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Sommario del 22/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Rota Romana: la famiglia non sia confusa con altre unioni

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“Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”. Lo ha riaffermato con chiarezza Papa Francesco nel suo discorso al Tribunale della Rota Romana, nella tradizionale udienza di inizio anno per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. Il Papa ha anche auspicato per i futuri sposi la definizione di un “nuovo catecumenato” e invitato la Rota a valutare “molto attentamente” gli errori che riguardano la “sacramentalità del matrimonio”. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Francesco parla e nelle sue parole si coglie l’eco degli ultimi due Sinodi. Incontrare la Rota Romana è sempre occasione per verificare il lavoro di quello che viene considerato – lo affermò già Pio XII – come “il Tribunale della famiglia”.

Nessuna confusione
Il Papa rilancia questa prerogativa storica agganciandola al magistero più recente messo a fuoco dalla Chiesa sul tema famiglia, ribadendo una certezza che non è mutata:

“Nel percorso sinodale sul tema della famiglia, che il Signore ci ha concesso di realizzare nei due anni scorsi, abbiamo potuto compiere, in spirito e stile di effettiva collegialità, un approfondito discernimento sapienziale, grazie al quale la Chiesa ha – tra l’altro – indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”.

Tribunale di misericordia e verità
Messo nella giusta luce l’orizzonte, Francesco passa a valutare alcuni aspetti del panorama. “Complementare” all’essere Tribunale della famiglia è per la Rota Romana l’essere, dice, “Tribunale della verità del vincolo sacro”. Alla Chiesa, afferma, spetta il mostrare tanto l’“amore misericordioso di Dio verso le famiglie, in particolare quelle ferite dal peccato e dalle prove della vita”, quanto proclamare “l’irrinunciabile verità del matrimonio secondo il disegno di Dio”, anzi – ripete con una sua espressione – “il sogno di Dio”. Quello che attribuisce al matrimonio “la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna”, chiamati “a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale”:

“La famiglia e la Chiesa, su piani diversi, concorrono ad accompagnare l’essere umano verso il fine della sua esistenza. E lo fanno certamente con gli insegnamenti che trasmettono, ma anche con la loro stessa natura di comunità di amore e di vita. Infatti, se la famiglia si può ben dire ‘chiesa domestica’, alla Chiesa si applica giustamente il titolo di famiglia di Dio. Pertanto ‘lo “spirito famigliare’ è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere”.

Fare attenzione
Certo, riconosce a più riprese il Papa, accanto a cristiani dalla fede “forte” e “formata alla carità” ve ne sono altri che l’hanno invece “debole”, “trascurata”, “dimenticata”. Tuttavia, sostiene, “la qualità della fede non è condizione essenziale del consenso matrimoniale, che, secondo la dottrina di sempre, può essere minato solo a livello naturale”. E questo, in sede di iter processuale, va ben considerato:

“Le mancanze della formazione nella fede e anche l’errore circa l’unità, l’indissolubilità e la dignità sacramentale del matrimonio viziano il consenso matrimoniale soltanto se determinano la volontà (cfr CIC, can. 1099). Proprio per questo gli errori che riguardano la sacramentalità del matrimonio devono essere valutati molto attentamente”.

“Nuovo catecumenato”
Questo perché, sottolinea Francesco, la grazia del Battesimo “continua ad avere influsso misterioso nell’anima, anche quando la fede non è stata sviluppata e psicologicamente sembra essere assente” e dunque “non è raro”, osserva, che i futuri sposi, pur avendo al momento delle nozze “una coscienza limitata della pienezza del progetto di Dio”, nella successiva vita di famiglia “scoprano tutto ciò che Dio Creatore e Redentore ha stabilito per loro”. Per questo, conclude il Papa, la Chiesa “con rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità”…

“…non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può essere vissuta da tutti i fedeli battezzati. E perciò, a maggior ragione, l’urgenza pastorale, che coinvolge tutte le strutture della Chiesa, spinge a convergere verso un comune intento ordinato alla preparazione adeguata al matrimonio, in una sorta di nuovo catecumenato - sottolineo questo: in una sorta di nuovo catecumenato - tanto auspicato da alcuni Padri Sinodali”.

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Papa: comunicare verità con misericordia, creare ponti non esclusioni

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La comunicazione deve costruire ponti, sanare le ferite e toccare i cuori delle persone. E’ uno dei passaggi del Messaggio di Papa Francesco per la 50.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema: “Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo”, giornata che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 8 maggio. Nel documento, pubblicato oggi, il Pontefice ribadisce che il vero potere della comunicazione è la “prossimità” e chiede ai cristiani di comunicare la verità con amore, senza giudicare le persone. Quindi, esorta a rendere anche i social network luoghi di misericordia dove si favoriscono le relazioni e la condivisione. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti”. Nell’Anno Santo della Misericordia, Papa Francesco ricorda innanzitutto che “l’amore, per sua natura, è comunicazione”. Per questo “siamo chiamati a comunicare da figli di Dio con tutti, senza esclusione”. In particolare, si legge nel Messaggio, “è proprio del linguaggio e delle azioni della Chiesa trasmettere” la  misericordia di Dio, “toccare i cuori delle persone”. Quindi, invita a diffondere il “calore della Chiesa Madre”, quel “calore che dà sostanza alle parole della fede” e che accende “la scintilla che le rende vive”.

La comunicazione deve creare ponti, superare le incomprensioni
La comunicazione, sottolinea Francesco, “ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione”. E confida la sua gioia nel “vedere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia”. Le parole, ribadisce, “possono gettare ponti”. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale”. Di qui l’invito ad usare le parole per “uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni”. La parola del cristiano “si propone di far crescere la comunione”. Anche quando “deve condannare con fermezza il male – rileva – cerca di non spezzare mai la relazione”. Francesco invita a riscoprire il “potere della misericordia” di sanare le ferite. “Tutti – constata – sappiamo in che modo vecchie ferite e risentimenti trascinati possono intrappolare le persone e impedire loro di comunicare e di riconciliarsi”. In questi casi, è il suo incoraggiamento, “la misericordia è capace di attivare un nuovo modo di parlare”. Francesco cita Shakespeare laddove ne Il Mercante di Venezia afferma che “la misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve”.

Il linguaggio dei leader politici non alimenti odio e paura
Per il Papa, è “auspicabile che anche il linguaggio della politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia” e fa appello “a quanti hanno responsabilità istituzionali” affinché “siano sempre vigilanti” sul loro modo di esprimersi. È facile, ammette, “cedere alla tentazione” di alimentare “le fiamme della sfiducia, della paura, dell’odio”. Proprio per questo, allora, bisogna avere il coraggio di “orientare le persone verso processi di riconciliazione”. “Come vorrei che il nostro modo di comunicare, e anche il nostro servizio di pastori nella Chiesa – è l’auspicio del Papa – non esprimessero mai l’orgoglio superbo del trionfo su un nemico, né umiliassero coloro che la mentalità del mondo considera perdenti e da scartare!”. La misericordia, riafferma con forza, “può aiutare a mitigare le avversità della vita e offrire calore a quanti hanno conosciuto solo la freddezza del giudizio”.

Comunicare la verità con amore, non giudicare le persone
Lo stile della nostra comunicazione, si legge ancora nel Messaggio, “sia tale da superare la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti”. Noi, è la sua convinzione, “possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato” ma “non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore”. Si deve “ammonire chi sbaglia, denunciando la cattiveria e l’ingiustizia di certi comportamenti”, ma sempre ricordandosi che la verità è Cristo, “la cui mite misericordia è la misura della nostra maniera di annunciare la verità e di condannare l’ingiustizia”. Dunque, la verità va affermata “con amore” perché solo cosi “si toccano i cuori di noi peccatori”. “Parole e gesti duri o moralistici – avverte – corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il loro senso di diniego e di difesa”.

Fondamentale ascoltare l’altro, senza presunzione di onnipotenza
Il Papa mette l’accento sulle relazioni nella famiglia per rispondere a quanti “pensano che una visione della società radicata nella misericordia” sia “idealistica” o “indulgente”: “i genitori ci hanno amato e apprezzato per quello che siamo più che per le nostre capacità e i nostri successi”. E incoraggia “a pensare alla società umana” proprio come a “una casa o una famiglia dove la porta è sempre aperta e si cerca di accogliersi a vicenda”. “Comunicare – evidenzia il Messaggio – significa condividere, e la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza. Ascoltare è molto più che udire”. Ascoltare infatti rimanda alla comunicazione “e richiede la vicinanza”. “Ascoltare – scrive il Papa – significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune”. “Ascoltare non è mai facile. A volte – commenta – è più comodo fingersi sordi”. “Nell’ascolto – rimarca – si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di sé stessi”: “Saper ascoltare è una grazia immensa, è un dono che bisogna invocare per poi esercitarsi a praticarlo”.

