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Sommario del 16/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il lavoro sia per tutti, sostenere giovani disoccupati

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Il lavoro è una delle vocazioni più antiche dell’uomo, ma oggi la dignità che assicura il lavoro è messa spesso in pericolo da disoccupazione e illegalità. Per questo bisogna formare a “un nuovo umanesimo del lavoro” che dia speranza soprattutto ai più giovani. Papa Francesco ha affidato questo suo auspicio alle migliaia di membri del Movimento Cristiano dei Lavoratori, ricevuti in udienza in Aula Paolo VI. Il servizio di Alessandro De Carolis

Onesto, condiviso, per tutti. È il lavoro come dovrebbe essere, secondo Papa Francesco. E che in tanti casi non è, laddove serpeggia la “piovra” della corruzione e dell’illegalità. E che invece lo è quando la “vocazione al lavoro” viene intesa secondo il progetto di Dio già espresso nella Genesi: l’uomo creato perché “coltivasse e custodisse la casa comune”.

Nuovo “umanesimo” del lavoro
Francesco parla in un’Aula Paolo VI gremita da capo a piedi. Settemila appartenenti al Movimento Cristiano dei Lavoratori, con le loro famiglie, gli fanno festa, alcuni fra loro hanno raccontato testimonianze concrete di ciò che significa lavorare restando coerenti alla propria fede. Restare fedeli alla vocazione al lavoro, afferma il Papa, ha bisogno anzitutto di “educazione”. “Occorre formare – dice – a un nuovo ‘umanesimo del lavoro’, dove l’uomo e non il profitto, sia al centro; dove l’economia serva l’uomo e non si serva dell’uomo”:

“Perché viviamo in un tempo di sfruttamento dei lavoratori, dove si sfruttano i lavoratori; in un tempo, dove il lavoro non è proprio al servizio della dignità della persona, ma è il lavoro schiavo”. 

“Compravendite morali”
E gli applausi continuano poco dopo quando Francesco sprona apercorrere la strada, luminosa e impegnativa, dell’onestà, fuggendo le scorciatoie dei favoritismi e delle raccomandazioni”:

“Ci sono sempre queste tentazioni, piccole o grandi, ma si tratta sempre di ‘compravendite morali’, indegne dell’uomo: vanno respinte, abituando il cuore a rimanere libero. Altrimenti, ingenerano una mentalità falsa e nociva, che va combattuta: quella dell’illegalità, che porta alla corruzione della persona e della società. L’illegalità è come una piovra che non si vede: sta nascosta, sommersa, ma con i suoi tentacoli afferra e avvelena, inquinando e facendo tanto male”.

“Progettare” per gli altri
La seconda parola che Francesco mette in risalto è “condivisione”. Il lavoro che occupa “tante ore nella giornata” dovrebbe – indica – “unire le persone, non allontanarle, rendendole chiuse e distanti”. Dovrebbe consentire di “interessarci di chi ci sta accanto”, come quei “progetti di Servizio Civile” attuati dal Movimento Cristiano dei Lavoratori:

“È importante che gli altri non siano solo destinatari di qualche attenzione, ma di veri e propri progetti. Tutti fanno progetti per sé stessi, ma progettare per gli altri permette di fare un passo avanti: pone l’intelligenza a servizio dell’amore, rendendo la persona più integra e la vita più felice, perché capace di donare”.

Lavoro per tutti
Terzo suggerimento, la testimonianza. Il Papa ricorda la frase di San Paolo: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi”. Anche così si testimonia la fede, col lavoro quotidiano, “vincendo la pigrizia e l’indolenza”, in particolare in una fase storica in cui, riconosce Francesco, “ci sono persone che vorrebbero lavorare, ma non ci riescono, e faticano persino a mangiare”. È “il dramma dei nuovi esclusi del nostro tempo”, “privati della loro dignità”, che in alcuni Paesi europei, ricorda il Papa, sono il 40, 50% della popolazione, e in tanti, spesso giovani, finiscono risucchiati nel vortice della dipendenze, delle malattie psicologiche, dei suicidi:

“La giustizia umana chiede l’accesso al lavoro per tutti. Anche la misericordia divina ci interpella: di fronte alle persone in difficoltà e a situazioni faticose – penso anche ai giovani per i quali sposarsi o avere figli è un problema, perché non hanno un impiego sufficientemente stabile o la casa – non serve fare prediche; occorre invece trasmettere speranza, confortare con la presenza, sostenere con l’aiuto concreto”.

Il lavoro è una vocazione, perché nasce da una chiamata di Dio. Ma come si fa a vivere, ogni giorno, il lavoro come una vocazione? Roberta Barbi lo ha chiesto ai partecipanti all’incontro in Aula Paolo VI tra Papa Francesco e il Movimento Cristiano Lavoratori: 

R. – Come si può vivere il lavoro come vocazione? Bisogna cercare di far collimare le nostre regole di base, che sono quelle della convivenza e della tolleranza – come dice giustamente il Papa – con il nostro dovere di lavorare. È un sostentamento, infatti, per cui è quasi un dovere.

R. – Andare al lavoro significa avere la passione per quel lavoro, farlo col sorriso sulle labbra ogni giorno e cercare di dare agli altri la tua esperienza.

R. – È una vocazione. Se si decide di fare un lavoro, specialmente quando riguarda la salute, bisogna farlo con coscienza.

R. – Io sono disoccupata e sento molto la mancanza del mio lavoro, proprio tantissimo.

R. – Il lavoro è tutto: sopra c’è Dio e poi sotto c’è il lavoro, perché senza lavoro non si mangia.

D. – Il lavoro ti fa incontrare l’altro. Quanto è importante questo nell’Anno della Misericordia?

R. – L’obiettivo principale è quello di stare insieme al prossimo, aiutare il prossimo tuo - come è scritto nel Vangelo - e dare testimonianza, appunto, che insieme si può fare molto di più e ci si può aiutare, volendosi bene.

R. – È fondamentale, non è importante, perché comunque ti porta non solo a un discorso empatico verso il prossimo, ma soprattutto alla conoscenza del prossimo.

R. – Molto, perché conosci le varie persone, conosci le abitudini delle persone con cui convivi otto ore al giorno e praticamente è la tua casa. È più quella “la casa” – al lavoro – che non la tua casa.

R. – Dobbiamo tutti quanti entrare in una dimensione in cui il lavoro è di tutti, non è solo il nostro. Il nostro è un piccolo pezzo, che poi deve servire a far crescere gli altri: i ragazzi, i giovani, le persone che ci stanno accanto.

D. – Il Papa ha parlato spesso dei disoccupati, dei precari, delle persone che hanno perso il lavoro, come degli esclusi del nostro tempo. Quanto è importante per queste persone la vicinanza del Papa?

R. – Loro sentono il Papa come fondamentalmente un grande padre, un grande nonno, una persona saggia.

R. – È importante perché queste persone si sentono abbandonate dallo Stato. Quantomeno la vicinanza del Papa, che ha un carisma non indifferente e dice parole che toccano il cuore e colgono il problema alla radice, secondo me, è fondamentale.

R. – Penso che sia molto più importante per chi sta male, piuttosto che per chi sta bene. Chi sta male è più vicino alla sofferenza. Ecco perché il Papa ha un occhio di riguardo per loro, è ovvio.

