una radicalizzazione di questo scontro e quindi si vuole far passare questa legge, oggettivamente scritta male perché è impugnabile anche da parte della Corte Costituzionale e che apre anche ad una pratica che è quella dell’utero in affitto che credo nessuna donna di buon senso, onesta intellettualmente, possa definire positiva.

D. – Lei ha detto anche che il ddl Cirinnà svilisce il matrimonio …

R. – Svilisce il matrimonio e deresponsabilizza perché se si apre un riconoscimento giuridico di tutte le unioni civili ditemi voi per quale motivo un giovane domani dovrebbe sposarsi civilmente, nel senso che non c’è più nessun vantaggio, nessun motivo. Credo che la priorità sia innanzi tutto farsi una domanda: il matrimonio è ancora utile? Il matrimonio è solo qualcosa che ha a che fare con i cattolici oppure lo Stato ha a cuore una coppia che si impegna in un legame duraturo fatto di responsabilità e doveri? Oggi come oggi non stiamo dando una risposta seria a questa domanda, che è una domanda profondamente laica e concreta.

D. - Quindi questa tematica non riguarda solo i cattolici …

R. - Questa tematica riguarda tutti. Vorrei chiarire una cosa. L’Italia è composta da circa 60 milioni di persone: di queste, 59 milioni 400mila secondo i dati Istat vivono all’interno di una famiglia. Io non credo che ci siano due piazze che numericamente rappresentino gli uni e gli altri. Da una parte c’è chi porta avanti una serie di diritti degli omosessuali e soprattutto cerca di difendere una legge; dall’altra parte non c’è solo una piazza – quella del Circo Massimo di sabato - ma il resto dell’Italia, c’è il Paese intero, quel Paese reale che fatica ad arrivare alla fine del mese, quelle mamme che devono nascondere il pancione perché altrimenti vengono licenziate, quei giovani che non riescono a sposarsi perché non hanno un lavoro, non hanno una casa. Allora io credo che per questo noi dobbiamo cercare di dare risposte a tutto il Paese, indipendentemente se credenti o non credenti.

D. - Dunque sta dicendo che la politica non sta leggendo il Paese reale?

R. - Questo oggi è il grande problema della politica, perché tra i social network e i giornali non si incontrano più le persone, non si stringono più le mani. È triste che certe leggi vengano fatte senza ascoltare realmente e pienamente il Paese reale. La politica, quando non ascolta il Paese reale, poi alla fine, come in questo caso, fa dei provvedimenti che spaccano un Paese in una divisione ideologica che ricorda i tempi delle leggi sull’aborto e sul divorzio.

D. – Molti riportano tabelle in cui si fa vedere che l’Italia è un fanalino di coda in Europa per quanto riguarda la legislazione dei cosiddetti “matrimoni gay” o le unioni civili. In sostanza 15 Paesi europei avrebbero già le legiferato in materia …

R. – Credo che sicuramente c’è un ritardo in tanti campi rispetto all’Europa. Noi prendiamo ad esempio questi temi, invece non prendiamo ad esempio le politiche fiscali, famigliari scandinave o francesi. Sicuramente c’è bisogno di una legge che regolamenta le unioni omosessuali – questo lo hanno detto in molti, il cardinale Ruini, il cardinale Bassetti, il cardinale Bagnasco… – ma non equipariamole al matrimonio, perché altrimenti dovremmo cambiare la Costituzione. Dobbiamo trovare delle soluzioni che vadano a toccare i diritti individuali delle persone, troviamoci attorno ad un tavolo, ma non trasformiamole in matrimonio. E non utilizziamo gli articoli 143, 144 e 147 del Codice civile che fondamentalmente, qualora venissero usati come si sta facendo con il ddl Cirinnà, direbbero  a 14 milioni di persone sposate in Italia che hanno sbagliato, che potevano aspettare un po’ e molto probabilmente, senza prendersi dei doveri, avrebbero avuto tutta una serie di diritti.