Anche sui social network, comunicare con misericordia
Francesco si sofferma anche sulla realtà della comunicazione digitale. “Anche e-mail, sms, reti sociali, chat – afferma – possono essere forme di comunicazione pienamente umane”. Per il Papa, “non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo”. E invita a far sì che i social network favoriscano le relazioni e non conducano “ad un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone”. Anche in Rete “si costruisce una vera cittadinanza”. “L’ambiente digitale – prosegue – è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale”. La Rete, quindi, deve “essere ben utilizzata” e “aperta alla condivisione”. La comunicazione con il suo sviluppo, ribadisce, “è un dono di Dio”, ma rappresenta “anche una grande responsabilità”. Ancora una volta definisce quello della comunicazione come il potere della “prossimità”. “L’incontro tra la comunicazione e la misericordia – esorta il Papa – è fecondo” proprio “nella misura in cui genera una prossimità”. “In un mondo diviso, frammentato, polarizzato – conclude – comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità”.

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Mons. Viganò: recuperare il silenzio per tornare a comunicare

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Comunicare la misericordia attraverso le parole, il silenzio, le immagini, la mediazione del cuore. E’ questo il paradigma con cui è stato declinato nella Sala Stampa della Santa Sede, il Messaggio del Papa per la 50.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Alla conferenza stampa, moderata dal direttore, padre Federico Lombardi, sono intervenuti mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, il dott. Paolo Ruffini, direttore di Tv2000, e la biblista Marinella Perroni. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

E’ fecondo l’incontro tra comunicazione e misericordia. Le parole di Gesù – ha detto mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunciazione - “annunciano una misericordia che sorpassa ogni legge”. La misericordia - ha aggiunto –  è il tratto distintivo della Chiesa che ha “la responsabilità “di narrare in parole e opere, in atteggiamenti e forme di vita, il volto misericordioso di Dio in Cristo”. Deve declinare la misericordia “in parole di speranza e di vita”, “in gesti coinvolgenti”, “toccare la carne degli ultimi”.

Mons. Viganò: le parole del silenzio ammutoliscano le chiacchiere
La Chiesa è chiamata a questa missione in un tempo in cui “il disamore per l’ascolto” produce un linguaggio disattento. Il silenzio – ha spiegato mons. Viganò – è un elemento indispensabile per la comunicazione: “Più un individuo sarà capace di stare in silenzio, maggiore sarà il valore delle parole che proferirà, essendo esse il frutto di una meditazione”. Il silenzio può rivelarsi una straordinaria forma di comunicazione:

“D’altra parte tutti noi abbiamo in mente l’affaccio alla Loggia Centrale di Papa Francesco: quello che qualche studioso chiamerebbe un ‘evento trasformativo’. Trasformativo perché tutto è stato preceduto da un grande momento di silenzio, quando - come tutti noi ricordiamo - il Papa ha chiesto di pregare per lui”.

Il silenzio, essenziale per discernere ciò che è realmente importante, è anche “raccoglimento e meditazione”. E nell’assordante contemporaneità – ha affermato mons. Viganò - cresce la nostalgia del silenzio:

“Da questa Geenna del rumore, che è la nostra vita quotidiana, da questa ‘galleria del vento di pettegolezzi’ e di chiacchiere nasce spontanea la nostalgia del silenzio, il desiderio di far ammutolire le parole strumentalizzate e di scoprire le parole del silenzio”.

Paolo Ruffini: una tv con occhi di misericordia sceglie la prossimità
Non esiste un metodo per raccontare la misericordia attraverso le immagini. “Per comunicare la misericordia – ha detto il dott. Paolo Ruffini, direttore di Tv2000 – bisogna camminarci dentro. Farne esperienza. Condividerla”:

“Mi pare che il mondo della televisione abbia ridotto lo share ad un numero che misura una massa; ad un indice che serve per pesare il valore degli investimenti pubblicitari o anche solo una connessione senza comunicazione. Laddove, invece, se c’è una grandezza da misurare è quella della pienezza, della bellezza di questa condivisione. E’ una grandezza che sta nella sua unicità”.

La sfida di una comunicazione televisiva fondata sulla misericordia – ha osservato il dott. Ruffini – sta nella capacità di guardare alle cose e ancora di più alle persone. Una tv che vuole guardare il mondo con occhi di misericordia “non può aver paura di essere piantata nella realtà”. “Non si rinchiude nel chiuso dei propri studi”. “Non vende sogni a buon mercato”. Si fa invece “prossima alle persone in carne ed ossa nel mondo reale, non in quello virtuale”:

“E’ capace di cogliere la grandezza anche nelle piccole cose e sceglie la prossimità come criterio per comprendere, per capire, per sorprendersi e per sorprendere, per agire, per scegliere. Per piangere e per ridere. Per emozionarsi. Per ragionare”.

Marinella Perroni: mediazione del cuore tra informare e comunicare
Il rapporto tra comunicazione e misericordia, nella prospettiva biblico-teologica, è stato al centro dell’intervento della professoressa Marinella Perroni del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Informare e comunicare – ha detto – sono due distinte operazioni che hanno sempre bisogno di una mediazione:

“Il Pontefice ricorda che si tratta di due operazioni che richiedono due diverse capacità, ma anche due diversi atteggiamenti: un conto è udire, un altro è ascoltare. Perché si arrivi ad ascoltare e non soltanto ad udire, ci vuole una mediazione che passa assolutamente dalla disponibilità del cuore. E la disponibilità del cuore per la tradizione biblica non è mai un fatto, né sentimentale né emotivo né emozionale: la disponibilità del cuore è la sapienza del vivere e della vita che ciascuno è riuscito a costruire dentro se stesso attraverso il vivere”.

La mediazione del cuore è la strada verso la misericordia:

“Quando la comunicazione passa attraverso il 'cuore', quando è impastata a sapienza del vivere e sapienza della vita, diviene ministero della misericordia”.

Riforma dei media
Rispondendo ad una domanda sulla riforma dei media vaticani, mons. Viganò ha detto che tale processo sulla carta è già stato delineato e approvato dal Consiglio dei cardinali. Verrà presentato e illustrato - ha detto – quando con la dovuta attenzione si individuerà un percorso chiaro per le oltre 700 persone coinvolte nella riforma.

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Francesco: se il vescovo non prega, il popolo di Dio soffre

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Compito del vescovo è quello di pregare e annunciare la Risurrezione di Gesù; se il vescovo non prega e non annuncia il Vangelo ma si occupa di altre cose, il popolo di Dio ne soffre: è quanto ha affermato il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Il Vangelo del giorno (Mc 3, 13-19) racconta la scelta dei Dodici Apostoli da parte di Gesù: li sceglie “perché stiano con Lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni”. I Dodici - afferma Papa Francesco - “sono i primi vescovi”. Dopo la morte di Giuda viene eletto Mattia: è “la prima ordinazione episcopale della Chiesa”. “I vescovi sono colonne della Chiesa”, chiamati ad essere testimoni della Risurrezione di Gesù:

“Noi vescovi abbiamo questa responsabilità di essere testimoni: testimoni che il Signore Gesù è vivo, che il Signore Gesù è risorto, che il Signore Gesù cammina con noi, che il Signore Gesù ci salva, che il Signore Gesù ha dato la sua vita per noi, che il Signore Gesù è la nostra speranza, che il Signore Gesù ci accoglie sempre e ci perdona. La testimonianza. La nostra vita dev’essere questo: una testimonianza. Una vera testimonianza della Resurrezione di Cristo”.

I vescovi – ha proseguito il Papa – hanno due compiti:

“Il primo compito del vescovo è stare con Gesù nella preghiera. Il primo compito del vescovo non è fare piani pastorali … no, no! Pregare: questo è il primo compito. Il secondo compito è essere testimone, cioè predicare. Predicare la salvezza che il Signore Gesù ci ha portato. Due compiti non facili, ma sono propriamente questi due compiti che fanno forti le colonne della Chiesa. Se queste colonne si indeboliscono perché il vescovo non prega o prega poco, si dimentica di pregare; o perché il vescovo non annuncia il Vangelo, si occupa di altre cose, la Chiesa anche si indebolisce; soffre. Il popolo di Dio soffre. Perché le colonne sono deboli”.

