Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 14/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: la fede non s'impara sui libri, è dono di Dio da chiedere

◊  

La fede vince sempre, perché trasforma in vittoria anche la sconfitta, ma non è una cosa "magica", è un rapporto personale con Dio che non s'impara sui libri, è infatti un dono di Dio, un dono da chiedere: è questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

La prima lettura tratta dal Libro di Samuele racconta la sconfitta del Popolo di Dio ad opera dei filistei: “la strage fu molto grande”, il popolo perde tutto, “anche la dignità”. “Cosa ha portato a questa sconfitta?” si chiede il Papa: il popolo “lentamente si era allontanato dal Signore, viveva mondanamente, anche con gli idoli che aveva”. Si recavano al Santuario di Silo, ma “come se fosse una abitudine culturale: avevano perso il rapporto filiale con Dio. Non adoravano Dio! E il Signore li lasciò da soli”. Il popolo usa perfino l’Arca di Dio per vincere la battaglia, ma come se fosse una cosa “un po’ magica”. “Nell’Arca – ricorda il Papa - c’era la Legge, la Legge che loro non osservavano e dalla quale si erano allontanati”. Non c’era più “un rapporto personale con il Signore! Avevano dimenticato il Dio che li aveva salvati”. E vengono sconfitti, 30mila israeliti uccisi, l’Arca di Dio è presa dai Filistei, i due figli di Eli, “quei sacerdoti delinquenti che sfruttavano la gente nel Santuario di Silo” muoiono. “Una sconfitta totale” afferma il Papa: “Un popolo che si allontana da Dio finisce così”. Ha un santuario, ma il cuore non è con Dio, non sa adorare Dio: “Credi in Dio, ma un Dio un po’ nebbioso, lontano, che non entra nel tuo cuore e tu non obbedisci ai suoi Comandamenti. Questa è la sconfitta!”. Il Vangelo del giorno, invece, ci parla di una vittoria:

“In quel tempo venne da Gesù un lebbroso che lo supplicava in ginocchio – proprio in un gesto di adorazione – e gli diceva: ‘Se vuoi, puoi purificarmi’. Sfida il Signore dicendo: ‘Io sono uno sconfitto nella vita – il lebbroso era uno sconfitto, perché non poteva fare vita comune, era sempre ‘scartato’, messo da parte – ma tu puoi trasformare questa sconfitta in vittoria!’. Cioè: ‘Se vuoi, puoi purificarmi’. Davanti a questo Gesù ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: ‘Io lo voglio! Sii purificato!’. Così, semplicemente: questa battaglia è finita in due minuti con la vittoria; quell’altra, tutta la giornata, con la sconfitta. Quell’uomo aveva qualcosa che lo spingeva ad andare da Gesù e lanciargli quella sfida. Aveva fede!”.

L’Apostolo Giovanni dice che la vittoria sul mondo è la nostra fede. “La nostra fede vince, sempre!”:

“La fede è vittoria. La fede. Come quest’uomo: ‘Se vuoi, puoi farlo’. Gli sconfitti della Prima Lettura pregavano Dio, portavano l’Arca, ma non avevano fede, l’avevano dimenticato. Questo aveva fede e quando si chiede con fede, Gesù stesso ci ha detto che si muovono le montagne. Siamo capaci di spostare una montagna da una parte all’altra: la fede è capace di questo. Gesù stesso ci ha detto: ‘Qualunque cosa che chiedete al Padre nel mio nome, vi sarà data. Chiedete e vi sarà dato; bussate e vi sarà aperto’. Ma con la fede. E questa è la nostra vittoria”.

Papa Francesco conclude l’omelia con questa preghiera:

Chiediamo al Signore che la nostra preghiera sempre abbia quella radice di fede, nasca dalla fede in Lui. La grazia della fede: è un dono la fede. Non si impara sui libri. E’ un dono che ti dà il Signore, ma chiedilo: ‘Dammi la fede!’. ‘Credo, Signore!’ ha detto quell’uomo che chiedeva a Gesù di guarire suo figlio: ‘Chiedo Signore, aiuta la mia poca fede’. La preghiera con la fede … e viene guarito. Chiediamo al Signore la grazia di pregare con fede, di essere sicuri che ogni cosa che chiediamo a Lui ci sarà data, con quella sicurezza che ci dà la fede. E questa è la nostra vittoria: la nostra fede!”.

inizio pagina

Messaggio del Papa ai ragazzi per il Giubileo: scommettete sui grandi ideali

◊  

“Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi”. Cosi il Papa nel Messaggio per il Giubileo della Misericordia dei ragazzi e delle ragazze, dai 13 ai 16 anni, che avrà luogo a Roma dal 23 al 25 aprile, incentrato sul tema “Crescere misericordiosi come il Padre”. Il servizio di Roberta Gisotti: 

“Crescere misericordiosi - scrive Francesco - significa imparare ad essere coraggiosi nell’amore concreto e disinteressato, significa diventare grandi tanto nel fisico, quanto nell’intimo”. Per questo, aggiunge il Papa, “vi state preparando a diventare dei cristiani capaci di scelte e gesti coraggiosi, in grado di costruire ogni giorno, anche nelle piccole cose, un mondo di pace”. E se “la vostra età - osserva Francesco rivolto a ragazzi e ragazze adolescenti - è un’età di incredibili cambiamenti, in cui tutto sembra possibile e impossibile nello stesso tempo”, “rimanete saldi nella fede con ferma speranza nel Signore”. Infatti “qui - spiega - sta il segreto del cammino”. Perché il Signore, “ci dà il coraggio di andare controcorrente”. “Con Lui possiamo fare cose grandi” - rassicura - invitando i ragazzi a scommettere “sui grandi ideali, sulle cose grandi”.

Un pensiero speciale Francesco dedica ai ragazzi che vivono “in contesti di guerra, di estrema povertà, di fatica quotidiana, di abbandono”. “Non perdete la speranza”, li incoraggia , e “non credete - li ammonisce - alle parole di odio e di terrore che vengono spesso ripetute”, ricordando  che “il Signore ha un sogno grande da realizzare” insieme a loro e che gli amici coetanei “che vivono in condizioni meno drammatiche”, li “ricordano” e “si impegnano perché la pace e la giustizia possano appartenere a tutti”.

Rammenta infine il Papa che non tutti fra i ragazzi potranno venire a Roma per il Giubileo che potranno celebrare anche nelle loro Chiese locali. “Non preparate solo gli zaini e gli striscioni - sollecita Francesco i giovanissimi -  preparate soprattutto il vostro cuore e la vostra mente”.

inizio pagina

Papa a sacerdoti argentini: nella Chiesa ci sono molti santi, anche nella Curia

◊  

Papa Francesco ha incontrato stamani la comunità del Collegio sacerdotale argentino in Roma. Su questa udienza dal clima particolarmente familiare, Mercedes De La Torre ha intervistato il rettore del Collegio stesso, padre Ángel Hernández:

R. – Un encuentro muy muy grato para nosotros. ..
Un incontro molto molto felice per noi. Siamo stati visitati da tre vescovi della Conferenza episcopale argentina che seguono il Collegio sacerdotale, ai quali abbiamo richiesto la possibilità d avere un incontro con il Santo Padre: la splendida sorpresa è che ci ha dedicato uno spazio molto ampio del suo tempo. Abbiamo così potuto salutarlo anche a nome di tutti i fedeli che normalmente ci chiedono di farlo. Il Papa ha preferito iniziare il nostro incontro in modo informale, dialogando e partendo proprio dalle cose che desideravamo chiedergli e dalle nostre preoccupazioni.