D. – Lei sarà in piazza il 30  guardando al 31, ha detto più volte. Che cosa significa?

R. – Io sarò in piazza il 30 con molte associazioni del Forum. Sono contento di esserci ed auspico veramente che riusciremo a dare un segnale concreto, non solo per poter dire "C’eravamo più noi, c’erano più loro", ma per dire cosa proponiamo al nostro Paese, per il quale una famiglia dà dei figli! L’Italia è la famiglia perché l’Italia è fatta di famiglie. Senza le famiglie non andremmo da nessuna parte. In un mondo dove c’è la gara a chi è meno italiano, le famiglie che staranno lì, fondamentalmente diranno: “Vale la pena essere italiano”. Quindi immaginate quale amore ci può essere in quella piazza: una piazza che parla di futuro, perché sarà la piazza più giovane del mondo. E proprio per questo dico "Guardiamo anche al 31". Il girono dopo chiedo a tutte le associazioni, a tutte le persone di buona volontà lì presenti, di essere con lo stesso entusiasmo unite nella sfida più grande che abbiamo: trasformare questo Paese, rilanciarlo dal punto di vista della famiglia, perché solo così riusciremo ad uscire da questa spirale; solo così riusciremo anche ad uscire da una crisi che non è solo economica, ma è anche antropologica e valoriale.

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Veglia di preghiera per la famiglia nei Santuari mariani d'Italia

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Si è tenuta ieri in tutta Italia e a Roma nella Basilica di Santa Maria Maggiore la veglia per la famiglia dal titolo "Porta un fiore a Maria e ... lascia sbocciare la verità". L'iniziativa che vuole rimettere al centro i diritti fondamentali della donna, del bambino e del nucleo familiare è stata promossa dal Rinnovamento nello Spirito Santo e da alcune Associazioni ecclesiali italiane, in collaborazione con la Diocesi di Roma. Il servizio di Veronica Di Benedetto Montaccini: 

E’ la Chiesa intitolata alla mamma per eccellenza ad ospitare la veglia mariana dedicata alla donna e alla famiglia. La Basilica di Santa Maria Maggiore, come altri 45 Santuari in tutta Italia, si riempie di fedeli e di fiori colorati portati da ogni madre, per ribadire la centralità del ruolo della famiglia nella Chiesa. Ascoltiamo Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo:

“La preghiera mobilita i cuori: ecco il segreto della preghiera. Chi parla a Dio può parlare anche agli uomini. E noi vogliamo che il Paese ritrovi un linguaggio più profondo, sui grandi temi che riguardano la vita e la morte della gente. E questo gesto precede qualunque discussione, qualunque mobilitazione, qualunque manifestazione, qualunque decisione parlamentare. La preghiera vale in se stessa, la preghiera ci permette non solo di non perdere l’anima, ma di non fare ammalare il cuore della storia e il cuore delle istituzioni, il cuore della nostra Italia. Non dobbiamo permettere che su temi così importanti, quali quelli della vita e della famiglia, un popolo si divida”.

Una preghiera dal valore sociale, che rilancia alcuni concetti del convegno ecclesiale di Firenze e che vuole sottolineare la bellezza della maternità, continua Salvatore Martinez:

“Qualcuno diceva: perché non fare una veglia per i padri? In realtà sono spesso gli uomini a decidere sulla pelle delle donne: qui verrebbe da dire sull’utero delle donne, cioè sulla vita. La vita è indisponibile ad ogni sperimentazione, macchinazione, mercificazione. La vita è dono. Santuario della vita sono proprio le donne. Vogliamo stare dalla parte dei più deboli ed ecco lo sguardo di Maria, per aiutare le nostre donne, le nostre mamme, le nostre nonne, a custodire la vita anche nel durante della vita stessa. La vita è sfidata oggi dal suo nascere al suo compiersi, ma il miglior inno alla vita lo fa la gente con il senso della fede. Dice Papa Francesco: 'E’ infallibile il popolo di Dio quando crede', e noi lo vediamo ogni giorno, con quanta creatività, con quanta fantasia d’amore le donne sanno stare dalla parte della vita”.

Un momento di raccoglimento in cui sono state proposte le letture per i cinque Misteri del Rosario alternate a quelle di storie di vita vera, testimonianze di famiglie che sfidano le difficoltà quotidiane e che saranno presenti sabato 30 gennaio al Family Day:

R. – Siamo qui perché siamo sposati, perché crediamo nella famiglia, è perché sappiamo che la Madonna ci tiene: lei come esempio, come mediatrice di tutte le grazie ci ha riunito qui stasera, per pregare per tutti, non solo per le famiglie ma anche per i giovani e per tutti quelli che vogliono sposarsi un domani e per continuare a credere in quello che Gesù ci ha lasciato: l’amore per tutti, ma soprattutto per i bambini, che hanno bisogno di vivere nell’amore ma anche nella serenità.