“La Chiesa senza vescovo non può andare” – conclude il Papa – per questo “la preghiera di tutti noi per i nostri vescovi è un obbligo, ma un obbligo d’amore, un obbligo dei figli nei confronti del Padre, un obbligo di fratelli, perché la famiglia rimanga unita nella confessione di Gesù Cristo, vivo e risorto”:

“Per questo, io vorrei oggi invitare voi a pregare per noi vescovi. Perché anche noi siamo peccatori, anche noi abbiamo debolezze, anche noi abbiamo il pericolo di Giuda: perché anche lui era stato eletto come colonna. Anche noi corriamo il pericolo di non pregare, di fare qualcosa che non sia annunciare il Vangelo e scacciare i demoni … Pregare, perché i vescovi siano quello che Gesù voleva, che tutti noi diamo testimonianza della Resurrezione di Gesù. Il popolo di Dio prega per i vescovi. In ogni Messa si prega per i vescovi: si prega per Pietro, il capo del collegio episcopale, e si prega per il vescovo del luogo. Ma questo è poco: si dice il nome e tante volte si dice per abitudine, e si va avanti. Pregare per il vescovo con il cuore, chiedere al Signore: Signore, abbi cura del mio vescovo; abbi cura di tutti i vescovi, e mandaci i vescovi che siano veri testimoni, vescovi che preghino, e vescovi che ci aiutino, con la loro predica, a capire il Vangelo, a essere sicuri che Tu, Signore, sei vivo, sei fra noi”.

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Tre nuovi Santi e otto Beati: sarà canonizzato il Cura Brochero

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’udienza il Pontefice ha autorizzato il Dicastero a promulgare i decreti riguardanti tre nuovi Santi, otto Beati e due Venerabili. Il servizio di Giada Aquilino

Stanislao di Gesù Maria, Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero e Giuseppe Sánchez del Río. Si tratta dei tre Beati che saranno presto canonizzati. Il Papa ha firmato il decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione del Beato polacco Stanislao di Gesù Maria, al secolo Giovanni Papczyński, vissuto nel 1600, fondatore della Congregazione dei Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Professore di retorica, ma anche maestro di vita spirituale, predicatore e confessore, dedito alle opere di misericordia, vedeva nell'imitazione della vita evangelica di Maria la fondamentale forma del culto all'Immacolata Concezione.

A diventare Santo sarà anche Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero, il sacerdote diocesano argentino più conosciuto come “Cura Brochero”, figura particolarmente cara a Papa Francesco: nel messaggio per la Beatificazione del settembre 2013, lo definì “un pioniere nell’uscire verso le periferie geografiche ed esistenziali per portare a tutti l’amore, la misericordia di Dio”. Nato nel 1840 nella zona di Cordoba, dedicò la sua vita a “uscire a cercare la gente”, scrisse meno di tre anni fa il Pontefice; si spostava per chilometri sul dorso di una mula, attraversando zone disagiate, proprio per farsi vicino a tutti. Morì nel gennaio 1914 a Villa del Transito, che poco dopo fu ribattezzata Villa Cura Brochero. È stato inoltre riconosciuto il miracolo attribuito all’intercessione del Beato messicano Giuseppe Sánchez del Río, laico, martire, vittima nel 1928 a soli 15 anni delle persecuzioni religiose.

Diventerà presto Beato, con un miracolo attribuito alla sua intercessione, il Servo di Dio Francesco Maria Greco: sacerdote diocesano italiano, visse tra il 1857 e il 1931; fu fondatore della Congregazione delle Suore Piccole Operarie dei Sacri Cuori e si fece promotore di oratori, associazioni e ospedali caritatevoli. Il decreto firmato da Papa Francesco riguarda anche il miracolo attribuito all’intercessione della Serva di Dio Elisabetta Sanna, laica italiana del Terzo Ordine di San Francesco e membro dell’Unione dell’Apostolato Cattolico fondato da San Vincenzo Pallotti. Nata in Sardegna nel 1788, rimase vedova molto giovane e divenne la madre spirituale delle donne della sua terra. Morì dopo una vita di sacrifici e preghiera nel 1857 a Roma. Beato sarà anche Engelmar Unzeitig, di cui si riconosce il martirio: tedesco, nato nel 1911, sacerdote professo della Congregazione dei Missionari di Mariannhill, ucciso in odio alla fede il 2 marzo 1945, a Dachau. Sono martiri - e presto Beati - pure Gennaro Fueyo Castañón, sacerdote diocesano spagnolo, e 3 compagni, laici, uccisi in odio alla fede nel 1936. Sarà beatificato poi il martire giapponese Giusto Takayama Ukon, il signore feudale convertitosi al cattolicesimo che ha spianato la strada per l'evangelizzazione del Sol Levante: venne ucciso in odio alla fede il 3 febbraio 1615.

Sono state infine riconosciute le virtù eroiche del Servo di Dio Arsenio da Trigolo (al secolo: Giuseppe Migliavacca), italiano, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, fondatore della Congregazione delle Suore di Maria Santissima Consolatrice, nato il 13 giugno 1849 e morto il 10 dicembre 1909; e della Serva di Dio Maria Luisa del Santissimo Sacramento (al secolo: Maria Velotti), italiana, del Terzo Ordine di San Francesco, fondatrice dell’Istituto delle Suore Adoratrici della Santa Croce, nata il 16 novembre 1826 e morta il 3 settembre 1886.

In attesa della canonizzazione, sulla figura del sacerdote Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero, ascoltiamo al microfono di Giada Aquilino il padre gesuita Guillermo Ortiz, responsabile dei Programmi di lingua spagnola della Radio Vaticana, originario della zona di Villa Cura Brochero: 

R. – E’ il prete che Francesco descrive quando parla dei vescovi, dei sacerdoti, dicendo che il prete deve essere “callejero”, che vuol dire “della strada”: quindi essere fuori dalla sacrestia, essere fuori dall’ufficio parrocchiale. Questo prete ha attraversato una montagna di 3 mila metri, che separa Cordoba dall’Ovest: una zona molto bella, ma anche molto particolare perché la gente viveva – e vive tuttora - una grandissima povertà, con problemi di salute, di alcoolismo, di solitudine, dovuta all’ampiezza del territorio della parrocchia che si estendeva per 200 chilometri. La gente aveva qualche coltivazione, curava gli animali, ma non abitava in villaggi, spesso era separata anche da diversi chilometri. Il “cura Brochero” prima ha preso un cavallo, poi una mula e ha percorso tutto il territorio della sua parrocchia: e questo non soltanto per sapere come stesse la gente – portava qualche volta anche delle medicine o ciò di cui le persone avevano bisogno – ma soprattutto per “cercare” le persone, per gli Esercizi Spirituali. Lui è un pastore con l’odore delle pecore e non perché lì c’erano delle pecore, delle capre, delle mucche, dei cavalli o perché fosse andato sul dorso di una mula, prendendone l’odore, o perché la gente che incontrava vivesse con le pecore: ma semplicemente perché lui si è avvicinato così tanto alle persone e alla gente.

D. – Lei ha ricordato gli Esercizi Spirituali: il padre Brochero costruì una Casa per gli Esercizio Spirituali nella sede parrocchiale. E teneva molto anche al perdono in confessione. Cosa significava per lui la misericordia?

R. – Dicono che lui dedicasse molto tempo al confessionale. Portava con sé un’immagine della Madonna, con quanto gli serviva per celebrare la Messa, perché aveva il permesso del vescovo per celebrare là dove arrivasse: e lì si metteva a confessare. Per lui pentirsi, convertirsi, ricevere la misericordia di Dio significava amare Dio e amare il prossimo, senza differenza.

D. – La beatificazione nel settembre 2013. A gennaio 2016 la firma del decreto per il miracolo: di cosa si tratta?

R. – Qualcuno dice che è interessante perché riguarda dei bambini. C’era un bambino che ebbe un incidente con il nonno: era molto piccolo, neonato. Questo bambino stava per morire: non era arrivato in ospedale o in un pronto soccorso, ma era in una sala di primo aiuto, molto precaria. Il medico disse: “Io non posso fare niente, perché qui si deve fare un intervento…”; il papà allora rispose: “Lei faccia ciò che deve, che io prego Brochero”. E questo bimbo si è salvato, ha continuato a vivere. C’è poi l’altro che riguarda una bambina, una piccola che era stata picchiata dai genitori, arrivando in ospedale in condizioni molto gravi: anche questo è stato riconosciuto come un miracolo per l’intercessione di Brochero.

