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Sommario del 20/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: nel Battesimo tutti i cristiani sono uniti e fratelli

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In virtù del Sacramento del Battesimo, cattolici, ortodossi e protestanti sono “fratelli” e formano “una nazione santa”. Il cammino ecumenico aiuti i cristiani a riscoprire questo vincolo di unità al di là delle divisioni. Lo ha auspicato Papa Francesco durante la catechesi dell’udienza generale, celebrata in Aula Paolo VI e dedicata alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Realmente fratelli”. Non c’è divisione antica e radicata che possa esistere e resistere all’acqua del Battesimo. Perché il Battesimo è un Sacramento della misericordia di Dio, dalla quale “nessuno è escluso”.

Ripartire dal Battesimo
Per la sua riflessione sulla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani Papa Francesco fa perno su una certezza che viene dal Concilio: “Il Battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati”. Alla folla in Aula Paolo VI, il Papa racconta del fonte battesimale risalente al XII secolo e posto al centro della Cattedrale di Riga, al tempo dell’evangelizzazione della Lettonia. “Quel fonte – osserva – è segno eloquente di una origine di fede riconosciuta da tutti i cristiani della Lettonia”, qualsiasi sia la loro confessione:

“Quando noi cristiani diciamo di condividere un solo Battesimo, affermiamo che tutti noi – cattolici, protestanti e ortodossi – condividiamo l’esperienza di essere chiamati dalle tenebre impietose e alienanti all’incontro con il Dio vivente, pieno di misericordia. Tutti infatti, purtroppo, facciamo esperienza dell’egoismo, che genera divisione, chiusura, disprezzo. Ripartire dal Battesimo vuol dire ritrovare la fonte della misericordia, fonte di speranza per tutti, perché nessuno è escluso dalla misericordia di Dio. Nessuno è escluso dalla misericordia di Dio”.

Cristiani, testimoni insieme
La “condivisione di questa grazia – prosegue Francesco – crea un legame indissolubile tra noi cristiani, così che, in virtù del Battesimo, possiamo considerarci tutti realmente fratelli”. E questo, soggiunge, ha delle ricadute concrete:

“Noi cristiani possiamo annunciare a tutti la forza del Vangelo impegnandoci a condividere le opere di misericordia corporali e spirituali. E questa è una testimonianza concreta di unità fra noi cristiani: protestanti, ortodossi, cattolici”.

Al di là delle divisioni
Francesco ricorda la Lettera di Pietro dal quale è stato tratto il titolo della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Pietro, nota il Papa, scrive alla prima generazione di cristiani “per renderli consapevoli del dono ricevuto col Battesimo e delle esigenze che esso comporta”. Anche noi, in questa Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, conclude, “siamo invitati a riscoprire tutto questo, e a farlo insieme, andando al di là delle nostre divisioni”:

“Tutti, cattolici, ortodossi e protestanti, formiamo un sacerdozio regale e una nazione santa. Questo significa che abbiamo una missione comune, che è quella di trasmettere la misericordia ricevuta agli altri, partendo dai più poveri e abbandonati. Durante questa Settimana di Preghiera, preghiamo affinché tutti noi discepoli di Cristo troviamo il modo di collaborare insieme per portare la misericordia del Padre in ogni parte della terra”.

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Il Papa riceve i vescovi sudanesi: la pace è la priorità

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Prima dell’udienza generale, il Papa ha incontrato i vescovi del Nord e del Sud Sudan, a Roma per un ritiro spirituale e per un incontro promosso dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Sul colloquio con Papa Francesco, ascoltiamo l’arcivescovo di Juba Paulino Lukudu Loro, al microfono di Federico Piana

R. - È stato molto bello. Siamo riusciti a venire a vedere il Santo Padre durante questo nostro raduno. Quindi è stata proprio una grazia e una benedizione.

D. - Che cosa vi ha detto il Papa?

R. - Prima di tutto abbiamo parlato con lui di alcuni punti dei nostri Paesi, il Nord e il Sud del Sudan. Lui ha colto i punti che gli abbiamo riportato, come ad esempio quello che riguarda la pace, cosa di cui abbiamo tanto bisogno. Adesso c’è la guerra, la gente soffre …   Abbiamo anche parlato della questione delle vocazioni. Ha preso questi punti e ha fatto un commento che per noi è stata come una direzione. Ci ha dato dei suggerimenti e anche una benedizione su questi punti. Questa mattina lo abbiamo invitato a visitare il Sud Sudan. Quindi abbiamo rinnovato questo invito. Lui ha detto: “Sono pronto. Vorrei, vorrei, vorrei, ma alla fine lasciamo tutto nelle mani del Signore”.

D. – Possiamo fare anche un bilancio degli esercizi spirituali che avete avuto e – se è possibile – raccontare anche quella che è stata la tematica al centro delle vostre riflessioni?

R. – Dal 12 fino al 17 gennaio noi vescovi siamo stati in ritiro. Abbiamo avuto momenti di preghiera personale, preghiera comune e naturalmente meditazioni. Dal 18 stiamo considerando in generale la situazione della nostra Conferenza episcopale, quella del Sud Sudan e del Sudan, abbiamo parlato molto bene con il cardinale prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Filoni; abbiamo studiato insieme la nostra situazione, se possiamo andare avanti insieme o divisi. Quindi per noi sono stati momenti molto belli. Noi avevamo bisogno di vedere insieme ai nostri superiori della Congregazione come vanno le cose e come possiamo andare avanti. Ci sono tante domande da parte nostra su come realizzare tutto questo. È il momento di studiare la nostra situazione e trovare delle vie da percorrere, a partire dalla situazione della Conferenza episcopale alla questione delle diocesi vacanti: non abbiamo vescovi, ci sono circa quattro o cinque diocesi vacanti, senza vescovi. Questo è un punto di cui abbiamo necessità di parlare con i nostri superiori.

D. – Quali sono le vostre priorità?

R. – Noi abbiamo parlato proprio di questo. Ma la questione della pace resta ancora la priorità per tutti e due i Paesi, specialmente per il Sud Sudan, perché siamo in guerra. Senza pace la religione avrà delle difficoltà. La pace in Sud Sudan è ancora la priorità. Poi, come dicevo, la Chiesa deve affrontare la questione delle diocesi vacanti e di crearne altre perché c’è molto bisogno di questo; c’è anche la questione del sostentamento del nostro clero locale … Abbiamo tanti problemi; non possiamo sostenere il nostro clero. Sono queste più o meno le nostre priorità.

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Delegazione musulmana invita il Papa nella Moschea di Roma

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza, nello Studio dell’Aula Paolo VI in Vaticano, una delegazione di musulmani che hanno presentato l’invito ufficiale a visitare la Moschea di Roma. Lo rende noto la Sala Stampa vaticana.

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Papa crea Esarcato apostolico per i maroniti in Colombia

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Sinop, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Gentil Delázari. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Canísio Klaus, trasferendolo dalla diocesi di Santa Cruz do Sul. Il presule è nato il 9 ottobre 1951, nella località di Arroio do Meio, nella diocesi di Santa Cruz do Sul. Ha studiato Filosofia nel Seminario Maggiore di Viamão (1973-1976) e Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul (1976-1979). È stato ordinato sacerdote il 28 dicembre 1979 e si è incardinato nella diocesi di Santa Cruz do Sul. Nel corso del ministero sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Parroco della parrocchia “Nossa Senhora da Conceição” a Santa Cruz do Sul (1980-1981); Professore del Seminario del Sacro Cuore di Gesù ad Arroio do Meio e Vicario della parrocchia “Nossa Senhora do Perpétuo Socorro” (1981-1982); Rettore del medesimo Seminario e Vicario cooperatore nella città di Arroio do Meio (1982-1985); Coordinatore della Pastorale Diocesana e Membro del Collegio dei Consultori della diocesi di Santa Cruz do Sul; Missionario nella diocesi di Sinop – MT (1985-1989). Tornato nella diocesi di origine, è stato Parroco della parrocchia “Nossa Senhora da Conceição” a Moinhos-Lajeado (1989-1993); di nuovo Missionario nella diocesi di Sinop, ha ricoperto l’incarico di Parroco della parrocchia “Nossa Senhora do Rosário” a Gurantã do Norte (1993-1998). Il 22 aprile 1998 è stato nominato Vescovo Coadiutore di Diamantino ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 21 giugno successivo. Il 26 agosto 1998 è divenuto Ordinario di Diamantino. Il 19 maggio 2010 è stato trasferito alla diocesi di Santa Cruz do Sul. È stato Presidente della Conferenza Episcopale Regionale “Oeste 2” e Membro del Consiglio Permanente di Pastorale della Conferenza Episcopale Brasiliana (2003-2006).