R. – L’importanza è molto grande perché è l’amore coniugale, l’amore filiale, il rapporto genitori-figli quello che noi chiediamo e proponiamo.

R. – Quello che ci portiamo dietro dall’esperienza di Philadelphia è proprio questo: che finché c’è una famiglia da salvare, non ci dobbiamo fermare per nessun motivo.

R. – Sicuramente la preghiera è per le mamme, per la donna ma è una preghiera anche per bloccare questo progetto di legge che sta arrivando al Parlamento. Quindi affidiamo al cielo questo progetto e affido al cielo anche la manifestazione che ci sarà sabato.

I tulipani vengono posati sull’altare alla fine della veglia e il vicegerente della diocesi di Roma, mons. Filippo Iannone, conclude la serata ricordando come “la dignità dell’uomo e della donna si intrecciano indissolubilmente con i diritti della famiglia”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Patriarca Sako: pianificata la persecuzione contro i cristiani

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“Non è un segreto” che siano intervenuti dei “giocatori esterni che hanno agito in base alle proprie ambizioni nella regione”. Sono quelli che “hanno usato la democrazia e la libertà come copertura per privarci delle nostre risorse naturali ed hanno creato il caos ed il terrorismo in Iraq e in Medio Oriente”. È ciò che ha dichiarato il patriarca di Babilonia del Caldei, Louis Raphael I, nel discorso preparato per la conferenza sui diritti delle minoranze religiose nel mondo musulmano, che è in corso in questi giorni a Marrakech, in Marocco. 

2003 anno della deriva dell'Iraq e inizio delle sofferenze dei cristiani
Nel suo discorso, ripreso dall’agenzia Fides, il patriarca identifica nel 2003 – anno dell’intervento militare Usa contro il regime di Saddam Hussein – l’inizio dei processi storici che stanno portando l’Iraq alla deriva con un “ordine del giorno sistematico e ben pianificato” che prevede anche “la sparizione dei cristiani e delle altre minoranze religiose” autoctone. 

Crescente la discriminazione dei cristiani nella società irachena
Nel suo intervento, il Patriarca ha anche elencato una serie di recenti episodi che documentano la crescente discriminazione dei cristiani nella società irachena: “Un giudice di Baghdad”, ha raccontato, “ha respinto un cristiano dal tribunale in qualità di testimone, affermando che i cristiani non sono ammessi come testimoni nei tribunali iracheni. Alcuni costruttori musulmani si sono rifiutati di costruire case e dimore religiose per i cristiani, perché identificati come infedeli. Le milizie a Baghdad hanno preso possesso delle case dei cristiani, dei loro terreni e delle loro altre proprietà. Sono stati affissi dei manifesti, anche negli uffici pubblici, con cui si chiede alle ragazze cristiane di indossare il velo, sull’esempio della Vergine Maria”. 

Formazione di religiosi musulmani che si oppongano al fanatismo
Tra le urgenze da affrontare per salvare il Medio Oriente, il Patriarca ha indicato anche la necessità di formare “religiosi musulmani istruiti, che si oppongano al fanatismo e alla mentalità settaria con le parole e le azioni”. (R.P.)

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Siria. Appello mons. Hindo: Deir el Zor è alla fame

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Nei quartieri e nei sobborghi della città siriana di Deir el Zor, sotto assedio dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh), e in questi giorni stretti anche dalla morsa del freddo, almeno 120mila civili siriani sono ridotti alla fame. A lanciare l'allarme sull'ennesima, potenziale catastrofe umanitaria innescata dal conflitto siriano è l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, alla guida dell'arcidiocesi siro-cattolica di Hassakè-Nisibi.

I jihadisti hanno bloccato l'accesso dei viveri nella città
”Da più di un anno, da quando cioè hanno perso postazioni strategiche e una parte dei quartieri cittadini – riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo – i jihadisti hanno intensificato la stretta dell'assedio, non facendo entrare i viveri. Quei pochi prodotti che ancora si trovano – pomodori, scatole di sardine, un po' di té – vengono venduti al mercato nero con prezzi più che decuplicati, quando va bene”.