R. – Secondo me, Papa Francesco, forse, è l’unico che ha toccato fino in fondo questo tema.

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Visita a sorpresa del Papa a malati e anziani di Torre Spaccata

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Visita a sorpresa del Papa, ieri pomeriggio, a 33 anziani ricoverati presso la Casa di riposo Bruno Buozzi, in Via di Torre Spaccata, alla periferia Est di Roma. Subito dopo, Francesco si è recato anche nella vicina Casa Iride, una struttura dove abitano 6 malati in stato vegetativo, assistiti dai loro familiari. Ad accompagnare il Pontefice nella visita privata, l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e incaricato dell’organizzazione del Giubileo della Misericordia. L’iniziativa rientra nei “Venerdì della misericordia”, in cui il Papa “si riserva di compiere un’opera di misericordia”, ricorda una nota della Sala Stampa della Santa Sede. In particolare in questa occasione, Francesco “ha voluto evidenziare, contro la ‘cultura dello scarto’, la grande importanza e preziosità delle persone anziane, dei nonni” e al contempo “il valore e la dignità della vita in ogni situazione”. Giada Aquilino ha raccolto l’emozione di chi ha vissuto in prima persona questa visita di Papa Francesco, nelle parole del padre carmelitano Lucio Zappatore, parroco della Chiesa di Santa Maria Regina Mundi, a Torre Spaccata: 

R. - Il Papa aveva già annunciato che avrebbe messo in programma ogni mese una visita di carità, presso anziani e malati. È stata individuata questa struttura, che si trova nel territorio della nostra parrocchia, dove ci sono una trentina di anziani, quasi tutti soli, e poi c’è una casa per ragazzi, vittime di incidenti stradali, che si trovano in situazioni difficili. Mons. Fisichella è venuto a visitare queste due realtà e ha detto che era proprio quello che il Papa desiderava visitare, ma la cosa più bella è che tutto sia stato fatto nel segreto più assoluto.

D. – Com’è stato accolto il Papa nelle due strutture che ha visitato?

R. - Il Papa è stato accolto con la semplicità più naturale. È venuto come un semplice visitatore di questi anziani, che hanno provato una grande emozione, anche quando il Pontefice ha chiesto loro di pregare per lui. Francesco ha inoltre voluto fare una foto con tutti i degenti della casa di cura, uno per uno, e ha preso il tè con loro. Proprio un incontro di una semplicità, di una fraternità, di un amore straordinari!

D. – Questo è successo nella casa di riposo. Nell’altra struttura, quali sono stati i sentimenti provati?

R. – Nell’altra struttura c’erano anche i genitori dei ragazzi ospitati: non si riusciva a raccogliere le lacrime di questi parenti! Ancora adesso, mentre ne parlo, mi commuovo. Per loro è stato un sogno che il Papa abbia voluto star vicino a questa loro grande sofferenza.

D. - Quindi il segno del grande valore che queste persone hanno per il Pontefice…

R. – Sì, un amore incondizionato, affettuosissimo.

D. – Ha potuto cogliere qualche parola del Papa, qualche pensiero, con i presenti?

R. – Il Papa li ha soprattutto ascoltati e poi spesso ripeteva di pregare per lui. Ciò che particolarmente mi ha colpito, è stato il suo sorriso verso tutte le persone, facendo capire che porta sulle spalle veramente la sofferenza di tutti.

D. – Che zona è quella di Torre Spaccata?

R. – Torre Spaccata è sulla Casilina, all’interno del Grande Raccordo Anulare. Il nostro è un quartiere delle periferie esistenziali di cui parla il Papa, infatti il Pontefice se n’è reso conto ed è stato contento di venire in questo tessuto. Ed ha potuto incontrare anche il nostro "Circolo Iavazzo", di disabili adulti: hanno aspettato il Papa nel suo trasferimento da una struttura all’altra e, nel cortile, c’è stato un incontro davvero affettuoso, anche con tutti i parrocchiani accorsi - appena si è sparsa la notizia - nella struttura che ospita i centri di assistenza del Comune e della Regione.

D. - Come Torre Spaccata ricorderà questa visita di Papa Francesco, nell’Anno Santo della Misericordia?

R. - La vivrà come un segno che il Papa fa, non dice. Il Papa ha voluto far vedere a noi sacerdoti e a tutti i cristiani che le opere di misericordia corporali e spirituali vanno vissute concretamente, entrando nella vita di queste persone che hanno bisogno. Come carmelitano, inoltre, ho voluto donare al Papa uno scapolare della Madonna del Carmine, anche perché qui in parrocchia abbiamo tra l’altro, come reliquia, lo scapolare che indossava San Giovanni Paolo II.

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L'amore prima del mondo: in un libro il Papa risponde alle lettere dei bambini

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Sta per arrivare nelle librerie “L’amore prima del mondo”, le risposte di Papa Francesco alle lettere scritte dai bambini di tutti i continenti. Ce ne parla Giada Aquilino

Cosa fece Dio prima di creare il mondo? "Amava". Perché i genitori a volte discutono tra loro? "Sono umani". Domande e risposte semplici, dirette, senza preconcetti. Sono quelle che hanno ispirato il nuovo libro voluto dalla Loyola Press, la casa editrice della Compagnia di Gesù: “L’amore prima del mondo”. Nel testo, infatti, il Pontefice risponde ai quesiti posti da piccoli di età compresa tra i 6 e i 13 anni. La Loyola Press nel maggio scorso propose l’iniziativa al Papa, che subito accettò. Sono state raccolte 259 lettere da 26 Paesi, tra cui Albania, Cina, Nigeria, Filippine e scuole temporanee che ospitano profughi siriani. Nei mesi scorsi, padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, ha incontrato Francesco a Casa Santa Marta e il Pontefice ha così potuto rispondere alle lettere: “Sono difficili queste domande” ha detto sorridendo Francesco al padre gesuita. I disegni e le domande di 31 bambini sono stati scelti per il libro, che verrà presentato al Pontefice da alcuni di loro - assieme all’intera collezione di lettere - il prossimo 22 febbraio, in un incontro privato in Vaticano. Qualche giorno dopo, il 25 febbraio, arriverà nelle librerie italiane, edito da Rizzoli, e dal 1° marzo in quelle di tutto il mondo. Durante il suo viaggio a Filadelfia, per l’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie nel settembre 2015, fu proprio Papa Francesco a citare una di queste lettere e la difficoltà nel trovare una risposta. Perché, in fondo, “i bambini sono i migliori intervistatori del mondo”, ha commentato padre Spadaro alla Radio Vaticana.

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Mons. Pezzuto nuovo nunzio apostolico nel Principato di Monaco

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, una delegazione del Patriarcato Serbo-Ortodosso formata dalle Loro Eminenze, Amfilohije, metropolita del Montenegro e del Litorale, e Irinej, vescovo di Novi Sadr e di Backa, e dal professor Darko Tanaskovic, già ambasciatore di Serbia presso la Santa Sede. Quindi, il Papa ha ricevuto il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia, l’arcivescovo Luciano Russo, nunzio apostolico in Rwanda, l’arcivescovo Hubertus Matheus Maria van Megen, nunzio apostolico in Sudan e in Eritrea.

Il Papa ha nominato nunzio apostolico nel Principato di Monaco l’arcivescovo Luigi Pezzuto, nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina e in Montenegro.

In Cina, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Macau presentata da mons. José Lai Hung-seng, in conformità al canone 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico e ha nominato al suo posto mons. Stephen Lee Bun Sang, ausiliare della Diocesi di Hong Kong.

Il neo presule è nato a Hong Kong il 10 novembre 1956. Dopo aver ultimato gli studi secondari a Hong Kong, ha frequentato l’Università in Inghilterra, prima presso l’Oxford Polytechnic (1976-1977) e poi presso la School of Architecture di Londra, conseguendo la laurea in architettura nel 1981. Successivamente, ha esercitato la professione di architetto a Londra e a Hong Kong. Dopo aver lasciato l’impiego, ha intrapreso gli studi filosofici presso il Seminario Internazionale dell’Opus Dei a Roma e ha ultimato la formazione teologica presso il Collegio Romano della Santa Croce. Il 20 agosto 1988 è stato ordinato sacerdote nel santuario di Torreciudad (Huesca, Spagna) ed è stato incardinato nella Prelatura Personale della Santa Croce e dell’Opus Dei. Ha discusso la tesi dottorale in Diritto Canonico presso l’Università di Navarra con una dissertazione dal titolo: Relaciones Iglesia-Estado en la República  Popular China. Dal 1991 è Difensore del Vincolo presso il Tribunale diocesano di Hong Kong e ha svolto il ministero pastorale in vari centri di formazione e scuole dell’Opus Dei. Nel 1994 è stato nominato direttore della scuola cattolica Tak Sun di Hong Kong, svolgendo il ministero pastorale presso la Holy Family Chapel. Nel 2011 è stato nominato Vicario dell’Opus Dei per l’Asia Orientale. L’11 luglio 2014 il Santo Padre Francesco lo ha nominato Vescovo titolare di Nove e Ausiliare di Hong Kong. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 30 agosto 2014 nella Cattedrale di Hong Kong per le mani di S.Em.za il Cardinale John Tong Hon, Vescovo di Hong Kong. In qualità di Vescovo ausiliare ha coordinato la pastorale della famiglia, la pastorale scolastica, la catechesi, la formazione dei laici, il Comitato diocesano di bioetica, la Commissione liturgica, nonché l’Ufficio diocesano delle comunicazioni sociali. In seguito alla rinuncia dal governo pastorale della Diocesi da parte di S.E. Mons. José Lai Hung-seng, il 16 gennaio 2015 il Santo Padre lo ha nominato Vescovo di Macau. Conosce le seguenti lingue: cinese cantonese, cinese mandarino, inglese e spagnolo.

