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Sommario del 17/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Angelus, Papa ai migranti: non lasciatevi rubare gioia di vivere. Preghiera per vittime terrorismo

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Nell’odierna Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, il Papa all’Angelus ha detto loro: “non lasciatevi rubare” “la gioia di vivere”. Poi Francesco ha rivolto la sua preghiera per le vittime degli ultimi attentati terroristici in Indonesia e in Burkina Faso. Il servizio di Roberta Gisotti

Migliaia i migranti e rifugiati, di decine Paesi, riuniti a piazza S. Pietro, per celebrare il loro Giubileo, attraversare la Porta Santa e partecipare alla Messa nella basilica Vaticana. A loro Francesco si è rivolto con parole d’affetto:

“Cari migranti e rifugiati, ognuno di voi porta in sé una storia, una cultura, dei valori preziosi; e spesso purtroppo anche esperienze di miseria, di oppressione, di paura”.

“La vostra presenza in questa Piazza – ha detto loro il Papa - è segno di speranza in Dio”.

“Non lasciatevi rubare questa speranza e la gioia di vivere, che scaturiscono dall’esperienza della divina misericordia, anche grazie alle persone che vi accolgono e vi aiutano”.

Poi un grazie e un applauso speciale ai detenuti del carcere di Opera, a Milano, che hanno confezionato le ostie per la Messa dedicata ai migranti e rifugiati.

Quindi la preghiera per le vittime degli attentati, che hanno insanguinato, in questa settimana, le capitali Giacarta dell’Indonesia e Ougadougou del Burkina Faso.

“Il Signore le accolga nella sua casa, e sostenga l’impegno della comunità internazionale per costruire la pace”.

Il racconto, nel Vangelo domenicale del prodigio compiuto da Gesù alle nozze di Cana, ha ispirato la catechesi del Papa prima dell’Angelus.

“Nel miracolo di Cana – ha spiegato – vediamo un atto benevolenza di Gesù verso gli sposo, una benedizione di Dio sul matrimonio".

“L’amore tra l’uomo e la donna è quindi una buona strada per vivere il Vangelo, cioè per incamminarsi con gioia sul percorso della santità”.

“Ma il miracolo di Cana non riguarda solo gli sposi”, ha ricordato Francesco. “Ogni persona umana è chiamata ad incontrare il Signore nella sua vita”.

“La fede attraversa tempi di gioia e di dolore, di luce e di oscurità, come in ogni autentica esperienza d’amore”.

“Gesu non si presenta a noi come un giudice pronto a condannare le nostre colpe; né come un comandante che ci impone di seguire ciecamente i suoi ordini":

“ ... si manifesta come Salvatore dell’umanità, come fratello, come il nostro fratello maggiore, Figlio del Padre: si presenta come Colui che risponde alle attese e alle promesse di gioia che abitano nel cuore di ognuno di noi”.

“Allora possiamo chiederci: davvero conosco il Signore così?”.

“Si tratta di rendersi conto che Gesù ci cerca e ci invita a fargli spazio nell’intimo del nostro cuore”.

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Giubileo migranti. Vegliò: in volti sofferenti c'è misericordia di Dio

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“I nostri fratelli migranti sono fragili, vittime della mobilità obbligata dalle circostanze del luogo, e quindi alla luce di un volto nuovo delle migrazioni, l’unica via percorribile che Papa Francesco vede è quella della misericordia”. Con queste parole il vescovo Guerino Di Tora,  presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, ha accolto questa mattina nella basilica di San Pietro, i numerosi partecipanti al Giubileo dei Migranti. Il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, che ha presieduto la celebrazione eucaristica, ha sottolineato come la misericordia di Dio diventa balsamo che sana le ferite di coloro che sono costretti a lasciare la loro terra. Il servizio di Marina Tomarro: 

"Cari fratelli e sorelle in Cristo! Cari migranti! Con grande gioia vi accolgo qui nella Basilica di San Pietro, cuore della Santa Sede e simbolo per eccellenza della Chiesa cattolica. Radunate assieme a noi in questa giornata, in spirito di fede e fraternità, ci sono tante diocesi, parrocchie e comunità di diverse culture e origini. Tutti siamo riuniti in preghiera e in ringraziamento a Dio per il dono della diversità, e anche per supplicare il Signore secondo le intenzioni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle migranti e rifugiati".

Con queste parole  il cardinale Antonio Maria Vegliò ha salutato i numerosi partecipanti che hanno preso parte al Giubileo dei Migranti. E davanti alla Croce di Lampedusa portata nella basilica per l’occasione, il porporato ha ricordato la forte drammaticità del fenomeno migratorio, che proprio in quella croce è memoria essendo stata costruita con pezzi di legno provenienti da barche, cariche di uomini e donne, naufragate nel mare  Mediterraneo. Ascoltiamo le sue parole:

"Quanti di voi hanno sperimentato la difficoltà del viaggio migratorio! I vostri volti nascondono storie d’incomprensione, di paura e d’insicurezza nate dall’esperienza di dover decidere di lasciare il proprio Paese in cerca di una vita migliore per voi stessi e per i vostri cari. La vostra presenza in questa Basilica è segno del legame tra le diverse Chiese locali. E’ segno della relazione tra la vostra Chiesa di partenza e quella di Roma. La vostra eredità, attestata attraverso la vostra lingua, la vostra cultura e le vostre tradizioni, testimonia che la fede e la pietà dei migranti sono espressione della vostra esperienza personale della fede cristiana! L’integrazione non implica né una separazione artificiale né un’assimilazione, ma dà piuttosto l’opportunità di identificare il patrimonio culturale del migrante e riconoscere i suoi doni e talenti per il bene comune della Chiesa di Roma, della Chiesa in Italia, di tutta la Chiesa universale!".

E grande la commozione per i partecipanti. Ascoltiamo le loro emozioni:

R. – Per noi è importantissimo il Giubileo della Misericordia. Accogliere, stare insieme, aiutare: è una delle cose migliori che si possono fare per il mondo. Sia qua, sia in qualsiasi parte del mondo. L’aiuto è importante, nella vita … Noi viviamo grazie alla solidarietà, perciò per noi significa molto.

R. – Dobbiamo vivere nel cuore questa emozione. Dobbiamo perdonare a tutti, vivere uniti gli uni con gli altri, come Gesù ha fatto con noi.