La città rappresenta un interesse strategico per i jihadisti
Lo scorso 17 gennaio, i miliziani del Daesh hanno attaccato quartieri della città massacrando almeno 300 civili e deportandone altre centinaia. L'arcivescovo Hindo, sulla base di informazioni raccolte sul campo, ritiene che la città rappresenti in questo momento un interesse strategico per i jihadisti dello Stato Islamico. 

A Deir el Zor vivevano 1.000 famiglia cristiane
“Molti dei miliziani - riferisce l'arcivescovo – cominciano a pensare che Raqqa, la loro capitale in Siria, dove stanno confluendo anche le loro milizie in fuga dall'area di Aleppo, potrebbe cadere. E allora si stanno trasferendo a Deir el Zor, forse con l'intenzione di trasformarla in una loro nuova roccaforte. Ma finora le incursioni aere russe e anche quelle degli Usa sono scattate solo quando i jihadisti hanno provato a occupare l'aeroporto”. A Deir el Zor prima della guerra vivevano mille famiglie cristiane. Adesso, secondo quanto risulta all'arcivescovo Hindo, nella città sarebbe rimasto un solo cristiano. (G.V.)

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Israele: ebrei rendono omaggio a cimitero profanato di Beit Jamal

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Un gruppo di più di sessanta ebrei ha voluto esprimere la sua condanna e il suo sgomento per la profanazione del cimitero salesiano di Beit Jamal recandosi in visita collettiva presso l'area cimiteriale offesa lo scorso dicembre da gravi atti di vandalismo settario. La visita del guppo di ebrei - riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme – è avvenuta venerdì scorso. I visitatori - riferisce l'agenzia Fides - hanno manifestato ai salesiani, proprietari del cimitero, la propria solidarietà, e poi hanno voluto piantare un ulivo presso l’ingresso della casa religiosa.

Gruppi di coloni ultranazionalisti colpiscono in vari modi moschee o luoghi cristiani 
Gli artefici di questa iniziativa di solidarietà appartengono all'organizzazione Tag Mehir (“Distintivo Luminoso”), fondata nel 2011 con l'intenzione di contrastare tutte le forme e le espressioni di razzismo in Israele. Già nel nome, l'organizzazione intende sottolineare il proprio porsi in totale contrasto con gli atti di violenza e intimidazione compiuti dai gruppi di coloni ultranazionalisti a partire dal 2012, che hanno colpito in vari modi moschee o luoghi cristiani (Tabgha, Beit Jamal, Latrun, la Dormizione, ecc.), “firmando” i propri atti intimidatori con la sigla “Price to tag” (il prezzo da pagare).

Atti di vandalismo contro croci poste su molte tombe
​Il cimitero adiacente al monastero salesiano di Beit Jamal, nella città israeliana di Beit Shemesh, a ovest di Gerusalemme, era stato profanato a metà dicembre. L'episodio di vandalismo sacrilego si era accanito contro le croci di legno e di cemento poste su molte tombe, ma era stato reso noto dal Patriarcato Latino di Gerusalemme soltanto a gennaio. La polizia locale ha aperto un'inchiesta contro ignoti, che finora non ha avuto alcun esito. (G.V.)

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Argentina: per Cura Brochero, Macri incontra la Chiesa locale

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La Messa di chiusura della annuale "Settimana Brocheriana", celebrata ieri, è stata occasione di incontro del neo Presidente Mauricio Macri con i principali rappresentanti della Chiesa argentina, guidati dal card. Mario Poli, arcivescovo di Buenos Aires. Villa Cura Brochero, Córdoba, a circa 820 chilometri dalla capitale, luogo dove nacque e operò il sacerdote José Gabriel del Rosario Brochero (1840-1914), noto come “cura” Brochero, molto amato dagli argentini, ha accolto circa 4.000 fedeli, entusiasti per la notizia della prossima canonizzazione del sacerdote che donò la sua vita ai gauchos.