D. – Cosa le piacerebbe condividere con noi di questo incontro avuto con il Santo Padre?

R. – En primer lugar lo que quiero compartire es que ha sido un verdadero encuentro de un pastor…
Quello che voglio anzitutto condividere è il fatto che si sia trattato di un vero incontro di un pastore con una parte del suo gregge. Il Collegio sacerdotale argentino accoglie a Roma giovani sacerdoti che arrivano dall’Argentina per studiare. Una domanda che è stata rivolta al Santo Padre dai sacerdoti e alla quale lui ha risposto è stata: “Cosa dovrebbe fare un sacerdote che viene a Roma? Come dovrebbe tornare in Argentina? Quali dovrebbero essere anche le intenzioni di un sacerdote che si prepara a studiare?". Il Papa ha detto: bene, quello che San Pietro sottolinea nel Libro degli Atti degli Apostoli, quando nasce il problema relativo al servizio delle mense. Pietro, insieme agli Apostoli, chiama i diaconi al servizio delle mense, così che loro possano dedicarsi alla preghiera e alla predicazione della Parola. Il Santo Padre ha sottolineato che questo dovrebbe fare un sacerdote, quanto tornerà in Argentina: curare la preghiera e predicare la Parola nel luogo in cui si trova e nel ruolo in cui gli viene chiesto di impegnarsi, in base a quello in cui si è specializzato. Il Papa ha poi detto di sentirsi appoggiato dalla preghiera di molti e ha sottolineato con insistenza che ci sono molte persone sante nella Chiesa e anche nella Curia Romana - ha precisato - ci sono molti santi.

inizio pagina

Di Segni: Francesco in Sinagoga, segno di amicizia e rispetto

◊  

Grande attesa per la visita di Papa Francesco, domenica prossima, alla Sinagoga di Roma. Si tratta della terza visita di un Pontefice al Tempio maggiore della capitale dopo la prima storica visita di San Giovanni Paolo II del 1986 e quella di Benedetto XVI nel 2010. Sull'attesa per questa visita Fabio Colagrande ha intervistato il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni

R. – E’ un invito che è stato fatto appena eletto, con tutta la calma necessaria per poterlo programmare, ma ci sembrava importante che anche questo Papa varcasse le porte della Sinagoga dopo i suoi due predecessori. Un invito necessario e fatto con simpatia.

D. – Ci può anticipare come si svolgerà, in grandi linee, la visita?

R. – Sostanzialmente, ci sarà un omaggio ai ricordi della deportazione e dell’attentato alla Sinagoga. Poi, la cerimonia si svolgerà tutta all’interno con un ingresso molto lungo, nel senso che, proprio per desiderio di questo Papa, lui stesso si fermerà a stringere la mano al maggior numero di persone possibile. Poi ci saranno i discorsi ufficiali.

D. – E quali persone della comunità incontrerà il Papa, durante la visita?

R. – Incontrerà i rappresentanti di tutte le organizzazioni e di molteplici enti che si occupano ciascuno dei vari settori organizzativi, rappresentativi, educativi della comunità; incontrerà poi rappresentanti dell’ebraismo mondiale che vengono apposta per l’occasione; molti rabbini, sia italiani, sia israeliani e il presidente dei rabbini europei.

D. – Anche ex deportati?

R. – Certamente.

D. – Quali differenze con le visite dei predecessori di Papa Francesco?

R. – Non devo spiegarlo a voi: ognuno di questi Papi ha la sua personalità e si colloca in un momento storico diverso. Per cui, la prima visita di Giovanni Paolo II è stato un evento epocale, rivoluzionario; la seconda visita ha voluto segnalare un desiderio di continuità nello stile suo proprio di Benedetto, di rapportarsi con l’ebraismo. E questa terza rappresenta in qualche modo lo stile di questo Papa: la sua storia e il suo carattere.

D. – In questo particolare momento storico, quale messaggio verrà da questo incontro?

R. – Io credo che dobbiamo mandare un messaggio fondamentale, che è quello che le differenze religiose sono una ricchezza per la società, portano pace, portano progresso e quindi in senso talmente opposto a quello che sta succedendo per altri allarmanti segnali che vengono da altri mondi religiosi.

D. – Da rabbino capo, come legge l’emergenza immigrazione che colpisce l’Europa, la paura degli estremismi religiosi che si fa sempre più forte?

R. – Su questo argomento prima di tutto c’è un messaggio fondamentale di solidarietà umana rispetto a chi è perseguitato, a chi fugge, a chi ha bisogno di costruire la vita in modo sereno con adeguate opportunità economiche; esiste, d’altra parte, la preoccupazione nei confronti di chi non è disposto ad accettare le più elementari regole di convivenza e vuole imporre, senza integrarsi, modelli diversi, violenti. E quindi, bisogna trovare una soluzione rispetto a queste due esigenze.

D. – E la cultura, la memoria delle comunità ebraiche può essere d’aiuto, in queste circostanze?

R. – Decisamente sì, in due direzioni. Nel senso che noi comprendiamo, per la nostra storia, l’esigenza di venire incontro a chi si deve muovere; d’altra parte, noi forniamo un modello estremamente importante di integrazione nella società, al cui progresso abbiamo sempre contribuito, quando ci è stato reso possibile.

D. – Celebrando i 50 anni della “Nostra Aetate”, Papa Francesco ha detto recentemente che il Concilio ha tracciato la via: no all’antisemitismo e a ogni discriminazione, da nemici ed estranei ad amici e fratelli. E’ d’accordo su questa lettura dei rapporti tra ebrei e cattolici?

R. – Sì, tendenzialmente questa è la linea. Dobbiamo sviluppare assolutamente un rapporto di collaborazione e di rispetto reciproco, che dovrà essere un grande segno per noi e per tutti.

D. – La Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ha pubblicato di recente un documento sulla dimensione teologica del dialogo tra ebrei e cattolici: come giudica questo documento, e quali temi restano aperti da questo punto di vista?

R. – Questo documento è molto importante, perché a 50 anni dalla Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” era necessario avere una sorta di messa a punto sullo stato dei lavori, sullo stato delle cose. Si tratta di una riflessione tutta interna al mondo cristiano sulla quale noi, dal punto di vista teologico, non possiamo assolutamente intervenire, né eccepire. Quello che invece prendiamo in considerazione sono le conseguenze pratiche di questo, e sono conseguenze pratiche importanti che vanno dalla considerazione del rispetto che viene formulato nei confronti dell’ebraismo come Popolo di Dio vivente, e dal rigetto di forme organizzate di conversione e di evangelizzazione. Quindi, sono cose molto importanti. Poi, ovviamente, su molte questioni si può – anzi, si deve – continuare a confrontarsi. Ma è una base importante per capire a che punto siamo arrivati.

D. – Come considera il contributo dato da Papa Francesco, in questi quasi tre anni di pontificato, al dialogo tra ebrei e cattolici?

R. – Ha dimostrato ripetutamente il suo interesse al confronto, al dialogo, al rapporto amichevole; ha accolto numerose delegazioni; ha visitato lo Stato d’Israele, ha fatto affermazioni importanti dicendo che anche il rifiuto dello Stato d’Israele rappresenta una forma di antisemitismo … in generale, ha confermato e rafforzato un clima rispettoso.

inizio pagina

Il Papa incontra Jean Todt e prega per Michael Schumacher

◊  

Il Papa ha ricevuto Jean Todt, presidente della "Fédération Internationale de l'Automobile" (FIA), ex amministratore delegato della Ferrari, ora inviato speciale delle Nazioni Unite per la Sicurezza Stradale. Si è parlato anche delle condizioni di salute di Michael Schumacher. Ascoltiamo Jean Todt al microfono di Antonino Galofaro

R. – Gli ho chiesto se voleva fare una preghiera per lui ed egli ha volentieri accettato. E’ stata una giornata densa, piena: principalmente, in realtà, siamo venuti per parlare di sicurezza stradale e ho potuto constatare il tono positivo della nostra discussione, del nostro incontro. Ho allargato un po’ la discussione ai soggetti di cui ero interessato di parlare e ovviamente Michael Schumacher è nel mio cuore, come tutti sanno: è di famiglia.

D. – Michael Schumacher non era il soggetto principale del vostro incontro, che era la sicurezza …

R. – Nella vita c’è sempre un’opportunità: questa è stata una bella opportunità. E l’opportunità consente di fare cose straordinarie e oggi è stata una cosa straordinaria.

D. – E al di là di Schumacher, avete parlato di sicurezza stradale, con il Papa: qual era il messaggio che avete portato oggi in Vaticano?

R. – Il messaggio è stato quello di avergli fatto vedere il filmato che si chiama “Save Kid’s Lives”, fatto da Luc Besson, che lo ha molto impressionato. Lo abbiamo informato del fatto che ogni giorno 500 bimbi muoiono sulle strade, che 20 mila bimbi ogni giorno rimangono feriti e che ogni anno 1,3 milioni di persone muoiono sulle strade e 50 milioni rimangono feriti. Sono cifre che non sono abbastanza conosciute. E lui subito ha accettato di firmare dei “simboli” importanti che potremo far vedere in tutto il mondo e poi di accompagnarci nelle sue preghiere.