D. – Da dove vieni?

R. – Dalla Romania.

D. – Cosa vuol dire per te “passare la Porta Santa”?

R. – L’unione di tutti, stare bene insieme, ringraziare Dio perché questo Paese ci ha accolti.

D. – Cosa vuol dire per te “misericordia”?

R. – Perdono. Perdonare l’altro.

R. – Noi che stiamo bene, dobbiamo dare la forza; noi che abbiamo un po’, dobbiamo dare a quelli che non hanno …

R. – Solo una parola: l’amore. Proprio l’amore che vince tutto. Anche la guerra, e tutto.

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Francesco nella Sinagoga. Momigliano: evento di grandissima portata

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Oggi pomeriggio, alle 16.00, Papa Francesco si reca in visita alla Sinagoga di Roma. Si tratta della terza visita di un Pontefice al Tempio Maggiore della capitale, dopo quelle di San Giovanni Paolo II nel 1986 e di Benedetto XVI nel 2010. Il dialogo ebraico-cattolico conosce in questa fase storica una stagione “importante”, anche se non può mai essere dato per scontato ed è frutto di un impegno quotidiano. Ne è convinto il rabbino Giuseppe Momigliano, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, che al microfono di Fabio Colagrande commenta la visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma: 

R. – Penso che questa visita sia naturalmente importante. Sia per l’attenzione che richiama, ma anche perché conferma la necessità del dialogo e nello stesso tempo l’importanza periodica di riproporre eventi che lo rafforzino e mettano in luce di volta in volta quali sono gli elementi su cui in particolare soffermarsi e anche come rivolgersi al pubblico più ampio. Penso che in questo momento sicuramente questo evento avrà un’importanza come richiamo positivo sul ruolo delle religioni.

D. – Soprattutto, un evento che sottolinea l’importanza dell’incontro, al di là del dialogo teologico o della collaborazione in ambito sociale ...

R. – Sicuramente ha una ricaduta di grandissima portata e poi chiaramente è compito di tutti noi di far sì che questi momenti importanti vengano poi vissuti anche nel quotidiano. Ecco, quello a cui bisogna fare attenzione è che determinati eventi che richiamano una grandissima attenzione –  come la Giornata del dialogo e la Giornata della memoria – abbiano poi un seguito nel quotidiano e a tutti i livelli più ampi di relazioni sociali e di impegno civile.

D. – Da questo punto di vista, la situazione per quanto riguarda la discriminazione o anche l’antisemitismo a livello della cultura italiana, secondo lei qual è, oggi?

R. – Intanto, ci sono fenomeni di negazionismo della Shoah che sono diffusi, per esempio sul web; e anche di antisemitismo: la scoperta, appunto, delle liste dei cognomi ebraici che vengono segnalati sui siti antisemiti … Quindi, ci vuole attenzione perché c’è un certo livello sotterraneo, nascosto, in cui però continua ad agire l’antisemitismo. Ci sono poi pregiudizi di razzismo generalizzato, quindi anche al di là dell’antisemitismo, ma purtroppo sappiamo che i pregiudizi di razzismo, con tutto quello che succede, attecchiscono. Per quanto riguarda l’entità ebraica, noi poi abbiamo una sensibilità rispetto – ovviamente – agli eventi del Medio Oriente, per come vengono presentati: non sempre con la necessaria conoscenza di tutti gli antefatti storici e anche del quadro più complesso in cui si inseriscono fatti drammatici che spesso quotidianamente si ripresentano.

D. – Infine, quale significato assume per lei il fatto che questa visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma capiti durante il Giubileo straordinario della Misericordia, che il Papa stesso ha indetto?

R. – Io penso che questo possa anche essere un’occasione di approfondimento per ricordare le radici bibliche nell’istituzione – appunto – del Giubileo: nella Bibbia, nel Libro del Levitico si parla appunto del Giubileo come di un anno di liberazione da ogni forma di schiavitù, di riequilibrio delle condizioni sociali … Quindi, considerare attraverso questi richiami biblici anche l’importanza dell’anno del Giubileo come motivo di richiamo alla responsabilità nel campo dei diritti umani, delle condizioni di vita, come affrontare la povertà così diffusa, che è poi uno dei motivi dei drammi del presente.

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Giornata migranti. Padre Smolich (Jrs): sono nostri fratelli

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“Ognuno di noi è responsabile del suo vicino: siamo custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano”. È una delle esortazioni alla solidarietà verso gli immigrati contenute nel Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra questa domenica. Linda Bordoni ha chiesto un commento alle parole di Francesco al direttore del Servizio internazionale dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS International), padre Thomas Smolich

R. – The Holy Father’s message…
Il Messaggio del Santo Padre per la Giornata mondiale dei rifugiati è commovente e penso faccia un lavoro meraviglioso nel catturare – direi – le tre realtà essenziali dei migranti e dei rifugiati nel mondo di oggi. Il Santo Padre inizia col dire che si tratta di una realtà strutturale: ci sono 60 milioni di persone rifugiate in questo momento, migranti forzati sia dentro che fuori il loro Paese, e molte altre persone che scelgono per varie ragioni di spostarsi da un Paese all’altro. Alcuni anni fa avremmo potuto dire: “Questo sta accadendo qui, sta accadendo là e i fatti non sono collegati”. Il Santo Padre ci dice e ci ricorda che adesso tutto questo fa ormai parte del nostro mondo. Non possiamo vivere qui, non possiamo essere cittadini della terra, senza fare i conti con il fatto che milioni di persone sono in movimento contro la loro volontà. Come risponderemo a questo? Credo che l’affermazione forte nella risposta del Santo Padre sia che siamo tutti fratelli e sorelle. Chiunque voglia dire “Io sono io, io e la mia famiglia siamo qui e voi siete migranti e rifugiati” sbaglia. Il Santo Padre dice che siamo tutti una famiglia, siamo tutti figli di Dio. Dobbiamo cominciare da quel momento di grazia. Inoltre, penso che ci stia  sollecitando a mettere in pratica l’Anno della Misericordia. La frase della Genesi che mi piace utilizzare è quando Dio chiede a Caino cosa sia successo a suo fratello Abele e Caino dice: “Sono forse il guardiano di mio fratello?”. In senso retorico: che differenza fa per me? Noi siamo i guardiani dei nostri fratelli e delle nostre sorelle: abbiamo la responsabilità, abbiamo il dovere di aiutare coloro che hanno bisogno, di aiutare le nostre sorelle e i nostri fratelli a essere concretamente vivi, pieni di speranza e a pieno titolo figli di Dio. Il Santo Padre lo dice in maniera incredibilmente eloquente nel Messaggio di quest’anno e spero che tutti noi faremo del nostro meglio per metterlo in pratica.

