Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 26/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messaggio Quaresima. Papa: no a delirio onnipotenza che rifiuta i poveri

◊  

In questo Anno Santo, viviamo il tempo quaresimale come momento favorevole alla conversione. E’ quanto scrive Papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima pubblicato oggi sul tema “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Il Pontefice ribadisce l’importanza delle opere di misericordia corporali e spirituali e critica in modo vibrante il delirio di onnipotenza di quanti chiudono le porte ai poveri che bussano alle nostre porte. Ancora, afferma che in questo periodo invierà i “missionari della misericordia perché siano per tutti un segno concreto” del perdono di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti

“La misericordia di Dio trasforma il cuore dell’uomo e gli fa sperimentare un amore” che “lo rende a sua volta capace di misericordia”. Nel Messaggio per la Quaresima il Papa si sofferma sul “miracolo sempre nuovo che la misericordia” irradia “nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all’amore del prossimo”. Quindi, riprendendo la Misericordiae Vultus, ribadisce l’importanza delle “opere di misericordia corporali e spirituali”. Esse, scrive, “ci ricordano che la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati”.

Le opere di misericordia risvegliano la nostra coscienza
Grazie alle opere di misericordia, ne è convinto il Papa, potremo “risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà”. Nel povero, afferma il Pontefice, “la carne di Cristo diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga... per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura”. E osserva che proprio nel prenderci cura del poveri ci rendiamo davvero conto di quanto forte sia l’amore di Dio, rilevando che “l’alleanza di Dio con gli uomini” è proprio “una storia di misericordia”. Per contro, è il suo ammonimento, “il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri”. Egli, riprende, “è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch’egli null’altro che un povero mendicante”.

I poveri sono la possibilità di conversione che Dio ci offre
Tanto maggiore “è il potere e la ricchezza a sua disposizione – rileva poi con amarezza – tanto maggiore può diventare quest’accecamento menzognero”. E così “arriva al punto da neppure voler vedere il povero Lazzaro che mendica alla porta della sua casa”, quel Lazzaro che “è figura del Cristo che nei poveri mendica la nostra conversione”. Lazzaro, ribadisce il Papa, “è la possibilità di conversione che Dio ci offre e che forse non vediamo”. Un accecamento che “si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza”.  

Deliranti le società che chiudono le porte ai poveri
Tale delirio, si legge nel Messaggio, “può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo, e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l’uomo a massa da strumentalizzare”. Ancora, Francesco mette in guarda dalle “strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull’idolatria del denaro, che rende indifferenti al destino dei poveri le persone e le società più ricche, che chiudono loro le porte, rifiutandosi persino di vederli”. E avverte con forza che “a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti" finiscono "per condannarsi da sé a sprofondare in quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno”.

La Quaresima è tempo favorevole per la conversione personale
Per tutti, esorta il Papa, “la Quaresima di questo Anno Giubilare è dunque un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia”. Le opere corporali e quelle spirituali, soggiunge, non vanno “mai separate”. È infatti “proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante”. Attraverso questa strada, dunque, anche i “superbi”, i “potenti” e i “ricchi” di cui parla il Magnificat “hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro”. Solo in questo amore, rimarca Francesco, “c’è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l’uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere”. “Non perdiamo questo tempo di Quaresima favorevole alla conversione”, conclude il Papa, seguendo l’esempio di Maria “che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente, ha riconosciuto la propria piccolezza, riconoscendosi come l’umile serva del Signore”.

inizio pagina

Quaresima e Giubileo, cammino fatto di opere di misericordia

◊  

Alla Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Papa, in sala stampa vaticana sono intervenuti il card. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento e mons. Giampietro Dal Toso, Segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”. Al centro dei loro interventi il significato delle opere di misericordia, indicazione  concreta di Francesco per il cammino quaresimale. Adriana Masotti

Una Quaresima particolare quella di quest’anno, che si intreccia strettamente con il cammino proposto dal Giubileo della Misericordia. Se Dio è misericordioso anche i suoi figli devono esserlo e questo non si traduce solo in un atteggiamento spirituale, ma anche in gesti concreti. Lo sottolinea il cardinale Francesco Montenegro, che cita l’esperienza vissuta dalla sua diocesi e in particolare da Lampedusa:

A volte si tende a pensare che la fede la si possa vivere solo partecipando ai Sacramenti o pregando nelle forme più svariate, escludendo dalla vita spirituale i bisogni dell’uomo e soprattutto dei più poveri. Il risultato è che quel tipo di fede presto o tardi diventa sterile e insipida. Invece quando ci si apre a una dimensione più completa che, se ci pensiamo bene, è quella evangelica - quella che esige che si ascolti e si metta in pratica - allora la fede diventa esperienza gioiosa e contagiosa, arricchente e stimolante. Lo abbiamo sperimentato, ad esempio, a Lampedusa durante gli sbarchi di migliaia di persone e in tante altre comunità che hanno accolto la sfida di aprirsi alle diverse forme di povertà del territorio (…) È chiaro che non è semplice perché talune volte bisogna fare i conti con una mentalità che è consolidata e che difficilmente si apre al nuovo; però nella mia piccola esperienza mi sento di dire che è una strada possibile e, soprattutto, è quanto ci chiede Gesù nel Vangelo

Il Papa nel suo messaggio evoca la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro per richiamare l’attenzione su certe chiusure a Cristo a causa della ricchezza materiale e degli “idoli del sapere, del potere e del possedere”:

Il rischio del nostro tempo è proprio quello che, chiudendo la porta del cuore al povero e a ogni forma di povertà, si precipiti in un abisso di infelicità e di non senso che rende tutto oscuro”.

Da parte sua mons. Dal Toso sottolinea che le opere di misericordia, spesso dimenticate e banalizzate,  non sono solo “buone azioni”, e richiama l’attenzione alle persone:

Cioè non sono, le opere di misericordia, il modo per affermare se stessi, ma per dire per chi e per cosa viviamo. Per un cristiano le opere di misericordia dicono una relazione, cioè come egli si pone di fronte a Dio e alla sua vita”.

Le opere poi sono corporali e spirituali. “Dietro questa piccola affermazione continua, c'è un mondo: l'uomo è fatto di corpo e anima insieme. Cristo è vero uomo e vero Dio. Con l’incarnazione il corpo umano è stato divinizzato e perciò la Chiesa ha sempre amato e difeso il corpo insieme con l’anima”.

Due le iniziative che accompagnano la Quaresima del Pontificio Consiglio "Cor Unum" che mons. Dal Toso annuncia: la giornata di ritiro per chi opera nel servizio di carità della Chiesa nel periodo della Quaresima e un grande Congresso internazionale a dieci anni dalla prima Enciclica di Benedetto XVI "Deus caritas est", che si svolgerà nell'Aula nuova del Sinodo il 25 e 26 febbraio 2016.