D. – Una problematica che si rileva non soltanto nelle periferie, di cui il Papa parla sempre, ma anche in città come Parigi e Roma …

R. – Si rileva in tutto il mondo; in tutto il mondo la mobilità esiste e riguarda ogni cittadino del mondo, che siano pedoni, ciclisti, motociclisti, automobilisti … riguarda ogni essere umano al mondo. Avere questo messaggio, questo “endorsement” del Papa è stato un fatto veramente emozionante e importante.

inizio pagina

Altre udienze e nomine di Papa Francesco

◊  

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: mons. Giovanni d’Aniello, Arcivescovo tit. di Paestum, Nunzio Apostolico in Brasile; mons. Marek Zalewski, Arcivescovo tit. di Africa, Nunzio Apostolico in Zimbabwe; mons. Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, O.F.M., Arcivescovo di Trujillo (Perù), con mons. Norbert Klemens Strotmann Hoppe, M.S.C., Vescovo di Chosica, mons. Robert Francis Prevost, O.S.A., Vescovo di Chiclayo. Sempre stamani il Papa ha ricevuto il dottor Fabrizio Palenzona, Presidente di “Aeroporti di Roma”; la signora Maria Romana De Gasperi, Presidente Onorario della Fondazione De Gasperi.

Nello Sri Lanka, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Mannar, presentata da mons. Rayappu Joseph, per sopraggiunti limiti d’età e ha nominato Amministratore Apostolico della medesima diocesi S.E. Mons. Joseph Kingsley Swampillai, Vescovo emerito di Trincomalee.

Il Santo Padre ha concesso il Suo Assenso all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina del rev.do padre Volodymyr Hrutsa, C.Ss.R., finora Maestro dei novizi della Provincia di Lviv della Congregazione del Santissimo Redentore, all’ufficio di Vescovo Ausiliare dell’Arcieparchia di Lviv degli Ucraini (Ucraina), assegnandogli la sede titolare vescovile di Baanna.

inizio pagina

Seconda famiglia di profughi ospitata dal Vaticano

◊  

“Ogni parrocchia, incominciando dalla mia diocesi di Roma accolga una famiglia di profughi”. Era la domenica 6 settembre dell’anno scorso quando Papa Francesco, all’Angelus, lanciava questo appello di fronte al dramma di migliaia di persone in fuga verso l’Europa dai Paesi coinvolti in sanguinosi conflitti. Le due parrocchie del Vaticano, Sant’Anna e San Pietro, si sono subito attivate per rispondere all’invito, in collaborazione con l’Elemosiniere pontificio mons. Konrad Krajewski, e la Comunità di Sant’Egidio. La parrocchia di Sant’Anna ospita nell’area di Borgo – già da alcuni mesi – una famiglia siriana, composta dai genitori e due figli.

La Parrocchia della Basilica di San Pietro, in un grande appartamento situato nell’area di Via Gregorio VII, ospita ora una famiglia eritrea composta dalla madre con 5 figli: 3 figli sono già con lei nell’appartamento, 2 sono ancora in un campo profughi in Etiopia, ma la Comunità di Sant’Egidio spera di riuscire ad attuare il ricongiungimento in Italia a fine mese o nel giro di poche settimane. Il figlio più piccolo, di pochi mesi – informa un comunicato della Sala Stampa – è nato in Norvegia, dove la famiglia era arrivata, e da dove era stata rinviata in Italia per la Convenzione di Dublino. Nello stesso appartamento è ospitata una giovane signora amica, con il figlioletto.

inizio pagina

Elemosineria porta profughi e carcerati al Rony Roller Circus

◊  

Il Rony Roller Circus, in collaborazione con la Elemosineria Apostolica, offre oggi a Roma uno spettacolo gratuito per i senzatetto, i profughi e un gruppo di carcerati. Nell’occasione, medici e infermieri mandati dai Servizi Sanitari Vaticani con il camper mobile e le ambulanze dell’Autoparco Vaticano effettueranno visite mediche a quanti ne faranno richiesta. La proprietaria del Circo, Daniela Vassallo, spiega questo evento di festa e amicizia, al microfono di Stefano Leszczynski: 

R. – E’ straordinariamente semplice, perché chi e cosa più del circo potrebbe esprimere questo senso di appartenenza, di tolleranza totale, di convivenza, di messaggio multirazziale, multireligioso. Quindi ciò che può sembrare straordinario, alla fin fine è semplicissimo, perché dentro ai cancelli di un circo, dentro alle transenne di un circo, ci sono sempre molte nazionalità, molte persone, molte mentalità, miliardi di storie. Per noi c’è l’emozione, perché comunque è un evento molto emozionante, che ci fa stare bene con noi stessi, ma allo stesso tempo è anche semplice, non ci sciocca più di tanto. Siamo, infatti, proprio culturalmente abituati all’apertura totale agli esseri umani, fermo restando anche il discorso della fede. Siamo, infatti, una famiglia molto religiosa. Ovviamente non siamo santi come vorremmo essere! E’ una cosa, però, che viviamo con molta naturalezza ed è un evento che aspettiamo con molta naturalezza.

D. – Non è la prima volta che il vostro circo si apre a delle attività di tipo caritatevole o comunque di tipo umanitario. Come mai il circo, nonostante questa capacità di apertura verso l’esterno, non riesce ad acquistare o ad ottenere la visibilità che merita in Italia?

R. – E’ veramente una domanda da un milione di dollari. Non solo noi, infatti, ma tutti i circhi. Spesso noi nei Paesi ospitiamo ragazzi di case famiglia, disabili, persone che non hanno la possibilità economica, anziani. Tanti ci accusano di essere un po’ troppo chiusi nella nostra cultura. Non so, forse potrebbe anche essere vero, ma è anche vero che siamo tanto attaccati. Tante volte non ci sentiamo apprezzati come vorremmo, ma va bene così: ci basta l’amore e il rispetto che ci dimostrano le persone che ci conoscono. Il circo ha tante cose belle da raccontare.

D. – Quali sono le reazioni che avete notato durante questo tipo di attività pro bono, quindi non prettamente lavorativa? Le reazioni di queste persone, che magari arrivano al circo per la prima volta, vedono uno spettacolo circense per la prima volta e che non sono abituati ad essere accolti? Come reagiscono? Cosa vi dicono, cosa vi raccontano dopo?

R. – Sono persone a cui sai che stai trasmettendo un messaggio e questo messaggio viene percepito. Vedi persone che inizialmente entrano titubanti e basta un sorriso…  Basta niente, veramente: basta un sorriso. Quando guardano in pista quello che fai, allora vedi che cominciano a sognare e vedi che a volte cominciano a pensare alla loro vita. Potrebbe sembrare una grande parola, ma più di una volta il circo ha portato ad una svolta, il nostro circo ha portato ad una svolta nella vita di alcuni ragazzi, che magari dalla strada sono andati a frequentare l’Accademia dell’arte circense a Napoli. E’ capitato durante la tournée che abbiamo avuto a Scampia. Siamo stati il primo circo ad arrivare a Scampia a Natale scorso, proprio dove ha parlato Papa Francesco, a marzo. Lì abbiamo incontrato una grande realtà e tanti ragazzi, amicizie che ancora durano. Tanti ragazzi – 16 – si sono iscritti alla Scuola del Circo di Napoli. E’ bello, è una bella soddisfazione.