La Diocesi di Macau ha una superficie di 31,30 Kmq e una popolazione di 636.200 abitanti, di cui 30.124 sono cattolici. Ci sono 9 parrocchie, in cui operano 16 sacerdoti diocesani e 49 religiosi. Le religiose professe sono 194.

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Papa nella Sinagoga, amicizia tra ebrei e cattolici è luce di speranza

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Domani pomeriggio, alle 16.00, Papa Francesco si reca in visita alla Sinagoga di Roma. Si tratta della terza visita di un Successore di Pietro al Tempio Maggiore della capitale, dopo quelle di San Giovanni Paolo II nel 1986 e di Benedetto XVI nel 2010. L’evento coincide con la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Tema di quest’anno, sempre tratto dal Decalogo: “Dio Allora pronunciò tutte queste parole: Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo". Sul significato della visita del Papa, Fabio Colagrande ha intervistato don Marco Gnavi, incaricato dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso del Vicariato: 

R. – Siamo giunti al decimo anno del commento a due voci del Decalogo; siamo a 50 anni dal Concilio Vaticano II. Questa visita di Papa Francesco alla comunità ebraica credo si ponga in continuità con l’afflato, la prossimità dei vescovi di Roma, San Giovanni Paolo II e Benedetto; è questa componente essenziale nella vita della nostra città, ma è anche questa prossimità, parentela spirituale nelle nostre università, che è un segno per il mondo. Questa visita cade in un tempo carico di tensioni e di problemi. Questa fraternità eloquente – per dire che ebrei e cristiani hanno un contributo originale da dare alla pacificazione del mondo – questo avviene anche in un contesto di amicizia, di consolidamento di un cammino ormai lungo, però carico di maggiori nuove responsabilità per il contesto europeo e mondiale, nel quale questa visita si colloca.

D. – Don Marco Gnavi, siamo a 50 anni della “Nostra Aetate”. I principi di questa Dichiarazione conciliare - mezzo secolo dopo - sono stati assimilati dai credenti?

R. – Io penso che in larga parte sì. Direi che è chiaro che l’alleanza mai revocata del popolo ebraico con il portato delle attese messianiche e il valore delle Scritture del Primo Testamento, sono ormai nelle fibre di gran parte della Chiesa. Naturalmente, questo non significa che non occorra ancora svelarsi reciprocamente, spiegarsi, raccontarsi, incontrarsi, e soprattutto – direi – camminare insieme. Perché nell’Europa di oggi, peraltro, ci sono tante tensioni; c’è un risorgente antisemitismo, pagato a caro prezzo da tante comunità ebraiche. C’è un’ideologia della paura che rischia di divorare anche quanto di positivo è già in atto per ciò che riguarda il dialogo, l’incontro, la distensione degli animi nel rispetto reciproco. Quindi c’è un compito rinnovato che attiene ai cristiani e agli ebrei di fronte a questo mondo complesso – complicato – e c’è un grande bisogno di buone notizie, ovunque. E io credo che insieme possiamo rappresentare una luce di speranza: questo vissuto urbano della grande metropoli, dove si scontrano, si incontrano comunità religiose oppure uomini singoli disorientati in un tempo difficile come il nostro.

D. – Possiamo parlare come terza visita di un Pontefice, dopo quella del 1986 di San Giovanni Paolo II, quella di sei anni fa di Benedetto XVI, ormai di una consuetudine. Però sicuramente non è un avvenimento scontato…

R. – No, infatti. Più che di una consuetudine o abitudine, parliamo di un desiderio reciproco di abbraccio, di incontro, questa volta appunto in un contesto nuovo, ma sicuramente si è fatto tesoro delle esperienze precedenti. Ciascuna visita ha segnato una tappa nuova, importante, in momenti particolari e critici. Io direi che è un cammino irreversibile: abbiamo bisogno gli uni degli altri, seppure in maniera asimmetrica. Ma di fronte alla storia abbiamo bisogno di essere insieme.

D. – Un’ultima circostanza importante è che questa visita avviene nel contesto di un Giubileo Straordinario della Misericordia. E sia la parola “Giubileo” che lo stesso concetto di Misericordia – lo ricorda anche il Papa nella Bolla di Indizione – ci collegano strettamente alla tradizione biblica, alla tradizione ebraica…

R. – Assolutamente. Il Giubileo, nella tradizione ebraica, faceva respirare la Terra: aiutava a ricomprendere il presente con uno sguardo di misericordia appunto che raggiungeva tutti. Per noi il Giubileo è anche un pellegrinaggio. Evidentemente questo non avviene da soli, ma affianco – accanto – nella fraternità con esponenti delle comunità altre. E la più prossima, la più vicina, con la quale abbiamo un debito fondamentale, profondo, nelle nostre radici, è la comunità ebraica. E noi siamo grati anche dell’attenzione e dell’accoglienza che Papa Francesco riceverà nel Tempio Maggiore, nella Sinagoga, perché in un certo modo, attraverso Papa Francesco, è un abbraccio che raggiungerà tutti noi.

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Papa: l'educazione favorisca la cultura dell'incontro

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L’educazione è una delle sfide più grandi, nonostante ciò gli educatori sono oggi malpagati e non c’è coscienza collettiva del bene che essi fanno. Così il Papa in un videomessaggio al Congresso Interamericano di Educazione Cattolica in Brasile. Compito dell’educazione in un mondo che non pone al centro l’uomo, ma la paura, è - secondo Papa Francesco - favorire la cultura dell’incontro tra i giovani, a prescindere dalla loro etnia, cultura o religione. Il Papa cita ad esempio il lavoro portato avanti in Argentina dalle Scholas Occurrentes, le quali attraverso lo sport, l’arte e la scienza hanno aperto cammini di collaborazione tra i ragazzi delle scuole di tutto il mondo. Dal Santo Padre l’appello a non chiudersi di fronte a nuove e audaci proposte educative e a evitare un’educazione basata esclusivamente su norme e precetti.

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Card. Montenegro apre la Porta Santa a Lampedusa

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In occasione dell’Anno Santo della Misericordia, oggi a Lampedusa, alle 16.00, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, presiederà la celebrazione dei Vespri per l'apertura della Porta Santa nel Santuario della Madonna di Porto Salvo. Domenica, nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, si terrà alle 9.30 alla “Porta d’Europa”, scelta dal cardinale Montenegro come luogo giubilare, una sosta di preghiera e di riflessione sul tema della Giornata “Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia”. Alle 11, nella parrocchia San Gerlando, il porporato presiederà una celebrazione eucaristica e consegnerà il Crocifisso, dono di Papa Francesco, alla comunità di Lampedusa. Si tratta del Crocifisso, formato da remi di barche, regalato dal presidente cubano Raúl Castro al Papa durante il suo viaggio apostolico a Cuba. Sull’apertura della Porta Santa a Lampedusa, ascoltiamo il cardinale Francesco Montenegro al microfono di Federico Piana

R. – Credo che proprio quel Santuario abbia una sua storia. Vicino al Santuario ci sono delle grotte: in quelle grotte si radunavano cristiani e musulmani per pregare. E’ un luogo speciale, potremmo dire, dove gli uomini si sono incontrati e insieme hanno guardato il Cielo. Aprire la Porta di quel Santuario è desiderare che tutti ci sentiamo coinvolti in questa storia che apre il cuore a Dio e il cuore ai fratelli. Lampedusa ha un ruolo importante nella storia del mondo: l’ha avuto e ce l’ha. Ed è proprio attraverso quella Porta che noi ci apriamo, come il Signore ci chiede, verso gli altri, soprattutto verso quelli per cui bisogna usare più misericordia.