Al termine degli interventi le domande. La prima riguarda l’attualità e la validità oggi dei gesti tipicamente quaresimali come il digiuno e l’astinenza dalle carni. E’ il cardinale Montenegro a rispondere:

“Tante volte si dice: il problema non è ‘faccio il fioretto’, ma devo scegliere uno stile di vita. La Quaresima mi accompagna perché io possa cambiare stile e vivere quelle attenzioni che anche le opere di misericordia corporale e spirituale indicano, per poter rendere anche la nostra fede un po’ frizzante. Allora, non è ‘mi privo di qualcosa’, perché non avrebbe senso, ma ‘mi tolgo qualcosa' per dare vita all’altro e per far mangiare l’altro, bere l’altro’...”.

Tema ricorrente di molte domande successive l’immigrazione e l’accoglienza da parte della Chiesa dei nuovi arrivati. La comunità ecclesiale fa molto, afferma il porporato: sono circa 26 mila, ad esempio, i migranti accolti nelle realtà ecclesiali solo in Italia, ma la Chiesa non può fare tutto:

“Sì, credo sia necessario che la politica faccia le scelte giuste, perché purtroppo ancora ha dato segni di chiusura di occhi e anche chiusura di cuore. Non sempre l’accoglienza è vista come la novità per prepararci a un mondo diverso, a un mondo nuovo, perché se si spostano delle popolazioni vuol dire che la storia sta cambiando. E davanti a questo, il cristiano deve interrogarsi: è vero, io da solo non posso cambiare il mondo, ma se si realizza una rete di solidarietà e di accoglienza, se l’altro è visto in maniera così come il Vangelo mi indica –  come il fratello che devo guardare in volto – credo che anche noi nel nostro piccolo o nel nostro grande – se il nostro cuore è quello del Vangelo – riusciremo anche a cambiare la storia”.

inizio pagina

Francesco: chiediamo perdono per le divisioni dei cristiani

◊  

Perdono a Dio per le “divisioni” tra i cristiani, “ferita aperta nel Corpo di Cristo”. E perdono per i “comportamenti non evangelici” tenuti dai cattolici nei confronti degli altri cristiani. Queste due forti richieste hanno caratterizzato le parole di Papa Francesco durante la celebrazione ecumenica dei Vespri, ieri nella Basilica di S. Paolo, nel giorno in cui la Chiesa celebrava la conversione dell’Apostolo delle genti. Presenti alla cerimonia rappresentanti ortodossi, anglicani e di altre confessioni, che hanno varcato la Porta Santa giubilare assieme al Papa. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Il nemico che diventa Apostolo. La storia perfetta della misericordia. L’odio di Paolo di Tarso, il persecutore, trasformato in amore per Cristo da una grazia così “sovrabbondante” che rovescia la divisione totale in unità piena e dove la misericordia  diventa a un tempo certezza di perdono ricevuto e ragione di annuncio al mondo.

Ascolto di Dio è passo verso l’unità
Nella vicenda della conversione di San Paolo, Papa Francesco coglie un elemento di chiaro impatto ecumenico. “Al di là delle differenze che ancora ci separano – osserva – riconosciamo con gioia che all’origine della vita cristiana c’è sempre una chiamata il cui autore è Dio stesso”. L'unità, afferma il Papa, "si fa in cammino":

“Possiamo progredire sulla strada della piena comunione visibile tra i cristiani non solo quando ci avviciniamo gli uni agli altri, ma soprattutto nella misura in cui ci convertiamo al Signore, che per sua grazia ci sceglie e ci chiama ad essere suoi discepoli. E convertirsi significa lasciare che il Signore viva ed operi in noi. Per questo motivo, quando insieme i cristiani di diverse Chiese ascoltano la Parola di Dio e cercano di metterla in pratica, compiono davvero passi importanti verso l’unità”.

La ferita e il perdono
Ma non è solo questione della “chiamata che ci unisce”, prosegue Francesco. Ad accomunare i cristiani è “anche la stessa missione”, cioè “annunciare a tutti le opere meravigliose di Dio”, come San Paolo testimonierà senza interruzione. Ma c’è un passo da compiere perché il cammino ecumenico non sia utopico, un passo che il Giubileo della misericordia rende esplicito:

“Chiediamo anzitutto perdono per il peccato delle nostre divisioni, che sono una ferita aperta nel Corpo di Cristo. Come Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa Cattolica, voglio invocare misericordia e perdono per i comportamenti non evangelici tenuti da parte di cattolici nei confronti di cristiani di altre Chiese”.

Vecchie colpe e nuovi rapporti
E il perdono richiesto è anche un perdono offerto, quando Francesco invita “tutti i fratelli e le sorelle cattolici a perdonare se, oggi o in passato – dice – hanno subito offese da altri cristiani”:

“Non possiamo cancellare ciò che è stato, ma non vogliamo permettere che il peso delle colpe passate continui ad inquinare i nostri rapporti. La misericordia di Dio rinnoverà le nostre relazioni”.

L’unica Porta
Tra i vari esponenti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali di Roma, a recitare i Vespri nella Basilica di San Paolo vi sono il Metropolita Gennadios, in rappresentanza del Patriarcato ecumenico, Sua Grazia David Moxon, inviato personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury:

“Con loro siamo passati attraverso la Porta Santa di questa Basilica, per ricordare che l’unica porta che ci conduce alla salvezza è Gesù Cristo nostro Signore (…) L’unità è dono della misericordia di Dio Padre. Qui davanti alla tomba di San Paolo, apostolo e martire, custodita in questa splendida Basilica, sentiamo che la nostra umile richiesta è sostenuta dall’intercessione della moltitudine dei martiri cristiani di ieri e di oggi (…) Questo esempio che fa proprio l’ecumenismo del sangue”.

inizio pagina

Il Papa incontra Rouhani, il ruolo dell'Iran per la pace

◊  

Il ruolo dell’Iran nello scacchiere geopolitico mediorientale, lotta al terrorismo, dialogo interreligioso. Su questi temi principali si è svolto l’incontro in Vaticano tra Papa Francesco e il presidente dell’Iran, Hassan Rouhani. Durante i “cordiali colloqui”, informa una nota ufficiale, “si sono evidenziati i valori spirituali comuni e si è poi fatto riferimento al buono stato dei rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Islamica dell’Iran, alla vita della Chiesa nel Paese e all’azione della Santa Sede in favore della promozione della dignità della persona umana e della libertà religiosa”.

Inoltre, prosegue il comunicato, “ci si è poi soffermati sulla conclusione e l’applicazione dell’Accordo sul Nucleare e si è rilevato l’importante ruolo che l’Iran è chiamato a svolgere, insieme ad altri Paesi della Regione, per promuovere adeguate soluzioni politiche alle problematiche che affliggono il Medio Oriente, contrastando la diffusione del terrorismo e il traffico di armi. Al riguardo, è stata ricordata l’importanza del dialogo interreligioso e la responsabilità delle comunità religiose nella promozione della riconciliazione, della tolleranza e della pace”.