D. – Lei ha citato il Papa che spesso parla dei migranti, parla dell’umanità in cammino e il cammino che spesso si vede non è gioioso come quello della carovana del circo, anche se faticoso: è un cammino spesso molto triste, di persone in fuga dai conflitti; di persone in fuga dalla fame, che hanno attraversato mille pericoli. Voi che siete persone abituate a viaggiare e a spostarvi come vedete la realtà di questi migranti, tra l’altro domenica ci sarà proprio il Giubileo dei migranti e degli itineranti…

R. – Non riesco neanche ad immaginare il loro disagio, perché noi che per lavoro - anzi non per lavoro, perché non è un lavoro essere circensi, è un modo di essere – giriamo con le nostre famiglie, con la nostra stabilità, portando gioia, siamo sempre forestieri quando arriviamo in città. Noi quotidianamente viviamo l’esperienza di essere estranei girando tanto all’estero, ma anche nella nostra nazione. Allora proviamo a metterci nei panni di persone che hanno lasciato i loro amori, i loro affetti a casa. E’ inimmaginabile! E’ uno strazio e noi ne percepiamo solo un’ombra. Io sono in tournée con i miei figli, con mio marito, con mio padre, con mia madre, con tutti quanti, e si è sempre forestieri. Arrivi comunque ogni volta in una nuova città. Pensa arrivarci senza nulla, con dei dolori addosso. E’ una cosa inumana, inumana! Grande rispetto e grande amore per profughi e migranti!

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Chiamati per nome: messaggio del Papa per il giubileo dei ragazzi e delle ragazze in programma ad aprile.

Violenza e religione sono incompatibili: l’intervista del settimanale spagnolo “Vida nueva” al cardinale segretario di Stato.

Il Vaticano non è un covo di ladri: il sostituto Angelo Becciu a colloquio con “Panorama”.

Il cammino di un’amicizia: Norbert J. Hofmann, segretario della commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, alla vigilia della visita del Papa alla comunità ebraica di Roma.

Alla riscoperta delle fonti dell’ascesi: Mariella Carpinello sugli studi e le opere del monaco benedettino Adalbert de Vogue.

Giovanni Cerro su Gregorio X tra oriente e occidente.

Un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo “Oltre il giardino”: la natura secondo Claude Monet in una mostra a Londra.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Aumentano nel mondo i cristiani perseguitati: 7100 vittime nel 2015

◊  

La Ong Porte aperte ha pubblicato la World Watch List 2016: la lista dei primi 50 Paesi dove più si perseguitano i cristiani al mondo. Il 2015 si conferma “anno nero” con 7100 cristiani uccisi, 2400 chiese distrutte e migliaia di profughi costretti a lasciare il loro Paese a causa della loro fede cristiana. Stefano Pesce ha intervistato il presidente di Porte Aperte Cristian Nani

R. – La World Watch List è un rapporto che “Porte Aperte–Open Doors” realizza annualmente. Monitoriamo 65 Stati e stiliamo questa classifica in cui presentiamo i primi 50 Paesi dove esiste una forma di persecuzione o discriminazione anti-cristiana.

D. – Quali sono i Paesi più pericolosi?

R. – Il Paese dove più si perseguitano i cristiani, dove più è difficile essere cristiano in questo momento, è la Corea del Nord. Stimiamo che tra i 50 mila e i 70 mila cristiani languono nei campi, che possiamo chiamare “campi di concentramento”. Ciò non ci sorprende visto quanto sta accadendo in Medio Oriente. Se prendiamo in esame la Siria, i cristiani rimasti ad Aleppo si devono difendere da tutti i lati. L’Eritrea forse sorprende al terzo posto: chiunque osi protestare contro le violazioni dei diritti più elementari viene arrestato. Poi ci sono l’Afghanistan, la Siria, il Pakistan, la Somalia, il Sudan. Noteremo come l’Africa sia tra le aree del pianeta quella dove più si perseguitano i cristiani, e dove il fenomeno sta crescendo notevolmente.

D. – Un fenomeno a cui si assiste, legato alle persecuzioni di cristiani nei loro territori è l’esodo…

R. – Ora noi siamo prettamente preoccupati del Nord Africa e del Medio Oriente. In Nigeria del Nord sono veramente migliaia i cristiani costretti alla fuga dai 12 Stati che compongono la Repubblica federale nigeriana: gli Stati dove regna la Legge islamica. Contiamo che solo in Nigeria oltre 4.000 sono le vittime cristiane: quelli che potremmo definire “martiri cristiani”. Questi numeri sono legati al fatto che la persona si identifichi con Cristo e a causa di questo viene uccisa. Potremmo citare anche il Kenya o l’Eritrea. Nel novembre 2014, il 22% dei rifugiati arrivato in Italia veniva dall’Eritrea. Altri esodi stanno iniziando in quelle zone; a Garissa, dove meno di un anno fa questi terroristi fecero irruzione in un’università e uccisero oltre 140 studenti cristiani.

D. – Voi definite il 2015 come l’ “anno della paura”. Ma che cosa ci attende nel 2016?

R. – Consideriamo che la persecuzione è in un trend di crescita. Ormai potremmo dire che mai come negli ultimi 20 anni si sono perseguitati i cristiani. Teniamo d’occhio quanto sta accadendo in India. Io credo che il trend futuro sia un peggioramento della libertà religiosa dei cristiani in molti Paesi. Ciò non mi sorprende e non ci sorprende, perché lo ha detto Gesù: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. 

inizio pagina

Escalation terrorismo: Is rivendica attentati a Giacarta

◊  

E’ stato un commando terroristico ad entrare in azione stamattina nel centro di Giakarta. Il bilancio per ora è di sette morti, due civili e cinque assalitori. “Hanno voluto imitare le azioni terroristiche di Parigi”, ha detto la polizia che ha confermato la rivendicazione, riportata dalla Bbc, del sedicente Stato islamico che il mese scorso aveva minacciato l’Indonesia. La mente sarebbe Bahrun Naim, un indonesiano combattente in Siria. Calma e collaborazione ha chiesto alla popolazione il presidente Wodobo, mentre dalla comunità internazionale stanno giungendo condanne unanimi. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Dalle 10,30 e alle 15,20 tanto è durato il terrore nel centro di Giacarta oggi. Dverse le esplosioni iniziate nel parcheggio del centro commerciale dell’area di Sarinah, zona molto frequentata, vicina a hotel di lusso, agli uffici delle Nazioni Unite, vicino alla Banca centrale e la sede della presidenza. Punto strategico dunque da cui gli assalitori, tutti neutralizzati a operazione conclusa, sono entrati in azione. In cinque sono stati uccisi, non si capisce se qualcuno si sia fatto esplodere. Due i cittadini coinvolti, uno è canadese. Ferito gravemente un cittadino olandese dipendente dell’Onu. In quattro invece sono stati fermati. Il portavoce della polizia indonesiana ha detto che gli assalitori "hanno imitato le azioni terroristiche di Parigi”. La matrice è l’Is: la probabilità, certezza dopo la rivendicazione, conduce a Bahrun Naim indonesiano combattente in Siria. Ma perché il terrorismo torna a colpire l’Indonesia dopo sei anni di relativa calma e come intendere questa somiglianza con i fatti di Parigi? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Orsini Direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell'Università di Roma “Tor Vergata” e autore di un libro in uscita sul Califfato: 

R. – Non credo che ci sia una relazione così stretta tra i fatti di Giacarta e di Parigi, nel senso che i terroristi, quando devono pianificare un attentato, si preoccupano poco di quello che hanno fatto i loro “colleghi” in altre città. Non dimentichiamo, inoltre, che l’attentato terroristico, che si caratterizza per il fatto di colpire più punti di una stessa città, non è affatto un’invenzione del sedicente Stato Islamico, e non è un fatto che avvenga per la prima volta il 13 novembre 2015. Nel 2005, a Londra, ci fu un attentato in cui 4 kamikaze si fecero esplodere contemporaneamente in punti diversi della città. La ragione per cui in Indonesia torna alla ribalta è che in realtà i terroristi islamici si sono sempre mossi, ma semplicemente hanno avuto difficoltà a organizzare un attentato.

D. – Dopo la Turchia ora l’Indonesia: è possibile che l’asse terrosita si sia spostato in zone extra-europee?

R. – Non parlerei di un asse che si sposta. Parlerei di organizzazioni jihadiste che perseguono obiettivi locali, nazionali, e, giurando fedeltà all’Is, ottengono una serie di risultati importanti. Il primo è propagandistico, perché danno l’idea di essere più forti di quanto in realtà non siano. E il secondo è che in alcuni casi questo corpo jihadista, che si è incentrato in Siria e in Iraq, ha la possibilità di fornire aiuto e assistenza dove questa è necessaria.

D. – L’Indonesia è stata minacciata fino a ieri; in continuazione anche in precedenza sono stati lanciati dei proclami che dicevano di aspettarsi sorprese negative. In questo caso le minacce sono state attendibili. Non è sempre così: come ci si regola a livello di studi e di azione con la questione delle minacce?