Il Pontefice ha eretto l’Esarcato apostolico per i fedeli maroniti residenti in Colombia, con sede a Bogotà. Come primo esarca apostolico, Francesco ha nominato padre Fadi Abou Chebel, dell’Ordine Maronita Mariamita finora cappellano per la Pastorale Universitaria in Libano. Il nuovo esarca è nato a Deir el Kamar, il 19 ottobre 1969. È entrato nell’Ordine Maronita Mariamita nel 1989 dove ha fatto professione solenne il 19 gennaio 1994 e l’anno successivo è stato ordinato sacerdote (23 dicembre 1995). Dopo l’ordinazione, ha assunto vari ministeri pastorali: Vice-parroco in Uruguay (1996-98); Assistente spirituale del Convento di Santa Teresa a Shayle per i giovani seminaristi (1998-99); Economo dello stesso Convento e Assistente del Responsabile dei religiosi studenti (1999-2003); Direttore Generale del Collegio Notre-Dame di Louaize (2002-2003); Responsabile dei giovani studenti a Roma (2003-2005); Cappellano generale dell’Università Notre-Dame dal 2005 e dal 2007 anche Direttore Generale della pastorale universitaria in Libano. Ha una licenza in Teologia pastorale ed ha approfondito anche la spiritualità mariana. Ha pubblicato diversi libri a carattere pastorale e spirituale. Parla, oltre alla lingua araba, lo spagnolo e il francese.

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Santa Sede: civili, principali vittime guerre nel silenzio internazionale

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I civili sono le principali vittime delle guerre di oggi nell’indifferenza della comunità internazionale: è la forte denuncia di mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, intervenuto ieri al dibattito del Consiglio di Sicurezza sulla protezione dei civili nei conflitti armati. Il servizio di Isabella Piro: 

Vittime civili aumentate dal 5 al 90 per cento dall’inizio del ‘900
All’inizio del ‘900, i civili uccisi nei conflitti armati erano pari al 5 per cento della popolazione; negli anni ’90, la percentuale ha superato il 90 per cento. Parte da questo drammatico dato l’intervento di mons. Auza che denuncia il costante aumento di “attacchi deliberati ed indiscriminati” contro civili innocenti. Tale “tristissimo sviluppo”, spiega il presule, comporta conseguenze a livello mondiale: “enormi quantità di vittime civili, inclusi i bambini; migrazioni di massa; crisi dei rifugiati; la distruzione intenzionale di infrastrutture mediche e civili, come le scuole; l’uso di civili come armi da guerra attraverso la loro privazione di cibo e di prime necessità, il totale disprezzo della sicurezza di operatori umanitari e giornalisti; le nette violazioni della legge internazionale umanitaria”.

Denunciare senza eccezioni questa barbarie, nessuno resti indifferente
La responsabilità di tutto questo, ribadisce l’osservatore permanente, riguarda “l’intera comunità internazionale, implicata in tali crimini odiosi con il silenzio o l’indifferenza”, oppure con la produzione e la fornitura di armi o ancora con la loro vendita, sia legale che al mercato nero. Si tratta di una responsabilità, sottolinea mons. Auza, che “va ben oltre il massacro diretto di civili”. Di qui, il richiamo affinché “nessuno rimanga indifferente di fronte a tale tragedia” ed “agisca con la massima urgenza”. Sei, in particolare, le soluzioni suggerite da mons. Auza: in primo luogo, il presule chiede di “denunciare senza eccezioni e nel modo più forte possibile questa barbarie”; poi chiama in causa la comunità internazionale affinché “faccia tutto il possibile per porre fine a questi crimini, anche con l’utilizzo legittimo della forza, così da bloccare le atrocità di massa ed i crimini di guerra”.

Assicurare alla giustizia i responsabili di questi crimini
In terzo luogo, mons. Auza auspica un rafforzamento ed una maggiore implementazione degli strumenti e delle disposizioni varate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu per “proteggere i civili nei conflitti armati ed assicurare alla giustizia i responsabili di tali crimini”, ma – sottolinea il presule – “la comunità internazionale ed i singoli Stati devono avere la volontà e la disponibilità ad usare tale strumenti”. Negli ultimi due suggerimenti, infine, l’osservatore permanente chiede l’accertamento delle responsabilità e ribadisce che “le popolazioni civili colpite dai crimini di guerra meritano tutto l’aiuto possibile”.

Gratitudine per i Paesi che aiutano migranti e rifugiati
A nome di Papa Francesco, poi, il presule si dice grato ai Paesi – come Libano, Giordania, Italia, Grecia e Turchia - alle comunità ed agli individui che “tendono una mano in segno di solidarietà all’umanità sofferente”, “sforzandosi ed impegnandosi a salvare vite umane”. Ma non basta: di fronte alla sfida di “movimenti di massa di migranti e rifugiati”, occorre l’aiuto “dell’intera comunità internazionale”, perché “problemi interdipendenti possono essere risolti solo ristabilendo la pace attraverso il dialogo ed i negoziati”, così da evitare di “ricorrere ancora una volta alla guerra”.

Vincere il male con il bene, l’indifferenza con la solidarietà
Infine, l’osservatore permanente esorta a “vincere il male con il bene, combattendo l’indifferenza con la solidarietà ed guardando oltre i meri interessi nazionali e geopolitici, così da risparmiare al mondo il flagello bellico”.

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Elemosineria offre ospitalità a donna che partorisce per strada

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La Elemosineria apostolica ha offerto ospitalità per un anno, a nome del Papa, ad una donna romena senzatetto che ha partorito una bimba nella notte, per strada, in Piazza Pio XII, in territorio italiano, davanti a San Pietro. Ce ne parla Sergio Centofanti

Sia la donna che la bimba sono state ricoverate subito al vicino Ospedale Santo Spirito e stanno bene. L’elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, assisteva da tempo la donna - perché è tra i clochard che vivono nei dintorni di San Pietro e usufruiscono dei servizi igienici messi a disposizione per loro dal Papa - e l’aveva invitata quando era ancora incinta a recarsi presso una struttura del Vaticano a Primavalle in cui le Suore di Madre Teresa di Calcutta si occupano delle mamme con bimbi. Mons. Krajewski è andato a trovare stamane in ospedale la donna, che è stata molto contenta di ricevere la sua visita. Il presule le ha ribadito che, se vuole, può andare nella casa di Primavalle, assistita al 100% con la bimba per un anno. Ora si è in attesa di una sua risposta. Nel frattempo, il compagno della donna, anche lui romeno, ha ricevuto in questa giornata speciale un’assistenza altrettanto speciale da parte della Elemosineria.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non dimenticate i poveri: in un messaggio al vertice di Davos il Papa ricorda che l’uomo deve governare lo sviluppo. Sull’importante assise un editoriale del vicedirettore dal titolo “Una chiamata alla realtà”.

La misericordia è più forte delle divisioni: all'Angelus Francesco parla dell’ottavario ecumenico.

Poco coraggio: Emilio Ranzato recensisce il film “Il figlio di Saul” dell'esordiente ungherese Laszlo Nemes.

Per un percorso unico: Cristiana Dobner su ebrei e cristiani tra d’Ornellas e Bensahel.

Prima di ogni contrasto: Anthony Currer sul dialogo tra anglicani e metodisti.