Dopo l’udienza con il Papa, il presidente iraniano si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dal segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Gallagher.

inizio pagina

Mons. Tomasi: negoziati Siria partano dalla tregua

◊  

In Siria il sedicente Stato Islamico ha rivendicato sul web il duplice attentato suicida di stamani a Homs, città sotto il controllo del governo di Damasco. Un’auto imbottita di esplosivo è stata lanciata contro un posto di blocco nel quartiere di Zara e poi è saltata in aria, uccidendo almeno trenta persone e ferendone un centinaio. Intanto, da Ginevra arriva un’accelerazione ai negoziati, che dovrebbero partire venerdì prossimo con la partecipazione di governo e opposizione. Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, mons. Silvano Maria Tomasi

R. – Si sta tentando di giocare tutte le carte possibili per arrivare a un obiettivo molto specifico, che è il cessate-il-fuoco: cercare di avere una tregua, in modo che la popolazione civile, soprattutto, possa respirare un momento e si possa estendere a tutto il territorio della Siria l’aiuto umanitario di cui le persone hanno bisogno. Quindi c’è un po’ di fiducia. Partono oggi gli inviti ai gruppi che devono partecipare in questa prima fase di dialogo che riguarda i gruppi interni alla Siria, il governo e l’opposizione, e quindi si spera che il prossimo 29 gennaio, qui a Ginevra comincino a dialogare, anche se non si tratta di un incontro diretto tra le due parti, ma attraverso l’Inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite. In tal modo i due gruppi possano comunicare e mentre questi fa la spola tra i due, in modo da far avanzare l’agenda dei negoziati e cercare davvero di arrivare ad accordi anche minimi, che portino un momento di pausa nella violenza che ormai da anni domina la Siria e il Medio Oriente.

D. – Nel quadro delle trattative, c’è anche, per modo di dire, un “terzo incomodo”, il sedicente Stato Islamico, con il quale forse è impensabile dialogare: come porsi in questa questione?

R. – E’ vero che al Nusra e il cosiddetto Stato Islamico non sono parte né del dialogo né rientrano nell’obiettivo di un cessate-il-fuoco tra i contendenti in territorio siriano, per cui la comunità internazionale, che sta appoggiando, specialmente attraverso il dialogo tra la Russia e gli Stati Uniti, questa nuova fase di mediazione per arrivare a un cessate-il-fuoco, viene disturbata naturalmente dal fatto che la violenza poi continua attraverso questi gruppi estremisti, che sono considerati dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu gruppi terroristici. In pratica rimane in piedi una dimensione di incertezza e di difficoltà nell’avanzare verso l’obiettivo della pace.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "Unità in cammino".

Il vecchio con la barba e il serpente: Giovanni Cerro sull'iconografia del diavolo dal sesto al quindicesimo secolo.

Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo "Quando i Terracina diventarono Bonacina": scampati allo sterminio grazie a un futuro Papa e al coraggio di una famiglia e di un medico di Todi.

Da Singapore, Cristian Martini Grimaldi sulla chiesa di Nostra Signora di Lourdes punto di riferimento per tante famiglie di profughi.

Luce sul Pentateuco: Federico Giuntoli sui settant'anni di Jean Louis Ska.

No all'islamofobia, sì al dialogo: su "Le Figaro" intervista all'arcivescovo Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Bruxelles: stiamo salvando Schengen con la sua applicazione

◊  

La Commissione europea è pronta a “qualsiasi eventualità” e prende in esame “tutte le opzioni legislative”, dopo che una larga maggioranza degli Stati membri dell’Ue ha chiesto di prolungare fino a due anni i controlli alle frontiere interne dello spazio Schengen. "Stiamo salvando Schengen attraverso la sua applicazione". Così i portavoce della Commissione Ue spiegano la preparazione delle procedure per l'attivazione dell'articolo 26. Sono sei i Paesi – Austria, Germania, Svezia, Norvegia, Francia, Danimarca – tornati a chiedere i documenti a chi vuole entrare nel loro territorio. La Polonia, intanto, ha annunciato che porrà il veto a qualsiasi nuovo piano dell'Unione che obblighi gli Stati membri ad accettare quote di migranti. Ci si sta giocando il futuro dell’Europa unita sulla mancata risposta dell’Unione Europea sui migranti. E’ l’opinione di Stefano Lusa, giornalista di Radio Capodistria e corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso, esperto di Slovenia e Balcani, al microfono di Emanuela Campanile: 

R. – C’è un po’ una percezione, guardandola dalla periferia dell’Unione Europea – la Slovenia è il primo Paese dell’area Schengen – che i Paesi siano lasciati a fare un po’ come credono, anche se l’Italia, per esempio, ma anche la Slovenia stessa avevano chiesto, anche in tempi non sospetti, di trovare una politica comune a livello europeo sulla “questione migranti”, politica che non è arrivata. E qui ci si gioca il futuro dell’Europa, anche perché singoli Paesi ritengono di dover prima di tutto pensare ai proprio interessi nazionali.  E da questo punto di vista, mi pare che il rischio sia che ci troviamo di fronte a una nuova età dei nazionalismi che potrebbe far crollare, o almeno sconquassare fortemente, quello che è stato il più grande progetto di pace che sia stato messo in piedi negli ultimi anni, che è l’Unione Europea, che ha garantito decenni e decenni di pace. Ecco, mi sembra che qui la responsabilità dei politici sia enorme, mi sembra che i meccanismi di decisione dell’Unione Europea si siano dimostrati assolutamente inefficienti a gestire la crisi e le emergenze. Speriamo di uscirne con un’Unione Europea rafforzata, anche se i pericoli di rompere il giocattolo, secondo me, sono enormi.

D. – Nella zona dei Balcani, come viene vista l’Unione Europea?

R. – Mi sembra che proprio sulla questione migranti, oltre ai Paesi del Nord Europa e quelli che affrontano la crisi dei migranti, c’è anche un confronto tra Est e Ovest, tra un modello di società multiculturale, anche aperta a un certo tipo di immigrazione che abbiamo a Occidente, e tra una serie di Paesi orientali di nuova entrata nell’Unione Europea, da Varsavia a Lubiana, che percepiscono i profughi e la creazione di società multiculturali come vere e proprie minacce per le loro identità nazionali. Quindi, gli argomenti e i motivi di frattura, proprio sulla questione migranti, sono diventati abbastanza significativi. Da questo punto di vista, il leader ungherese Orbàn è diventato in qualche modo il capofila: è colui che ha espresso chiaramente queste paure che sono state fatte proprie da governi, sia di destra sia di sinistra, del centro Europa, dalla Slovacchia per arrivare alla Polonia.

inizio pagina

Libia: trattative in corso dopo lo stop al governo Sarraj

◊  

In Libia proseguono le trattative dopo che il parlamento di Tobruk ha negato la fiducia al governo di unità nazionale del premier designato al Sarraj. La presentazione della nuova compagine – frutto degli accordi siglati lo scorso mese di dicembre - avverrà nell’arco di una decina di giorni. Ma cosa significa questa bocciatura? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Paolo Sensini, analista internazionale: 

R. – Già questo governo di Sarraj non godeva di appoggi generali in Libia; anzi, non godeva proprio di appoggi “tout court”. E quindi era piuttosto prevedibile che sarebbe finita così. Una minoranza davvero risicatissima lo sostiene: è una figura nominata da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, e, buon ultima l’Italia. Quindi è un uomo che serve e che fa agio soprattutto ai nostri interessi, ben poco a quelli libici.