R. – Le minacce che provengono dalla leadership di Al Qaeda e dell’Is sono le minacce vere e le uniche - a mio giudizio - che dobbiamo prendere in seria considerazione, perché, come sappiamo, in Internet circola qualunque cosa e non possiamo continuare su questa strada: quella di ritenere che qualunque tipo di minaccia, estrapolata da Twitter o Facebook, sia una minaccia reale. Da quello che noi sappiamo – adesso le informazioni continuano a circolare – l’Indonesia aveva ricevuto delle minacce serie: che provenivano sia dalla leadership di al-Qaeda, di al-Zawahiri, sia anche da quella dell’Is. Più in generale, credo che dovremmo svolgere una riflessione che parta da una constatazione: l’Occidente ha perso la guerra contro il terrorismo. Perché, se poniamo a confronto la situazione in cui ci troviamo oggi, nel 2016, con quella iniziale, del 2001, ciò che registriamo è un dato oggettivo: le forze jihadiste sono avanzate; l’Is si è autoproclamato “Stato” nel giugno 2014, e nel frattempo ha fondato otto province ufficiali al di fuori dei confini della Siria e dell’Iraq. Quindi questo "mostro jihadista", anziché essere contenuto, è cresciuto come dimostra anche questo attentato a Giacarta. Anche i numeri da questo punto di vista parlano chiaro: gli attentati terroristici nel mondo stanno crescendo in maniera esponenziale.

D. – Ma non c’è ancora una risposta altrettanto globale… Si continua a rispondere singolarmente, a livello di nazioni, anche in questo lei vede un ritardo o no?

R. – C’è un grande ritardo, nel senso che tutte le principali potenze coinvolte nel conflitto in Siria contro l’Is stanno anteponendo gli interessi nazionali alla lotta contro l’Is: l’Arabia Saudita, l’Iran, gli Stati Uniti, la Russia, il Qatar, la Turchia. Basti pensare che la Russia, da quando è entrata in azione con i suoi bombardamenti, ha colpito molto di più i ribelli filo-americani e quelli filo-turchi che combattono contro Bashar Al Assad che le postazioni dell’Is. E credo che questo dica tutto sulla frammentazione delle grandi potenze nella lotta contro l’Is e chiaramente indebolisce il fronte occidentale e rafforza al-Baghdadi.

inizio pagina

Leader curdi: solidarietà a cristiani perseguitati dall'Is

◊  

Il futuro del popolo curdo e il suo ruolo nella lotta contro il sedicente Stato Islamico sono stati al centro dell’inaugurazione dell’Intergruppo parlamentare di amicizia tra Italia e Kurdistan, presentato oggi al Senato. Un’occasione per riflettere anche sulle migliaia di cristiani perseguitati dall’Is. Il servizio di Michele Raviart: 

Diviso in quattro Stati del Medio Oriente e da sempre in lotta per l’indipendenza, il popolo curdo è ora minacciato anche dall’estremismo islamico dell’Is, contro il quale combatte sul campo. Vittime come loro del jihadismo migliaia di cristiani, cacciati dalla Piana di Ninive in Iraq e che proprio nei campi profughi del kurdistan iracheno hanno trovato rifugio. Mala Baxtiar, segretario esecutivo dell’Unione Patriottica del Kurdistan:

R- (Parole in curdo)
Quando uno abbandona il suo Paese e va in un altro, quest’ultimo sarà il suo nuovo Paese a tutti gli effetti. In tutta la nostra storia abbiamo avuto un ottimo rapporto con i cristiani, che sicuramente rafforzeremo ancora di più: il cristianesimo è una parte della nostra storia e della nostra cultura.

Anche in Siria i cristiani, che prima della guerra erano 450 mila, sono stati allontanati a forza dai loro villaggi, spiega Salih Muslim Muhammad, co-presidente del Partito Democratico dell’Unione curdo, che nella regione del Rojava sta sperimentando forme di democrazia diretta e di inclusione delle minoranze:

R. – (Parole in curdo)
Il nostro impegno non è solo per il popolo curdo, ma per tutte le minoranze che hanno le proprie radici in quella zona della Mesopotamia. Quello che è successo a Ninive è una cosa grave e non solo per i cristiani, ma per tutti noi. In Sinjar sono andati a distruggere i templi degli yazidi, che sono presenti nella zona da migliaia di anni. Vogliono cancellare i cristiani, gli yazidi, anche i musulmani, tutte le persone che sono presenti in quella zona. Per questo motivo è molto importante che noi tutti lavoriamo insieme per vincere questa sfida. Noi invitiamo anche i nostri fratelli cristiani a tornare. I nostri combattenti, i nostri giovani sono diventati martiri per proteggere le chiese presenti nella zona. Viene richiesto a tutti noi di essere presenti e proteggere tutto questo.

inizio pagina

Giubileo: in Georgia aperta Porta Santa senza chiesa

◊  

Il Giubileo della Misericordia, che stiamo vivendo, riserva anche episodi particolari, come l’apertura di una Porta Santa senza chiesa. E’ avvenuto il 7 dicembre scorso a Rustavi, in Georgia, dove il vescovo, mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, ha benedetto una Porta Santa innalzata semplicemente su un prato. Nella zona avrebbe dovuto essere costruita da tre anni una chiesa, mai edificata per un’incomprensibile mancanza di autorizzazioni da parte del sindaco della città. Sui significati di questa cerimonia sui generis, Giancarlo La Vella ha intervistato mons. Pasotto: 

R. – I significati sono diversi. Devo dire che l’idea di questa Porta è nata nel dialogo con i sacerdoti. Abbiamo voluto costruire questa Porta sul terreno, in cui da anni vogliamo costruire una chiesa dedicata proprio alla Divina Misericordia. E questo per tanti motivi: abbiamo tutti i permessi, ma non riusciamo a farla. E’ un vero problema riuscire a costruire questa chiesa. E’ stato intanto un segno per noi: la Misericordia richiede sempre pazienza, chiede di spostare i programmi qualche volta, di essere disposti ad accettare un futuro che non aspettiamo, altri modi di vedere… Questo è stato il primo motivo quindi, però il secondo è stato anche quello di dare un segno al mondo civile, perché la Misericordia va assieme anche con la giustizia. Allora è anche un richiamo per le autorità, un richiamo per la società. Nella lettera ai fedeli, ho scritto: “Immaginate che noi tutti siamo davanti ad un porta, la Porta della Misericordia, dobbiamo aprirla e cosa troviamo dopo? Non troviamo niente! Non ci sono pareti, perché la Misericordia non ha pareti; non troviamo un tetto, perché la Misericordia ci fa vedere il cielo; non troviamo posti a sedere, perché la Misericordia ci chiede di muoverci; non ci sono i primi o gli ultimi posti, perché saremo tutti uguali”. Quest’immagine ci ha aiutato a capire il Mistero di Dio. Per questo è nata l’idea di questo segno.

D. – Un gesto, quindi, profondamente simbolico, che vuole dire anche che la vera Chiesa non è fatta solo di mattoni: prima ci vuole qualcos’altro. Come sta vivendo la comunità cattolica, una comunità di minoranza, questo Giubileo della Misericordia in un Paese come la Georgia?

R. – Abbiamo fatto un programma che ci impegnerà molto. Non abbiamo voluto assolutamente "buttar via" questo anno, anzi posso dire che sono contento che sia molto impegnativo. Sono cose che ci aiuteranno nel lavoro. Io penso che sia prima di tutto un impegno personale: ognuno di noi deve avere un cuore misericordioso.

D. - Papa Francesco ha tenuto a sottolineare che questo Giubileo deve partire proprio dalle periferie. Dalla periferia dell’Est Europa, qual è il messaggio che idealmente lanciate a Roma?