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Settimana unità cristiani. Koch: avanti col dialogo ecumenico

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Domani inizia la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema “Chiamati per annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio” (cfr. 1 Pietro 2, 9).  Il testo del sussidio di quest’anno giunge dalla Lettonia. Sul tema di questa Settimana ascoltiamo il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, al microfono di Philippa Hitchen

R. – Wir haben als Leitwort dieses schöne Wort, dass wir berufen sind, die Großtat Gottes zu verkünden …
Il nostro motto è quella bella espressione secondo la quale siamo chiamati ad annunciare le grandi opere di Dio. Il testo biblico dice che per un certo tempo siamo stati esclusi dalla misericordia di Dio, mentre ora invece ci è consentito vivere della sua misericordia. In questo c’è una bella coincidenza con il Giubileo della Misericordia e questo Giubileo è un’occasione per riflettere tutti insieme sul nucleo della fede cristiana. L’ecumenismo non significa soltanto ragionare delle questioni impegnative che ancora ci dividono, ma approfondire insieme il nucleo, il cuore della fede cristiana: per fare questo, il Giubileo della Misericordia e la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sono una buona opportunità.

D. – L’anno appena iniziato si configura come un anno importante per i rapporti ecumenici, a iniziare dal 500.mo anniversario dell’inizio della Riforma; a questo proposito, voi avete già pubblicato delle linee guida in ambito liturgico …

R. – Ja, wir haben bereits ein Dokument veröffentlicht, das heißt “Vom Konflikt zur Gemeinschaft” …
Sì, abbiamo già pubblicato un documento che si chiama “Dal conflitto alla comunione“ nel quale vogliamo manifestare in quale modo sia possibile celebrare insieme l’evento della Riforma. Sulla base di questo documento, un gruppo di lavoro ha elaborato elementi liturgici che ci possono consentire di celebrare insieme la commemorazione dell’inizio della Riforma. Questo documento verrà inviato dalla Federazione luterana mondiale e da noi. Poi stiamo lavorando alla preparazione dell’incontro liturgico tra luterani e cattolici a livello mondiale, che è programmato per la fine di ottobre a Lund, in Svezia. Lund è il luogo in cui è stata istituita la Federazione luterana mondiale. L’idea bella che hanno avuto i luterani è stata di aver detto, fin dall’inizio, che non sono i luterani che invitano noi cattolici, ma saranno i luterani e i cattolici che insieme inviteranno gli altri. Spero che questo evento che si celebrerà a Lund possa approfondire l’unità tra luterani e cattolici e possa rappresentare un bel passo ampio sulla strada della piena unità.

D. – Per molti il periodo della Riforma rappresenta un periodo di conflitto …

R. – Zunächst einmal müssen wir das sehr ernst nehmen, weil die Reformation ja nicht nur …
Intanto, è necessario prenderla molto sul serio questa cosa, perché la Riforma non ha portato soltanto la riscoperta della Bibbia e la Dottrina della Giustificazione – per esempio – ma ha anche portato alla separazione e ha provocato orribili guerre di religione nel XVI e nel XVII secolo. Ancora recentemente, Papa Francesco ha detto: “Se guardiamo ai combattimenti cruenti tra sunniti e sciiti, dobbiamo ricordarci che abbiamo fatto la stessa cosa tra luterani e cattolici”. In questo senso, dobbiamo chiedere perdono. Questo, però, è soltanto un aspetto. Noi non celebriamo soltanto i 500 anni dall’inizio della Riforma, noi celebriamo anche i 50 anni di dialogo ecumenico tra cattolici e luterani: dobbiamo essere grati e riconoscenti per aver riscoperto in questo mezzo secolo tante cose che abbiamo in comune. Il terzo aspetto è la speranza. La speranza che questa celebrazione comune della commemorazione della Riforma ci aiuti a trovare nuova fiducia per il futuro.

D. – Quello attuale è un anno importante anche per il mondo ortodosso, con il Sinodo pan-ortodosso previsto per la primavera. Cosa significherà questo evento per il dialogo con il mondo ortodosso?

R. – Zunächst einmal wird es ein wichtiges Ereignis für die orthodoxen Kirchen sein, …
Prima di tutto, questo è un evento epocale per le Chiese ortodosse che negli ultimi mille anni non hanno più celebrato un simile Sinodo. Credo che il Patriarca ecumenico Bartolomeo avesse ben chiara la serietà della situazione, quando ha affermato chiaramente: “Gli ortodossi dicono sempre che sono una Chiesa sinodale: ora devono anche dimostrare al mondo di essere sinodali”. Dall’altro canto, sono convinto del fatto che, se nell’ambito del Sinodo pan-ortodosso le Chiese ortodosse riusciranno a trovare una maggiore unità tra loro, questo possa rappresentare un grande aiuto nell’affrontare e poi superare le difficoltà nel dialogo cattolico-ortodosso. Così io spero e prego che questo Sinodo pan-ortodosso possa veramente aver luogo a Pentecoste, come previsto.

D. – E’ previsto anche un importante incontro annuale con le Chiese ortodosse orientali al Cairo, quest’anno: quali sono le sue speranze per questo incontro?

R. – Wir haben in der Vollversammlung mit den orientalisch-orthodoxen Kirchen Anfang Februar …
Abbiamo in programma un’assemblea generale con le Chiese ortodosse orientali all’inizio di febbraio al Cairo. Questo incontro aprirà una terza fase; la prima fase ha trattato la costituzione e il centro della Chiesa, la seconda fase della “communio” e della comunicazione tra le Chiese nei primi cinque secoli. Ora iniziamo un dialogo sui Sacramenti, soprattutto sui Sacramenti dell’iniziazione: in primo piano ci sarà il Battesimo. Non è un argomento facile da trattare, perché alcune Chiese ortodosse orientali ancora praticano la ripetizione del Battesimo: per esempio, in occasione del matrimonio o della conversione. Questa, naturalmente, è una sfida importante perché il Battesimo e il riconoscimento comune del Battesimo rappresenta il fondamento dell’ecumenismo. In questo ambito, spero che riusciremo a trovare un maggiore consenso tra di noi.