D. – Tra i punti più controversi c’è il controllo delle Forze armate: cosa ci possiamo aspettare al riguardo?

R. – Sembrava prevedibile che fosse Khalif Haftar a Tobruk a diventare ministro della Difesa, che di fatto è colui che controlla le forze più consistenti. Non essendo avvenuto questo, è ovvio che c’è stata una levata di scudi. Del resto, qual è il motivo per cui Sarraj è stato nominato? Perché chieda un intervento militare, ed è un’operazione che sia il ministro degli Esteri italiano, Gentiloni, sia Kerry, avevano già paventato a più riprese. Ed è una prospettiva che non alletta la gran parte dei libici, e che rischia soprattutto di essere un’altra operazione di impantanamento incredibile, come quella che ha causato il caos libico nel 2011.

D. – Quindi sullo sfondo c’è una mancanza di sintonia tra gli interessi della comunità internazionale e delle fazioni libiche?

R. – Certamente. Avendo tolto Gheddafi come leader si è aperto un ginepraio che in parte era uno scenario prevedibilissimo già all’epoca. Adesso con questa operazione di Sarraj si è tentato di creare un’opportunità per far rientrare truppe - truppe militari Nato o di alcuni Paesi Nato - ma ovviamente questa non è una prospettiva che alletta i libici. E, tra l’altro, neppure dal nostro punto di vista credo sia un’opportunità, perché probabilmente si sottovaluta qual è la situazione reale lì. Sarebbe un impantanamento davvero incredibile, tra l’altro a poche centinaia di km dal confine italiano.

D. – C’è il pericolo di una sempre maggiore saldatura tra il sedicente Stato Islamico e Al-Qaeda nel Paese?

R. – Sin dall’inizio, da quando sono scoppiate le rivolte nel febbraio del 2011, Gheddafi - chi ha seguito un po’ quella vicenda lo ricorda - parlava già di gruppi e truppe di Al-Qaeda, quelli che però noi in Occidente nominavamo come sinceri ribelli democratici. Quelli che erano lì allora sono quelli di oggi e in più si sono moltiplicati. Ovviamente, in una situazione di caos di questo genere sono proliferate questo tipo di truppe che sono il “collante” nello sfascio generale. E quindi questa è un’altra delle colpevoli responsabilità che portano coloro che hanno fatto questo tipo di intervento, e che ancora non hanno risposto di questa gravissima situazione che hanno creato. Ricordo solamente le e-mail che sono state pubblicate tra Sarkozy e la Clinton, in cui l’allora Presidente francese le diceva sostanzialmente che volevano entrare il Libia per prendere direttamente le risorse che ai francesi interessavano. E soprattutto perché la creazione di un dinaro d’oro – spinta da parte di Gheddafi – rischiava di creare problemi grandissimi al franco Cfa, che è la moneta di scambio per tutto il Sahel. Quindi interessi molto corposi mascherati dietro foglie di fico umanitarie, che hanno creato questo caos e che oggi rischiano di aggravarlo nuovamente.

inizio pagina

Msf: in Yemen colpite dalle bombe le strutture sanitarie

◊  

Continuano gli attacchi alle strutture mediche in Yemen. A essere colpiti negli ultimi tre mesi, ospedali e ambulanze dell’organizzazione internazionale medico umanitaria Medici Senza Frontiere. In che zona del paese si trovavano queste strutture e quali sono le ripercussioni umanitarie di queste aggressioni?  Natalia La Terza ha intervistato il presidente di Medici Senza Frontiere, Loris De Filippi: 

R. – Segnaliamo le strutture, sempre e comunque, a tutte le parti in causa, nei conflitti e nelle realtà in cui lavoriamo. Le coordinate Gps erano in mano ai vari governi. E, in particolare l’Arabia Saudita, che è generalmente il protagonista dei raid aerei, sapeva perfettamente dove fossero queste strutture. Le strutture sono segnalate e la struttura, colpita il 26 ottobre, era sufficientemente grande e conosciuta. Il 10 dicembre, poi, è stata colpita un’altra piccola struttura sanitaria, una struttura sanitaria mobile, e ai primi di gennaio, invece, è stato colpito un ospedale, una struttura conosciutissima. Questo bombardamento ha provocato la perdita della vita di 7 persone e il ferimento di moltissime persone all’interno dell’ospedale. Poi, ultimamente, appunto il 21 gennaio, una nostra ambulanza è stata centrata da un raid, che ha ucciso il conducente. Quattro incidenti gravissimi che stanno condizionando il nostro operato.

D. – Qual è lo status riconosciuto alle strutture mediche dal diritto internazionale umanitario?

R. – Tutte le strutture mediche in cui Medici Senza Frontiere opera in Yemen, e in tutti i Paesi in conflitto, sono strutture sanitarie civili. Quindi chi sta combattendo, non dovrebbe in nessun caso bombardare, colpire delle strutture civili con all’interno personale civile o personale militare senza armi. In questo caso, le quattro strutture sono riconducibili a strutture ospedaliere civili.

D. – Quali sono le ripercussioni umanitarie degli attacchi?

R. – Il tentativo è quello di portare soccorso. Non vogliamo andarcene dallo Yemen, quindi stiamo continuando a dare il nostro supporto, tentando di lavorare in strutture più agili, in modo che non vengano centrate. Chi ha infatti commesso questi raid parla in gran parte di incidenti, danni collaterali, ma ormai le nostre strutture vengono  colpite con cadenza mensile.