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Oggi in Primo Piano



Pakistan, attacco a Università intitolata a "Gandhi islamico"

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Sono almeno 21, ma probabilmente di più, le vittime dell'attacco alla Bacha Khan University, nel Pakistan nord-occidentale.  Dopo l’intervento dei reparti speciali di sicurezza, sono stati individuati i cadaveri di  4 miliziani.  Non c’è certezza di rivendicazione: alcuni talebani che affermano di rispondere al comandante Omar Mansoor e di far riferimento al Tehrek-e-Taliban Pakistan (Ttp) hanno rivendicato l’attacco. Ma quello che viene riconosciuto come il portavoce del Ttp precisa che "tutte le organizzazioni centrali del gruppo e il massimo leader, Maulana Fazlullah, hanno sconfessato l'attacco e lo hanno condannato". Fausta Speranza ha intervistato Alfonso Giordano, docente di geopolitica e flussi migratori all’Università Luiss: 

R. – Sembrerebbe che il responsabile di questo attentato sia un gruppo pakistano di opposizione al governo pakistano. Però la rivendicazione è effettivamente molto difficile, perché la situazione è molto controversa. Ci sono gruppi collegati tra loro ma non sempre in armonia, quindi spesso con obiettivi in opposizione e non proprio condivisi.

D. – Ci sono anche talebani afghani che operano anche sul territorio pakistano.. È così?

R. – Sì, ci sono due gruppi, uno riconducibile ai talebani afghani ed uno ai talebani pakistani. Entrambi sono in opposizione ai propri pseudo governi; cercano comunque di sovvertire l’ordine precostituito per i propri interessi. Nel caso dei pakistani sembrerebbe volersi formarsi anche lì uno Stato islamico. In ogni caso entrambi combattono o comunque cercano di sovvertire i governi presenti.

D. – L’attacco alla Bach chan University, dunque ai ragazzi che rappresentano il futuro ma poi questa università ha una storia particolare, è vero?

R. – Sì, assolutamente. Qui ci sono due elementi simbolici. Il primo naturalmente è l’attacco a persone giovani che rappresentano il futuro, il possibile cambiamento e quelle che potenzialmente possono decidere il futuro di un Paese. L’altro elemento simbolico riguarda il motivo per cui è stata colpita proprio questa università. La persona a cui è stata intitolata questa università è identificata un po’ come il ‘Gandhi islamico’, il Gandhi delle frontiere, la persona che voleva riportare un ordine di pace, stabilità oltre all’indipendenza dalle madrepatrie inglesi. Quindi una persona vista come nazionalista ma nazionalista positivo, perché in termini di pace e di stabilità. Era una persona che voleva soprattutto l’avanzamento della società, cioè la parità tra uomo e donna, un miglior trattamento delle minoranze. Queste sono cose che naturalmente non combaciano proprio con quelle che sono le intenzioni dei talebani pakistani.

D. – Un evento del genere, oltre a seminare angoscia e terrore, scuote nella popolazione degli interrogativi oppure la percezione è quasi ormai di abitudine a questi attacchi, a questi massacri?

R. – Effettivamente c’è il pericolo di un’assuefazione a questo tipo di attività che lì è legata purtroppo a situazioni storicamente instabili e alla quotidianità di questo tipo di eventi. Poi c’è un’assuefazione dell’ascoltatore medio e dell’audience media dell’altra parte del mondo, che comincia a percepire questi attentati come un fatto quasi non modificabile. Quindi, c’è la possibilità di assuefarsi a questo tipo di situazioni. È una cosa molto pericolosa. Naturalmente bisognerà vedere come reagirà la comunità internazionale e quali saranno gli equilibri sul luogo. Equilibri che dovranno essere ristabiliti fra i due governi e tra i governi di oppositori. Ma per il momento la situazione è abbastanza complicata e indecifrabile. Bisognerà aspettare per capire le responsabilità e soprattutto per capire quali saranno le alleanze successive.

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Iraq: raso al suolo dall'Is il monastero di St. Elijah a Mosul

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In Iraq, la guerra continua a colpire i simboli sacri delle culture locali e della cristianità. A Mosul il sedicente Stato Islamico ha raso al suolo l’antico monastero cristiano di St. Elijah, costruito nel 590 dopo Cristo. Due giorni fa, invece, i bombardamenti aerei della coalizione hanno distrutto la chiesa siro-ortodossa della Vergine Maria, occupata dai jihadisti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliario di Baghdad dei Caldei: 

R. – Se non si ferma la guerra, si sentiranno tante altre terribili cose, perché quando c’è la rabbia, c’è il rancore, può avvenire di tutto. Certa gente è venuta in Iraq per distruggere, per uccidere, per fare cose terribili contro Dio e contro l'uomo. Perciò, noi gridiamo sempre: “Fate cessare la guerra!”. Sarebbe terribile se il mondo non facesse qualcosa – dall’America, all’Europa, ai Paesi arabi. Se non fanno qualcosa insieme per ciò che Dio ha creato, sarà una tragedia.

D. – Questi sono atti che spingono sempre più la popolazione cristiana a lasciare i propri territori…

R. – Certamente. Tutti dicono: “Perché siamo qui? Solo per essere ammazzati? Questa del Monastero di Sant’Elijah, costruito 1400 anni fa, è un’altra tragedia. Ricordo che, quando ero seminarista, il giorno della festa del Santo andavamo lì, anche se c’erano solo le rovine, celebravamo la Messa. Vicino c’erano i soldati che controllavano... Questa notizia mi rattrista e veramente mi distrugge il cuore.

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Geddo (Unhcr): l'Iraq epicentro di una catastrofe umanitaria

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La crisi umanitaria in Iraq è destinata ad aggravarsi con le prossime offensive dell’esercito iracheno contro le postazioni del sedicente Stato islamico. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il rappresentante dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati in Iraq, Bruno Geddo, ricordando che negli ultimi mesi è cresciuto nel Paese il numero di cittadini che hanno urgente bisogno di assistenza: 

R. – E’ cresciuto perché c’è stata questa offensiva per riprendere Ramadi dai miliziani del sedicente Stato islamico. La città di Ramadi non è ancora completamente sotto il delle forze governative. Era rimasto un gruppo di civili – qualche migliaio di civili – che ha bisogno di assistenza umanitaria di urgenza. Il problema è che Ramadi è soltanto l’inizio…

D. – Negli ultimi mesi, in Iraq, milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni. Una emorragia, questa, destinata dunque ad aggravarsi con le prossime operazioni dell’esercito per riconquistare altre zone del territorio iracheno…

R. – Assolutamente. A Falluja, che dovrebbe essere il prossimo obiettivo militare, si trovano ancora – secondo nostre informazioni – decine di migliaia di civili. E quindi, quando dovesse essere ripresa con una battaglia che si annuncia molto pesante, dovremo far fronte a dei bisogni umanitari ancora più gravi. Senza poi contare Mosul, la madre di tutte le battaglie, che prima o poi dovrà arrivare. A Mosul c’è un milione e mezzo di residenti. Quindi, c’è questo problema di un numero crescente di civili che avranno bisogno della nostra assistenza. E coloro che sono già sfollati – 6 milioni e 200 mila – continuano ad avere bisogno. Nel 2014, il cosiddetto Stato islamico ha preso tutti di sorpresa e quindi la risposta è stata un po’ caotica. E questo si poteva comprendere, ma non potremo farci perdonare una risposta caotica la seconda volta. Adesso, tutti quanti sanno che ci sarà un’altra crisi umanitaria. Prima o poi arriverà e dobbiamo essere pronti.