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Oggi in Primo Piano



Iran: via le sanzioni internazionali. In vigore l'intesa sul nucleare

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Passo storico per la distensione dei rapporti tra l’Iran e la comunità internazionale. Ieri l'Aiea, l'agenzia internazionale per l'energia atomica, ha dato il via libera all'applicazione dell'accordo sul programma nucleare di Teheran. Nelle stesse ore Ue, Usa e Onu hanno annunciato la revoca delle sanzioni internazionali contro l’Iran. Il servizio di Marco Guerra: 

L'Iran ha rispettato gli impegni presi nel settore nucleare con sei potenze mondiali  il cosiddetto gruppo del 5+1 composto da Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e la Germania: è quanto si afferma nel rapporto dell'Aiea - l'agenzia internazionale per l'energia atomica – che  ieri ha dato il via libera all'applicazione dell'accordo sul nucleare iraniano. E, in serata a Vienna la responsabile della diplomazia europea, Federica Mogherini, e il ministro degli Esteri di Teheran, Javad Zarif, hanno poi annunciato la revoca delle sanzioni internazionali contro l’Iran, parlando di "accordo storico", "forte" e "giusto". Dal canto suo, il presidente iraniano Rohani alla Tv di Stato ha definito l'accordo "una pagina d'oro" della storia del Paese e un "punto di svolta" per l'economia. Il segretario di stato Usa, Kerry, sostiene che ora il Medio Oriente è più sicuro e che si è ridotto il rischio di una bomba atomica. Plaude anche segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Resta preoccupata invece Israele. Secondo il premier Netanyahu, Teheran continua a lavorare per destabilizzare la regione. E a coronare l’implementazione dell’accordo è arrivato a sorpresa l'annuncio dello scambio di prigionieri tra Usa e Iran. Sette gli iraniani liberati da Washington, cinque i cittadini Usa liberati dall’Iran.

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Burkina Faso: sale a 29 vittime il bilancio dell'attacco all'hotel

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E’ di almeno 29 morti di 18 nazionalità diverse, 56 feriti, 126 ostaggi liberati e quattro terroristi uccisi, il bilancio dell'assalto terroristico all'Hotel Splendid e al caffè-ristorante Cappuccino di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Lo ha confermato il primo ministro del Paese africano, Paul Kaba Thieba. Tra le vittime figurano otto canadesi, uno statunitense, due cittadini svizzeri e due francesi. L'attacco partito venerdì sera si è concluso ieri con l’intervento delle Forze speciali francesi, presenti nel Paese. Al Qaeda nel Maghreb ha rivendicato l’attacco definendolo “Una vendetta contro la Francia e i miscredenti occidentali”.  Marco Guerra ha intervistato padre Philippe Zongo, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Burkina Faso: 

R. – Quello che è successo in Burkina riporta a quello che è successo a Jakarta, a quello che è successo a Istanbul … Possiamo dire che questo colpisce tutta l’umanità. Io penso che colpire questo luogo significhi ferire l’umanità, ferire i rapporti di convivenza che esistono da anni tra musulmani e cristiani. E c’è il rischio, anche, che dopo questo attentato, si facciano interpretazioni sbagliate, spostando il problema su un livello religioso. Ma io credo che non sia un problema religioso e bisogna essere attenti a non fomentare l’odio. Questi attacchi, al Qaeda li compie per tutelare il proprio terreno rispetto all’Is. Tra l’altro, anche al Qaeda nel deserto cerca di proteggere i propri interessi, e cioè il traffico delle armi, il traffico di esseri umani …

D. – Al Qaeda ha rivendicato l’attacco affermando che si tratta di una vendetta contro la Francia: quindi c’è un’escalation del terrorismo jihadista anche nel Burkina Faso, oppure è stato un fatto inaspettato?

R. – No, no: non è stato un fatto inaspettato. Si poteva aspettarselo, perché ci sono stati già due episodi precedenti. Tre agenti sono stati uccisi da una cinquantina di persone e poi, verso la frontiera del Mali c’è stato anche un attacco e alcune persone addirittura sono state sgozzate, come fa l’Is; anche, nel Nord due persone, due austriaci sono state rapiti. Questi episodi ci fanno capire che è un inizio. Quindi, non possiamo dire che è un’escalation, però bisogna iniziare a lavorare adesso per evitare che l’escalation ci sia veramente, come è successo altrove.

D. – A Ouagadougou c’è la base delle Forze speciali francesi attive nell’operazione in tutto il Sahel per fermare il jihadismo. Quindi, si è scelto un bersaglio internazionale proprio per fermare l’avanzata delle Forze occidentali?

R. – Diciamo che sì, c’è la presenza dell’esercito francese; e poi, ci sono anche soldati statunitensi  perché la zona del Burkina Faso è una zona strategica: nel Sud dell’Algeria e nel Nord del Mali, del Niger e del Burkina Faso c’è proprio la culla del terrorismo, operano lì. Allora avere una base in Burkina Faso aiuta a respingere un po’ per poterli poi bloccare. Ma che ci sia un attacco contro la Forza francese presente, io dire di no, perché i morti appartengono a 18 nazionalità. Quindi, alla fine, quando colpiscono, colpiscono tutti! Poi, questo modo di colpire nulla può fare all’esercito francese; come dico e tengo a ripetere, è per motivi di interesse, perché anche loro ci guadagnano con la guerra, con la violenza. La guerra è diventata ormai un lavoro, un mestiere: alla fine, in questi gruppi terroristici tanti si arruolano perché non hanno niente da fare, è un modo per guadagnarsi qualcosa per sopravvivere.

D. – L’attacco è stato rivendicato da al Qaeda; poi abbiamo anche le infiltrazioni del sedicente Stato islamico e di Boko Haram, che opera nell’area del Sahel. Quindi il Sahel sta diventando un epicentro del terrorismo di matrice islamica?

R. – Sì, questo è molto vero e possiamo sottolinearlo, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale sulla necessità di intervenire presto, perché il Sahel è a rischio, può diventare la vera culla del terrorismo come è successo in Siria e in Iraq. Ora si stanno utilizzando tutti i mezzi forti per combattere l’Is. Penso che prima di arrivare al livello della Siria o dell’Iraq, sia necessario agire ora. Il presidente Roch Marc Christian Kaboré ha fatto una dichiarazione subito dopo l’attacco, invitandoci a essere coraggiosi, cioè, il Paese non deve lasciarsi intimidire. Il presidente aveva già rivolto un appello al presidente del Mali, chiedendo di costituire un fronte comune per lottare contro il terrorismo, perché il terrorismo va fermato adesso, trovando i mezzi; e poi il “come” si vedrà nei prossimi mesi, perché si sono dati almeno sei mesi per quello che riguarda il Burkina Faso, per avere un esercito forte che sappia proteggere le persone e i beni del Paese.