D. – Quali prevedete possano essere le tempistiche per aprire una nuova indagine indipendente sull’attacco in Yemen?

R. – La richiesta sarà fatta alla Commissione d’inchiesta umanitaria internazionale, alla quale era stata fatta anche per Kunduz. Bisognerà vedere quale sarà la volontà dell’Arabia Saudita. In questo caso, molto probabilmente, è colpevole per l’attacco in Yemen. Bisognerà vedere se loro daranno il beneplacito per continuare questa indagine. Ci auguriamo, però, che ci sia una pressione internazionale affinché queste inchieste vengano fatte. E soprattutto chiediamo a tutti i governi di far sì che il diritto umanitario internazionale non venga calpestato, come sta succedendo ormai negli ultimi mesi in maniera direi regolare.

inizio pagina

Fao, lotta per salvare i Paesi poveri da "El Niño”

◊  

Prevedere in tempo per proteggere al meglio. È l’obiettivo col quale la Fao sta lavorando per fronteggiare le difficili conseguenze ambientali causate da “El Niño”, il fenomeno meteorologico che crea ciclicamente situazioni di siccità e inondazioni. Il Corno d'Africa è già stato interessato da un periodo di siccità intensa e milioni di persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, patiscono danni all’agricoltura e alla pesca. Christopher Altieri ne ha parlato con Neil Marsland, esperto di sicurezza alimentare della Fao: 

R. – These weather patterns…
Questo andamento climatico, quello che sta succedendo, sta mettendo enormemente alla prova il sistema agricolo. Quello che dobbiamo fare, collettivamente, nelle comunità locali internazionali, è cercare di rendere questo sistema più resiliente agli effetti climatici estremi. E la Fao sta cercando di aiutare operando su quattro fronti. Prima di tutto, stiamo cercando di lavorare con i governi a livello politico. Il secondo elemento è cercare di rafforzare seriamente il sistema di allarme, il sistema di informazione nel momento in cui il fenomeno si avvicina, cercando modi migliori per ridurre l’impatto di tali eventi. La terza via è quella di lavorare ancora sulle comunità per renderle maggiormente preparate al prossimo disastro. E, ultima via, cercare di diventare molto più agili nella gestione della situazione nel momento in cui si verifica, riducendo quindi la sofferenza e cercando di accelerare la ripresa.

D. – Che cosa la Fao ritiene sia importante che le persone capiscano riguardo a queste crisi?

R. – A few points. Firstly, as we…
Alcuni punti. Prima di tutto, come abbiamo detto prima, tutto questo non finirà. Abbiamo parlato dell’impatto del cambiamento climatico e del previsto aumento della frequenza e della gravità di questi eventi in questo secolo. Quindi, dobbiamo davvero trovare un modo per accrescere la capacità delle persone di far fronte a questi eventi, adattando i sistemi agricoli e i metodi di allevamento del bestiame esistenti. Questa è la prima cosa. Seconda cosa, stiamo affrontando una situazione dove l’impatto di questi fenomeni sull’agricoltura è estremamente alto. Quindi, vorremmo vedere maggiore attenzione proprio su questo punto. Quando parliamo di “El Niño”, dobbiamo pensare di attrezzare al meglio il settore agricolo per reggere l’urto. La terza cosa che vorrei ricordare è che “El Niño” è spesso seguito da “La Niña” e su questo dobbiamo essere molto vigili.

D. – Com’è la vostra collaborazione con le organizzazioni cattoliche e religiose in generale, che sono molte e anche abbastanza attive in questo ambito?

R. – I’d say we have a very close partnership…
Direi che la nostra collaborazione con le organizzazioni religiose è molto forte. Per farle un esempio, abbiamo collaborato molto strettamente con il Catholic Relief Service (Crs) in Etiopia per verificare la disponibilità dei semi per la semina della prossima stagione. Questa è una collaborazione che ha un grande valore per noi.

D. – Ho menzionato la Somalia perché, se ricordo bene, è uno dei posti in cui avete avuto i successi più importanti ultimamente…

R. – Yes, thank you…
Sì, grazie. Sostanzialmente, quello che è accaduto in Somalia è stato molto interessante. Lì abbiamo dato l’allarme con grande anticipo sulle conseguenze che “El Niño” avrebbe avuto sull’andamento climatico. L’effetto principale è indubbiamente l’inondazione, l’eccesso di pioggia. E siamo molto felici della donazione dagli Stati Uniti dell’“American State Aid Donors”, l’Agenzia statunitense per gli aiuti, che ci ha permesso di puntellare alcuni argini del Paese che sarebbero stati colpiti dalle inondazioni. Questo ha fatto sì che quando le alluvioni sono poi arrivate, vi sia stata molto meno distruzione rispetto a quello che avrebbe potuto accadere. Questo ci fa capire quanto sia importante agire in tempo, potendo contare su un allarme tempestivo: se riusciamo a fare questo, potremo ridurre la portata dell’impatto e quindi la quantità di denaro e di persone coinvolte, il costo dei mezzi di sostentamento per le vittime dei diversi eventi. Dunque, penso che in queste situazioni sia fondamentale agire in anticipo.

inizio pagina

Bagnasco: vescovi uniti nella difesa della famiglia

◊  

“Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”. I figli “ne sono la punta di diamante” ed è il “loro vero bene che deve prevalere su ogni altro”. Con le parole del Papa il cardinale Angelo Bagnasco ha rilanciato ieri, nella prolusione al Consiglio episcopale permanente, la centralità della famiglia e l’unità dei vescovi italiani nella sua difesa. Nel suo discorso anche le difficoltà economiche che vive ancora oggi l'Italia, stretta tra disoccupazione e un "vero e propio disagio alimentare". Sul fronte europeo serve sollecitare, secondo il presidente della Cei, una nuova politica migratoria. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

"Insinuare contrapposizioni tra i vescovi nel condividere le difficoltà della famiglia e nel riaffermarne la bellezza, la centralità e l'unicità, significa non amare nè la Chiesa né la famiglia stessa". E’ unitario dunque il fronte della Chiesa italiana, secondo il cardinale Angelo Bagnasco, nel dibattito politico in corso sulle unioni civili.

Famiglia: tra i vescovi nessuna contrapposizione
"Sogniamo un Paese a dimensione familiare dove il rispetto per tutti sia stile di vita e i diritti di ciascuno vengano garantiti su piani diversi secondo giustizia".

Nella famiglia, scrigno di relazioni, umanesimo e grazia, i figli, ribadisce il porporato, sono la "punta di diamante". E' il loro "vero bene che deve prevalere su ogni altro perchè sono i più deboli ed esposti":

"Non sono mai un diritto, poichè non sono cose da produrre; hanno diritto a ogni precedenza e rispetto, sicurezza e stabilità".

I figli, aggiunge il porporato, hanno bisogno di un "microcosmo completo nei suoi elementi essenziali", di un papà e di una mamma. Dunque, rilanciare la voce della famiglia, questo in sintesi nella parole del presidente della Cei che, per quello che definisce un "tesoro inesauribile e un patrimonio universale", chiede un sostegno anche con politiche a favore della natalità.

Economia: la ripresa non si vede nel concreto
Le riflessioni sul momento storico del Paese toccano anche 
l’economia italiana. Forte l'appello alla politica a creare lavoro senza il quale, dice Bagnasco, non c’è dignità. Ma non c'è neanche la crescita di cui si parla:

"Siamo quotidianamente testimoni che nelle nostre parrocchie e comunità le ricadute sul piano concreto non si notano ancora".

A preoccupare è la "contrazione della solidarietà sociale". Oltre quattro milioni gli italiani che vivono in povertà assoluta per l'Istat, ricorda il porporato, mentre i rilevamenti della Caritas lasciano emergere sia un vero e proprio "disagio alimentare", sia una richiesta di "interventi di ascolto" a indicare una solitudine crescente.