D. – Si può pianificare un’azione con il governo iracheno? La comunità internazionale deve anche poter dare delle risposte di supporto a queste operazioni…

R. – Sì, abbiamo una unità come Nazioni Unite che si chiama “civile e militare”, che tiene le relazioni fra i due corpi. Ma è chiaro che non possiamo sapere esattamente una data, perché questo diminuirebbe l’efficacia di una strategia militare. Una strategia che giustamente noi non conosciamo. La nostra sfida è di essere pronti, di avere siti e luoghi sufficienti per stabilire campi e sufficiente assistenza da fornire. Noi abbiamo 20 mila tende e 20 mila kit di assistenza umanitaria per le famiglie. Dobbiamo essere pronti, senza sapere precisamente quando accadrà…

D. – Qual è, nello specifico, la situazione umanitaria delle minoranze in Iraq? Penso agli yazidi, ai cristiani…

R. – Gli yazidi si trovano nei campi di sfollati. In generale, la situazione umanitaria è relativamente stabile perché ricevono assistenza e protezione in questi campi. Ma purtroppo la situazione degli yazidi e delle altre minoranze è preoccupante da un altro punto di vista. E’ preoccupante dal punto di vista psicologico: queste minoranze, dopo le atrocità inimmaginabili alle quali sono state sottoposte, non hanno più la fiducia necessaria per convivere con i loro vicini. Sembra che una maggioranza di queste minoranze sia arrivata alla conclusione che per loro l’unica garanzia di salvezza sia la migrazione verso l’Europa.

D. – Dunque, diverse zone del territorio iracheno sono controllate da milizie jihadiste, che possono anche disporre di ingenti risorse legate non solo al petrolio. Come si può isolare il sedicente Stato islamico dal sistema finanziario internazionale?

R. – Quello che le posso dire è che ci sono stati, da lungo tempo, degli sforzi della coalizione per isolare tutti i finanziamenti ai terroristi. E, più recentemente, camion cisterna che portavano il petrolio in Turchia sono stati annientanti… Secondo le informazioni in mio possesso, grazie a queste azioni di isolamento finanziario i flussi di finanziamento allo Stato islamico sarebbero in diminuzione.

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Save the Children: gelo minaccia i bimbi sulla rotta balcanica

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La vita di centinaia di bambini è in pericolo. Quegli stessi minori sopravvissuti alla guerra e alla violenza nei loro Paesi,  Siria, Iraq, Afghanistan, oggi rischiano di morire di freddo e stenti in Europa dove, per arrivare, hanno sfidato anche il Mar Egeo. Save the Children denuncia che le vite dei migranti in Serbia e Macedonia sono a rischio per le temperature in picchiata, arrivate a -20 gradi. Francesca Sabatinelli: 

Presevo, confine tra Serbia e Macedonia, è qui che i migranti in cammino, adulti e bambini, arrivano stremati dalle temperature glaciali e dalla neve, con indosso nulla che li riscaldi. Percorrono distanze lunghe, dormono all’addiaccio, incontrano i blocchi delle autorità locali, accade a Idomeni, al confine greco-macedone, che impediscono loro l’accesso ai Centri di transito, dove potrebbero ricevere gli aiuti necessari. L’allarme di Save the Children è drammatico e richiede un immediato intervento. Valentina Bollenback, dell’organizzazione umanitaria, è a Presevo:

R. – I bambini, anche gli adulti, intraprendono un  viaggio lunghissimo, partendo dalla Siria, dall’Afghanistan o dall’Iraq, e arrivano poi in Serbia. Stanno rischiando polmoniti, ipotermia e malattie respiratorie potenzialmente mortali.

D. – Voi avete incontrato queste famiglie, avete incontrato i bambini: che sintomi presentano?

R. – Le madri che ho incontrato qui sono in difficoltà, perché non riescono a tenere i loro bambini al caldo o al sicuro. Ho visto bambini con le labbra e le mani blu, febbri altissime, problemi respiratori, tossi croniche. Dobbiamo anche pensare che questi bambini hanno fatto il viaggio dalla Turchia alla Grecia in barche bagnate, sotto la pioggia, e arrivano in Grecia con la neve, e continuano le loro rotte senza le scarpe adeguate a questo tempo, senza cappotti. Ho visto bambini solo con le coperte, che usano le magliette come sciarpe. Save the Children, come altre organizzazioni, sta distribuendo cappotti, giacche, cappelli e sciarpe.

D. – Quanti sono i bambini colpiti?

R. – In questo momento, vediamo tra mille e duemila persone, che passano dalla Macedonia in Serbia, ogni giorno. Il 40% di questi - direi - sono bambini.

D. – Non ci sono ripari, non c’è nulla per queste persone?

R. – Al momento questi rifugiati percorrono dalla Macedonia a Presevo, in Serbia, due chilometri a piedi. Arrivano poi al centro di registrazione, che è ricoperto dai teloni. A temperature bassissime e circondati dalla neve, però, il telone non è una copertura sufficiente. Save the Children ha una struttura, un appartamento con 20 posti letto per le madri e per i bambini. E’ un appartamento riscaldato, dove possono anche mangiare, dove vengono distribuite bevande calde, cappotti, essenziali per continuare il loro viaggio.

D. – Ci sono state vittime?

R. – Al momento non ci sono state vittime. Ho saputo che a Belgrado ci sono stati dei casi confermati di ipotermia e di congelamento. Al momento, però, in Presevo, non posso confermare che ci siano state vittime.    

D. – Save the Children lancia un appello ai governi europei, affinché organizzino un’accoglienza per queste persone, non solo per una questione di dignità, ma soprattutto per la sopravvivenza…    

R. – Assolutamente. Save the Children si appella ai governi affinché diano priorità alla protezione immediata dei bambini e delle loro famiglie, e ai bisogni umanitari. Questo vuol dire: il diritto di presentare le loro richieste di protezione e di asilo, ma anche il diritto umano di avere accesso ad un riparo adeguato, cibo e assistenza sanitaria.

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L'esodo dei cristiani cambia il Medio Oriente

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In Medio Oriente la fuga dei profughi cristiani modifica l’intera area. “Una sfiducia reciproca tra i popoli che sarà difficile da colmare anche alla fine del conflitto siriano” ha detto padre Piebattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa. I cambiamenti che riguardano gli assetti politici ma anche la cultura dei Paesi arabi sono stati al centro dell’incontro "Cristiani in Medio Oriente e migrazioni forzate” organizzato a Roma dall’associazione Asvi e dalla rivista Oasis. Il servizio di Veronica Di Benedetto Montaccini: 

Iraq, Siria e Libia secondo il rapporto annuale dell'organizzazione "Open Doors" sulle persecuzioni religiose sono tra i Paesi più feroci contro i cristiani. Si tratta di migliaia di persone costrette ad abbandonare la propria casa, insieme a tante altre minoranze. Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, parla della brutalità di quello che Papa Francesco definisce un cambiamento epocale:

 “Il Medio Oriente sta cambiando in maniera radicale e con una brutalità che non abbiamo conosciuto nei secoli precedenti, almeno nell’era moderna: Paesi che scompaiono - penso alla Siria, all’Iraq - e persecuzioni su base religiosa. Tutto questo prende di mira non solo i cristiani ma anche i cristiani. Quindi dobbiamo calare la prospettiva cristiana all’interno di un contesto più ampio, articolato e complicatissimo da comprendere. In Medio Oriente non si possono distinguere sfera religiosa e sfera politica. L’elemento religioso diventa strumentale a contrapposizione di carattere economico e politico, penso ai sunniti e sciiti, Arabia Saudita e Iran. I fondamentalismi, una volta creati, si allargano ai cristiani e a tutte le altre minoranze".

 La speranza, racconta padre Pierbattista Pizzaballa, è data dai cristiani vittime dei conflitti che rimangono in Medio Oriente senza mezzi per andarsene, ma determinati a non rinnegare la fede:

"La  gente normale ha bisogno di tutto: acqua, elettricità, viveri, lavoro… Ma quando visiti ed incontri la gente quello che ti chiedono è questo: “Padre, resti con noi; abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia coraggio”. 