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Foreign fighters europei, un libro spiega chi sono

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Hanno un età compresa tra i 18 e i 28 anni, sono immigrati di seconda generazione o autoctoni convertiti e in migliaia combattono in Siria e Iraq tra le file del sedicente Stato islamico o di al Qaeda. Del fenomeno dei foreign fighters europei si occupa il volume “L’ultima utopia” di Renzo Guolo, docente di Sociologia dell’islam all’Università di Padova. Elvira Ragosta lo ha intervistato, chiedendogli cosa è cambiato nel panorama dei jihadisti europei dopo gli attentati di Parigi: 

R. – E’ cambiato poco, nel senso che gli attentati di Parigi sono in qualche modo il risultato del lungo ciclo che è ormai avviato da anni, dopo il conflitto siriano, in cui sono comparsi questi attori politici e religiosi. Il loro reclutamento avviene per motivi vari: spesso sono alla ricerca di una identità ben specifica, che pensano di non trovare più nella cultura occidentale e che cercano di trovare attraverso una radicalizzazione.

D. – Chi sono i foreign fighters europei e perché partono?

R. – Il profilo è molto diverso, perché noi troviamo giovani che hanno avuto grossi problemi, che sono cresciuti in banlieue, passando attraverso insuccessi scolastici oppure attraverso la piccola criminalità che li ha portati poi al carcere; come pure giovani autoctoni convertiti che provengono da famiglie di ceto medio ed anche persone che sono musulmane di cultura e religione, che vivono in condizioni economiche e sociali dignitose e magari hanno concluso i loro studi con una laurea… Quindi non possiamo dire che ci sia un profilo tipico, anche se in taluni casi nazionali – il caso francese è tipico, come nelle banlieue e nelle grandi periferie urbane di Parigi e di altri grandi centri – c’è un percorso quasi specifico: il giovane di banlieue, che va alla ricerca di quell’identità di cui parlavo in precedenza, sicuramente è un profilo marcato. E questo lo abbiamo visto non solo ai tempi dell’attento a Charlie Hebdo, ma anche nel caso dell’attacco del Bataclan o nello Stadio di Francia, in cui – sebbene la cellula fosse prevalentemente belga – vi erano anche francesi che avevano queste stesse origini.

D. – Tra i foreign fighters europei ci sono anche delle donne, rappresentano il 10 per cento. Lei scrive nel suo libro: sono per lo più francesi, britanniche e tedesche; ma ci sono stati anche alcuni casi italiani. Che profilo sociologico hanno e perché decidono di raggiungere i combattenti?

R. – Valgono per loro fondamentalmente gli stessi motivi che inducono i loro coetanei maschi a cercare un elemento di questo tipo, ma vi è anche poi una specificità: è come se queste giovani donne cercassero una identità in un ruolo quasi certo. Entrando nelle file di formazioni di questo tipo sanno, infatti, che si consegnano ad un ruolo di subalternità: per loro è previsto un meccanismo quasi ancillare rispetto al jihad; la cura domestica di mariti che hanno conosciuto via web o che sono stati loro “assegnati”, ma anche una accettazione per cui il loro compito diventa quello educativo e familiare legato alla costruzione di nuovi militanti, come se la stessa famiglia che si forma dentro questo magma avesse in qualche modo una funzione pedagogica e politica: quella cioè di creare nuovi adepti allo Stato Islamico.

D. – Quali sono i luoghi di reclutamento e di radicalizzazione di questi foreign fighters europei?

R. – Sono diversi. Anzitutto c’è la rete, che è ovviamente il più grande attore di socializzazione islamista radicale attraverso i social-network, ma anche attraverso quella letteratura radicale che un tempo era patrimonio solo di pochi e interessati militanti o di chi andava in cerca specificatamente di un testo di quel tipo. Vi sono poi quartieri difficili – come le banlieue francesi o i suburbi – in cui queste persone affrontano il volto dello Stato, della società in cui vivono in una condizione sempre di disagio, che sfocia in un forte antagonismo. Vi sono poi le carceri, che sono un luogo di proselitismo non da poco; e poi anche i luoghi che possono essere di culto: anche se paradossalmente le moschee hanno perso quel posto che avevano fino a qualche anno fa, proprio perché a partire dagli attentati di Londra del 2005 nel panorama europeo c’è stato una forte stretta sui luoghi di culto in termini di monitoraggio e sorveglianza. Questo fa sì che non siano più, nella loro dimensione precedente, luoghi di reclutamento come in passato.

D. – Professore, cosa può dirci sui foreign fighters italiani?

R. – I foreign fighters italiani sono quasi una novantina: questo secondo i dati ufficiali. Si parla soprattutto di persone cresciute in Italia, alcune delle quali hanno cittadinanza italiana, alcune sono convertite: abbiamo i due casi famosi di Giuliano Del Nevo e di Maria Giulia Sergio. Ma sono casi riconducili alla media europea, nel senso che accade in Italia quello che accade negli altri Paesi. Certo, in termini di minore intensità: la “filiera” francese ha avuto 1.500 persone coinvolte negli ultimi anni; quella belga è molto elevata, così come quella britannica… In Italia, quindi, il numero è relativamente basso rispetto ad altri Paesi.

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Gandolfini: Family day il 30 gennaio con nonni, genitori e bambini

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A pochi giorni dal dibattito in Aula del ddl Cirinnà sulle unioni civili, il Comitato “Difendiamo i nostri figli” ha ufficializzato per il 30 gennaio una manifestazione di protesta a Roma. Un nuovo “Family day” dopo quello dello scorso 20 giugno, quando arrivarono in Piazza San Giovanni centinaia di migliaia di persone. Massimo Gandolfini, presidente del Comitato promotore, spiega al microfono di Michele Raviart lo spirito di questa nuova manifestazione: 

R. – Lo spirito è duplice. Uno spirito di grande responsabilità, perché siamo convinti che sia un passo molto importante per cercare di fermare una legge che noi consideriamo inaccettabile da ogni punto di vista. Dall’altra parte, anche un sentimento di passione perché vorremmo mostrare a tutto il Paese che si tratta di un popolo di persone civili, che non abbiamo intenzione di dichiarare guerra a nessuno ma che semplicemente vogliamo mostrare la bellezza della famiglia che viviamo, famiglia che naturalmente ha anche tutti i suoi problemi, le sue problematiche; ma l’istituto familiare è un istituto che va assolutamente salvaguardato.