D. – Per lei, cosa vuol dire aprirsi verso gli altri? Per Lampedusa, per le persone che sono lì, per le persone che si sono dedicate e si stanno dedicando agli altri?

R. – Ci sarebbe da dire: continuare a fare quello che hanno sempre fatto. E non solo recentemente, ma anche quando non c’era questo esodo di popolazioni, i lampedusani sono stati sempre accoglienti nei riguardi di chi arrivava nell’isola dalla terra africana. La gente lo racconta – anche quelli di una certa età; dice, la gente, che spesso capitava che quando erano a tavola o in altri momenti della giornata, sentivano bussare alla porta ed era qualche tunisino che arrivava e loro lo accoglievano. Allora, se quella porta i lampedusani l’hanno sempre aperta, ecco, forse è opportuno continuare a tenerla aperta perché ci si renda conto che la storia ha bisogno di cambiare un po’, ha bisogno di caricarsi più di umano, di umanesimo.

D. – L’apertura di questa Porta Santa può essere, secondo lei, anche un monito all’Europa, che è tentata di chiudere le porte chiuse, ad aprire il proprio cuore agli altri, ai profughi, alle persone che arrivano in cerca di una vita migliore?

R. – E’ un monito che si fa prima ai credenti: dei lampedusani, anche il Papa ha sottolineato la loro generosità e hanno sempre mostrato questa generosità. Probabilmente, noi credenti ancora dobbiamo fare dei passi in avanti, perché anche noi qualche volta siamo presi dalla paura. Se noi riusciamo a cambiare il cuore e aprire la porta del cuore, la storia già sta cambiando. Se poi questo segno, che vale per noi credenti, è un segno che gli altri possono e vogliono leggere, ecco che allora è una possibilità data a tutti di aprire – ripeto – la porta del cuore per andare incontro e per accogliere chi viene.

D. – Altro momento forte sarà quello di domenica, nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, quando lei sosterà proprio davanti a questo monumento che è la Porta d’Europa, per riflettere un po’ sul tema di questa giornata: “Migranti e rifugiati ci interpellano, la risposta del Vangelo della misericordia”:

R. – Probabilmente, più che parlare in quel momento si dovrebbe tutti tacere. Anch’io. Perché quella porta parla da sola. Quella porta è un segno per tutto il mondo. Quella porta significa incontro, significa passaggio. E per il credente si apre la porta della Chiesa; per quella Porta d’Europa non ci sono ante: è una porta che la storia esige che resti sempre aperta. Allora noi ci fermeremo davanti a quella porta anche ricordando – credo che sia stato Oscar Wilde che ha detto: “Laddove c’è sofferenza, il suolo diventa sacro”. Allora, anche se è un segno laico, un segno e un luogo artistico, se è sacro perché c’è il povero che passa, l’immigrato che passa, noi davanti a quel luogo dobbiamo fermarci e dobbiamo riflettere. Ecco il significato di avere scelto anche quel luogo come luogo del Giubileo, luogo giubilare. Qualcuno potrebbe dire: ma è solo un monumento. No. Quella porta è molto più che un monumento. E’ una chiave di lettura per la nuova storia del mondo.

D. – Un altro simbolo sarà il crocifisso che Papa Francesco ha donato a Lampedusa, e che lei consegnerà nella parrocchia di San Gerlando…

R. – E’ un crocifisso – potremmo dire – “speciale”: è speciale perché significa l’attenzione del Papa che continua a esserci per quel pezzettino di terra e per quegli abitanti. E’ un crocifisso speciale perché è stato donato da una terra dove la sofferenza, anche lì, è di casa; ed è speciale perché l’artista, nel poggiare il Cristo, non ha voluto poggiarlo su una comune croce, ma come croce ha messo insieme i remi dei pescatori e degli immigrati cubani. Allora, se voglio trovare Cristo – e questo serve per noi credenti – sappiamo che dobbiamo trovarlo dove c’è un uomo che soffre, un uomo che grida. Ecco, il Cristo con le braccia aperte che guarderà verso il mare, diventa per tutti segno di speranza perché se l’urlo di sofferenza che il Cristo ha innalzato sulla Croce racchiude le urla di tutti gli uomini, credo che allora la Pasqua ci sarà per tutti. E quel Cristo ci conduce verso la Pasqua.

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La Fondazione Ratzinger inaugura pagina su Facebook

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E’ stata inaugurata la pagina Facebook della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. L’iniziativa ha lo scopo di mantenere vivo il dialogo culturale tra il Papa emerito e i suoi estimatori. «Vuole essere un modo - spiega il portavoce Luca Caruso - per essere sempre informati sulle attività che la Fondazione promuove, attraverso uno dei social network più popolari».  

Sulla homepage si legge: “Un cordiale Benvenuto a tutti gli Amici che raggiungono questa Pagina Facebook! Sono già moltissime le persone che ci hanno scritto per esprimere le loro felicitazioni e di questo siamo loro grati. Vi invitiamo a seguirci per essere sempre informati sulle attività promosse o sostenute dalla Fondazione, voluta da Benedetto XVI per servire il Papa e la Chiesa. Chi desidera conoscerla meglio, può anche visitare il sito web www.fondazioneratzinger.va”.

Oltre 5mila in poche ore le persone che hanno già messo il loro «Mi piace» alla pagina.

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Card. Kasper: la misericordia è risposta ai segni dei tempi

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E’ la misericordia la risposta ai drammatici segni dei tempi che il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio dell’unità dei cristiani, ha elencato ieri sera, nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, nel primo degli incontri dedicati alla Divina Misericordia. Oggi è il tempo della misericordia: questo il messaggio del porporato. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Violenza, indifferenza, ingiustizia, oblio di Dio, perdita della coscienza del peccato. Sono i segni dei tempi a 50 anni dal Concilio Vaticano II, identificati dal cardinale Walter Kasper in questo secolo che ancora conserva gli orrori del precedente. I segni per i quali la medicina, spiega il porporato, altro non è che la misericordia, che non è “un’astratta dottrina, ma è la risposta di Dio alla miseria umana”. Il cardinale Kasper:

“Papa Francesco, con il messaggio centrale del suo Pontificato, e con l’Anno della Misericordia, è in piena continuità con i suoi predecessori. Dio è misericordioso, questo non è un messaggio nuovo, anzi è il messaggio di Gesù e del Nuovo Testamento e, al contempo, è il messaggio adeguato al nostro tempo”.

La violenza, la brutta faccia del mondo, spesso commessa nel nome di Dio, la vediamo nelle ferite, fisiche e psichiche, dei profughi, dei rifugiati:

“Come guarire queste ferite, se non con la medicina della misericordia? Mostrare alle vittime della violenza che ci sono anche uomini che hanno un cuore aperto, che accolgono, che aiutano”.

La reazione alla violenza, così come al fraintendimento di un Dio violento, è la misericordia di un Dio ricco di amore e, così come lui, anche gli uomini devono esserlo:

“Oggi, il rimprovero fondamentale contro la religione, soprattutto contro le religioni monoteistiche, e pertanto anche contro il cristianesimo, suona come ‘il Dio monoteistico è violento’. Questo Dio onnipotente opprime tutti gli altri, nessuno spazio a una alternativa. Non abbiamo un Dio della vendetta, ma un Dio che perdona. Misericordia è il nome del nostro Dio: così dice Papa Francesco”.

La misericordia deve essere la replica anche alla globalizzazione dell’indifferenza tanto denunciata da Papa Francesco, evidente nell’odierna società “in dissoluzione” rispetto a quella del passato, quando si mostrava più “compatta” e “consolidata”:

“Questa misericordia non è un buonismo, un Dio che – per così dire – è solo gentile, innocuo, cosicché non prende sul serio il male e i peccati: no! C’è anche l’ira di Dio. Un aspetto della sua carità: perché Dio è amore, la sua ira brucia tutto il male che danneggia la sua buona creatura”.