Migrazioni: Ue e Onu trovino soluzioni radicali
In merito all'altro grande problema attuale che è il fenomeno migratorio, con le tragedie umane che comporta, il presidente dei vescovi italiani esprime il timore che ci si rassegni alla cultura dell’indifferenza, che non si superino soluzioni singole, per arrivare invece a una vera e propria nuova "politica migratoria europea". Quattro i temi programmati per il prossimo decennio, frutto del Convegno ecclesiale di Firenze: missionarietà, famiglia, scuola e poveri. L'Anno Santo della Misericordia, sottolinea il cardinale Bagnasco, sarà per noi un motivo di crescita per guardare le persone e le cose con occhi di bontà. Due gli auspici espressi a questo proposito: che le comunità divengano sempre più luoghi ospitali e accoglienti e che siano valorizzate in tutte le diocesi le Porte Sante.

inizio pagina

Centro Studi Americani dedica 2016 a ruolo Papa e S. Sede

◊  

Per la prima volta dalla sua fondazione, il Centro Studi Americani in Roma dedicherà un anno intero al ruolo del Papa e della Santa Sede nella politica internazionale. Primi eventi di questo 2016 un seminario sulla prossima visita di Papa Francesco in Messico e una tavola rotonda sulla libertà religiosa. Su come sia nata questa idea, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore del Centro, Paolo Messa

R. – La scelta del Centro Studi Americani di dedicare nel 2016 un programma al ruolo in politica estera della Santa Sede, nasce dalla constatazione di quello che effettivamente già oggi il Vaticano rappresenta e cioè un crocevia straordinario dal punto di vista diplomatico, uno sforzo per raggiungere risultati storici come quello di Cuba e non solo. E’ evidente che l’influenza positiva di questo Pontefice, ma in generale della Santa Sede, ha effetti positivi che non possono non essere studiati, raccontati e approfonditi.

D. – E’ possibile in qualche modo anticipare quali saranno i temi o perlomeno i filoni tematici principali, che verranno approfonditi dal Centro Studi Americani in questo 2016?

R. – Certamente discuteremo di libertà religiosa e di dialogo fra le diverse religioni, ma anche dei diversi scacchieri internazionali: sia quelli dove il Papa si recherà in viaggio sia quelli dove c’è più evidentemente uno sforzo diplomatico da parte della Santa Sede. Fra tutti, la centralità dell’America, compresa l’America Latina ovviamente.

D. – Papa Francesco fra pochi giorni si recherà in Messico, ritorna quindi nel continente americano. Quanto ancora pesa, che incidenza ha ancora oggi, dopo alcuni mesi, la visita invece di Francesco proprio negli Stati Uniti?

R. – La visita negli Stati Uniti è stato un fatto storico. Non era la prima volta che un Pontefice varcava le soglie del terreno statunitense, ma certamente l’intervento del Santo Padre al Congresso Americano ha segnato un momento, anche politicamente, rilevantissimo: è stata la consacrazione di un ruolo geopolitico, oltre naturalmente all’evidenziazione di una presenza – nel senso migliore del termine, ovviamente – politica nella società americana. Tutti hanno colto la forza propulsiva di un messaggio, quello di Francesco, che ha un impatto forte nella vita di tutti quelli che hanno fede, ma che riesce a trovare una sintonia forte con il mondo laico su diversi argomenti e, fra tutti, segnalo sicuramente i temi della Global Governance e dei cambiamenti climatici.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Portogallo: Cavaco Silva blocca adozione a coppie gay

◊  

La Federazione portoghese per la vita (Fpv) saluta con soddisfazione la decisione del Presidente Aníbal Cavaco Silva di rinviare al Parlamento il nuovo decreto che esclude l’illiceità dell’aborto. Il provvedimento, approvato lo scorso novembre con il sostegno della maggioranza di sinistra, vuole abrogare le modifiche in senso restrittivo alla legge sull’aborto del 2007 introdotte l’estate scorsa dalla precedente legislatura. Nel motivare la sua decisione, il Presidente della Repubblica contesta, in particolare, la revoca della normativa che prevede l’obbligo d’informazione alla donna in gravidanza sul suo diritto ad avere sostegni sociali e la messa in causa del valore della vita e della maternità-paternità responsabili.

Una società attenta non nega il suo sostegno alla maternità
Un giudizio pienamente condiviso dalla Federazione portoghese per la Vita, secondo la quale esso risponde ai sentimenti della maggioranza dei portoghesi che ritengono che le donne non possano essere lasciate sole nelle decisioni sulla loro maternità:  "Una società attenta non nega il suo sostegno alla maternità. Solo una classe dirigente condizionata dalle ideologie e ignara dei problemi reali delle donne può modificare la legge", sottolinea un comunicato. L'attuale contesto della società, afferma ancora la Fpv, "richiede uno sguardo nuovo ai problemi della maternità e della nascita", che dia "una risposta umana" a "situazioni drammatiche" come quelle che riguardano l'aborto.

Respinto anche il decreto sulle adozioni gay osteggiato dai vescovi
Insieme a quello sull’aborto, il Presidente Cavaco Silva ha respinto anche il decreto approvato, sempre a novembre, con il sostegno di tutta la sinistra e di una parte del centro-destra, sulla possibilità di adozione per persone dello stesso sesso. Un provvedimento al quale i vescovi portoghesi avevano reagito con profondo rammarico ribadendo l’importanza di riferimenti maschili e femminili nell’educazione dei figli.  In un messaggio ai deputati, il Capo dello Stato spiega che “non è dimostrato in che misura le nuove soluzioni legislative promuovano il benessere del bambino e vadano nella direzione del suo interesse”. 

Il superiore interesse del bambino deve prevalere su tutti gli altri
​“Il decreto, infatti, introduce un mutamento radicale e profondo nell’attuale ordinamento giuridico, senza che ciò sia stato preceduto da un ampio e chiarificante dibattito, essendo invece di comune consenso che, in materia di adozione, il superiore interesse del bambino debba prevalere su tutti gli altri, anche su quello degli adottanti”, si legge nel documento. Da notare che la nuova normativa permette anche alle coppie formate da due donne di beneficiare della cosìddetta “fecondazione eterologa”, ovvero la procreazione medicalmente assistita tramite un terzo donatore di ovuli o spermatozoi. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Vescovi Sudan-Sud Sudan: raddoppiare gli sforzi per la pace

◊  

La comunità internazionale deve elaborare piani di pace alternativi se gli accordi raggiunti tra il governo del Sud Sudan e l’opposizione armata dovessero fallire. È quanto chiedono i vescovi del Sud Sudan e del Sudan al termine del loro incontro straordinario che si è tenuto recentemente a Roma.

Gli scontri continuano in Sud Sudan
Nonostante le intese firmate nei mesi scorsi dal governo del Presidente Salva Kiir e dalla guerriglia, facente capo all’ex vice Presidente Riek Machar, i combattimenti continuano in alcuni Stati della Federazione sud-sudanese.