Alla celebrazione presente il neo Presidente Macri
La "Semana Brocheriana" - riferisce l'agenzia Fides - si è svolta dal 16 al 26 gennaio e ha avuto come tema principale: "Con Brochero, seamos Misericordiosos como nuestro Padre Dios". Il Presidente Macri, accolto da un applauso rispettoso, si è recato con alcuni ministri del suo governo alla celebrazione conclusiva. "Brochero è l'esempio dell'Argentina che vogliamo. Lui ha puntato al futuro, credeva nella gente di Cordoba, ha lavorato vicino alle persone, è stato un uomo positivo, ha sempre creduto in quello che ha fatto e questo è quello che ci serve, scommettere sul futuro" ha commentato il Presidente dopo la Messa.

Card. Poli ha ricordato l'amore per i poveri del cura Brochero
​Nella Messa di chiusura della Settimana, il card. Poli si è soffermato sul lavoro pastorale svolto dal sacerdote, insistendo in modo particolare sulla necessità di imitare la sua "vicinanza" alle persone, elemento che ha sempre caratterizzato cura Brochero. Ha anche sottolineato la sua integrità: "i suoi pochi beni li ha amministrati onestamente e non gli è rimasto attaccato niente. Anzi, invitava i suoi amici ad aiutare i poveri". Ha infine ricordato uno dei sogni del sacerdote: vedere la ferrovia arrivare a Cordoba, e "forse un giorno questo sogno si avvererà" ha concluso il cardinale.

Presenza del Presidente nuova tappa nei rapporti Stato-Chiesa
La stampa locale ha commentato positivamente il gesto di vicinanza del Presidente, auspicando l’inizio di una nuova tappa nei rapporti fra la Chiesa e il Governo. (C.E.)

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Ungheria: settimana per l'unità all'insegna della carità

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Si è svolta in Ungheria, durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, una raccolta di generi alimentari, di articoli di prima necessità e di fondi a favore degli abitanti dell’Ucraina. L’iniziativa è stata promossa dal “Consiglio Caritativo”, organismo consultivo del Ministero delle Risorse umane che riunisce le maggiori organizzazioni umanitarie ungheresi (Caritas Ungherese, Caritas Ecumenica, Associazione Caritativa Ungherese dell'Ordine di Malta, Caritas della Chiesa Riformata di Ungheria, Croce Rossa Ungherese, Caritas Ungherese dei Battisti, Giovanniti, Caritas San Luca della Chiesa Greco-cattolica in Ungheria e Comunità ebraica unita d’Ungheria). A causa dell’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e dell’energia, infatti, per le famiglie dell’Ucraina diventa sempre più difficile affrontare le spese quotidiane, specialmente durante l’inverno.

L’importanza di iniziative caritative a carattere ecumenico
Nel presentare l’iniziativa - riferisce l’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede - mons. Antal Spányi vescovo di Székesfehérvár e presidente della Caritas ungherese ha fatto riferimento all’analoga raccolta dell’anno scorso che ha riscontrato notevole successo. József Steinbach, vescovo della Chiesa Riformata di Ungheria, presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese in Ungheria, ha ricordato che la maggior parte dei 130 mila ungheresi della regione subcarpatica ucraina (Uzgorod, Mukacevo)  appartiene alla Chiesa Riformata e che la loro determinazione ad affrontare con coraggio la situazione difficile è esemplare e stimola altri connazionali a rimanere nella terra loro natia, sperando in un futuro migliore. Miklós Soltész, sottosegretario di Stato per i Rapporti con le Chiese, le Minoranze Etniche e la Società Civile del Ministero delle Risorse Umane, ha sottolineato la rilevanza ecumenica dell’azione comune.

Colletta straordinaria per i rifugiati cristiani del Medio Oriente
La Settimana di preghiera si è conclusa, poi, con un’altra iniziativa a favore delle popolazioni bisognose. Con l’arrivo delle masse di migranti, gli effetti dei conflitti del Medio Oriente sono entrati nelle case degli europei. Coscienti del fatto che le famiglie rimaste nella loro terra d’origine hanno più che mai bisogno di un aiuto efficace, la Conferenza episcopale ungherese ha svolto, il 24 gennaio, una colletta straordinaria nelle Chiese dell’Ungheria a favore dei rifugiati cristiani del Medio Oriente. I proventi saranno ora destinati a sostegno delle scuole per i bambini delle famiglie cristiane che vivono nei vari campi profughi della regione, poiché l’insegnamento e l’educazione sono la via per la preparazione di un futuro migliore e della pace stessa.