Oggi cresce l’autoreferenzialità, che trascina con sé solitudine, freddezza sociale, isolamento, assenza del bene comune. Dio non è indifferente, è con i poveri, con i miseri, “considerati spesso come scarto”. Per essere con i poveri Dio “si è fatto piccolo”, e l’incarnazione è il segno più eloquente della sua misericordia, che all’uomo chiede di essere solidale, di uscire dal proprio egocentrismo e di mostrare empatia verso il prossimo:

“Molte di queste opere di misericordia oggi sono molto attuali: alloggiare, accogliere i pellegrini e i rifugiati, per esempio. Questo è un antichissimo comandamento, già nell’Antico Testamento e anche da Gesù. La xenofobia non trova alcuno spazio tra i cristiani, perché ogni uomo ha il diritto umano di trovare un posto per vivere sicuro, senza essere perseguitato o oppresso ingiustamente. Le opere di misericordia sono le uniche ricchezze che conteranno, alla fine”.

Un altro segno dei tempi del mondo oggi è l’ingiustizia, un’eccessiva e intollerabile differenza tra ricchi e poveri, ma i beni della terra appartengono a tutti e a tutti devono essere distribuiti. La giustizia di Dio è la sua misericordia che deve essere la giustizia di ogni cristiano, perché è la misericordia la lente per vedere il “giusto delle situazioni”. La radice di questi mali – continua il cardinale Kasper – altro non è che l’”oblio di Dio”, soprattutto in Europa dove le società sono secolarizzate, dove la religione sta diventando una cosa privata, dove vive l’ateismo di massa, dove Dio è diventato uno straniero. E la diretta conseguenza di tutto questo è la perdita della coscienza del peccato, la mancanza del senso della propria responsabilità, che conduce alla fuga da se stessi, alla alienazione.

Nella sua catechesi, il cardinale Kasper ripete che la “medicina” a tutto ciò è la misericordia di Dio che non giustifica il peccato, ma il peccatore, al quale dona una nuova chance:

“L’Anno della Misericordia è la risposta ai segni dei tempi. Il più profondo e il più urgente è la secolarizzazione in cui in molti sperimentiamo l’assenza di Dio che non di meno è presente tra di noi, nei nostri fratelli. Queste sfide richiamano tutti noi e richiamano tutta la Chiesa. Il Papa ha detto che la misericordia deve essere l’architrave della Chiesa, di una Chiesa dalle porte aperte per tutti. Una Chiesa non chiusa in se stessa, una Chiesa non per una élite che si crede devota e si distacca dagli altri, ma di una Chiesa in uscita, cioè una Chiesa missionaria. La misericordia possa essere l’anima di tale rinnovamento ecclesiale e, al contempo, il motivo di una nuova attrazione verso la fede cristiana e verso la Chiesa. Una tale Chiesa avrà futuro".

La misericordia è l’antidoto alla profonda crisi antropologica dell’odierna società, è l’espressione della trascendenza e della sovranità di Dio, di cui la preghiera è la forma più effettiva.

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Gallagher: Papa a Cuba e negli Usa, dialogo ha portato frutti sosprendenti

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Una riflessione sul rapporto tra Chiesa e mondo nel libro “Papa Francesco incontra il nuovo mondo”, in cui l’autore, don Gilfredo Marengo, ordinario di Antropologia teologica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, analizza i temi affrontati dal Pontefice nel suo viaggio a Cuba e negli Stati Uniti, lo scorso settembre. Il volume, edito dalla Lev, la Libreria Editrice Vaticana, è stato presentato ieri presso la Sala Marconi della Radio Vaticana. C’era per noi Elvira Ragosta

Il viaggio di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti è stato un esempio di recezione dei temi conciliari. E’ quanto scrive don Gilfredo Marengo nel volume in cui ha analizzato i discorsi del Santo Padre nel viaggio più lungo del suo pontificato. Un viaggio storico, che ha sugellato la ripresa delle relazioni tra i due Paesi: Washington e L’Avana sul cammino della pace, dopo oltre 50 anni di gelo. Nel suo intervento mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, fa riferimento alla “Laudato si'” e sottolinea come l’insegnamento di Papa Francesco sulla cura della casa comune si trovi in linea con l’intenzione del Concilio di aggiornare il rapporto con il mondo e di prendersene cura insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà:

"Senza esagerare, si potrebbe dire che il Santo Padre incarna lo spirito del Concilio e lo applica in uno spirito evangelico alle persone che incontra. Una parola chiave del Concilio Vaticano II e dell’attuale pontificato è 'dialogo'. Nella pubblicazione di don Gilfredo Marengo si mette in evidenza come, durante il viaggio del Papa a Cuba e negli Stati Uniti d’America, il dialogo abbia portato frutti sorprendenti: la crescente riconciliazione tra i due Paesi è un segno visibile del successo del paziente dialogo che da nemici rende interlocutori e - a Dio piacendo - forse un giorno anche amici".

Un viaggio nel “nuovo mondo” quello del Pontefice che diventa un viaggio nel mondo e attraverso il tempo, scrive don Gilfredo Marengo, che ai nostri microfoni aggiunge:

R.- Incontrando sia la società e il mondo di Cuba sia gli Stati Uniti, il Papa ha come attraversato tutti gli aspetti se vogliamo più affascinanti - e anche più drammatici - di quello che è stato chiamato il “Secolo breve”. E quindi si è misurato non soltanto con due realtà così significative nell’oggi, ma anche con tutto il portato di una storia recente di cui noi siamo figli ed eredi.

D. – È un viaggio nel quale Papa Francesco ha usato l’espressione “costruire ponti per costruire la pace”: un grande messaggio di pace non solo per Cuba e per gli Stati Uniti, ma per tutto il mondo…

R. – Certo. E soprattutto è un messaggio di pace che il Papa non soltanto chiede – giustamente – e proclama come valore decisivo, ma nel quale ha anche indicato tutti i passi con cui il tema della pace e del rispetto dei diritti delle persone, che sono classici anche della cultura statunitense, sono stati sviluppati punto per punto. Direi che uno degli aspetti più interessanti dei suoi discorsi è la capacità anche propositiva di quello che lui ha detto: ha valorizzato tutto ciò che ha incontrato e insieme ha cercato di accompagnare quello che fin qui è stato fatto verso un cammino ulteriore.

La libertà è un altro tema affrontato dal Pontefice nel discorso al Congresso statunitense, dove, sottolinea lo storico Riccardo Burigana, direttore del Centro per l’Ecumenismo in Italia, il binomio sogno-speranza è un merito che viene riconosciuto al Paese nordamericano ed è un termine che ci riporta ai temi conciliari:

“Riporta indietro al Concilio Vaticano II: la stagione della speranza. La speranza non è uno slogan pubblicitario, ma è un modo con cui i cristiani devono vivere la loro fede per cambiare il mondo, cominciando loro stessi a credere che la fede è una luce che supera ogni tenebra”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per un umanesimo del lavoro: ribadita dal Papa l'importanza di un'economia incentrata sull'uomo e non sul profitto. 

Tenete gli occhi aperti: il testo inedito del discorso che Papa Montini pronunciò il 3 marzo 1965, visitando all’Aventino l'Istituto Pio IX, con l'articolo di Patrizia Moretti tratto dall'ultimo numero del Notiziario dell'Istituto Paolo VI.

Ritorno all'essenziale: Joseph Maila sull'esigenza di estirpare la giustificazione della violenza in nome di Dio.

Un articolo di Marcello Filotei dal titolo "Capolavori di un uomo ordinario": John Eliot Gardiner disegna un originale ritratto di Johann Sebastian Bach.

Tra sinodalità e primato: Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, sul dialogo teologico con la Chiesa ortodossa.

Porta d'Europa e di misericordia: nella giornata del migrante e del rifugiato celebrazione giubilare a Lampedusa.