L'impegno internazionale e dell'Italia, spiega durante il convegno "Cristiani in Medio Oriente e migrazioni forzate" il segretario degli Affari Esteri Michele Valensise è “nel dialogo per nuove composizioni politiche, a partire dalla Libia per combattere il nemico più grande del pluralismo: il sedicente Stato Islamico”

“L’Italia è impegnata su molti piani: su un piano politico-diplomatico attraverso iniziative volte alla stabilizzazione di questi Paesi. Pensiamo solamente a quello che stiamo facendo in Libia, a come stiamo favorendo una difficile ma tutt’altro che impossibile formazione di un governo nonostante una crisi che si trascina già da troppo tempo. C’è anche un contributo importante in termini politici e diplomatici per la stabilizzazione della Siria, dove c’è un conflitto che ha causato centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati e rifugiati anche in Europa”.

Contro i fondamentalismi, le minoranze sono spesso esempio di equilibrio oltre che fattore di ricchezza culturale. Sentiamo il professore di studi arabi dell’Università Gregoriana Adnane Mokrani:

  “I cristiani arabi fanno parte della storia, della memoria, della cultura del mondo arabo. Hanno partecipato in modo attivo nella fondazione della civiltà araba e islamica tramite i movimenti della traduzione,  la filosofia e il dibattito scientifico. Hanno dato il loro contributo anche all’epoca moderna, tramite il giornalismo, le università, l’introduzione della stampa. Dunque, sono autoctoni e fanno parte di questi popoli. Il compito della religione è educare l’essere umano, renderlo più pacifico e aperto verso Dio e verso gli altri uomini. Se la religione riscopre la misericordia come valore fondamentale e centrale – come accade nella fede islamica – si salva dai pericoli, dai rischi del fondamentalismo”.

Il Medio Oriente che cambia volto, continua il professore,  quando finiranno i conflitti, dovrà confrontarsi con la ricerca di una nuova convivenza tra musulmani e cristiani.

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Emergenza freddo. Sant'Egidio: regala una coperta ai senzatetto

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Il freddo per chi vive in strada può essere letale: “Chi porta una coperta salva la vita” è l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio rivolta ai senzatetto in tutta Italia, per far fronte all’ondata di gelo che sta interessando il Paese in questi giorni e che sta portando le temperature di molti gradi sotto lo zero. Coperte, plaid, guanti, calze e altri indumenti pesanti vengono donati dai cittadini, raccolti e distribuiti ai senza fissa dimora. Venerdì 22 gennaio il prossimo appuntamento per la raccolta a Roma in via del Pigneto 215. Su questa e altre iniziative della Comunità di Sant’Egidio, sentiamo Massimiliano Signifredi, ricercatore in Storia del Cristianesimo all'Università di Roma Tre, volontario della Comunità, intervistato da Stefano Pesce

R. – La Comunità di Sant’Egidio è presente tutti i giorni dell’anno accanto ai senza fissa dimora. C’è sembrato che nel momento in cui il freddo diventava  più intenso dovevamo fare di più. Gli universitari di Roma hanno promosso due raccolte di coperte: una in zona Pigneto ed un’altra in zona San Paolo.

D. – Nel vostro operare quotidiano quali sono le situazioni di maggior emergenza?

R. – A Roma ci sono tante persone che vivono per la strada, sono circa ottomila. Di queste, la maggior parte si trova in luoghi isolati; sono ricoveri di fortuna. Ieri abbiamo saputo della morte di un senza dimora romeno di appena 35 anni in un parco sulla Cassia. Stamattina abbiamo letto della nascita di una neonata a pochi passi da San Pietro, in Piazza Pio XII. Di fronte a questo, chiediamo a tutti i romani – non solo alle istituzioni di Roma ma anche a tutti i cittadini romani – di compiere gesti di misericordia. Siamo nell’Anno della Misericordia: portare delle coperte a chi vive per strada può salvare la vita.

D. – Siamo solo all’inizio; l’inverno sarà lungo. Quali sono gli altri appuntamenti per queste raccolte?

R. – Tutto l’anno la Comunità di Sant’Egidio raccoglie questi indumenti. Nella città eco-solidale in zona Ostiense, Via del Porto Fluviale n.2, tutti i giovedì e il sabato si raccolgono indumenti nel pomeriggio dalle 17 alle 19.

D. – Un’altra iniziativa è la guida “Dove mangiare, dormire e lavarsi” del 2016. È una guida per chi non ha casa ed è in difficoltà...

R. – La guida “Dove dormire, mangiare, lavarsi” è pubblicata quest’anno in 13mila copie, distribuite gratuitamente ai senza dimora e a tutti coloro che li aiutano, quindi associazioni, parrocchie, per indirizzare e guidare al meglio le persone che si trovano in difficoltà. Da 26 anni Sant’Egidio si fa carico della raccolta delle informazioni che vengono dalle associazioni, dai cittadini e anche dagli stessi poveri, che riguardano le novità, l’apertura di nuovi luoghi di accoglienza. Vuole essere una guida il più completa possibile che faccia emergere il tessuto di solidarietà di cui una grande città come Roma ha bisogno.

D. – Dove è possibile reperire informazioni sulle iniziative di Sant’Egidio?

R. – Prima di tutto si può fare riferimento al sito internet – www.santegidio.org – e alle varie pagine Facebook che troviamo. Ad esempio, le raccolte delle coperte degli universitari di Roma, sono state molto pubblicizzate attraverso Facebook, un mezzo molto utile di comunicazione rapida.

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La sfida globale di Papa Francesco nel libro di Riccardo Cristiano

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Un viaggio alla scoperta della figura di Papa Franceso attraverso le sue parole e i suoi incontri. E’ quanto si propone il volume “Bergoglio, sfida globale. Il Papa delle periferie tra famiglia, giustizia sociale e modernità” del vaticanista di Radio Rai Riccardo Cristiano. Il libro edito da Castelvecchi è stato presentato ieri a Roma nella sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana. Il servizio di Michele Raviart

La sfida di Papa Francesco è quella della Chiesa nel mondo globalizzato. Un percorso che passa tanto attraverso la riforma della Curia quanto per un “cambiamento dei cuori”, nel segno della misericordia e delle periferie. Spiega l’autore del volume, Riccardo Cristiano:

“Bergoglio è un leader globale davanti a una sfida globale: quella del non funzionamento della globalizzazione. La sua visione non è soltanto una visione ecclesiale: il discorso sulla conversione del Papato è un discorso che offre una prospettiva al governo delle sfide planetarie, nel momento in cui i popoli vanno in frantumi. La proposta di conversione del Papato indica una strada per il popolo di Dio, ma anche per gli altri popoli. Il governo dal basso è l’unico in grado di garantire la tenuta delle diversità e la coesistenza, in un momento in cui il paradigma della tecno-finanza sembra invece voler cancellare le differenze”

Nel libro, dedicato al padre gesuita Paolo Dall’Oglio rapito in Siria da oltre due anni, si ripercorrono i pilastri del pontificato di Papa Francesco. Tra questi il dialogo interreligioso, dai tempi di Buenos Aires e del suo rapporto di amicizia col rabbino della capitale argentina Abraham Skorza, al recente invito a visitare la moschea di Roma. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio:

 “Il dialogo interreligioso per Papa Francesco è capitale, perché, in un mondo globalizzato, anche le religioni assumono un ruolo sempre maggiore per lo sviluppo della società e per la comprensione tra i popoli. E dunque Papa Bergoglio crede che, dalla collaborazione tra le religioni, potrà venire un rafforzamento del discorso di pace nel mondo. Vorrei ricordare che siamo a 30 anni dal grande evento di Assisi, dall’ottobre 1986. Quindi, celebrando il trentennale di questo grande evento che ha riportato le religioni al cuore del discorso della pace, credo che Bergoglio saprà sempre più lavorare per un’intesa tra di esse”.

Dall’ America Latina e dall’esperienza di Aparecida, che ha rilanciato la collegialità dell’episcopato del Sud America nasce anche il nuovo slancio dato allo strumento sinodale. E proprio dalla famiglia, tema dell’ultimo Sinodo, nascono i frutti del rinnovamento, come spiega mons. Vincenzo Paglia presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia:

 “Io credo che tutto il tema sinodale debba essere ancora digerito, anche all’interno della comunità ecclesiale mondiale. Per questo penso che sia importante non solo attendere l’eventuale Esortazione Apostolica che il Papa ha promesso; ma già le due Relazioni del Sinodo, oltre alle 34 Catechesi che Papa Francesco ha svolto nel corso dell’anno, mostrano una sapienza religiosa ed umana, relativa al tema della famiglia, che io credo sia indispensabile conoscere, maturare. Qui c’è un tesoro enorme, che credo debba essere visto in tutti i suoi capitoli”.