D. – Il “Cura Brochero” aveva studiato dai Gesuiti, nella sua vita invitò sempre a seguire e a praticare gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola. Che significato ha la sua canonizzazione annunciata nell’Anno Santo della Misericordia indetto da Francesco, un Papa gesuita e argentino?

R. – E’ un Santo nel Giubileo della Misericordia così vicino alla gente. Per Papa Francesco è una gioia, perché lui parla molto ai preti e ai vescovi e certamente presenta a tutti noi preti questo uomo, perché possiamo imparare: è il prete che il Papa vuole. 

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In udienza dal Papa il presidente del Commonwealth di Dominica

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Uno scambio di opinioni su temi, tra gli altri, di tutela ambientale hanno caratterizzato l’incontro di Papa Francesco con Udienza il presidente del Commonwealth di Dominica, Charles Angelo Savarin, ricevuto in udienza nel Palazzo apostolico

“Nel corso dei cordiali colloqui – informa una nota ufficiale – si è fatto riferimento alle buone relazioni bilaterali, rilevando l’opportunità di una proficua e mutua collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica, la quale offre  un significativo contributo alla promozione della dignità della persona umana, nonché nei settori  dell’educazione dei giovani e dell’assistenza ai più bisognosi”.

Inoltre, prosegue il comunicato, “sono stati trattati alcuni temi di rilevanza regionale e globale, con particolare riferimento alla protezione dell’ambiente e al tema dei cambiamenti climatici e delle catastrofi  naturali, che provocano gravi danni e diverse vittime tra la popolazione dell’Isola”.

Dopo l’udienza con il Papa, il presidente del Commonwealth di Dominica si è incontrato con il cardinale segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

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Dal Papa l'amministratore delegato di Apple, Donald Cook

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e l’amministratore delegato di Apple, Timothy Donald Cook. 

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Papa, tweet: oggi perdono è raro, misericordia è importante

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Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Nella società di oggi, in cui il perdono è così raro, la misericordia è sempre più importante”.

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Osce. L'osservatore permanente vaticano interviene sulla Shoah

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“Il ricordo della Shoah, ma anche dello sterminio pianificato dei Rom e dei Sinti e di altri gruppi di persone trattate con assoluta cattiveria da questo programma malvagio ci chiama a un più profondo e universale rispetto della dignità di ogni persona”. E’ quanto ha dichiarato mons. Janusz Urbańczyk, Osservatore Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite a Vienna, in riferimento alla Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto,  che sarà celebrata il 27 gennaio.

No a ideologie e regimi che considerano alcuni esseri umani inferiori
“L’Olocausto – ha detto il presule intervenendo alla 1086.ma riunione del Consiglio Permanente della OCSE – ci ricorda che se se non si riconosce che tutti gli uomini e donne fanno parte di un’unica grande famiglia e se non conviviamo con il nostro vicino e con lo straniero, quello che ci aspetta è la disumanità. Il suo ricordo è anche un monito a non cedere a ideologie che giustificano il disprezzo della dignità umana”, ha aggiunto, richiamando  il terrorismo e le guerre perpetrate oggi nel mondo in nome di Dio: “Da un lato – ha osservato – c’è l’abuso del nome di Dio per giustificare una violenza insensata contro persone innocenti; dall’altro, c’è il cinismo che dimostra il disprezzo di Dio e ridicolizza la fede in Lui”. “L’innata dignità di ciascuno e di ogni persona – ha proseguito il rappresentante vaticano - esige che a nessun regime o  ideologia si possa permettere di non considerare e trattare tutti gli esseri umani come pari, ai quali il Creatore ha dato diritti e dignità inalienabili”.

L’impegno della santa Sede contro ogni forma di anti-semitismo
Ricordando il 50° anniversario della Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, mons. Urbańczyk ha quindi ribadito che la Santa Sede è determinata a continuare il suo impegno contro ogni forma di anti-semitismo, perché, come ha affermato Papa Francesco alla  Sinagoga di Roma, “Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio” e “il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”. (L.Z.)

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Mons. Celli: comunicare il calore della Chiesa

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“Se non è ‘stare con Gesù’, è affannarsi per tante cose”. Sono parole di mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, alla Messa, stamane, nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina. Tra i concelebranti, mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione, e padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana e di Radio Vaticana.  L’occasione: la pubblicazione del Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali e l’imminente memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli operatori della comunicazione (24 gennaio).

Comunicazione e vocazione
Mons. Celli ha sottolineato che “anche la comunicazione è vocazione”, ma solo se rientra “nel grande piano di amore di Dio per l’uomo”. Ha ricordato l’esempio di San Francesco di Sales, che restava solo pochi minuti al giorno senza pensare alle “cose di Dio”, per poi sottolineare l’importanza di  “stare davvero con Gesù”. Significa – ha spiegato seguirlo e fare le sue stesse scelte, richiamandosi all’invito evangelico di “predicare e scacciare i demoni”.

“Fare attenzione a ciò che si dice e a come si dice”
Mons. Celli ha sottolineato quanto sia difficile per ognuno di noi accettare “il chiodo della Croce” quando ci tocca. Eppure questo significa seguire Gesù ma – ha raccomandato – non senza ricordarsi la gioia e la tenerezza che riceviamo da Dio e che siamo chiamati a esprimere all’altro. E qui il richiamo al cuore della predicazione di Papa Francesco: mons. Celli ha ricordato l’invito del Papa alla Chiesa ad aprirsi, a farsi “Chiesa in uscita” e poi l’invito deciso a far sentire “il calore della Chiesa madre”. Dunque, in tema di comunicazione, mons. Celli ha lasciato la raccomandazione precisa a “fare attenzione a ciò che si dice e a come si dice”. (A cura di Fausta Speranza)

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Oggi in Primo Piano



Mar Egeo: morti 44 migranti, tra cui 20 bimbi. A rischio Schengen

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Il tema immigrazione al centro del dibattito in Europa sulla possibile sospensione per due anni del Trattato di Schengen, che favorisce la libera circolazione all’interno dell’Unione. Molte le perplessità, mentre il Presidente americano Obama chiede alla Cancelliera tedesca Merkel la convocazione di un vertice internazionale entro l’anno. Intanto, nel Mar Egeo c’è stata una nuova tragedia. In un naufragio al largo di Smirne sono morte almeno 44 persone, tra cui 20 bambini. Giancarlo La Vella ha intervistato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: 

R. – L’effetto della sospensione di Schengen è immediato e consiste nel blocco della possibilità di passaggio delle persone: in pratica controlli più decisi su quest’ultime. E ciò riporterebbe la gestione delle migrazioni a livello nazionale in modo effettivo, mentre noi pensiamo che la soluzione dei problemi di questo periodo, la soluzione del fenomeno migratorio, sia nella gestione europea: quindi nel mettersi d’accordo tra Stati e non lasciare che ogni singolo Stato decida per sé.

D. – Come conciliare gli aspetti della sicurezza con quelli della doverosa accoglienza?

R. – I controlli delle persone devono essere a vantaggio delle persone stesse. L’identificazione deve essere funzionale al fatto che poi le persone possano veramente essere accolte e integrate nel territorio. Non possiamo più permettere che i controlli sulle persone avvengano per difenderci da coloro che arrivano, per difendere le nostre frontiere piuttosto che le persone stesse. Questo è inaccettabile ormai.

D. – Altro tema in discussione è l’onere di controllo e asilo, giudicato “eccessivo” per i Paesi di primo ingresso. Anche qui, com’è possibile spalmare questo impegno, di fatto su tutti i Paesi dell’Unione Europea, anche su quelli lontani dalle frontiere?

R. – Bisognerebbe ripensare il sistema di asilo a livello europeo: una gestione comunitaria del fenomeno. E quindi tutti si sentirebbero responsabili dell’accoglienza che avviene nei Paesi di frontiera, quelli del Sud dell’Europa; ma poi l’accoglienza più generale dovrebbe essere distribuita su tutti i Paesi dell’Unione. Allora, soltanto in questo modo, operando una gestione del sistema di asilo a livello generale europeo, le persone pur arrivando in un singolo posto, possono poi muoversi all’interno dell’intera Unione.

D. - La richiesta del Presidente Obama alla Cancelliera Merkel di un vertice internazionale sull’immigrazione fa pensare che il problema non sia solo del Mediterraneo, ma che sia invece un problema globale, non solo europeo?