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Oggi in Primo Piano



Burkina: attacco di Al Qaeda. Card. Ouédraogo: jihadisti sono ovunque

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Nel mirino del terrorismo anche il Burkina Faso. Dopo Indonesia e Somalia, ieri un commando di Al Qaeda ha colpito la capitale Ouagadougou. Sinora è di 26 morti il bilancio dell’attacco terroristico. Il servizio di Giancarlo La Vella

Il numero delle vittime potrebbe crescere ancora. Dagli ultimi particolari, si sa che esse sarebbero di 18 nazionalità diverse. Si è trattato di un attacco terroristico in grande stile, rivendicato da Al Qaeda del Maghreb, che ha preso di mira l’Hotel Splendid e un vicino bar nel centro della capitale. E tutto fa pensare a un offensiva antioccidentale. Nel Nord del Paese oggi sono stati rapiti due turisti austriaci. Il commando era formato da una quindicina di terroristi, che hanno usato due autobombe e armi da fuoco. Immediata la risposta delle forze di sicurezza, che hanno consentito di mettere in salvo 126 ostaggi nelle mani dei jihadisti. Nell’hotel era in corso un importante incontro e tra i sequestrati poi liberati c’era anche un ministro del Burkina Faso. A sostegno del blitz sono intervenute le forze francesi di stanza nel Paese. A commento di quanto avvenuto il presidente Hollande ha parlato di vile attacco e di forte e pieno sostegno di Parigi al capo dello Stato neoeletto Kaboré. Sentiamo l’arcivescovo di Ouagadougou, il cardinale Philippe Ouédraogo:

“La situazione è drammatica! Usciamo da un anno di transizione, caratterizzato da tanti problemi: ma siamo riusciti a superare le difficoltà e ad arrivare a elezioni. C’è ora un nuovo governo che sta impegnandosi per farci uscire dalla crisi. Pensiamo che gli jihadisti sono sempre stati presenti: sono dappertutto in Africa occidentale. Siamo sicuri che erano qui già anni fa, hanno cercato di riprendere il potere e non ci sono riusciti! E questa è una conseguenza, forse, di ciò che abbiamo vissuto in passato come Stato: ci sono tanti nemici di questo cammino, di questo nuovo andamento del nostro popolo. I terroristi hanno scelto un posto strategico per colpire… Ma adesso non abbiamo bisogno di questo: abbiamo bisogno di pace per andare avanti. Ho chiesto a tutto il popolo di rafforzare la nostra speranza nella preghiera soprattutto. Noi siamo sicuri che il Signore non ci lascia: Lui è il Maestro della storia; il Maestro delle Nazioni”.

L’attentato in Burkina Faso di Al Qaeda è stato preceduto da quello rivendicato dal sedicente Stato Islamico a Giakarta, in Indonesia. E’ pensabile che vi sia una strategia comune? Ne parliamo con Emanuele Schibotto del Centro Studi “Geopolitica.info”:

R. – Si può pensare a una regia comune di intimidazione verso i tentativi, portati avanti soprattutto dall’Europa, di contrastare questo fenomeno nelle maniere più “civili”: uso proprio la parola “civile” e non bellica oppure militare… Ci sono diverse concomitanze che sembrano alquanto sospette: in particolare mi riferisco alle vicende turche, al rapprochement tra la Germania e la Turchia, che è fondamentale e di vitale importanza per gli equilibri in Europa, secondo me.

D. – Lo Stato Islamico in Indonesia, Al Qaeda in Burkina Faso: si può pensare che le due famigerate organizzazioni abbiano ricominciato a dialogare?

R. – Hanno dialogato in passato, poi hanno avuto i loro problemi, ma quando si tratta di unire le forze verso un obiettivo comune, che potrebbe essere il contrasto a politiche di accoglienza o comunque di dialogo, sicuramente si possono alleare, possono trovare dei punti di incontro ben precisi. Loro giocano d’anticipo…

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A Giakarta marcia interreligiosa per la pace, ma c'è paura

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Anche la Chiesa cattolica aderisce alla manifestazione interreligiosa promossa per questa domenica a Giakarta, in nome della tolleranza e della pacifica convivenza. L’iniziativa lanciata dal Nahdlatul Ulama, il più grande movimento islamico sunnita dell’Indonesia, prima degli attentati di matrice islamica di giovedì scorso, è stata confermata. Adriana Masotti ha sentito il padre saveriano Fernando Abis, da  quasi 45 anni nel Paese asiatico: 

R. – L’iniziativa non è stata mai disdetta. Gli attentati non sembravano rivolti a impedire questa iniziativa. La polizia ha subito ripreso il controllo della città.

D. – Quindi anche voi Saveriani parteciperete e  la sua parrocchia…

R. – Sì, noi partecipiamo appunto per parrocchie: siamo 64 parrocchie qui a Giakarta. Ognuna è pregata di mandare almeno 50 persone. Io mi trovo in un quartiere cinese e i cinesi sono traumatizzati dagli avvenimenti del 1998, quando furono vittime di violenze per motivi politici. Perciò qui non aderiscono molto volentieri a questa manifestazione. Riusciamo a mandarne quattro su 50 che erano stati richiesti. Loro hanno davvero paura! Sono sempre molto, molto prudenti. Pensi che la notte di Natale abbiamo dovuto anticipare alle sei di sera, perché hanno paura che la notte qualcuno ne approfitti. È una forma di xenofobia, mascherata da questioni religiose. I cinesi qui sono immigrati: sono ricchi perché lavorano e allora sono invidiati e odiati. Ma la religione non c’entra.

D. – I vescovi, dicendo che avrebbero aderito a questa marcia, hanno detto che bisogna mostrare che la coesistenza pacifica tra le religioni è possibile in Indonesia. Qual è la realtà oggi?

R. – La realtà è che nei rapporti quotidiani tra la gente c’è una tolleranza - diciamo – “da famiglia”: ciascuno rispetta e onora le credenze dell’altro. Ogni tanto qualche leader, un po’ fanatico, eccita, proibisce di qua e di là, ma la gente ama la pace e la concordia.

D. – Oltre ai musulmani e ai cattolici, ci saranno anche protestanti, confuciani: insomma le diverse religioni. Quante ce ne sono in Indonesia?

R. – Quelle ufficiali sono sei: buddisti, induisti di Bali, cattolici, protestanti, islamici e i confuciani. Noi qui, come dicevo, ci troviamo in un quartiere cinese. Alla festa principale dei vari tempietti qui intorno, di tipo confuciano, offriamo ospitalità nei nostri cortili della scuola ecc… per i loro festeggiamenti, perché abbiamo lo spazio. Quindi c’è non solo tolleranza, ma anche collaborazione.

D. – Tornando al mondo islamico, il presidente del movimento che organizza la manifestazione di domani dice che bisogna combattere la percezione che l’Islam non sia una religione pacifica, perché vediamo sciiti e sunniti attaccarsi tra loro…

R. – Purtroppo è la cronaca che parla di questi scontri. Nella vita normale direi che nessuno fa un problema se una persona è di una tendenza o di un’altra. C'è un vero desiderio di pace. Il Nahdlatul Ulama è stata sempre una forma aperta di pratica dell’islamismo, di convivenza pacifica con tutti gli altri gruppi, anche non islamici in Indonesia. E riscuote molte simpatie tra la gente. Rispecchia più che altro la filosofia della concordia, la base filosofica della vita delle persone di Java. Noi ci incontriamo molto facilmente con loro: c’è un buon dialogo a livello di vertici e la gente segue. Queste attività di estremismo sono circoscritte: che parecchi indonesiani siano andati come militanti in Siria, mentre prima andavano in Afghanistan, questa è comunque una realtà.