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Morto a 84 anni Ettore Scola, maestro di cinema e ironia

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E' morto ieri sera a Roma, all'età di 84 anni, Ettore Scola, maestro del cinema italiano, ultimo di una generazione indimenticabile di registi e uomini di cultura. Tanti capolavori nella sua filmografia, dedicata soprattutto all'Italia e agli italiani, che ha saputo ritrarre con ironia, passione, verità. Il servizio di Luca Pellegrini

Antonietta (Sophia Loren) - Però non mi va di discutere con uno come voi, che critica tutto, prende in giro tutto… Voi scherzate sempre sulle cose che non c’è niente da ridere!
Gabriele (Marcello Mastroianni) – No guardi io non rido sempre, veramente non ho motivi per ridere… Lei piuttosto, perché non ride, eh? Le cose le vanno bene come vanno: ha una casa, un marito, sei figli…! Ma perché non ride?

Non rideva, Sophia Loren, sull'ampia terrazza del quartiere romano della Garbatella nel maggio del 1938, tra lenzuola al vento, insieme a Marcello Mastroianni, in quella "Giornata particolare" che è uno dei tanti, e forse il massimo, dei capolavori diretti da Ettore Scola, col quale sfiorò l'Oscar - accadde  quattro volte -, e fu anche questa volta purtroppo ignorato. Mentre il sorriso, appena accennato, talvolta diretto, talvolta emblematico, accompagnava sempre il grande regista italiano, e non a caso si intitola proprio "Ridendo e scherzando" il documentario dedicato alla carriera, alla vita, all'impegno del regista realizzato dalle figlie Paola e Silvia, testimonianza di quello che è stato il suo lavoro grande e discreto anche per la cultura, che lui difendeva in ogni luogo, in ogni istante.

Poliedrico
Nato in provincia di Avellino nel 1931, figura schiva ma di fortissima personalità, giornalista, vignettista, sceneggiatore, scrittore: venivano prima di tutto la parola e il testo nel suo lavoro, e con il lavoro della scrittura affilatissimo e ironico, conoscendo man mano la brillantezza della commedia e tutto il gotha degli attori italiani che la incarnavano, debuttò poi alla regia, dopo aver scritto appunto decine e decine di film, nel 1964 con "Se permette parliamo di donne" e inanellando presto, con l'arrivo degli anni Settanta - i suoi migliori - e poi nella decade successiva, una serie di titoli indimenticabili, assicurandosi la partecipazione straordinaria di attori e attrici, tra i quali Gassman, Tognazzi, Sordi, Manfredi, Giannini, Monica Vitti e Stefania Sandrelli. Per ricordarne soltanto alcuni, di titoli: "Il commissario Pepe", "Dramma della gelosia", "C'eravamo tanto amati", "Brutti, sporchi e cattivi", "La terrazza", "La famiglia", "Il mondo nuovo".

Il cinema che "illumina"
Affrontò generi disparati, ma rimanendo sempre un acuto osservatore - senza alcuna critica, ma con giusto rilievo etico - perché per lui il cinema era un "faretto che va su certi argomenti e li illumina". Maestro nell'inseguire e descrivere le dinamiche umane, familiari, sociali e politiche che guidano i comportamenti, spesso alti e spesso bassi, degli italiani, che corrono nel boom economico, intrallazzano quando la politica occupa spazi inappropriati negli anni della crisi, scherzano e piangono e sanno avere anche sentimenti nobili. Sempre attento e ironico indagatore delle rivalità e contrapposizioni che dividono le generazioni, creano ceti sociali, ma che sono il fatto quotidiano. Pur interessandogli molto, però, anche ciò che è accaduto ieri, cosa che ha fatto nel suo ultimo lavoro, "Com'è strano chiamarsi Federico", dedicato al grande amico Fellini. Un rimpianto per chi non c'è più e per un mondo, questa volta, passato e irripetibile. Quello stesso rimpianto con cui accompagniamo oggi la scomparsa di Scola.

“Ha saputo raccontare i suoi personaggi con infinita tenerezza”: così Arianna Prevedello, responsabile della comunicazione per l’Associazione cattolica esercenti cinema (Acec), ricorda il regista Ettore Scola. Le sue parole al microfono di Isabella Piro: 

“Era ‘tanto amato’, mi vien da dire, quasi parafrasando il titolo di uno suo famoso film... Era amato da tantissime generazioni, perché è stato un personaggio che ci ha donato tanto. Aveva una tenerezza infinita nel raccontare alcuni personaggi, sempre nel contesto dei legami della famiglia e dell’affettività. E li sapeva raccontare a tutto tondo, mostrandoci anche cosa avevano dentro. Poi, sicuramente credeva in alcuni valori importanti, quindi la sua scomparsa è una grande perdita perché i suoi film ci hanno cambiato e ci hanno, soprattutto, emozionato. E questa è una cosa che il cinema non dovrebbe mai smettere di fare. Penso che sia anche per questo motivo che tantissime persone, di qualsiasi appartenenza, anche lontane dal cinema, hanno sentito l’esigenza oggi di lasciargli un saluto attraverso i social media: è stato per la tenerezza autentica, e anche audace, che Scola aveva nei confronti dei suoi personaggi. Infatti, tutti hanno sentito il bisogno di postare sui social media non la sua foto, ma quella dei suoi personaggi. E questo dice molto sul modo in cui Scola ha saputo raccontarli”. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Burkina Faso: vescovi condannano attacco a Ouagadougou

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“Le ferite inferte a persone concrete sono sentite dalla nazione intera. Nel vivere il lutto nazionale, vi invitiamo a ricordare e a pregare per le vittime, i feriti, le loro famiglie e i loro amici” afferma un comunicato della Conferenza episcopale del Burkina Faso e Niger, ripreso dall'agenzia Fides, nel quale si invitano i fedeli a pregare per le vittime degli assalti perpetrati a Ouagadougou nella notte tra il 15 e il 16 gennaio, da membri di Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico).

I vescovi invocano l'unità nazionale
“La nostra sola arma è la preghiera” sottolineano i vescovi. “Possano tutti i credenti accrescere l’ardore della preghiera come abbiamo fatto in altre circostanze. La nostra invocazione per l’unità nazionale resterà sempre la nostra forza” conclude il comunicato. Il bilancio dell’assalto all’Hotel Splendid e al vicino bar-ristorante “Le Cappuccino” è di 30 vittime. Tre assalitori sono stati uccisi nello scontro a fuoco per liberare gli ostaggi nell’hotel, mentre secondo alcune fonti altri tre terroristi sarebbero riusciti a fuggire.

Rapita coppia di medici australiani
Nel frattempo cresce la mobilitazione internazionale per chiedere il rilascio di una coppia di medici australiana (e non austriaci come detto in un primo momento) rapiti a Baraboulé, nel nord del Burkina Faso, alla frontiera con il Niger e il Mali. L’annuncio del rapimento dei due ottantenni è avvenuto qualche ora dopo l’assalto nella capitale. Il rapimento è stato rivendicato dal gruppo jihadista maliano Ansar al Dine. (L.M.)

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Nigeria: appello dei vescovi all’unità nazionale

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“Tutti i nigeriani devono essere più attivi e positivi per far sì che il Paese sia uno, un’entità unita in tutti i suoi aspetti”: è quanto auspica, in questo inizio 2016, l’arcivescovo di Owerri, Anthony Obinna. Teoria e pratica devono coincidere, spiega in sintesi l’arcivescovo, affermando: “Bisogna smetterla di dire che la Nigeria è una nazione unita, quando poi l’attualità dimostra esattamente l’opposto”. Nel Paese, infatti, non mancano esempi di divisioni politiche, religiose, etniche e sociali ed è per questo che mons. Obinna ricorda che “tutti i nigeriani hanno il dovere, anzi la missione di trasformare il Paese in una famiglia, che dona la vita e si prende cura di ciò che le viene affidato”.