R. – Certamente. Io amo chiamarlo, più che problema, il “fenomeno” delle migrazioni. Questo è un fenomeno globale. Noi sappiamo dall’Organizzazione Mondiale, che si occupa di rifugiati, che ormai nel mondo sono circa 60 milioni le persone che fuggono da guerre e da persecuzioni. E soltanto un milione di essi arriva in Europa. Quindi ci occupiamo soltanto di una piccola parte di questo fenomeno che invece interessa tutto il pianeta. La gestione deve essere internazionale, e poi ogni singola regione deve prendersi la responsabilità di affrontare il fenomeno all’interno del proprio territorio. 

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Colombia, Farc: avanza processo di pace, verso firma a marzo

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Procede velocemente e in modo positivo, anche secondo il parere dell’Unione delle Nazioni sudamericane, il processo di pace avviato nel 2012 tra il governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie. La firma conclusiva forse il mese prossimo. Intanto, è in corso il rilascio di alcuni guerriglieri in cambio della diminuzione delle violenze. Ricordiamo anche i tanti appelli del Papa per una conclusione positiva delle trattative. Dunque, quale è lo stato attuale degli accordi e quali i dubbi che restano? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Maurizio Stefanini, giornalista esperto di questioni latinoamericane: 

R. – Ci sono stati alcuni passi e non solo quelli dei guerriglieri che sono stati fatti questa settimana: è stato constato che effettivamente le Farc avevano cessato il fuoco e come risposta, come gesto di buona volontà unilaterale, è stato concesso l’indulto ai guerriglieri. Ma non c’è stato solo questo, perché già martedì c’era stato un altro passo importante: il governo e la guerriglia delle Farc, insieme, avevano deciso di sollecitare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per supervisionare il processo di disarmo. E poi ancora, domenica, vari rappresentanti delle Farc sono andati sul campo a spiegare i termini di questo accordo e quello che dovranno fare. Quindi, in questa settimana c’è stata una accelerazione rispetto al processo. Adesso, si dice che si dovrebbe arrivare a qualcosa a marzo.

D. – Le questioni principali che sono state già affrontate quali sono?

R. – C’erano cinque punti in discussione, dal punto meno contestato andando via via sui punti più difficili, fino ad arrivare al punto finale: si è fatta una trattativa punto per punto. Il primo punto era stato quello della riforma agraria, il secondo punto, era quello di una reintegrazione dei guerriglieri nella vita politica e civile; il terzo, era quello di una strategia di lotta alla droga, per cui le Farc dovevano rinunciare ai loro collegamenti con i narcotraffici e il governo avrebbe dovuto reimpostare un nuovo tipo di politica basata su incentivi economici per l’abbandono delle narco-colture; il quarto è quello relativo alle vittime del conflitto e quindi necessità di indennizzi, creazione di commissioni…

D. – Invece, per quanto riguarda la consegna delle armi e poi il passo successivo che dovrebbe essere il referendum: sarà questo che chiuderà tutta la trattativa?

R. – Dovrebbe essere firmato l’accordo e poi ci dovrebbe essere un referendum di approvazione dell’accordo. Si parla della firma definitiva a marzo. Si parlava anche di una forma di approvazione da parte della società colombiana, ma il governo ha insistito e insiste sul fatto che sarebbe opportuno fare un referendum.

D. – La supervisione delle Nazioni Unite è importante su questo processo?

R. – E’ importante soprattutto perché gli accordi relativi alla giustizia potrebbero violare accordi internazionali in materia di diritti umani: al di à del discorso del peacekeeping o della garanzia per parti che si sono combattute a lungo e potrebbero non aver fiducia una nell’altra, c’è questo problema di garanzia nei confronti della giustizia internazionale. Anche se il fatto dovrà consistere più nell’indennizzo alle vittime che in una forma di punizione.

D. – Rimane anche la questione del timore delle Farc nei confronti dei paramilitari e delle loro eventuali rivendicazioni?

R. – I paramilitari hanno già fatto un processo in cui hanno ottenuto diverse cose. D’altra parte, non ci sono solo paramilitari. C’è anche il problema che una volta fatto l’accordo con le Farc, c’è anche l’"Ejército de Liberación Nacional" che è un altro esercito di guerriglia e anche con quello bisognerà fare un processo ulteriore. E poi c’è sempre un rischio, perché tutti i processi di pace che ci sono stati in Colombia in passato hanno sempre avuto qualcuno che non li ha accettati e si è messo a costituire nuovi movimenti guerriglieri o è andato in altri. Quindi il rischio è anche che una competente più o meno importante dei combattenti delle Farc non accetti il processo…

D. – Ritiene, comunque, che siamo ad un livello di trattativa avanzato e mai raggiunto fino ad ora dalle parti? E’ dunque positivo il giudizio su questo processo?

R. – In Colombia, sono stati fatti vari accordi di pace con altri movimenti di guerriglia: lo avevano fatto anche con le Farc negli anni Ottanta, ma non funzionò perché non fu rispettato da nessuna. Comunque, in questo momento, esiste – tenendo proprio conto dell’esperienza del passato – un livello di approfondimento e di coinvolgimento internazionale e di studio dei problemi che è molto superiore a quello che c’è stato in passato.

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Unioni civili: RnS sostiene Family Day e promuove veglia mariana

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Il dibattito sulle unioni civili fa crescere la mobilitazione popolare in vista del Family Day del 30 gennaio. Il Rinnovamento nello Spirito Santo saluta con favore l’appuntamento e annuncia nello stesso tempo una veglia di preghiera mariana per la sera del 26 gennaio in difesa della famiglia. Ascoltiamo il presidente del Rinnovamento, Salvatore Martinez, al microfono di Sergio Centofanti

R. – Abbiamo voluto lanciare questa idea di una veglia mariana dedicata alle donne e alle madri che sarà realizzata, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, martedì 26 gennaio, a partire dalle ore 20:45. Il gesto verrà replicato contestualmente: ci sembra, infatti, molto bello che tutto il Paese stia in preghiera nei principali Santuari d’Italia - a Loreto, a Padova, a San Giovanni Rotondo, a Pompei, a Siracusa – alla stessa ora per questa veglia mariana per riaffermare la bellezza della maternità, della paternità, la dignità della donna e dell’uomo. Sono tutti invitati a questa veglia mariana, in modo particolare le donne, le madri, e chiediamo proprio a loro di venire con un fiore per Maria, affinché sbocci nei nostri cuori la verità per il bene comune, per la vita, per la famiglia, così come fa Papa Francesco che porta sempre un fiore alla Madonna.

D . – Il Rinnovamento nello Spirito Santo come si pone di fronte al Family Day del 30 gennaio?

R. – Noi non siamo tra i soggetti che compongono il comitato promotore, però salutiamo con favore una manifestazione nella quale si esprime la cittadinanza attiva. In quanto italiani - ce lo ha ricordato il Santo Padre a Firenze - non siamo solo credenti, ma siamo anche cittadini. È ritenuto ingiusto dalla nostra gente questo disegno di legge e direi addirittura fuorviante rispetto a quello che è il sentire comune e le richieste che vengono dalla gente, dal Paese. Quindi, quando è in gioco la dignità della persona, umana, integrale, bisognerebbe avere un sacro rispetto. Non sempre questo si ravvisa. La gente lo chiede, quindi proviamo intanto nella preghiera a dare voce a queste istanze e poi a credere nei miracoli; credere che la preghiera non solo ha effetto, ma ottiene anche ciò che non sembra possibile umanamente.

D. – C’è una mobilitazione popolare crescente, dal basso, una coscienza che si fa più viva per la difesa della famiglia, della dignità della donna e del bambino che rischia di diventare oggetto di compravendita …

R. – Non c’è dubbio che al di là di quelle che possono essere le organizzazioni, i coinvolgimenti che vengono dall’alto, dal basso si muove qualcosa in questa direzione: avvertiamo che c’è bisogno di partecipazione, c’è una risposta spontanea ed è in quel senso della fede, che tante volte Papa Francesco richiama nell’Evangelii Gaudium dove dice che è il popolo di Dio addirittura infallibile. Quindi, questi fenomeni vanno guardati con grande rispetto. Noi abbiamo detto nel nostro comunicato: “Nessuno si intesti queste battaglie”; qui non è una corsa alle sigle, alle denominazioni. È invece più importante che sia un gesto di responsabilità civile che dice che, al di là di tutte le appartenenze religiose e le distinzioni culturali, i diritti della famiglia prevalgono sui diritti individuali, le unioni non sono comparabili alla famiglia naturale. Quando la vita è sfidata, quando lo spirito di morte che diventa anche quello dell’errore, delle menzogna, e attacca il cuore dei credenti, ecco che la risposta che viene dal basso è immediata.