D. – Lei non vede un pericolo che si possa diffondere l’estremismo?

R. – Non mi sembra il caso. La paura c’è sempre, perché ci sono sempre teste calde, gente senza ideali che poi vengono riempiti di idee così. Quindi la paura in giro c’è, però mi sembra che non ci siano le premesse qui in Indonesia perché prevalga l’estremismo.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella seconda Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo del miracolo dell’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana. Maria si accorge che viene a mancare il vino e chiede a Gesù di intervenire.  Gesù le risponde: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Ma Maria dice ai servitori:

«Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Su questo brano evangelico ascoltiamo un breve commento di don Ezechiele Pasotti: 

Il Vangelo di oggi ci invita a nozze, con Maria e Gesù, per partecipare “all’inizio dei segni” che Gesù compie per manifestare la sua gloria e perché anche noi – come gli apostoli – crediamo in lui e pregustiamo la festa di nozze che Gesù, uscito dal Padre, ha portato all’umanità. Alla festa di nozze viene a mancare il vino, e Maria – Madre attenta e premurosa – si fa carico della situazione che rischia di rovinare la festa ed il buon nome della famiglia: “Non hanno vino”, dice a Gesù. E Gesù comanda di riempire d’acqua sei anfore, di attingere e portare il contenuto al maestro di tavola che resta sorpreso della bontà e dell’abbondanza del vino. E’ commovente questa pagina del Vangelo. S. Giovanni Paolo II commentava: “A Cana di Galilea viene mostrato solo un aspetto concreto dell'indigenza umana, apparentemente piccolo e di poca importanza (‘Non hanno più vino’). Ma esso ha un valore simbolico: quell'andare incontro ai bisogni dell'uomo significa, al tempo stesso, introdurli nel raggio della missione messianica e della potenza salvifica di Cristo… Maria si pone tra suo Figlio e gli uomini nella realtà delle loro privazioni, indigenze e sofferenze. Si pone ‘in mezzo’, cioè fa da mediatrice non come un'estranea, ma nella sua posizione di madre, consapevole che come tale può – anzi ‘ha il diritto’ – di far presente al Figlio i bisogni degli uomini…” (Redemptoris Mater, 21). Anche oggi nel mondo, nelle famiglie, nelle nostre comunità cristiane manca il vino, manca la festa, perché manca l’amore. Accogliamo l’invito di Maria a fare “quello che ci dice Lui” perché Gesù possa cambiare la nostra acqua, la nostra incapacità di amare, nel vino nuovo della vera festa, dell’Eucaristia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sierra Leone: torna incubo Ebola. Registrato un decesso

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Un anno e 5 mesi, 14.222 casi registrati e 3.955 morti, solo in Sierra Leone: questi i dati dell’epidemia di Ebola che si pensava conclusa lo scorso novembre. Ma proprio ieri, 15 gennaio, è arrivata la notizia di un nuovo decesso. Si tratta di un caso riconosciuto post-mortem, attraverso un test effettuato su una ragazza di 22 anni, deceduta nel distretto di Tonkolili, nella città di Magburaka, nel centro del Paese.

Sorveglianza costante per evitare nuovi contagi
In una nota di “Medici per l’Africa – Cuamm”, ripresa dall’Agenza Fides, il coordinatore dell’organismo nel Paese dichiara: “Era una possibilità che speravamo non si concretizzasse, ma consapevoli che avremmo potuto avere nuovi casi positivi si è continuato a mantenere un sistema di sorveglianza aumentata”. Questo sistema prevede che tutti i decessi siano sottoposti al test Ebola. Sulla ragazza il test è stato eseguito tre volte per cautela, l’equipe medica voleva avere la certezza che non si trattasse di un errore”.

Attivata la macchina del “contact tracing”
Intanto, un team dell’Organizzazione mondiale della Sanità è già stato inviato a Kambia per indagare sul contagio, mentre a Magburaka è stata attivata la macchina del “contact tracing” che permette di tracciare i contatti e arrestare tempestivamente possibili nuovi contagi. Da ricordare che, allo scoppiare dell’epidemia all’inizio 2014, il Cuamm ha deciso di restare e impegnarsi accanto alla popolazione, nella lotta a questo terribile flagello. L’Ospedale di Pujehun non ha mai chiuso e contemporaneamente sono state aperte due unità di isolamento a Pujehun e a Zimmi.

1.200 persone in isolamento
Fondamentale è stato l’investimento sui "contact tracer", un gruppo di giovani che, percorrendo il territorio in lungo e in largo, muniti di moto, cellulare e taccuino, tracciavano tutti i contatti avuti da un nuovo contagiato. In totale, sono state messe in isolamento oltre 1.200 persone ed è stato possibile contenere il contagio, facendo di Pujehun il primo distretto del Paese ad essere dichiarato "Ebola Free".

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Canada: oltre 2 mila sì a campagna ecumenica anti-eutanasia

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Sono già 2.264 le firme raggiunte dalla campagna lanciata, in Canada, dalla Conferenza episcopale cattolica e dall’Alleanza evangelica contro l’eutanasia ed il suicidio assistito. Sostenuta anche dai rappresentanti musulmani ed ebrei del Paese, l’iniziativa mira a ottenere ulteriori firme della popolazione, così da presentare al governo una petizione contro i provvedimenti eutanasici. Un anno fa, infatti, la Corte suprema del Canada ha dichiarato incostituzionale la legge che vieta la possibilità di ricorrere al suicidio medicalmente assistito e ha lasciato un anno di tempo all’esecutivo per modificare la normativa attuale, aprendo così all’eutanasia. L’anno di tempo si concluderà a febbraio.

Ogni vita umana è sacra, inviolabile, ha pari dignità
Di qui, l’iniziativa di cattolici ed evangelici che già nei mesi scorsi hanno diffuso una dichiarazione comune. In essa, si sottolinea come “il suicidio assistito e l’eutanasia tocchino la stessa l’essenza umana, il senso della vita ed il dovere di aiutarci gli uni con gli altri”, sollevando “problemi sociali, morali, legali, teologici e filosofici”. Ribadendo, quindi, “il carattere sacro di ogni vita umana e la pari e inviolabile dignità di ogni persona”, “un principio fondamentale della società”, i firmatari esortano alla “promozione collettiva della vita e alla tutela delle persone più vulnerabili”.

L’importanza delle cure palliative
Di fronte, poi, “a una tendenza inquietante a definire la dignità umana in modo soggettivo ed emotivo”, cattolici ed evangelici sottolineano come essa invece designi “il valore della vita della persona davanti al Creatore e nel contesto delle relazioni familiari e sociali”. Per questo, i firmatari evidenziano nettamente la differenza tra eutanasia, suicidio assistito, cure palliative e rifiuto dell’accanimento terapeutico: nei primi due casi, infatti, si tratta di azioni che “pongono fine alla vita umana in modo deliberato e intenzionale”. Le cure palliative, invece, mirano ad “alleviare la sofferenza umana in tutte le sue forme”, mentre rifiutare l’accanimento terapeutico significa semplicemente “lasciare che la morte arrivi in modo naturale”.

Medici sono formati per guarire il malato, non per ucciderlo
L’eutanasia e il suicidio assistito, dunque, “trattano la vita delle persone svantaggiate, malate, disabili o moribonde come se valesse meno di quella degli altri e un tale messaggio contraddice il rispetto e la pari dignità che hanno tutti i nostri fratelli e sorelle più vulnerabili”. Per questo, cattolici ed evangelici chiedono che “il sistema sanitario continui a promuovere un’etica di tutela della vita”, perché “i medici e i professionisti del settore sono formati per aiutare i malati a guarire e a migliorare la loro qualità di vita, non per somministrare la morte”.

Rilanciare la solidarietà umana, promuovere il diritto alla vita
L’appello ai legislatori, quindi, è a “difendere le leggi che rilancino la solidarietà umana, promuovendo il diritto alla vita e alla sicurezza per ogni persona, a rendere accessibili in tutto il Canada le cure domiciliari e palliative a mettere in atto politiche che assicurino il rispetto della libertà di coscienza per tutti gli operatori sanitari che non vogliono, né possono vedere nel suicidio assistito e nell’eutanasia una soluzione medica al dolore ed alla sofferenza”.

La forza morale dell’umanità si basa su solidarietà e comunione
“La forza morale dell’umanità – conclude la dichiarazione congiunta – si basa sulla solidarietà e la comunione. Sono l’attenzione alla persona e le cure palliative, e non il suicidio assistito e l’eutanasia, che rispettano al meglio il valore della persona umana”, e permettono alle persone di “morire con dignità”, circondate “dall’amore e dalla sollecitudine”, con “cure olistiche per controllare il dolore” e il giusto “sostegno psicologico, spirituale ed affettivo”. (I.P.)

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Europa: le risposte della Chiesa alla crisi dei rifugiati

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“La Chiesa in Europa ha risposto in maniera positiva ai bisogni urgenti di rifugiati e migranti, così come all'appello del Papa ad accogliere i rifugiati”: è quanto emerge da un’indagine condotta recentemente tra le Conferenze episcopali europee. Lo studio – realizzato nell'autunno del 2015 dal Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee) e dalla Commissione internazionale cattolica per le migrazioni (Icmc) – ha messo in risalto che l'assistenza offerta dalla Chiesa include “la cura immediata di coloro che si trovano maggiormente nel bisogno e azioni di lungo termine volte a facilitare l'integrazione in Europa”.