Presuli temono che il processo di pace possa fallire
I vescovi sono preoccupati che il processo di pace possa fallire facendo precipitare il Sud Sudan nella categoria degli “Stati falliti”, ovvero Stati privi di un governo e di istituzioni funzionanti, che diventano preda di bande armate e di gruppi di guerriglia. I vescovi chiedono inoltre nuovi sforzi per riportare la pace negli Stati del Sudan dove sono attive insorgenze armate, nel Darfur, Blue Nile a Sud Kordofan, lamentando la ripresa dei bombardamenti aerei in quest’ultimo. (L.M.)

inizio pagina

Papa in Messico: il debito del Paese con i popoli indigeni

◊  

“La visita di Papa Francesco in Chiapas non sarà un evento folcloristico da essere visto solo come un'espressione della ricchezza culturale, ma gli occhi del mondo vedranno una regione evidentemente arretrata che non è in linea con il resto del Messico” Questa l’affermazione da cui parte l’editoriale del settimanale “Desde la Fe” dell’arcidiocesi di Messico dedicato al “debito del Paese nei confronti dei popoli indigeni”.

Giustizia e riconoscimento mancanti
L’editoriale afferma che i popoli indigeni hanno bisogno di una giustizia e di un riconoscimento che  spesso sono stati “ bloccati” per l’incomprensione e il populismo e sono stati “feriti da governanti e da dirigenti” che hanno speculato sulle loro necessità e li hanno trascinati in condizioni di crisi e di povertà. “Nei discorsi dei leader politici – si legge nell'articolo - i nostri indigeni sono indispensabili per il futuro del Paese, tuttavia, sono discutibili le politiche nei loro confronti, perché sussistono ancora discriminazioni, violazioni dei diritti umani e paternalismo per scopi elettorali”.

I diritti degli indigeni sottoposti ai capricci politici
L’editoriale ricorda come la ribellione armata degli indigeni del Chiapas, nel 1994, abbia messo in evidenza che nel forte impulso economico del Paese, in quegli anni, i popoli indigeni erano rimasti nel dimenticatoio.  Alla risposta dura del governo contro gli “zapatisti”, sono seguite le negoziazioni che hanno portato all’amnistia e alla approvazione di strumenti legislativi che non hanno portato ad una pace definitiva. Neanche la riforma dei diritti degli indigeni del 2001 ha soddisfatto le aspettative.

A rischio le cosiddette “zone economiche speciali”
“I diritti degli indigeni - sottolinea il settimanale - sono ancora soggetti ai caprici politici e alle manovre dei leader che avviliscono le loro battaglie e aspirazioni, e lo sviluppo, invece di essere incoraggiato, deve sottostare ai dettami neoliberali”. In questo contesto, l’editoriale denuncia che, oggi, per favorire l’arricchimento di grandi aziende e multinazionali, si mette in discussione la possibilità di stabilire, in regioni povere ed emarginate, le cosiddette “zone economiche speciali”  per sviluppare un'economia sociale e privilegiare il mercato interno delle comunità  indigene.

Chiapas: una regione sfruttata
La rivista arcidiocesana sottolinea che i processi di dialogo sono stati sempre lenti e difficili. “Quello che deve essere rapido e urgente per i ricchi, per gli indigeni può durare anni, se non interi decenni”. “Chiapas - si legge nell’articolo - non è solo un luogo di passaggio di migranti centroamericani, è uno Stato sfruttato nelle sue ricchezze naturali e umane, è uno dei più arretrati nell’alfabetizzazione e nello sviluppo umano”. 

Gli indigeni del Chiapas non sono solo una realtà folcloristica
​L’editoriale ricorda le parole di Papa Francesco sulla ricchezza delle comunità indigene e come la convivenza tra le culture, mantenendo ognuna la propria identità, costituisca una pluralità che fortifica la società. In questo senso, la rivista “Desde la Fe” risponde che la riaffermazione dei diritti dei popoli originari e il rispetto delle loro integrità territoriale servirà a valorizzare e fortificare tutto il Messico, perché “gli indigeni del Chiapas sono più che una folcloristica mini marimba”, il popolare strumento musicale tipico della regione. (A cura di Alina Tufani)

inizio pagina

Vescovi del Perù: appello contro corruzione e narcotraffico

◊  

Un forte appello alle autorità per combattere la delinquenza e perché sia garantita la protezione dei cittadini, riassume il messaggio dei vescovi peruviani pubblicato, sabato scorso, al termine della 105.ma Assemblea della Conferenza episcopale. Il documento, intitolato “Riflessioni pastorali di fronte alla insicurezza e per la costruzione della pace nel Paese”, esprime la “enorme preoccupazione” dell’episcopato per l’incremento della violenza generalizzata che si traduce in “furti, aggressioni e uccisioni che avvolgono di dolore e di disperazione le famiglie e tutta la società”.

Azioni concrete e risolutive contro la violenza generalizzata
In una radiografia della grave situazione di insicurezza che si vive nel Paese, i vescovi descrivono la violenza quotidiana fatta di rapine, di uccisioni, bande di delinquenti e di sicari che coinvolgono, sempre di più, adolescenti e giovani, quasi tutti intrappolati nel consumo di droghe e di alcol e in altre dipendenze. Inoltre, la violenza nelle famiglie, il maltrattamento delle donne, il disprezzo per la dignità di ogni vita umana, lo sfruttamento dei bambini e la tratta di persone sono - secondo i vescovi - “segnali inequivocabili di deterioramento morale della vita sociale”.

A criminalità e narcotraffico si somma la corruzione
Il messaggio poi segnala che alla criminalità e al narcotraffico si somma la corruzione. “Si è visto come nelle passate elezioni – si legge – un importante numero di candidati erano vincolati al narcotraffico e alla corruzione, eppure, alcuni di loro sono stati eletti”. In tale contesto, affermano i vescovi, alla inefficacia dimostrata nel combattere l’insicurezza si somma “il discredito generale dei poteri dello Stato”.

Corruzione e criminalità annientano le persone
Nel messaggio l’episcopato sottolinea che “il connubio tra corruzione, narcotraffico e insicurezza cittadina genera un circolo vizioso che annienta le persone, viola i diritti umani, distrugge la natura, debilita le fragili istituzioni sociali e politiche e frena lo sviluppo integrale di un Paese che vorrebbe appartenere al gruppo di nazioni che si distinguono per la qualità di vita che offrono alla società”. I vescovi ricordano poi quanto detto da Papa Francesco circa la corruzione, definita “in se stessa un processo di morte”, mentre “lavorare per la pace significa lottare contro la corruzione in tutte le sue forme”. “La maggioranza dei cittadini – affermano i vescovi peruviani – invoca la pace e chiede ai governanti azioni decisive contro la corruzione e la violenza”.