R. – Una porta aperta è sempre una porta che lascia delle sorprese. Guardando a Roma, noi sappiamo che ci sono continuamente delle sorprese; ma anche da Roma, dal centro della cristianità, credo che il Santo Padre sia ancora più convinto che, guardando alle periferie, ci sono ancora più sorprese, anche se tra tante difficoltà. Qui abbiamo da affrontare la questione della comunione con la Chiesa ortodossa, con le altre confessioni. Adesso è doloroso pensare che noi siamo qui, rappresentanti di tante confessioni, ma non possiamo trovarci a pregare insieme. Quindi dobbiamo aprire qualche porta. Aprire porte! Aprire porte vuol dire aprirsi al futuro ed essere disponibili a capire che questo futuro sia il futuro deciso da Dio. 

inizio pagina

Oms: Liberia e tutta l'Africa Occidentale libera dall'ebola

◊  

“Dobbiamo continuare a rimanere vigili”. Con queste parole Peter Graaff, responsabile della risposta all’ebola in seno all'Organizzazione Mondiale della Sanità di Ginevra, ha dichiarato l’Africa Occidentale “libera” dal virus di febbre emorragica, che dal dicembre 2013 ha causato oltre 11 mila vittime. E sono più di 22 mila, secondo l’Unicef, i bambini che a causa della malattia hanno perso almeno un genitore. La Liberia – con una celebrazione ufficiale oggi a Monrovia - è stato l'ultimo Stato ad uscire dall’emergenza, ma nel Paese, come pure negli altri colpiti, Sierra Leone e Guinea, rimane “alto” il rischio di ulteriori focolai, hanno fatto sapere le Nazioni Unite. Giada Aquilino ne ha parlato con don Nicola Ciarapica, missionario salesiano a Monrovia: 

R. – Questa è una buona occasione per dire grazie a Dio, che ha mosso tanti animi, tante persone, grandi istituzioni per arrivare a chiudere il capitolo di questa malattia. C’è però ancora da fare, nel senso che la Liberia per due volte è stata dichiarata libera, perché ci sono state alcune ricadute, casi che nessuno si aspettava. C’è bisogno quindi di essere sempre pronti, di avere un gruppo di persone preparate a intervenire immediatamente, in modo che non si moltiplichino eventuali casi in cui si manifesti di nuovo. C’è bisogno inoltre, e questo grazie al contributo di molti è stato fatto, di rimettere a posto le strutture sanitarie, gli ospedali, non solamente per renderli agibili, ma anche per renderli capaci di affrontare casi di questo genere.

D. – La Liberia ha fatto registrare il numero più alto di vittime, circa 4 mila. Come esce il Paese da questa epidemia?

R. – La Libera non era preparata e per molti mesi non ha fatto molto per poter fermare questo male. Adesso, grazie anche all’intervento di grandi istituzioni – della Caritas, dell’America, dell’Europa – ci sono stati non soltanto grandi interventi ma è stata anche fornita la possibilità di creare centri attrezzati. La Liberia ha comunque ancora bisogno di supporto, soprattutto dal punto di vista sanitario.

D. – Ebola è stato dunque un problema sanitario, ma anche economico e sociale. Quali conseguenze nella popolazione, nei sopravvissuti?

R. – A livello nazionale, l’economia sta ripartendo. Chi ne fa ancora molto le spese è la parte più povera, cioè coloro che già prima non avevano grandi mezzi di sopravvivenza. Parlo della popolazione che vive alla giornata, che non ha un lavoro stabile, che non ha soldi da parte e ancora soffre.

D. – Uno dei drammi di questa epidemia è quello dei bambini rimasti orfani. Come si sta intervenendo?

R. – Da parte dello Stato si cerca di avere una sorta di anagrafe delle persone che sono state colpite e dei ragazzi che sono rimasti orfani. Noi, da parte nostra, cerchiamo di aiutare soprattutto le famiglie che hanno accolto questi ragazzi. Ci sono gli orfanotrofi, ma soprattutto famiglie e parenti che accolgono questi bambini come missione. L’anno scorso abbiamo cercato di aiutare 250 famiglie a non lasciare i ragazzi per strada, a farli rientrare a scuola. Quest’anno siamo già riusciti a venire incontro a 150 famiglie, grazie a benefattori, a persone che hanno accettato di aiutarci.

D. – Come si chiama la vostra missione?

R. – Don Bosco Matadi: Matadi è il nome del quartiere di Monrovia, una zona paludosa dove operiamo e dove il 70 per cento delle persone vive in case fatte con fogli ondulati di zinco, non in muratura; si tratta di gente che non ha un lavoro fisso: quello che guadagna nella giornata lo usa per mangiare e il giorno dopo ricomincia…

inizio pagina

Unioni civili. Oltre 100 giuristi dicono no al ddl Cirinnà

◊  

Il ddl Cirinnà sulle unioni civili divide la politica. E’ tensione all’interno del Pd sullo stralcio della contestata stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner. Il provvedimento arriverà in aula al Senato il prossimo 28 gennaio e ha ricevuto ieri una bocciatura da Forza Italia. Intanto sono oltre 100 i giuristi che hanno aderito all’appello del Centro studi Livatino contro il ddl. Tra i punti contestati: l’equiparazione al matrimonio, la non ammissibilità dell’adozione o dell’affido dei minori e il rifiuto della pratica dell’utero in affitto che il testo rischia di legittimare. Al microfono di Paolo Ondarza uno dei firmatari, Filippo Vari, docente di diritto costituzionale all’Università Europea: 

R. – La Costituzione configura un regime privilegiato per la famiglia. Questo Disegno di Legge vuole svilire questa preferenza, attribuendo lo stesso regime della famiglia a forme di convivenza che hanno una diversa funzione nella società.

D. – Voi evidenziate il danno derivante per i minori dalla “Stepchild adoption”, l’adozione del figlio del compagno…

R. – C’è un danno perché la legislazione in vigore, ma anche la Corte Costituzionale, hanno sempre riconosciuto: non esiste un diritto degli adulti all’adozione, ma esiste il diritto di un bambino ad essere inserito invece in una famiglia. Questo Disegno di Legge, nel prevedere la “Stepchild adoption”, non garantisce che i minori abbiano un padre e una madre – come, invece, vuole la Costituzione - ma finisce per dare ad un bambino due padri o due madri.

D. – Voi, tra l’altro, dite no anche all’alternativa alla “Stepchild adoption”, ovvero la soluzione dell’“affido rafforzato”…

R. – L’affido è un istituto che sorge con presupposti radicalmente diversi. E’ una soluzione di compromesso, che però nasconde una grave ipocrisia. Su certi temi il compromesso non è possibile! In realtà anche con l’affido non cambierebbe il fatto che il minore, anziché trovarsi inserito in una famiglia in cui c’è un padre e una madre, si troverebbe ad essere inserito dall’ordinamento in una diversa forma, in cui ha due punti di riferimento che non sono il padre e la madre, ma sono o due padri o due madri.

D. – Non credete che il tentativo sia, invece, quello di favorire in qualche modo il minore nel garantirgli una figura di riferimento genitoriale?

R. – La figura di riferimento genitoriale il minore ce l’ha ed è il genitore biologico con il quale convive. Dopodiché l’ordinamento già prevede strumenti adeguati: se il genitore muore, il partner del genitore, se c’è un legame affettivo stabile con il minore, può adottarlo.

D. – Il partner anche dello stesso sesso?

R. – Sì, si, si! Dopo che è morto il genitore…

D. – Voi dite: i diritti individuali che vengono chiesti, in realtà, sono già riconosciuti e non serve una legge ad hoc…

R. – In realtà qui l’intento è di creare una forma di convivenza che venga equiparata alla famiglia. Nessuno mette in dubbio la legittimazione del convivente ad andare a trovare in ospedale, andare a trovare in carcere…

D. – Tutto questo è garantito oggi dalla legge?

R. – Oggi questo è tutto garantito. Poi insisto: un problema specifico di riconoscimento dei diritti dei conviventi non c’è oggi. Mi sento, con la stessa onestà, di dire che un singolo problema potrebbe sorgere, rispetto a casi della vita che noi non siamo nemmeno in grado di immaginare, ma se sorgesse si interviene puntualmente e non con un disegno istituzionale …  La critica che a me si potrebbe fare è quella di dire: “Sì, però il partner non gode della pensione di riversibilità”. Qui però bisogna capirsi: la Costituzione pone sullo stesso piano tutti i figli nati in un matrimonio o nati al di fuori; per quanto riguarda, invece, la posizione dei partner la Costituzione volutamente discrimina, perché la Costituzione riconosce la specificità della formazione sociale familiare. La pensione di reversibilità – ad esempio – ha un costo per la società; la società si sobbarca questo costo notevolissimo non perché i coniugi si vogliono più bene rispetto ad altre unioni: la pensione di reversibilità e tanti diritti sono garantiti in maniera esclusiva ai coniugi proprio per questa funzione infungibile che la famiglia ha nella società e che noi chiediamo che il legislatore finalmente cominci a riconoscere e a promuovere in maniera adeguata, visto che l’Italia è uno dei fanalini di coda per quanto riguarda le politiche pubbliche a sostegno delle famiglie. Il motivo più grande di crisi dello stato sociale in Italia è l’“inverno demografico”.