D. – Possiamo parlare di una sorta di opposizione, ma costruttiva?

R. – Esatto. Un’opposizione serena, costruttiva ma altrettanto determinata. Contro il disegno di legge Cirinnà, quindi non contro le persone ma contro quel progetto di legge che vorrebbe di fatto omologare l’unione civile alla famiglia, noi siamo assolutamente determinati a non fare neanche mezzo passo indietro.

D. – Quali sono, per voi, i “no” al progetto sulle unioni civili, al ddl Cirinnà?

R. – I “no” categorici, sui quali – ripetiamo noi – non c’è nessuno spazio di mediazione, sono: no alla “stepchild adoption”, no al cosiddetto “affido rafforzato”, no all’affido breve di due anni che poi viene trasformato in adozione, perché tutti questi punti significano negare di fatto il diritto del bambino ad avere un papà e una mamma e a crescere in una famiglia che possa essere per lui il massimo possibile per la sua educazione. Tutti quegli articoli che di fatto non fanno nient’altro che trasferire all’interno dell’unione civile le istanze matrimoniali, ci trovano totalmente in disaccordo. Non vogliamo che ci sia confusione tra l’unione civile e il matrimonio.

D. – E invece, i “no” non categorici, ci sono?

R. – Tenendo presente il disegno di legge Cirinnà, credo che sia da rigettare in toto, così com’è. Il “no” non categorico può essere rimettiamoci seduti intorno a un tavolo e intorno a questo tavolo definiamo quali sono i diritti civili legati alla persona che possono essere ribaditi ed eventualmente riconsiderati anche all’interno di quella formazione sociale che può essere l’unione civile.

D. – Uno dei punti più controversi è quello delle “stepchild adoptions”. Si è parlato in questo caso di un rischio di arrivare all’“utero in affitto”: qual è la vostra posizione?

R. – Mi sembra che il legame tra “stepchild” e l’“utero in affitto” sia quasi un legame automatico, perché un’unione civile omosessuale maschile che voglia avere un bambino ha soltanto una strada per poterlo avere: quello di fare fecondazione eterologa e usare l’utero in affitto negli Stati stranieri ove questo sia consentito. Con il risultato che poi, rientrando in Italia, ci dobbiamo trovare di fronte a una legittimazione di fatto, magari non di diritto, dell’“utero in affitto”. E noi abbiamo definito l’“utero in affitto” una pratica abominevole, incivile e tipicamente neocolonialista e razzista.

D. – A chi è rivolta, quindi, la manifestazione del 30 gennaio? Chi vi aspettate che venga, in piazza?

R. – E’ rivolta al popolo: noi ci aspettiamo che la piazza sarà stracolma, più del 20 giugno; che ci saranno famiglie, genitori, bambini, nonni, passeggini. Non pensiamo che ci siano terroristi che vogliono combattere con le armi tra i denti il mondo gay e così via, perché questo non è il nostro obiettivo. Il nostro obiettivo è difendere la famiglia così come il dettato costituzionale ce la descrive all’articolo 29 e quello di tutelare il rispetto che si deve a qualsiasi persona – quindi, contro ogni forma di bullismo e discriminazione e di violenza – e un grande messaggio vogliamo che da quella piazza salga alla politica, che è: fermate il disegno di legge Cirinnà. Qui si tratta addirittura di cambiare la storia d’Italia  …

D. – Quali sono i rapporti di questa manifestazione con la Cei, rispetto alle dichiarazioni di mons. Galantino che si aspetta che la società prenda iniziative efficaci e ribadisce come non ci sia bisogno di “vescovi-piloti”?

R. – Esatto: siamo perfettamente d’accordo. Quella felicissima frase di Papa Francesco è diventata quasi il nostro slogan. Il protagonismo laicale credo che sia non solo auspicabile ma, di questi tempi, necessario. La comunione profonda su principi e valori con i pastori è di grandissima importanza, non solo per la società ma credo proprio anche per la Chiesa. Durante questo anno e mezzo circa in cui ci stiamo dando molto da fare per condurre una campagna di formazione e di informazione sul territorio – perché la stragrande maggioranza delle persone prima che ci muovessimo non sapeva nulla, né del gender né delle unioni civili omologate alla famiglia – moltissime di queste conferenze sono state fatte grazie agli inviti e alle collaborazioni e alle condivisioni di tantissimi vescovi diocesani sul territorio italiano.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: l’Is uccide 300 civili e ne sequestra altri 400 a Deir Ezzor

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Non c’è limite alle barbarie perpetrate dal sedicente Stato islamico. I jihadisti hanno massacrato almeno 300 civili nel corso di un’offensiva a Deir Ezzor, città dell'omonima provincia orientale siriana. Durante la stessa azione i miliziani dell’Is hanno catturato circa 400 persone, in particolare nella periferia della città, nel gruppo ci sono molte donne e bambini. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani precisando che sono tutti musulmani sunniti. Le persone sequestrate sono state portate in altre aree della provincia controllate del gruppo terroristico, ma anche alla periferia di Raqqa, roccaforte dell'Isis. Se confermata, sarebbe una delle più grandi stragi commesse, in un unico giorno, in quasi cinque anni di guerra civile in Siria.

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Scritte anticristiane sull’Abbazia della Dormizione a Gerusalemme

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“Morte ai pagani, nemici di Israele”. Questa una delle tre scritte, in lingua ebraica, rivolte contro i cristiani, rinvenute stamane sulle mura esterne del Convento dell’Abbazia della Dormizione di Maria, a Gerusalemme. Le altre due recitano: “I cristiani all’inferno”,  “Che e il loro nome sia cancellato”. A corredare le scritte minacciose anche il disegno  di una spada insaguinata. A rendere noto l’atto sacrilego è stato Wadie Abunassar, consigliere dell’Assemblea dei vescovi di Terra Santa, ricordando che già in passato, nel maggio 2013, l’edificio di culto è stato oggetto di attacchi analoghi. Secondo la tradizione cristiana, la chiesa benedettina sul monte Sion, fu eretta nel luogo dove Maria trascorse l'ultima notte prima di morire. Nella cripta c'è una statua della Madonna che dorme. Come ricorda oggi anche il  quotidiano Haaretz, nel 2014 Papa Francesco celebrò una Messa nell'abbazia, che fu visitata anche da Paolo VI durante il pellegrinaggio in Terra Santa nel 1964. Parole di condanna per l’accaduto ha espresso il ministro israeliano della pubblica sicurezza, Gilad Erdan, ordinando alla polizia di dare priorità alle indagini sulla profanazione, assicurando "tolleranza zero – ha ammonito - contro chi danneggia i fondamenti democratici dello Stato di Israele e della libertà religiosa". (A cura di Roberta Gisotti)

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Irlanda. Vescovo di Cork: accogliere migranti è un dovere

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“L’immigrazione è un fenomeno destinato a rimanere” ed è “importante che la Chiesa irlandese sia in prima linea nell’accoglienza” degli immigrati e rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa per fuggire dalla guerra, la fame e l’oppressione. Lo scrive  mons. John Buckley, vescovo di Cork, in Irlanda, nel messaggio per la 102ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che ricorre il 17 gennaio.