 

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Focolari: unioni civili non sono matrimonio, cambiare ddl Cirinnà

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Un impegno deciso per cambiare il disegno di legge sulle unioni civili. A chiederlo ai parlamentari di tutti gli schieramenti è il Movimento dei Focolari a pochi giorni dall’inizio dell’esame del testo da parte del Senato. Molte le iniziative del movimento per sollecitare che il voto di chi siede in parlamento sia dato secondo coscienza, perché la legge sia risultato di maggiore ponderatezza e non prevalgano motivazioni ideologiche o l’affermazione dei diritti individuali sul buon senso e sul bene comune. Sul ddl Cirinnà, Adriana Masotti ha sentito i coniugi Marina e Gianni Vegliach, responsabili del Movimento Famiglie Nuove, diramazione dei Focolari: 

R. – (Marina) Riteniamo che in questo momento anche di grandi cambiamenti della società e di nuove domande, è necessaria una legge sulle unioni civili. Però, questa legge – secondo noi – andrebbe molto migliorata. Chiediamo ai parlamentari proprio l’impegno di migliorare la legge sia per quanto riguarda i numerosi rimandi al diritto del matrimonio, che invece non è; la legge sulle unioni civili dovrebbe essere una legge nuova, che regolamenti un nuovo istituto per le formazioni sociali, mentre i richiami alla disciplina del matrimonio e quindi dell’art. 29 della Costituzione ci sembrano fuori luogo. E poi, tutta la parte relativa all’adozione, che è una materia che andrebbe senz’altro migliorata in questo testo.

D. – Chi è a favore dell’adozione del figlio di uno dei due partner da parte del compagno o della compagna, dice che è per il bene dei bambini; chi è contrario sostiene che i bambini hanno diritto, invece, a una mamma e a un papà …

R. – (Gianni) Penso che sia un’idea ancora valida: i bambini nascono sempre nello stesso modo, crescono sempre nello stesso modo. Sicuramente possono esserci casi particolari per cui ci sono delle situazioni che andrebbero regolamentate.

R. – (Marina) Questa forma di adozione apre sicuramente a tutta una possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali; il bene del bambino e avere un genitore padre e un genitore madre. La complementarietà dei due sessi è senz’altro il meglio per il bambino.

D. – Voi da anni lavorate a contatto con famiglie di tutto il mondo, di tutte le culture. Potete dire in sintesi dalla vostra esperienza, come vanno le cose nei Paesi dove l’equiparazione tra unioni civili – e quindi anche l’adozione – e il matrimonio “tradizionale” è già riconosciuta e praticata?

R. – (Marina) Sicuramente, in tutto il mondo si riconosce che il bambino che nasce e cresce in una famiglia dove ci sono un papà e una mamma e magari anche dei fratelli che vivono in armonia, questo è il meglio per il bambino. E’ il buonsenso che lo dice, prima ancora di quanto possa dire la legge. Poi, sicuramente non si può generalizzare. Ogni bambino ha una storia e la sua crescita dipende da tantissimi fattori. Certamente, vediamo che le difficoltà maggiori per i figli insorgono quando la famiglia si spacca, quando c’è la perdita del genitore a causa di una guerra, ad esempio, o quando la famiglia si spacca perché non ci si capisce più.

D. – Come realizzate voi il diritto-dovere del cristiano di intervenire e di influire su temi così importanti, in una Nazione?

R. – (Gianni) Noi cerchiamo prima di tutto di sensibilizzare le famiglie a essere protagoniste e a essere presenti in tutti i dibattiti, sia in campo ecclesiale ma anche in campo civile, in campo politico. Noi come Famiglie Nuove aderiamo al Forum delle Associazioni familiari che è da anni impegnato nel chiedere una tutela e una legislazione che sia più vicina alla famiglia in tutte le situazioni e in tutti i campi.

R. – (Marina) In questo momento, pensiamo che sia necessario un grandissimo impegno per migliorare questa legge. E poi, noi chiediamo delle vere iniziative a favore della famiglia: molte delle nostre persone sono impegnate proprio a diffondere questa idea; alcuni sentono anche di andare in piazza e noi veramente lasciamo libero ciascuno di agire in base alla propria sensibilità e in base alla propria storia.

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Prima Conferenza su teologia della migrazione in Africa

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E’ iniziata giovedì a Brazzaville, nella Repubblica del Congo, la prima Conferenza internazionale sulla teologia della migrazione in Africa. Organizzata dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), la Conferenza raduna una cinquantina di persone, tra vescovi, sacerdoti, religiose ed esperti in questioni migratorie. Sull’inizio dei lavori, la cronaca di Jean-Baptiste Sourou

“Ci vogliono persone decise, persone che amino la verità, che sappiano farsi carico delle sofferenze dei loro fratelli per ricercare vie nuove alla crisi migratoria che conosce l’Africa”, così monsignor Miguel Olaverri, presidente della Commissione per la pastorale dei Migranti in Congo, durante l’omelia della Messa d’inizio di questa Conferenza. Basandosi sui testi liturgici del giorno, il Vescovo di Pointe Noire ha sottolineato quanto è importante il fatto che oggi, nella Chiesa in Africa, sorgano persone che, come Jonathan, sappiano intervenire a favore dei loro fratelli negli ambienti che crocifiggono l’uomo, costringendo migliaia di uomini, donne e bambini sulle vie di un’avventura senza fine. La Chiesa in Africa, ha ancora sottolineato, deve essere presente e impegnarsi senza limiti di tempo e di luoghi, soprattutto in quei casi in cui altri organismi  se ne vanno. “Noi troviamo la nostra forza nel Signore e non dobbiamo avere paura”, come ci ha dimostrato ultimamente Papa Francesco con la sua visita nella Repubblica Centrafricana. “Quella visita pastorale - ha affermato monsignor Olaverri - ha reso possibili tanti eventi che prospettano una uscita dalla grave crisi nel Paese”.

Poco dopo, il primo vicepresidente del Secam, mons. Louis Portella Mbuyu, ha dichiarato che l’attuale crisi migratoria invita tutta la Chiesa in Africa a una presa di coscienza più forte a servizio dell’uomo e costituisce un’occasione per impegni pastorali più coraggiosi. Il suo appello ha dato il via a stimolanti interventi sulla teologia pastorale della migrazione in Africa. Alcuni aspetti sociali della migrazione dentro e fuori il continente sono stati presentati con nuove strade percorribili, che saranno maggiormente dibattute e discusse in questi giorni.

Diciotto Paesi africani sono rappresentati in questa Conferenza che si tiene nella nuovissima sede dell’Associazione regionale delle Conferenze episcopali dell’Africa Centrale.

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Letture Teologiche: vocazione è vita di annuncio del Vangelo

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La Vocazione dell’Apostolo Matteo nella celebre opera di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, è stato questo il tema della seconda serata del ciclo delle Letture Teologiche, promosse dalla diocesi di Roma, che si è svolta ieri sera nel Palazzo Lateranense. Filo conduttore degli incontri che si concluderanno giovedì prossimo: “La Misericordia nell’Arte”. Il servizio di Marina Tomarro: 

Un volto illuminato da una luce fino ad allora  sconosciuta, quella della grazia divina, uno sguardo che si alza verso una mano indicante come a dire:  "Chi, io Signore? Stai chiamando proprio me?". E’ la Vocazione di Matteo dipinta dal Caravaggio nel 1600 e che fa parte di un ciclo di tre tele dedicate all’Apostolo conservate nella Cappella Contarelli, della Chiesa di San Luigi dei Francesi. Il commento di mons. Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio Catechistico della Diocesi:

R. - Matteo, bisogna dire innanzitutto, è l’Apostolo che era più lontano dal bene. Mentre gli altri, comunque, facevano un lavoro positivo, la figura di Matteo ha sempre colpito i pittori perché era una persona che si occupava di soldi, era un ricco, un benestante … Ed è interessante che Gesù ha interesse per queste persone. Caravaggio manifesta questo cambiamento con questa straordinaria luce che viene dall’alto; nella stessa Cappella c’è il Cavalier D’Arpino che la mostra come una luce naturale, quando San Matteo guarisce il figlio del re Egippo. Invece, lì è una luce che non si sa da dove venga: ed esattamente così è la Vocazione. Cioè, uno non si aspetta che Cristo ti chiami. La chiamata ti arriva! La tensione è manifestata anche da queste mani … Ma la vocazione non è solo in quell’opera, è anche nel fatto che quella tela è completata dalla tela di “San Matteo che scrive il Vangelo” e di “San Matteo che battezza e celebra la Messa”, perché la vocazione non è solo essere chiamati nel primo momento, ma poi fare una vita di annunzio del Vangelo di bene. Ed è interessante che proprio da quest’opera che Papa Francesco, quando era ancora giovane studente, andava a contemplare, andava a pregare lì, ha tratto il motto miserando atque eligendo: perché Dio, siccome ha misericordia, ti chiama; cambia la tua vita e ti dà la possibilità di fare del bene.