D. – Voi contestate l’iter, la modalità con cui questo ddl arriva all’Aula del Senato…

R. – Per la prima volta l’Aula si trova ad esaminare un Disegno di Legge, senza che questo Disegno di Legge sia stato esaminato dalla competente Commissione parlamentare. Questa è una gravissima forzatura!

inizio pagina

Scoperto da Meter enorme archivio pedopornografico online

◊  

Scoperto in internet dall'associazione Meter onlus di don Fortunato Di Noto, uno dei maggiori archivi pedopornografici. Scene raccapriccianti in cui sono coinvolti neonati e animali. Per il sacerdote, da più di 25 anni impegnato contro la pedofilia, "ci troviamo difronte ad un crimine e ad uno scempio che non possiamo più tollerare". L'intervista è di Emanuela Campanile

R. – È tra i più terribili, perché è il collettore di migliaia e migliaia di copie di video e - ahimè - anche con diverse decine di video con neonati che vengono legati, appesi, violentati, e ahimè anche da donne: questa è la cosa più drammatica. Poi il legame tra l’orrore pedopornografico, pedocriminale: ci sono soggetti che hanno perso non soltanto la dignità di essere uomini, ma il livello è così alto che indigna! Poi noi non troviamo più le parole per descrivere, perché – giustamente – noi non possiamo far vedere questo materiale, perché è contro la legge italiana la diffusione del materiale stesso. Ma è anche vero che sono situazioni di cui non possiamo tacere. È una società anche un po’ indifferente: in fondo in fondo sembra che sia una normalità il fatto che accada tutto questo ai bambini, ai minori. E allora il nostro appello è che si prenda coscienza! Se è bastato – perdonate se faccio questo esempio, ma anche nel rispetto dei bambini che muoiono nel mar Mediterraneo o nell’Egeo – una foto di Aylan che ha fatto il giro del mondo e ha sollevato i potenti della Terra per affrontare questa situazione difficile, e allora che dire di questi video! Di questi bambini, che non hanno un nome, che non sappiamo chi sono…

D. – Ma che ne è di questi bambini?

R. – Il problema è che non sappiamo nulla: né un nome né un cognome, di dove sono, da dove provengono. Forse li riconosciamo per una carnagione più o meno chiara o scura, con i tratti somatici occidentali o asiatici… Allora comprendiamo che è difficile l’individuazione. Ma è importante invece l’individuazione, ma soprattutto è anche importante individuare i soggetti che scambiano questo materiale, o che eventualmente – volesse Dio si potessero trovare! – lo producono. È una guerra ampia, grande, globale, che però richiede – e faccio un appello corale, perché qui non è un problema di appello di scandalo, ma corale – una presa di coscienza internazionale. Io desidererei che i grandi del mondo, e non soltanto loro, ma anche le semplici famiglie o chi lavora per la tutela dei bambini, alzi un po’ la voce. Che si attivino dei sistemi di individuazione maggiori, e una collaborazione internazionale di polizia. Perché sennò c’è il rischio di dire: “Beh, allora non facciamo il monitoraggio!”. Perché qual è il senso dell’attenzione della vigilanza, quando poi di fatto tutto si riduce soltanto all’indifferenza e al non affrontare il problema?

D. – Quando avete scoperto questo archivio pedopornografico?

R. – Lo abbiamo scoperto due giorni fa. Abbiamo anche segnalato alla Polizia neozelandese il server dove è allocato, perché partiva da là.

D. – Ma è già stato chiuso?

R. – No, ancora oggi è aperto: questa è la cosa che più ci impressiona! Dobbiamo far sì che le Forze di polizia internazionali attivino una serie di individuazioni possibili dei soggetti che hanno caricato il materiale e – perché no – che lo hanno scambiato, divulgato, e anche comprato, oltre al fatto che – speriamo – si possa trovare chi ha prodotto il materiale.

D. – Ma è vero che ci sono anche riferimenti alla Bibbia satanista?

R. – C’è caricata tutta la Bibbia satanista. Oltre a questa ci sono anche i simboli e i particolari video – parliamoci chiaro – di veri e propri sacrifici. Dobbiamo necessariamente attivare un impegno perché questi bambini, che già sono stati violati, abbiano almeno la giustizia e la consolazione di questa società. Io, dopo 25 anni di attività e di contrasto alla pedofilia e la pedopornografia, non so più che dire!

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi ai cristiani di Terra Santa: non vi dimentichiamo

◊  

“Voi non siete dimenticati”: è questo il messaggio che i vescovi del Coordinamento delle Conferenze episcopali a sostegno della Chiesa in Terra Santa (Holy Land Coordination, Hlc), composto da presuli di Usa, Ue, Canada e Sud Africa, lasciano al termine della loro visita, che si chiude oggi, 14 gennaio, alle comunità cristiane di Gaza, Betlemme e ai rifugiati iracheni e siriani in Giordania.

I vescovi determinati a dare voce a chi non ha voce
Come riferisce l’agenzia Sir che riprende il comunicato finale della visita, iniziata il 7 gennaio, i vescovi scrivono: “Portiamo via le nostre esperienze e le storie che abbiamo ascoltato, e siamo determinati a dare voce ai senza voce. La violenza in corso rende ancor più urgente che ci si ricordi e si assistano tutti, specialmente quelli ai margini, che cercano di vivere nella giustizia e nella pace”.

Abitanti di Gaza vivono in una prigione
Il ricordo dei vescovi va a coloro che, nella guerra di Gaza del 2014, hanno perso la casa e sono rimasti traumatizzati. Nonostante qualche “segno di speranza”, si legge nel testo, “il blocco continua a rendere la loro vita disperata e vivono effettivamente in una prigione. La capacità di tanti cristiani e musulmani nel sostenersi a vicenda in questa situazione” è, per i presuli, “un segno visibile di speranza e, in un momento in cui molti cercano di dividere le comunità, un esempio per tutti noi”.

Muro del Cremisan viola il diritto internazionale
“Voi non siete dimenticati” è anche per la comunità cristiana di Beit Jala, dove “la confisca della terra e l’espansione del Muro di separazione nella valle di Cremisan da parte di Israele, in violazione del diritto internazionale, minano ulteriormente la sua presenza in Terra Santa”. “Presenteremo la vostra grave situazione a livello nazionale e internazionale” ribadiscono i vescovi che da sempre hanno avuto a cuore la vicenda di Cremisan.

Israele deve vivere in sicurezza ma l'occupazione corrode gli animi di tutti
Riguardo al conflitto israelo-palestinese, nel testo viene ribadito “il diritto di Israele a vivere in sicurezza” come anche il fatto che “l’occupazione continua a corrodere l’anima di entrambi, occupanti e occupati”. “I leader politici di tutto il mondo – rimarcano i vescovi – devono mettere maggiore energia nella ricerca di una soluzione diplomatica per porre fine a quasi 50 anni di occupazione e per risolvere il conflitto in corso in modo che i due popoli e le tre fedi possano vivere insieme in giustizia e pace”.

In Giordania, l’incontro con i rifugiati cristiani fuggiti all’Is
Momento focale della visita di questo anno è stato l’incontro con i rifugiati cristiani fuggiti in Giordania per sfuggire ai militanti dell’Isis. In questi giorni i vescovi hanno avuto modo di parlare con i rifugiati e ascoltare le loro storie. “Per la maggior parte, il ritorno a casa non è più un’opzione. La Giordania – scrivono i presuli – sta lottando per far fronte a quasi un quarto della sua popolazione ora composta da rifugiati. Gli sforzi della Chiesa locale e delle Ong nell’aiutare tutti i rifugiati – cristiani e musulmani – sono significativi e lodevoli, ma la comunità internazionale deve fare di più per alleviare le loro sofferenze e  lavorare per la pace in tutta la regione”.