Gli irlandesi ricordino il loro passato
Nel testo, il presule ricorda come gli irlandesi abbiano molto da imparare non solo dal Vangelo e dall’Antico Testamento, che esortano ripetutamente ad accogliere lo straniero, ma anche dal loro passato. “Il Signore potrebbe ben dirci: ‘Ricordatevi che anche voi siete stati trattati male all’estero, quando costruivate la metropolitana di Londra, nelle miniere dello Yorkshire, nel porto di Boston e nelle nuove città di Sydney e Perth’. Anche San Patrizio – aggiunge - era un rifugiato, uno schiavo”. Nel suo messaggio mons. Buckley ricorda poi il grande contributo dato dagli immigrati all’economia locale di Cork,diventata ormai una città multi-etnica.

La Giornata, occasione anche per ricordare i cristiani perseguitati
“Questa domenica – conclude quindi il presule - è un’occasione per approfondire la consapevolezza dell’attuale fenomeno migratorio e delle sfide che devono affrontare immigrati che vengono nel nostro Paese, ma anche per pregare per quelli che stanno vivendo grandi sofferenze, ricordando in particolare i cristiani perseguitati in Medio Oriente e in Africa”. (L.Z.)

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L’Austria sospende Schengen e annuncia controlli alle frontiere

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L'Austria ha deciso di “annullare temporaneamente” le regole di Schengen sulla libera circolazione in Europa e "il controllo delle persone che vengono nel nostro Paese è stato rafforzato". È quanto annunciato dal cancelliere austriaco, Werner Faymann, in un’intervista al giornale Oesterreich oggi in edicola. Faymann precisa che chiunque raggiungerà l'Austria "verrà controllato. Chi non ha diritto all'asilo verrà rispedito indietro. Per passare la frontiera occorre una carta di identità valida e si dovrà presentarla su richiesta delle autorità austriache”. “Se l'Ue non lo fa – ha aggiunto il cancelliere austriaco -, non protegge le frontiere esterne di Schengen, ed è l'esistenza stessa dell'accordo a decadere". Tuttavia stamane, secondo quanto registrato da alcuni organi di stampa, non sono stati ancora attivati controlli dei documenti al confine italo-austriaco del Brennero.

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Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani in Terra Santa

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“Chiamati a proclamare le grandi opere del Signore” (1Pt 2,9): partendo da questo versetto della Lettera di Pietro, i cristiani di Terrasanta celebrano la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, dal 23 al 31 gennaio. “I cristiani vivono la chiamata battesimale e raccontare le grandi opere di Dio in modi molto diversi. La grazia di Dio ci aiuta a chiedere perdono per gli ostacoli che abbiamo messo alla riconciliazione e la guarigione, per ricevere misericordia e crescere in santità", afferma una nota del Patriarcato Latino di Gerusalemme, annunciando il programma della Settimana.

Iniziative comuni in favore di poveri ed emarginati
“La consapevolezza della nostra identità comune in Cristo ci invita a lavorare per fornire risposte alle questioni che ancora ci dividono tra cristiani – si legge nel testo, ripreso dall’agenzia Fides - Siamo chiamati, come i discepoli, a scoprire che nel nostro comune pellegrinaggio, Gesù Cristo è in mezzo a noi”. Dal canto loro, i fedeli ribadiscono il desiderio di promuovere iniziative comuni a livello sociale e caritativo, per raggiungere i poveri, i bisognosi, i tossicodipendenti e gli emarginati.

Celebrazione ecumenica al Cenacolo
In Terrasanta la Settimana sarà scandita da incontri e celebrazioni comuni di preghiera nelle chiese, organizzate a turno dalle diverse confessioni. Il 27 gennaio ci sarà una celebrazione ecumenica nella chiesa del Patriarcato Latino e il 28 gennaio nel luogo del Cenacolo. Preparatoria alla Settimana per l’Unità sarà la conferenza che il 17 gennaio p. Frans Bouwen terrà al Monastero dell’Emanuele, a Betlemme, sul tema “L’attualità ecumenica nel 2015”.

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Sri Lanka. Card. Ranjith lancia appello all’unità nazionale

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Un appello all’unità nazionale è stato lanciato, nei giorni scorsi, dal card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, in Sri Lanka. Intervenendo alle celebrazioni per i 150 anni del più antico giornale cattolico nazionale, il “Gnanartha Pradeepaya”, il porporato ha esortato il Paese a “non indulgere in ideologie razziali o religiose, basate sull’odio”, superando le ostilità. L’arcivescovo di Colombo ha, inoltre, criticato questi mass-media che, volutamente, promuovono la divisione all’interno della nazione.        

Avere il coraggio di bandire gruppi estremisti che creano divisioni
“Il Paese ha bisogno superare la fase in cui ciascuno pensa a se stesso in base alla razza o alla religione – ha sottolineato il porporato – perché quello che occorre, oggi, è il non restare prigionieri degli stessi atteggiamenti negativi del passato”. “È tempo di avere abbastanza coraggio – ha detto il card. Ranjith – per bandire quei partiti politici o quei gruppi estremisti che basano i loro programmi sulle ideologie razziali o religiose”, “lavorando contro l’armonia nazionale”. “È nostra responsabilità primaria – ha aggiunto l’arcivescovo di Colombo – proteggere l’identità della maggioranza ed, allo stesso tempo, tutelare le minoranze”, soprattutto perché “alcuni mass-media tentano di conquistare popolarità a buon mercato provocando la disarmonia e la diffidenza reciproca”.

Guardare alla cultura comune, per vivere in armonia e in accordo
Alle parole del card. Ranjith hanno fatto eco quelle di padre Shanthasagara Hettiarachchi, editore del giornale “Gnanartha Pradeepaya”, il quale ha esortato tutti a guardare alla “cultura comune” che innerva la storia dello Sri Lanka, grazie alla quale “le persone saranno in grado di operare insieme, in armonia ed in accordo”. Da ricordare che in Sri Lanka il buddhismo (70,2%) e l'induismo (12,6%) sono le religioni predominanti, seguite dall'islam (9,7%) e dal cristianesimo (7,5%) di cui il 6,5% è cattolico e l’1% protestante. (I.P.)