Scoraggiare tutte le forme di discriminazione
Quello che manca, invece, è proprio “un senso di gratitudine e di appartenenza al Paese” che sia comprovato “dall’apprezzamento maturo dei valori positivi e dalla denuncia critica di vizi e disvalori”. Di qui, il richiamo dell’arcivescovo di Owerri alla “conversione del cuore” da parte di tutti i cittadini. I leader nigeriani, infatti, “non hanno sostenuto adeguatamente una visione del Paese come macro-famiglia ed un’integrazione nazionale equa ed integrale”. Per questo, dice con forza mons. Obinna, ogni discriminazione perpetrata in nome “dell’età, della cultura, del ceto, della religione o del mercato deve essere scoraggiata, pur senza negare le diversità” di ciascuno.

Promuovere spirito di servizio e sentimento patriottico nei cittadini
​L’arcivescovo di Owerri lancia, inoltre, un appello al governo ed alle autorità locali affinché sostengano “un equo spirito di servizio in ogni parte della Nigeria”, promuovendo “il sentimento patriottico di appartenenza alla nazione da parte di ogni cittadino”. Il tutto guardando a Dio, punto di riferimento per “la vita di tutti gli africani”. (I.P.)

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Vietnam: conclusa la visita del card. Marx

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Il card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e presidente della Commissione delle Conferenze episcopali europee, domenic a scorsa ha concluso la visita ufficiale in Vietnam. Il porporato ha fatto tappa ad Ho Chi Minh City dove ha visitato la sede di Caritas Vietnam e il convento delle suore Amanti della Santa Croce a Thủ Thiêm. Lo scorso ottobre - riferisce l'agenzia AsiaNews - le suore sono riuscite ad bloccare la demolizione della scuola da loro gestita, decisa dal governo. Una piccola vittoria contro i continui espropri ai danni delle congregazioni religiose. “So che state attraversando molte difficoltà, che vi sono fondati motivi di preoccupazione” - ha detto il card. Marx - ma “non esiste organizzazione politica o gruppo economico che possa danneggiare la libertà religiosa. Le religiose “non sono sole, noi siamo sempre al loro fianco”.

Il lavoro dei cattolici vietnamiti a favore di poveri, malati, bambini ed emarginati
Interpellato sulla controversia che vede protagoniste le religiose, il cardinale tedesco ha ricordato i colloqui con vescovi, sacerdoti, laici e membri di governo intercorsi durante i giorni di visita. Egli ha ricordato il lavoro dei cattolici a favore di poveri, malati, bambini, emarginati secondo la prospettiva e le direttive tracciate dalla dottrina sociale della Chiesa; un’opera, aggiunge, “che non contraddice con i principi dell’ideologia comunista” e la sua attenzione agli ultimi. L’obiettivo, conclude il card. Marx, è “guardare al bene dell’essere umano”; e anche se non vi sono “soluzioni immediate” agli attacchi alle religiose di Thủ Thiêm, la Chiesa tedesca sarà sempre “a fianco” della sorella vietnamita “a difesa della libertà religiosa”. 

Le suore Amanti della Santa Croce sono presenti in tutto il Vietnam
Le suore Amanti della Santa Croce di Thủ Thiêm sono presenti in Vietnam e operano a contatto con i poveri da 176 anni; da qualche tempo sono finite nel mirino dei cosiddetti “capitalisti rossi”, che vogliono espropriarle dei terreni. Il gruppo è formato da 593 religiose sparse in 63 comunità a Saigon e nelle diocesi di Xuân Lộc, Bà Rịa, Phú Cường, Đà Lạt, Kon Tum, Mỹ Tho, Long Xuyên e Lạng Sơn. Il 16 gennaio scorso il porporato tedesco ha visitato la sede al centro della controversia. 

Scopo delle suore: tutelare le tre scuole primarie e proteggere il convento
​Interpellata da AsiaNews suor Maria Lê Thị Thảo, superiore provinciale della Congregazione, conferma che l’obiettivo “non è solo tutelare le tre scuole primarie, ma anche proteggere il convento”. La religiosa ricorda i sacrifici compiuti in passato dalle consorelle e rinnova l’impegno a proteggere e tutelare “lo sviluppo della congregazione” anche a fronte di attacchi provenienti dall’autorità statale. Infine, la suora chiede preghiere, attenzione della Chiesa universale e l’aiuto di organizzazioni a tutela dei diritti umani. (N.H.)

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Regno Unito: incontro governo-vescovi per i profughi siriani

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Riaffermare il sostegno della Chiesa inglese agli sforzi compiuti dal governo locale nell’accogliere i rifugiati siriani, in fuga dal conflitto che, da quasi cinque anni, devasta Damasco: con questo obiettivo, si è svolto ier a Londra un incontro tra mons. Patrick Lynch, vescovo ausiliare di Southwark e presidente dell’Ufficio episcopale per le migrazioni, ed il ministro responsabile per i rifugiati siriani, Richard Harrington. Al centro del colloquio – informa una nota dell’episcopato di Inghilterra e Galles – anche “la riflessione sulle prossime strategie governative per il re-insediamento degli sfollati”.

Incontro aperto e costruttivo. Focus sui cristiani in Siria
“Il Regno Unito – afferma mons. Lynch – si è giustamente assunto la responsabilità di re-insediare alcuni dei rifugiati siriani più vulnerabili, oltre a dare un aiuto significativo per chi cerca riparo nei Paesi confinanti. Le mille persone già arrivate in Inghilterra avranno ora la possibilità di rifarsi una vita in sicurezza”. Il presule definisce, quindi, il colloquio con il ministro Harrington “aperto e costruttivo su alcune sfide future”, ad esempio su come fare in modo che a nessun rifugiato sia impedita la registrazione e che a tutti sia offerta un’accoglienza adeguata. Un focus, in particolare – sottolinea ancora mons. Lynch – è stato dedicato ai cristiani siriani.

La Chiesa fa la sua parte nell’accogliere i rifugiati
Ricordando, poi, l’impegno preso dal governo di “fornire un aiuto concreto ai rifugiati più bisognosi”, l’arcivescovo di Southwark ricorda che “la comunità cattolica di Inghilterra e Galles ha anche la responsabilità di fornire assistenza pratica ai profughi, là dove possibile, tendendo sempre loro la mano in segno di benvenuto”. “Sono lieto di rassicurare il ministro – conclude il presule – del fatto che la Chiesa farà la sua parte”. (I.P.)

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Family day al Circo Massimo per l'imponente numero di adesioni

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"Considerato il grande riscontro di adesioni e un previsto afflusso di molto superiore rispetto alla manifestazione dello scorso 20 giugno, il Comitato 'Difendiamo i Nostri Figli' ha valutato di modificare il programma del Family day che si terrà sabato 30 gennaio a Roma, annunciando un raduno statico al Circo Massimo". E' quanto si legge in un comunicato sull'iniziativa contro il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. Inizialmente era previsto che la manifestazione a Roma partisse dal Circo Massimo e arrivasse a Piazza San Giovanni.

"Per agevolare gli arrivi - prosegue la nota - l'area del Circo Massimo sarà accessibile dalle ore 12.00; la manifestazione inizierà alle 14.00 e si concluderà alle 16.30. Il programma dell'iniziativa sarà comunicato nei prossimi giorni; sono comunque già previsti interventi di diverso taglio da parte di esperti giuristi, testimonianze di famiglie e le conclusioni del neurochirurgo e presidente del comitato "Difendiamo i Nostri Figli", Massimo Gandolfini".

"Con grande soddisfazione - ha detto Gandolfini - abbiamo registrato, fin da subito, una massiccia risposta alla convocazione del Family day, da tempo richiesta a gran voce e con determinazione dal nostro popolo tanto che il favore incontrato ha spinto il comitato al cambiamento di piazza e di programma".