Appello alla comunità internazionale: promuovere pace e solidarietà
“La Chiesa – informa una nota del Ccee – è impegnata, attraverso le sue numerose strutture, a far fronte ai bisogni di migranti e rifugiati”. Tuttavia, “è importante sottolineare quanto spesso Papa Francesco e i vescovi europei si siano rivolti alla comunità internazionale, richiamandola a fare tutto il possibile per instaurare pace e stabilità”. Infatti, continua il Ccee, poiché “la guerra e il conflitto rimangono tra le cause maggiori dell'attuale crisi dei rifugiati”, “senza una chiara volontà politica che miri al raggiungimento della pace e a una migliore comprensione della solidarietà e dello sviluppo globale, la crisi attuale porterà inevitabilmente a un ulteriore aumento delle tensioni, della paura e della violenza”.

Rispettare la dignità di migranti e rifugiati
Al contempo, i vescovi europei sottolineano che “la situazione specifica di ogni Paese del Vecchio continente richiede soluzioni su misura, sostenibili per ogni singola nazione, basate sulla solidarietà e sulla responsabilità”. Di qui, il richiamo al fatto che “l'assistenza offerta dalla Chiesa ha mostrato come una migliore comprensione dei bisogni dei rifugiati contribuisca ad approfondire il rispetto della dignità umana, a cambiare atteggiamenti verso coloro che fuggono per salvare la propria vita, a superare sentimenti di paura”. Per questo, “di fronte agli eventi odierni”, sottolinea il Cee, è così importante la misericordia.

Chiesa collabora con gli Stati per sviluppo e coesione sociale
Non solo: la nota del Ccee ricorda che “nella maggior parte dei Paesi europei la Chiesa collabora con le autorità” statali per “sviluppare politiche che contribuiscano alla coesione sociale e allo sviluppo”. Ma sono numerose anche le sfide che essa deve affrontare per contribuire a risolvere i problemi legati al fenomeno delle migrazioni, come “la disponibilità di ridotti mezzi finanziari, la crescita di una mancanza di solidarietà tra gli Stati, l'inadeguatezza di strategie a livello statale, l'aumento di comportamenti xenofobi e di sentimenti di insicurezza”. (I.P.)

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Messaggio dei vescovi polacchi per la Giornata dell'ebraismo

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“Nel nostro Paese, che è stato ed è terra comune di cristiani ed ebrei, nello spirito del Vangelo di Cristo non può esserci alcuna inimicizia, pregiudizio o discriminazione”.  Lo scrive mons. Mieczyslaw Cislo, presidente del Comitato dei vescovi polacchi per il dialogo con l’ebraismo, nel messaggio per la Giornata dell’ebraismo celebrata dalla Chiesa polacca il 17 gennaio.

Un dialogo fruttuoso grazie alla collaborazione degli ebrei
“Ci rallegriamo per la risposta da parte ebraica alle iniziative del dialogo dei cattolici”, continua il presule citato dall’agenzia Sir, che sottolinea: “Senza l’apertura, la collaborazione e la compartecipazione degli ebrei non vi sarebbero stati frutti sempre più numerosi di quel dialogo”. Il messaggio ricorda la dichiarazione, sottoscritta nel Duemila da più di cento rabbini e teologi dell’ebraismo sulla reciproca collaborazione. “La parte cattolica con grande gioia e speranza ha accolto la dichiarazione dei rabbini polacchi del novembre scorso che esprime la soddisfazione per il processo del dialogo in corso, l’approvazione delle iniziative comuni e la volontà di proseguire la collaborazione per la costruzione di una comunità di fratellanza”, sottolinea il documento.

La Giornata istituita in Polonia nel 1997
La Giornata dell’Ebraismo nella Chiesa polacca è stata istituita nel 1997, mentre il Comitato per il dialogo con l’ebraismo opera dal 1996, come continuazione dell’impegno della Commissione per il dialogo con l’ebraismo dell’episcopato polacco.

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Nigeria. Mons. Abegurin: il Giubileo rafforzerà la fede

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Che il Giubileo della Misericordia possa essere un’occasione per “voltare pagina” e “rafforzare la fede”: questo l’auspicio rivolto ai fedeli da mons. Gabriel Abegurin, arcivescovo di Ibadan, in Nigeria. Nei giorni scorsi, il presule ha celebrato una Veglia di preghiera nella cattedrale cittadina di Santa Maria e, nella sua omelia, ha esortato i cristiani ad essere “più positivi” nel praticare la fede, “astenendosi dai vizi e dai comportamenti negativi”, così da essere “più vicini a Dio”.

I cristiani costruiscano un mondo migliore
Ribadendo, quindi, che avidità, odio, accidia, avarizia ed altri vizi sono “nemici di una vita gioiosa e beata”, il presule ha invitato i nigeriani a “cambiare stile di vita” nel 2016, esortandoli soprattutto alla preghiera e al perdono, “abbracciando l’amore e la riconciliazione e assistendo i bisognosi”. “Solo la responsabilità e l’impegno collettivo di ciascuno, infatti – ha spiegato l’arcivescovo di Ibadan –- potrà rendere il Paese migliore”. “Dobbiamo fare la nostra parte come cittadini e cristiani responsabili”, ha aggiunto poi.

Promuovere la pace nel Paese
In quest’ottica, mons. Abegurin ha ricordato anche l’importanza di “sostenere attivamente le attività della Chiesa in Nigeria”. L’arcivescovo di Ibadan ha inoltre invitato i fedeli a “seguire le virtù cristiane per promuovere la pace, l’amore e la riconciliazione nel Paese, perché insieme a Dio nulla è impossibile”.

Allarme per terrorismo, persecuzioni e guerre
Dall’arcivescovo nigeriano è arrivata anche la preoccupazione per l’attuale situazione a livello nazionale e internazionale. Numerose, infatti – ha detto – sono le minacce terroristiche, gli episodi di fondamentalismo religioso, le persecuzioni, le guerre, i disastri naturali che costringono le popolazioni a migrare. Per questo, ha concluso il presule, sono necessari la preghiera e un maggior impegno nel seguire la volontà di Dio, affinché “il mondo possa essere un posto migliore e la vita sia davvero degna di essere vissuta da ogni persona, nessuno escluso”. (I.P.)

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Al via a Fatima le Giornate nazionali della Pastorale familiare

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“La vocazione e la missione della famiglia” è il tema del 27.mo incontro annuale del Dipartimento per la Pastorale familiare in Portogallo, in programma a Fatima il 16 ed il 17 gennaio. L’evento – spiega l’agenzia Sir – vuole “dare continuità al dibattito sulla famiglia affrontato dal Sinodo dei vescovi”, sia in occasione della terza Assemblea straordinaria dell’ottobre 2014, dedicata al tema "Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione", sia in occasione del 14.mo Sinodo ordinario dell’ottobre 2015, incentrato su “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

La famiglia nel disegno di Dio
A presiedere i lavori è mons. Antonino Eugénio Fernandes Dias, vescovo della diocesi di Portalegre-Castelo Branco, che è stato uno dei partecipanti all’Assemblea sinodale tenutasi in Vaticano nell’ottobre scorso. Nella giornata di oggi, sabato 16 gennaio, il presule presenta due relazioni dal titolo “La Chiesa in ascolto della famiglia” e “La famiglia nel disegno di Dio”. Domenica 17 gennaio, lo stesso vescovo svilupperà poi un’ulteriore conferenza intitolata “La missione della famiglia: sfide pastorali”.

Ascoltare le gioie e le ansie delle famiglie
“Le nostre giornate – si legge nella nota di presentazione dell’iniziativa – si situano nell’intenso pulsare della vita della Chiesa, la quale si rivolge alla famiglia, per ascoltare quelle gioie e quelle ansie che le sono proprie, che devono essere scoperte nel disegno di Dio, e anche per aiutarla nella realizzazione della sua peculiare missione nella Chiesa e nel mondo”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 16

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.