D. – Qual è il messaggio che oggi ci arriva dal Caravaggio?

R. – Il Caravaggio è amatissimo, ed è interessante il fatto che fino al 1950 non lo amava nessuno: è una scoperta recente. Purtroppo, il Caravaggio viene visto con dei cliché assolutamente falsi, come un “pittore maledetto”, mentre è un pittore che aveva i suoi peccati ma poi voleva tornare a Roma, amava i papi, amava i cardinali … Un personaggio pienamente inserito nella Chiesa del tempo che era molto più libera di quanto non si pensi. Secondo me, la grandezza del Caravaggio – se uno lo comprendesse – è proprio in questo mostrare il nero della vita, le tenebre della vita. Caravaggio è uno che sa che il male esiste ma anela a una luce più grande; Caravaggio è uno che non si rassegna al fatto che il nero sia la tonalità della vita.

Ma la chiamata non è solo alla vocazione sacerdotale: può essere anche a un lavoro, come ad esempio quello di tanti operatori sanitari che mettono al centro della loro vita la sofferenza del fratello malato e che diventa ancora più forte quando ci si trova di fronte, come pazienti, dei bambini. Ruggero Parrotto, responsabile delle risorse umane dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma:

R. – La vocazione, per me, è la vocazione che hanno tutte le persone: pochi ne sono consapevoli e quelli che riescono – grazie a educatori sensibili, accoglienti – a stimolare nei giovani e quindi negli adulti questa consapevolezza, sviluppano la straordinaria esperienza della possibilità di scegliere, la libertà di scelta di capire che cosa dà senso alla propria vita e di riuscire a farlo insieme agli altri.

D. – Lei è a contatto ogni giorno con la sofferenza: cosa è la misericordia verso la sofferenza?

R. – E’ la scelta di infermieri, tecnici, medici di non dare solo competenza, ma di dare presenza, empatia, attenzione alle famiglie, capacità di stare affianco di chi soffre, di chi lotta, di chi sperimenta il coraggio e di chi a volte, purtroppo, deve anche alleviare le pene di dolori incredibili. Sperimentare la misericordia della vocazione in un ospedale è un’esperienza di frontiera: si è a contatto con le emozioni e le sensazioni più forti, e quindi è un privilegio. In fondo, è un grande privilegio perché interloquire, condividere con persone che fanno di tutto per essere accanto a chi soffre, è un’esperienza umana e professionale straordinaria.

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"Storia del Vaticano": un libro racconta i Papi e la Chiesa

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“Storia del Vaticano. Dalle origini ai giorni nostri”, è il titolo del nuovo libro del giornalista Paolo Scandaletti. Presentato ieri a Roma, dal rettore della Lumsa, Francesco Bonini, e dalla vaticanista, Valentina Alazraki, il testo si propone di raccontare la vita dell’istituzione più longeva dell’umanità. Il servizio di Eugenio Murrali: 

Risale alle radici più remote della storia della Salvezza, ad Abramo e a Mosè, Paolo Scandaletti, per poi arrivare a tracciare il lungo percorso compiuto dalla Chiesa. Al centro della sua “Storia del Vaticano”, le figure dei Papi, le grandi rivoluzioni di Concili come quello di Trento o il Vaticano II, ma in un’ottica che non dimentica la complessità sociale della storia:

"E’ vero che sono i Papi, ma per come vengono visti, cioè dentro la storia, dentro il loro periodo, dentro la società. E’ una storia che è letta anche dal basso, cioè osserva le vicende degli uomini e dei cristiani del tempo, di ogni tempo. Quindi non solo i Papi e la Curia, ma ci sono i monaci e i missionari; gli scrittori e i teologi, e anche i semplici credenti dal grande cuore”.

Il vaticanista, forte di tanta esperienza, durante la presentazione ha regalato anche episodi personali dell’amicizia con i Pontefici che ha conosciuto. Ricorda così, ad esempio, la vigile umanità di Papa Luciani:

“Poco prima dell’elezione, io lo chiamai – mio padre stava molto male – e gli dissi: ‘Domani, quando celebra la Messa, se ne ricordi per favore’. Un mese dopo, o poco più, diventa Papa. Noi avevamo pubblicato sul Gazzettino le omelie domenicali e a Venezia mi dicono: ‘Senti, noi vorremmo raccogliere questi scritti in un libro. Vedi tu che lo conosci per la questione dei diritti d’autore”. Io faccio il numero del centralino vaticano e chiedo del segretario: il telefono suona, suona, ma non risponde e alla fine risponde il Papa. Sulle prime ero incerto che fosse lui, ma lui dice: 'Buongiorno! Come sta suo papà?' ".

Un libro sul Vaticano, quello di Scandaletti, scritto da un uomo di fede, con lo sguardo dello storico.

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Cinema. "Il figlio di Saul", la Shoah negli occhi di un padre

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Da ieri nei cinema italiani "Il figlio di Saul", opera prima del regista ungherese, László Nemes: l'orrore di Auschwitz vissuto attraverso l'esperienza di un uomo. Film che ha già avuto riconoscimenti importanti e meritatissimi: il Gran premio della giuria all'ultimo Festival di Cannes e il recentissimo Golden Globe come "Miglior film straniero", categoria per la quale corre anche ai prossimi Oscar. Il servizio di Luca Pellegrini

Ad Auschwitz nel 1944 bisognava far presto: il potere del Reich scricchiolava, con le truppe sovietiche ammassate ai confini della Polonia, e i "pezzi" (Stücke), come sono chiamati dai nazisti - ossia uomini e donne, anziani e bambini - arrivavano a migliaia nei treni blindati e a migliaia erano condotti al macello del gas, del piombo, del fuoco, fino a diventare cenere dispersa in un fiume. Saul è un ebreo ungherese inghiottito da quel mondo affogato nel sangue e nella follia, in cui rumori e grida incessanti sovrastano vittime immobili e carnefici in movimento. Fa parte dei "Sommerkommando" del campo, ossia quel gruppo addetto alle pulizie delle "docce" e dei locali in cui si ammassano cadaveri per essere condotti ai forni, ingranaggio della più sistematica catena di montaggio creata dalla storia per l'eliminazione totale di un popolo.

Il volto del figlio
Il 27 gennaio si fa Memoria universale della Shoah, per riflettere sulle nostre più acerbe ferite, e il film scritto e diretto da László Nemes, trentasettenne regista ungherese, entra in profondità nella carne piagata dell'umanità. Un giorno Saul - ruolo affidato al poeta e scrittore ungherese Géza Röhrig, volto espressivo, sguardo quasi assente per difendersi dall'orrore che vede e vive - mentre ripulisce dai corpi una stanza, ne scova uno che lo colpisce: è quello di un ragazzino che lui pensa essere suo figlio. E' in fin di vita, il medico nazista lo soffoca e lui s'impone una missione: non permettere lo sfregio del cadavere, assicurargli il riposo eterno dandogli una sepoltura ebraica accompagnata dalle preghiere del Kaddish levate da un rabbino, che per questo si mette freneticamente a cercare tra i nuovi arrivati. E' questo suo punto di vista che Nemes assume come paradigmatico: «Non potendo fare un film dell'orrore - ha precisato - ho deciso di seguire Saul senza andare oltre la sua presenza e il suo campo visivo e uditivo. Il film mostra quello che lui vede: niente di più e niente di meno.

Claustrofobia etica
Tra questo "più" e questo "meno", l'angoscia, che va dritta dritta a lambire la nostra coscienza, è però sufficiente, generando un senso di claustrofobia reale e etica che inabissa lo spettatore nell'oscurità, partecipando all'esperienza di Saul, che si erge a rappresentare quella dei milioni di vittime del genocidio. E il sorriso di un bambino, prima della mietitura finale degli uomini, è l'aspra testimonianza di quanto sia facile varcare il sottile confine dell'indifferenza, diventando così troppo spesso della storia spettatori distratti e imbelli. Ruolo al quale Nemes, guardando anche al nostro futuro e alle tragedie di oggi, cerca doverosamente e coraggiosamente di sottrarci.