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Congo. Vescovi: non strumentalizzare marcia per i cristiani uccisi

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I vescovi della Repubblica Democratica del Congo hanno deciso di annullare la marcia pacifica in memoria dei cristiani uccisi nel 1992 a Kinshasa, temendo strumentalizzazioni politiche nell’attuale clima pre-elettorale assai teso. La Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco) aveva programmato l’iniziativa in tutte le diocesi per il 16 febbraio, riferisce Voaafrique, a sostegno della democrazia e in memoria della “marcia dei cristiani” repressa nel sangue dal regime del dittatore Mobutu Sese Seko.

L’organizzazione della marcia ha suscitato pareri contrastanti
“Questa iniziativa ha suscitato reazioni contrastanti e smisurate – scrive il presidente della Cenco mons. Nicolas Djomo in una lettera indirizzata a tutti i vescovi congolesi – alcuni vi hanno visto una iniziativa civica dai fini politici, altri hanno pensato ad una contro-iniziativa lo stesso giorno”. Al fine dunque di evitare equivoci la marcia, è stata annullata. L’episcopato da mesi sta tentando di mediare il dialogo tra le diverse fazioni politiche a proposito del calendario elettorale che dovrebbe includere le presidenziali con la scadenza del secondo mandato Joseph Kabila. (T.C.)

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Filippine: a Cebu il 51.mo Congresso eucaristico internazionale

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Tutto pronto a Cebu per il Congresso eucaristico internazionale in programma dal 24 al 31 gennaio. La sede filippina era stata annunciata da Papa Benedetto XVI, a conclusione del precedente appuntamento a Dublino, nel giugno 2012. Come spiega all’agenzia Zenit padre Vittore Boccardi, segretario del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici, questa 51.ma edizione è particolarmente rilevante sotto diversi profili: quello geografico, quello storico-missionario e quello propriamente legato all’evangelizzazione dell’Asia.

La vocazione delle Filippine all’evangelizzazione
Cebu, infatti, si trova in un punto strategico dell’Asia orientale in cui, osserva il sacerdote, “potranno confluire quei cristiani che, a causa delle distanze e dei costi proibitivi, sono spesso stati esclusi dai grandi eventi internazionali”. Essa è anche un luogo simbolicamente assai importante per la Chiesa asiatica, in uno dei due soli Paesi del continente, insieme a Timor Est, a maggioranza cattolica. La città fu raggiunta nel 1521 da Ferdinando Magellano, accolto con calore dal re indigeno Humabon che, poco più tardi si convertì al cristianesimo insieme con la regina Juana e 400 dei suoi sudditi. Per commemorare l’evento Magellano donò a Juana una statuetta del Santo Niño  (il Bambin Gesù) ed innalzò una croce nel luogo della conversione. Ancora oggi la festa del Santo Niño che cade la terza domenica di gennaio, rappresenta una delle solennità religiose più importanti per i cattolici filippini.

Chiesa dialoga su tre fronti: le religioni, i poveri ed i giovani
Il Congresso si inserisce nell’ambito dei “Nove anni per la Nuova Evangelizzazione”, promossi dai vescovi filippini in vista delle celebrazioni del quinto centenario dell’evangelizzazione del Paese nel 2021.  “La fede cristiana – spiega padre Boccardi - non ha solo un posto straordinario nella storia delle Filippine, ma illumina anche la sua provvidenziale vocazione nell’evangelizzazione dell’Asia. Evangelizzazione che ormai da decenni, secondo le scelte delle Conferenze Episcopali asiatiche, è coniugata attraverso il triplice dialogo con le culture e le religioni, con le schiere di poveri del continente e con i giovani di cui l’Asia è ricchissima”.

Il tema del Congresso “Cristo in voi, speranza della gloria”
Il tema scelto per l’evento – che sarà il secondo il Congresso eucaristico internazionale ospitato dalle Filippine dopo quello di Manila del 1937 - è “Cristo in voi, speranza della gloria”, tratto dalla lettera di San Paolo ai Colossesi. Esso vuole sottolineare come la tensione escatologica insita nell'Eucaristia offra impulso al cammino storico dei cristiani, ponendo un seme di speranza nell’impegno evangelizzatore di ciascuno nel mondo di oggi. All’interno del tema della speranza verrà recuperato anche l’annuncio del dono di Dio ai giovani e l’impegno a favore dei più indigenti in Asia. (L. Z.)

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Croazia: “Laudato Tv”, nuova emittente digitale cattolica

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Si chiama “Laudato Tv” (Ltv) la nuova emittente televisiva digitale cattolica della Croazia, che dal 29 dicembre scorso ha iniziato le sue trasmissioni. Il nuovo mass-media – riferisce l’agenzia Sir - intende mostrare “la vita di tutte le strutture e i membri della Chiesa cattolica, la vita sacramentale dei fedeli, le attività del clero, dei religiosi, dei movimenti ecclesiali e associazioni, di Caritas, università e scuole cattoliche, della vita familiare”. Sostenuta dalla Conferenza episcopale e dall’Unione dei superiori maggiori, l’emittente lavora grazie a un finanziamento iniziale della Conferenza episcopale degli Stati Uniti e dell’agenzia tedesca “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, con offerte e contributi di privati.  come riferito da Ksenia Abramovich, direttore di Ltv.

Attenzione particolare al tema della famiglia
Con un’attenzione particolare alla famiglia, “Laudato TV vuole contribuire a rafforzare i valori cristiani, morali, nazionali”, si legge sul portare www.laudato.tv . Nel palinsesto quotidiano, che prevede un blocco di programmi replicati tre volte, compaiono le rubriche “Un minuto per te”, commento al Vangelo, “Calendario cattolico”, film o telefilm stranieri doppiati, come l’italiano Don Matteo, notizie dal Vaticano e dai cristiani nel mondo. Nel palinsesto settimanale, ci sono le rubriche “Giudizi” su temi di attualità e “La Divina Commedia” sulle domande di senso. “Vogliamo vedere le cose attraverso gli occhi del cuore e della fede cattolica, è una televisione per un futuro migliore e il nostro motto è: vero, bello e buono”, ha spiegato Ksenia Abramovich. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 17

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.