Già a novembre, stanziati dai vescovi 10mila euro a favori dei profughi
Già nello scorso novembre la Conferenza episcopale ungherese aveva stanziato un contributo straordinario di 30 milioni di fiorini (circa 10 mila euro) a favore dei profughi cristiani del Medio Oriente. (I.P.)

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Repubblica Dominicana: il 31 gennaio Giornata della gioventù

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Ricorre domenica 31 gennaio, nella Repubblica Dominicana, la Giornata nazionale della gioventù ed in tale occasione, in tutto il Paese si promuovono iniziative incentrate sui giovani e sulle loro esigenze di bene, di pace, di progresso e di speranza. La scelta della data non è casuale: il 31 gennaio 1888, infatti, moriva San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, che ai giovani ed alla loro formazione aveva dedicato tutta la sua opera missionaria.

Giornata istituita in memoria di San Giovanni Bosco
“Nella Repubblica Dominicana – informa l’agenzia salesiana Ans - la figura di don Bosco è conosciuta grazie ai salesiani ed alle Figlie di Maria Ausiliatrice che da 80 anni gestiscono opere educativo-pastorali nel Paese”. Si tratta di iniziative particolarmente apprezzata, tanto che “dopo la proclamazione, da parte dell’Onu, dell’Anno internazionale della gioventù nel 1985, e l’indizione delle Giornate Mondiali della Gioventù volute dall’allora Papa Giovanni Paolo II, il governo dominicano ha creato apposite strutture poste a servizio dei ragazzi”.

Iniziativa partita dai mass-media
E non solo: nel 1998, si sono tenute le celebrazioni per il primo centenario della morte di don Bosco e l’opinione pubblica dominicana ha conosciuto sempre meglio, ed in modo più approfondito, la storia e la missione del Santo torinese. Tanto che, qualche anno dopo, nel 1991, un giornalista ha proposto di indire, il 31 gennaio di ogni anno, la Giornata nazionale della gioventù. L’iniziativa ha ricevuto il sostegno di altri media, oltre che della Chiesa locale, della Congregazione salesiana e soprattutto di gruppi giovanili, salesiani e non salesiani.

Proposta di legge  approvata nel 1993
​Immediatamente dopo, è stato istituito un Comitato promotore che, nel giro di due anni, ha portato alla presentazione di una proposta di legge. Tale proposta è stata approvata dallo Stato il 5 dicembre 1993 ed ha portato all’istituzione ufficiale della Giornata, da celebrarsi a cadenza annuale. (I.P.)

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Croazia: religiosi cattolici e serbo-ortodossi insieme su vita consacrata

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Per la prima volta religiosi e religiose cattolici  e serbo-ortodossi in Croazia si sono incontrati nei giorni scorsi per confrontare la vita consacrata nelle loro rispettive tradizioni.

L’incontro organizzato per la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani
L’evento – riporta l’agenzia cattolica croata Ika - si è svolto il 23 gennaio a Dubrovnik, l’antica Ragusa, ed è stato organizzato dalla diocesi in occasione della Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, conclusasi lunedì , e nell’ambito dell’Anno della Vita Consacrata. L’iniziativa voleva essere anche una risposta alle indicazioni contenute nella Lettera apostolica di Papa Francesco per questo Anno speciale che sta per chiudersi.

Un’occasione unica per conoscersi e per una migliore comprensione reciproca
L’incontro è stato un’occasione unica per conoscersi e per una migliore comprensione reciproca. Padre  Matijas Farkaš, guardiano del Monastero domenicano di Dubrovnik, ha illustrato le caratteristiche della vita consacrata nella tradizione latina e ha fatto una rassegna dei veri ordini religiosi maschili e femminili cattolici, mentre l’abate del monastero ortodosso di Žitomislić ha spiegato la vita monastica nel cristianesimo orientale. Due religiose, suor Blaženka Rudić del Convento domenicano di Korčula e suor Pavla Ćuzulan, badessa del monastero dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Trebinje,  hanno quindi descritto ai partecipanti la vita religiosa nei monasteri e nei conventi cattolici. L’incontro si è concluso con una preghiera ecumenica nella cattedrale di Dubrovnik, co-presieduta dal vescovo della città mons. Mate Uzinić   e dall’eparca serbo-ortodosso di Zahumlje ed Erzegovina, Grigorije Durić. (L.Z.)