Promuovere un’informazione basata su valori etici
“Non siate indifferenti a ogni segno di violenza verbale o fisica, di corruzione o di disonestà” è l’esortazione dei vescovi a tutti i peruviani, chiamati a collaborare dal proprio ambito - familiare, lavorativo, religioso, educativo o istituzionale - nella costruzione della pace. L’episcopato rivolge infine uno speciale appello ai mezzi di comunicazione per promuovere un’informazione basata su valori etici e non su “quello che vende” o “quello che piace alla gente”.  

Vescovi chiedono più spazio a solidarietà e pace
​“No a una comunicazione che esalta la violenza quotidiana e corrompe il cuore e la dignità delle persone” affermano i vescovi che chiedono più spazio per la solidarietà e la pace.  Infine - ricordando l’appello di Papa Francesco a “riabilitare la politica”- i vescovi peruviani esortano i politici ad impegnarsi in una “riforma urgente dello Stato e chiedono una partecipazione etica della cittadinanza”, attraverso tavoli di dialogo inter istituzionali, per riflettere e agire per la sicurezza, la vita e la pace nel Perù. (A cura di Alina Tufani)

inizio pagina

Nicaragua. Card. Brenes ai partiti: proporre nuovo giudice

◊  

Il parlamento del Nicaragua ha aperto il dibattito per scegliere un magistrato per il Consiglio Supremo Elettorale (Cse), in sostituzione del giudice José Luis Villavicencio, appartenente al partito di governo Frente Sandinista di Liberacion Nacional, Fsln, che si è dimesso ieri. Per essere eletto, il candidato deve ricevere il 60% dei voti del parlamento, vale a dire almeno 56 voti. Il caso è urgente perché si tratta del secondo membro del Cse che si dimette in un mese. Il Cse è composto da sette giudici, attualmente quattro di loro sono sandinisti. Il Presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha candidato l’ex Ambasciatore del Nicaragua in Argentina e membro della Commissione speciale per la difesa dei diritti dei bambini e degli adolescenti, Norma Moreno.

Tutti i nicaraguensi hanno il diritto di candidarsi
In merito a questa proposta, il card. Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, ha osservato che i partiti dovrebbero fare la loro proposta, così da non potere dire successivamente che è stato imposto qualcuno. "Penso che tutti i nicaraguensi che seguano una linea politica, hanno il diritto di candidarsi. Ciò che conta è che altri partiti propongano il loro candidato, perché secondo quanto ho letto nei media, il Frente ha fatto la sua proposta, adesso è il turno degli altri partiti politici di proporre" ha affermato il card. Brenes prima di presiedere la Messa a Masaya, domenica scorsa.

Ricordare ai politici di fare proposte positive per il popolo
"Dobbiamo ascoltare ciò che dice il Santo Padre quando parla di politica, quando ricorda ai politici di non disprezzare gli altri, di fare proposte positive per il popolo. Spero che la commissione dell'Assemblea riesca a scegliere la persona giusta, così un domani potrà essere un punto di riferimento per le prossime elezioni" ha detto il cardinale.

A novembre le elezioni presidenziali
Nel prossimo mese di novembre, il Nicaragua dovrà eleggere il suo Presidente, il vice Presidente, 90 deputati nazionali e 20 rappresentanti al Parlamento centroamericano: per questa consultazione il Cse risulta un organismo imprescindibile e fondamentale. (C.E.)

inizio pagina

Indonesia: preghiera ecumenica nella Settimana per l'Unità

◊  

Nella Settimana di Preghiera per l'Unità dei cristiani, l'arcidiocesi di Semarang (Giava centrale) ha invitato i Pastori delle varie Chiese protestanti a una celebrazione ecumenica che ha riunito fedeli cattolici e protestanti. "All'inizio, non è stato facile riunire i Pastori protestanti" riferisce all'agenzia Fides padre Aloys Budi Purnomo, a capo della Commissione per gli Affari ecumenici e interreligiosi nell'arcidiocesi di Semarang. Ma, con un cammino di avvicinamento a piccoli passi, ci si è riusciti.

Accolto lo sforzo di operare per l'armonia pacifica tra i cristiani
 "Nella chiesa di Cristo Re di Ungaran, Semarang, i Pastori di diverse confessioni cristiane hanno accolto il nostro sforzo di operare per l'armonia pacifica tra i cristiani di varie denominazioni" ha detto il sacerdote. Oltre 50 Pastori di 20 denominazioni, provenienti da varie città in Giava e da altre isole, hanno partecipato alla Veglia per l’apertura della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani.

Il culto ecumenico è un grande segno dell'opera di Dio
Oltre ai Pastori cristiani e ai sacerdoti cattolici, erano presenti circa 1.200 cattolici e protestanti, dai bambini agli anziani. Il rev Markus, presidente del Consiglio per la Cooperazione delle Chiese a Semarang ha ammesso che "il culto ecumenico è un grande segno dell'opera di Dio. Il nostro desiderio si è realizzato con questa preghiera speciale, vivace e incredibilmente ecumenica" ha detto. Padre Aloys Budi Purnomo ha osservato che tale incontro significa "apprezzare e mettere in pratica la preghiera di Gesù che voleva che i suoi discepoli vivessero in armonia, in pace e unità". (P.C.P-P.A.)

inizio pagina

Vescovi Zambia: campagna di riforestazione in tutte le diocesi

◊  

I vescovi dello Zambia hanno deciso di lanciare una campagna di riforestazione in tutte le diocesi del Paese per controbilanciare l’eccessivo sfruttamento delle risorse boschive del Paese. Lo ha annunciato nei giorni scorsi il vice coordinatore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della Conferenza episcopale (Zec), padre Boniface Zakala, in occasione di una cerimonia di piantagione di alcuni alberi presso il Cardinal Adam Memorial Hospitale di Lusaka presieduta dal Ministro per l’ambiente e le risorse agricole e naturali.

Contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici già in atto nel Paese
L’iniziativa – ha spiegato padre Sakala – vuole essere un contributo concreto della Chiesa alla lotta ai cambiamenti climatici causati dalla deforestazione nel Paese, alla luce delle raccomandazioni di Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’” sulla cura della casa comune. Gli effetti della deforestazione sono già visibili in Zambia, dove negli ultimi due anni si è registrato un drastico calo delle piogge che minaccia la sicurezza alimentare del Paese. 

Perse più del 13% delle foreste
​Secondo la Fao in Zambia si è perduto più del 13% delle sue foreste, ad un ritmo che ha raggiunto 300mila ettari all’anno, uno dei tassi di deforestazione più alti del mondo. Tra le sue causa principali la povertà: i poveri, infatti , sono spesso costretti a tagliare alberi per fare spazio alle coltivazioni e per vendere la legna, che è diventata una fonte di sostentamento. Per contrastare il fenomeno il Governo di Lusaka ha deciso di aderire al Programma di cooperazione delle  Nazioni Unite per ridurre le emissioni da deforestazione e degrado forestale nei Paesi in via di sviluppo.  (L.Z.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 26

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.