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Nella Chiesa e nel mondo



Libano: tour dei Patriarchi siri tra i leader politici libanesi

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Nella giornata di ieri, i due Patriarchi delle Chiese siro-antiochene - il Patriarca siro ortodosso Mar Ignatius Aphrem II e il Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III - hanno voluto realizzare insieme un giro di consultazioni presso i leader delle diverse forze politiche nazionali, in un frangente in cui lo scenario politico libanese appare movimentato dall'appoggio a sorpresa offerto dal Partito maronita delle Forze Libanesi alla candidatura dell'ex rivale Michel Aoun alla carica di Presidente della Repubblica.

Ricordate le sofferenze delle comunità cristiane nella regione
 Durante i colloqui, i due Primati delle Chiese, accompagnati da vescovi e collaboratori, hanno esposto preoccupazioni e suggerimenti rispetto alle crisi che travagliano la regione – con particolare riferimento alle sofferenze vissute dalle comunità cristiane - e allo stallo istituzionale in cui versa il Paese dei Cedri. Il tour delle consultazioni patriarcali è iniziato con Mohammad Raad, leader della rappresentanza parlamentare del Partito sciita di Hezbollah. A seguire, ci sono stati gli incontri con l'ex generale Michel Aoun - leader del Movimento patriottico libero -, con Samir Geagea (leader delle Forze Libanesi), con Fouad Siniora (rappresentante del partito sunnita Futuro), con Sami Gemayel (leader del partit Kataeb) e con il Presidente del Parlamento libanese, lo sciita Nabih Berri.

La speranza che venga eletto presto un Presidente
Secondo il delicato sistema istituzionale libanese, la carica di Presidente della Republbica spetta a un cristiano maronita. In tutti gli incontri, la delegazione comune delle Chiese sire ha espresso la speranza che in Libano venga presto eletto un Presidente, per uscire dal vuoto politico e dalla paralisi istituzionale che dura da 18 mesi. Il nuovo Presidente - hanno auspicato i due Primati e i loro accompagnatori - dovà tutelare i diritti delle diverse denominazioni confessionali e religiose, anche minoritarie.

I Patriarchi hanno chiesto un seggio in Parlamento per le due comunità ecclesiali sire
​A questo riguardo – riferisce un comunicato diffuso dal Patriarcato siro cattolico ripreso dall'agenzia Fides - i due Patriarchi hanno chiesto a tutti i loro interlocutori politici che almeno un seggio nel Parlamento libanese sia riservato a ciascuna delle due comunità ecclesiali sire. Tale richiesta – sottolinea il comunicato, ripreso dalla Fides – ha avuto anche il pieno sostegno del Patriarca maronita Boutros Bechara Rai. (G.V.)

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Chiesa Brasile: campagna in favore di migranti e rifugiati

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È una campagna di solidarietà a sostegno dei migranti e dei rifugiati quella lanciata in questi giorni dalla Conferenza dei vescovi del Brasile (Cnbb), insieme alla Caritas locale. L’iniziativa, in linea con il Giubileo straordinario della misericordia indetto da Papa Francesco, mira ad “offrire una migliore accoglienza a Gesù, attraverso i nostri fratelli che soffrono”, spiega mons. Leonard Steiner, segretario generale della Cnbb.

60 milioni di migranti e rifugiati nel mondo
“In tutto il mondo – spiega la Chiesa brasiliana – 60 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case ed a migrare verso altri Paesi”. Ed attualmente, continua la nota episcopale, si registra una crescita “della discriminazione e della criminalizzazione” dei migranti e dei rifugiati. Il tutto mentre tali popolazioni diventano sempre più vulnerabili dal punto di vista socio-economico e maggiormente soggette a violenze. Di qui, l’appello dei vescovi e della Caritas brasiliani affinché i fedeli siano generosi nelle loro donazioni.

Ribadire l’importanza di accoglienza, solidarietà ed assistenza umanitaria
​I fondi raccolti dalla campagna saranno finalizzati “ad azioni di sensibilizzazione della società sull'importanza dell’accoglienza, della solidarietà e dell’assistenza umanitaria a queste persone”. Si tratterà di “iniziative volte a rafforzare progetti già esistenti o a sostenere la creazione di nuovi centri di accoglienza, cura e promozione dei diritti umani”. L’obiettivo, infine, è anche quello di aiutare iniziative simili in altri Paesi del mondo, attraverso l’operato della Caritas Internationalis. Per aderire alla campagna, si può consultare il sito http://caritas.org.br/cnbb-e-caritas-lancam-campanha-em-solidariedade-a-refugiados/32270 (I.P.)

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Romania: 825mila firme per riconoscere il matrimonio uomo-donna

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Romania. La Coalizione per la Famiglia ha raccolto già 825.000 firme a favore del progetto di legge con cui si vuole introdurre nella Costituzione romena la definizione del matrimonio come unione libera tra un uomo e una donna: lo hanno annunciato mercoledì a Bucarest i rappresentati della Coalizione.

Raccolte più firme per dare un segnale ai politici
Con l’aiuto di oltre 80 mila volontari, informa l’agenzia Agerpres, i promotori hanno voluto raccogliere più firme di quanto richiesto dalla legge per dare “un segnale e una testimonianza” nella società ma anche per richiamare i soggetti politici sulla necessità di proteggere la famiglia.

Nè introdurre nuovi diritti, nè abolirne quelli già acquisiti
Nel Codice civile romeno, evidenziano gli organizzatori, il matrimonio è definito come unione tra un uomo e una donna (art. 258), mentre nella Costituzione (art. 48) si parla genericamente di sposi. In pratica, si desidera l’armonizzazione delle due definizioni inserendo quella del Codice civile nella Costituzione. “Non produciamo nessun cambiamento in termini di diritto vigente, non promuoviamo nuovi diritti e non aboliamo i diritti già acquisiti”, afferma Mihai Gheorghiu, del Comitato della Coalizione per la Famiglia, formato di 16 membri – tra cui professori, giornalisti, cantanti e altri - di varie confessioni cristiane.

Lanciare politiche pubbliche in favore della famiglia
Insieme alla revisione della Costituzione, le 23 associazioni e Ong che compongono la Coalizione per la Famiglia chiedono il lancio di politiche pubbliche a favore della famiglia, l’istituzione di nuovi organismi governativi di protezione sociale della famiglia e un progetto di rilancio demografico del Paese, la cui popolazione sta diminuendo in modo drammatico.

La famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna
Il progetto di legge proposto per la revisione dell’art. 48, paragrafo 1 della Costituzione romena, chiede l’inserimento di questa definizione: “La famiglia si fonda sul matrimonio libero e consenziente tra un uomo e una donna, sulla loro uguaglianza e sul diritto e l’obbligo dei genitori di assicurare la crescita, l’educazione e l’istruzione dei figli”. Il progetto di legge, le motivazioni e l’approvazione degli organi legislativi sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale di Romania il 25 novembre 2015. In sei mesi dalla pubblicazione i promotori del referendum devono portare 500.000 firme, cifra altamente superata a meno di due mesi dall’inizio dell'iniziativa. (A cura di Adrian Danca)

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Spagna: Tv cattolica per l'annuncio del Vangelo

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E’ stata appena lanciata una nuova sinergia di comunicazione cattolica online, attraverso Radiotelevisión Diocesana di Toledo, che comprende Canal Diocesano de Tv e Radio Santa María di Toledo, due mezzi di comunicazione della Fondazione Radio Santa María, presieduta dall’arcivescovo di Toledo. La Fondazione - riporta l'agenzia Fides - vuole essere un canale per l’annuncio del Vangelo e la diffusione della vita della Chiesa, partendo dalle esigenze e dalle sfide della società e della cultura del nostro tempo. Essa mira inoltre ad essere uno spazio di incontro e di accoglienza per coloro che non hanno sufficiente possibilità di fare sentire la loro voce ed esprimere le loro preoccupazioni. 

Nuovi canali informativi anche per quelli che sono fisicamente lontani come i missionari
Rtvd sarà presente anche in due delle più importanti reti sociali, Facebook e Twitter. Offrirà, inoltre, la possibilità di recuperare contenuti, audio e video, in due piattaforme online, Ivoox e Youtube. Obiettivo di questa strategia di comunicazione è quello di creare nuovi canali informativi anche per quelli che sono fisicamente lontani, in particolare tutti i missionari, affinchè anche loro abbiano aggiornamenti sulla vita pastorale della diocesi. Dalla pagina web (www.rtvd.org) si può accedere alle reti sociali e alle due piattaforme online. (A.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 22

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.