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“Roma ortodossa”: conferenza e guida per i pellegrini russi

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La Roma cristiana richiama sempre più pellegrini della Chiesa ortodossa russa, un’attrazione favorita oggi dallo sviluppo consistente della sua attività pastorale in Italia per la presenza di decine di migliaia di fedeli immigrati. Comprensibili quindi le attenzioni al fenomeno del vescovo residenziale Antonij Sevryuk  promotore ieri di una manifestazione che, ospitata dal  Centro Russo di Scienza e Cultura della capitale, ha riunito rappresentanti del clero, guide turistiche, giornalisti  e appassionati della storia e della cultura romana.  

Le connotazioni teologiche del pellegrinaggio ortodosso a Roma
Ad introdurre l'evento, una interessante  conferenza dell’igumeno Aleksij Nikoronov, parroco della chiesa di san Nicola di Merano,  che ha evocato origini e sviluppo  del pellegrinaggio cristiano alle Tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, alle catacombe, al Colosseo e in altri luoghi sacri per il sangue dei martiri, alle basiliche e chiese erette nel corso dei secoli. Ed ha poi illustrato le connotazioni, anche teologiche, del pellegrinaggio ortodosso  soffermandosi sulla venerazione dei luoghi santi, delle reliquie e delle icone.

Dai primi sussidi del 1800, all'attuale guida ricchissima di illustrazioni
Lo scrittore e storico Mikhail Talalaj si è soffermato invece sull’intensificato arrivo nella Roma dell’Ottocento di pellegrini russi e sulla pubblicazione di sussidi, dalla prima guida (del Muraviov che raccolse nel 1847 le testimonianze rinvenute in lettere dei protagonisti ai familiari) a quella del 1912 dell’archimandrita Dionisio Veledinskj, un’opera che ha resistito per più un secolo, essendo stata riedita nel 1999,  dopo una revisione affidata dall’igumeno Mikhail Osorgin, allora responsabile della Chiesa ortodossa russa a Roma, allo stesso Talalaj. Che oggi, soltanto ispirandosi ad essa, ha realizzato con la coautrice Irina Bondareva, una nuova sintetica e aggiornata guida, dal titolo “Roma ortodossa”, ricchissima di illustrazioni.

Un vivace dibattito con una grande sensibilità ecumenica
​Nell’animata discussione sono emerse anche, con grande sensibilità ecumenica, tematiche religiose di attualità, legate fra l’altro allo svolgimento del Giubileo straordinario della Misericordia. (A cura di Graziano Motta)

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La NWG di Prato dona a Papa Francesco 10 bici elettriche

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Il Papa della “Laudato si’” e l’azienda che fa dell’ecologia uno stile, prima che un marchio produttivo. Il Vaticano e la “NWG” di Prato – azienda specializzata nel settore delle energie rinnovabili – sono tornate a incontrarsi. Dopo aver donato a Benedetto XVI nel 2012 una minicar elettrica, nella tarda mattinata di oggi, nell’auditorium della Sala Stampa Vaticana, i massimi responsabili dell’azienda hanno donato a Papa Francesco 10 biciclette elettriche. Alla cerimonia hanno partecipato anche alcuni lavoratori della NWG, accompagnati nella circostanza dall’Associazione nazionale tutela energie rinnovabili (Anter), che con il progetto “Sole in classe” sensibilizza i bambini italiani sui temi della green economy e a un corretto uso delle energie rinnovabili. L’iniziativa in Vaticano è il trampolino di lancio di una grande kermesse ecologica promossa dalla stessa Anter, che il prossimo 25 giugno presenterà in 500 piazze italiane il suo programma con un videomessaggio dell'ex vicepresidente statunitense, Al Gore. Altro testimonial dell'Anter sarà il vicedirettore della Sala Stampa, padre Ciro Benedettini, che nell'occasione illustrerà i contenuti dell'Enciclica “Laudato si’”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 27

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.