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Pakistan: a Faisalabad uno speciale Anno dell’Educazione

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“La misericordia più grande è il servizio dell’istruzione che si può dare a un bambino e a una persona”. Nasce da questa consapevolezza l’idea del vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Arshad, di indire per il 2016, in occasione del Giubileo della Misericordia, uno speciale “Anno dell’Educazione”.

L’avvio il 6 febbraio
L’Anno - ha annunciato all’agenzia Fides il presule, che è anche presidente della Commissione per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale pakistana - inizierà il 6 febbraio, in coincidenza con la locale Giornata della Vita Consacrata. In quell’occasione si riuniranno a Faisalabad studenti provenienti da tutte le scuole della diocesi e fedeli di tutte le parrocchie. L’obiettivo è di “incoraggiare gli studenti cristiani, le scuole e le comunità a impegnarsi in questo delicato settore, per poter svolgere un ruolo fondamentale nella società”.

L'educazione per cambiare anche il destino dei cristiani in Pakistan
“L'educazione è l’arma più potente che è possibile utilizzare per cambiare la società”, si legge nel messaggio di indizione, nel quale si sottolinea come “l’istruzione sia la strada per cambiare anche il destino dei cristiani in Pakistan”, affrancandoli dalla condizione di emarginazione e povertà. Come è noto, i cristiani, insieme alle altre minoranze religiose in questo Paese musulmano, sono oggetto di discriminazioni e vere e proprie persecuzioni e in questi anni le accuse di blasfemia mosse da gruppi radicali sono state spesso seguite da violenze e uccisioni.

Un'istruzione di qualità genera un cambiamento in meglio
Mons. Arshad invita quindi “ogni persona, famiglia e istituzione a giocare un ruolo attivo per promuovere la qualità della formazione scolastica”, aiutati da uno speciale team diocesano che sarà al servizio della comunità. “Un'istruzione di qualità genera un cambiamento in meglio nella mentalità e nell’agire sociale. Camminiamo insieme per cambiare il destino della nostra vita”, conclude il messaggio. (L.Z.)

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Vescovi Rep. Dominicana: Lettera contro corruzione e violenze

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Il presidente della Conferenza episcopale dominicana (Ced), mons. Gregorio Nicanor Peña Rodríguez, ha presentato ieri la Lettera pastorale in occasione della Festa di Nuestra Señora de la Altagracia, Patrona della nazione, che si celebrerà domani, 21 gennaio, in tutto il Paese.

La corruzione crea un'ingiustizia scandalosa
Il documento, ripreso dall'agenzia Fides, prende come principali temi la corruzione dei politici e la violenza che circonda le famiglie. “L'esercizio della politica è diventato un business per avere denaro facile, ed è solo per pochi” segnala il presule. "La corruzione crea una ingiustizia scandalosa e disuguaglianza sociale, allargando il divario tra le persone che sono diventate ricche, come per magia, senza altra giustificazione se non dopo aver assunto un incarico nella pubblica amministrazione" ha ribadito mons. Peña Rodríguez.

La Lettera pastorale deplora violenza e criminalità 
​Violenza e criminalità che vanno dal femminicidio in famiglia ai rapimenti e agli omicidi su commissione. La Conferenza episcopale dominicana segnala in questa Lettera, che “appare incredibile veder uccidere solo per un cellulare oppure sopportare la vergogna di riconoscere il coinvolgimento in atti criminali dei membri delle autorità che devono garantire l'ordine pubblico e combattere la violenza". (C.E.)

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Ungheria: Premio Wallenberg alla comunità di Sant'Egidio

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Lunedì a Budapest è stato conferito il Premio Wallenberg a Péter Szőke, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Ungheria. Il riconoscimento, conferito dall’Associazione Raoul Wallenberg e dal Ministero delle Risorse Umane, è assegnato ad associazioni civili, comuni, redazioni, scrittori, personalità e comunità ecclesiali che lavorano per gruppi sociali esclusi, contro i pregiudizi, lottano contro idee razziste.

Premio intitolato al diplomatico che salvò ebrei dalla Shoah
La data della consegna ha voluto ricordare il giorno – 17 gennaio 1945 – in cui si sono perse le tracce di Raoul Wallenberg, diplomatico svedese che a Budapest ha salvato migliaia di ebrei durante la Shoah. A consegnare il premio è stato il Segretario di Stato Bence Rétvári. La cerimonia si è svolta al Centro di Commemorazione dell’Olocausto. Negli anni scorsi, come rappresentanti della Chiesa cattolica, sono stati premiati Géza Dúl e László Somos, sacerdoti ungheresi che si occupano della pastorale degli zingari; József Szécsi,  segretario del Consiglio Cristiano-Ebraico; padre Tamás Forrai, provinciale dei gesuiti ungheresi.

Presente alla premiazione il card. Péter Erdő
Quest’anno, oltre a Péter Szőke, sono stati premiati: Éva Antala, pastora calvinista; Ferenc Mikulás produttore di cartoni animati; Géza Komoróczy, professore di studi ebraici; András Sipos, ex-presidente dell’Associazione Wallenberg.  Péter Szőke è stato candidato al premio dal card. Péter Erdő, presente alla cerimonia di consegna dei premi. Il responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Ungheria ha invitato alla cerimonia anche due amici sopravissuti all’Olocausto, Béla Varga e Éva Fahidi, che – nonostante l’età avanzata – insieme alla comunità ebraica continuano a testimoniare ai giovani gli eventi dello sterminio.

Motivazione del Premio: impegno in favore di anziani, giovani e senza tetto
Péter Szőke ha ringraziato il card. Péter Erdő e ha detto che il merito del premio è da attribuire alla Comunità di Sant’Egidio e agli amici anziani sopravvissuti alla Shoah, tra cui anche l’ex rabbino capo di Budapest, József Schweitzer, che lo ha introdotto alla memoria della Shoah e all’amicizia tra cristiani e ebrei. Nella motivazione del premio a Péter Szőke, il comitato organizzatore ha evidenziato il suo impegno per i barboni, gli anziani e gli zingari, insieme agli altri volontari della Comunità di Sant’Egidio, e ancora l’impegno per i giovani (le conferenze tenute nei licei per far conoscere meglio agli studenti l’olocausto).

Comunità di Sant’Egidio in aiuto dei rifugiati
Il riconoscimento dell’Associazione Wallemberg è stato attribuito a Péter Szőke anche per l’appoggio offerto per la marcia organizzata in memoria della deportazione degli ebrei di Pécs, per l’aiuto alle famiglie degli zingari uccisi nella serie di omicidi compiuta in Ungheria negli anni 2008-2009 e per l’organizzazione, dal 2009, (nella Giornata della memoria dell’olocausto degli zingari) della commemorazione del Pharrajimos e dell’omicidio di Kisléta. E’ da ricordare poi che la scorsa estate la Comunità di Sant’Egidio in Ungheria ha aiutato e accolto diversi rifugiati.

La vita eroica di Raoul Wallenberg
Diplomatico svedese, Raoul Wallenberg, nel 1944, a Budapest si è avvalso del suo status per salvare dall’Olocausto decine di migliaia di ebrei. La sua azione eroica dimostra come il coraggio e la capacità di affrontare le situazioni possano permettere di compiere imprese eccezionali e servire da esempio, incoraggiando a prendere posizione e ad agire contro le persecuzioni, la xenofobia e l’antisemitismo. In riconoscimento del suo operato durante la Shoah, lo Stato di Israele ha insignito Wallenberg del titolo di Giusto tra le nazioni. Gli è anche stato conferito il titolo di cittadino onorario di Israele, degli Stati Uniti, del Canada e dell’Ungheria. Raoul Wallenberg è stato arrestato dalle forze sovietiche il 17 gennaio 1945. Da quel momento la sua sorte resta avvolta nel mistero e si ignora tuttora cosa accadde dopo il suo arresto. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 20

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.