Rispettare libertà di religione e di coscienza di tutti i popoli
​Un ultimo ricordo è dedicato ai sacerdoti, alle comunità religiose e ai laici della Chiesa in Giordania, definita “vivace e in crescita” sebbene i cristiani “siano timorosi dell’estremismo crescente nella regione. “Si spera – conclude il messaggio – che l’entrata in vigore, il 1.mo gennaio, dell’Accordo globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina, ci offra un modello di dialogo e di cooperazione tra gli Stati che rispetti e preservi la libertà di religione e la libertà di coscienza per tutti i popoli”. (I.P.)

inizio pagina

Usa: vescovi con le suore contro pratiche contraccettive

◊  

La Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) ha consegnato alla Corte Suprema una nota a sostegno del ricorso presentato dalle Piccole Sorelle dei Poveri per ottenere la totale esenzione dall’obbligo di fornire ai propri dipendenti piani assicurativi sanitari comprensivi di copertura per la contraccezione. Il documento è stato presento l’8 gennaio nell’ambito della causa “Zubik contro Burwell” che i giudici supremi dovranno esaminare quest’anno

Il ricorso delle religiose già respinto da un tribunale nel luglio 2015
Come è noto, l’estensione della copertura sanitaria obbligatoria anche alle pratiche abortive e contraccettive è uno dei punti più contestati dai vescovi dell’Affordable Care Act, la riforma sanitaria del Presidente Obama,  in quanto considerata lesiva della libertà religiosa e di coscienza. Il Ministero della Salute americano ha esonerato da tale obbligo solo le Chiese e organizzazioni confessionali che impiegano prevalentemente personale adibito ad attività religiose, ma non altre ong di carattere confessionale che svolgono attività sociali e di assistenza. Per queste ultime è prevista una soluzione di compromesso, in base alla quale esse sono comunque obbligate a notificare formalmente al Ministero che non intendono offrire tali servizi ai propri dipendenti, i quali saranno quindi affidati a soggetti terzi. Per le Piccole Suore dei Poveri e altre organizzazioni religiose, questa soluzione basta. Di qui il ricorso per ottenere l’esonero anche dall’obbligo di presentare la notifica, in mancanza della quale la normativa prevede pesanti multe. Un ricorso respinto lo scorso luglio dalla Corte di Appello del 10° Circuito e che adesso è giunto alla Corte Suprema.

In gioco non solo la libertà religiosa, ma l’interesse della società
​Nella nota presentata l’8 gennaio, la Conferenza episcopale sostiene le ragioni delle religiose, affermando che la copertura obbligatoria delle pratiche contraccettive lede non solo la libertà religiosa, ma tutta la società. Secondo i vescovi, le pesanti multe previste dalla normativa rischiano di mandare in rovina le organizzazioni che vogliono restare fedeli ai propri principi, “un risultato – affermano – che non giova a nessuno: né alle organizzazioni, né ai donatori, né agli utenti, né ai loro dipendenti”. Inoltre, essi ricordano gli importanti contributi dati dalle organizzazioni caritative cattoliche e da altre charities religiose che assistono milioni di persone ogni anno negli Stati Uniti. (L.Z.)

inizio pagina

Dai vescovi Usa 1 milione di dollari per la Chiesa in Africa

◊  

Un milione di dollari per un totale di 42 sovvenzioni: è la somma stanziata quest’anno per la Chiesa africana dalla speciale Sotto-Commissione per l’Africa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti.

I fondi destinati a progetti pastorali di una Chiesa in forte crescita
Le sovvenzioni, approvate dall’ultima assemblea autunnale dei vescovi a Baltimora a novembre, sono destinate a progetti pastorali promossi dalle diocesi e conferenze episcopali di 18 Paesi. Tra questi corsi biblici, corsi di formazione per catechisti, iniziative a sostegno della formazione nei seminari e della creazione di nuove strutture per fare fronte alle accresciute esigenze di una Chiesa in costante crescita. Secondo un recente studio del Centro per la Ricerca applicata nell’Apostolato nella Georgetown University (Cara), dal 1980 ad oggi la popolazione cattolica in Africa è più che triplicata raggiungendo oltre 200milioni di fedeli. “La crescita della Chiesa in Africa è un dono per tutta la Chiesa”, aveva affermato alla plenaria di novembre il card. Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington e presidente dell’organismo – ed è attraverso il lavoro della Sotto-commissione che continueremo a promuovere la spiritualità dei nostri fratelli e sorelle del continente”.

18 i Paesi beneficiari, tra i quali l’Etiopia e l’Uganda
​Tra i beneficiari degli aiuti quest’anno figura la Conferenza episcopale dell’Etiopia che ha ricevuto finanziamenti per sostenere la sua opera di assistenza pastorale ai rifugiati eritrei. I fondi serviranno in particolare ad offrire loro luoghi in cui riunirsi e pregare. Dal 2011 la speciale Cappellania per i rifugiati della Chiesa etiope organizza, tra l’altro, corsi biblici, ritiri spirituali e corsi di preparazione al matrimonio. C’è poi la Conferenza episcopale ugandese che utilizzerà i finanziamenti per promuovere la pastorale giovanile nella diocesi di Hoima.  I fondi a favore della Chiesa in Africa sono il frutto delle donazioni raccolte ogni anno dalla speciale colletta dei vescovi americani destinata a questo scopo.  (L.Z.)

inizio pagina

Angola: Acs ricostruisce chiese distrutte durante la guerra

◊  

“Queste chiese rappresentano il simbolo dell’immane sofferenza causata dalla guerra”. Mons. Jesùs Tirso Blanco, vescovo di Lwena in Angola, racconta ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) l’importanza della ricostruzione delle chiese della sua diocesi. “Per i fedeli è stata un’immensa gioia poter assistere all’apertura della Porta santa in chiese ridotte in macerie dalla guerra. Siamo grati ad Acs perché il suo aiuto è stato davvero fondamentale”. Cinque delle sei chiese in cui è stata aperta la Porta Santa per il giubileo della misericordia - riferisce l'agenzia Sir - sono state infatti ricostruite con il sostegno della Fondazione pontificia. 

Dal 1975 al 2002 l’Angola è stata dilaniata da una lunga guerra civile 
“Dopo tredici anni sono ancora evidenti i segni del conflitto – dichiara ad Acs mons. Tirso Blanco – nelle strutture ma soprattutto nelle persone. Ecco perché questo giubileo della misericordia è per noi così importante: perché ci invita a continuare la ricostruzione, delle nostre chiese e del tessuto sociale e spirituale del paese”. Tra le strutture ricostruite grazie ad Acs vi è anche la cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione a Lwena che nel 1991 è stata colpita da due bombe ed è stata riaperta soltanto nel 2013.

La chiesa di Nostra Signora di Fatima a Moxico Velho oggi è santuario diocesano
Un’altra ricostruzione è quella della chiesa di Nostra Signora di Fatima a Moxico Velho, bombardata e parzialmente distrutta nel 2009. “Questa Chiesa è stata costruita tra il 1917 e il 1922 dai primi missionari giunti in quest’area. Per noi rappresenta un luogo molto significativo perché è da qui che è partita l’evangelizzazione”, afferma il vescovo. Dopo la riapertura nel 2013 la Chiesa è divenuta il santuario diocesano, visitato oggi da numerosi pellegrini. 

La ricostruzione delle chiese ha rinnovato la partecipazione dei fedeli
​Mons. Tirso Blanco sottolinea come il rifacimento delle chiese abbia contribuito a una rinnovata partecipazione da parte dei fedeli. “A Cazombo fino a qualche anno fa vi erano soltanto un sacerdote e due suore. Oggi sono 14 tra sacerdoti e religiose. La celebrazione eucaristica occupa un posto molto importante nella vita degli abitanti di questa diocesi. Ma deve essere celebrata in luoghi degni, che permettano ai fedeli di comprendere il valore dei sacramenti”. Anche della chiesa di Santa Teresa di Lisieux a Lago Dilolo non era rimasto molto. Nel 2002 la struttura era ridotta in rovine ed è stato necessario ricostruirla quasi ex novo. È stata inaugurata nel 2014. Un anno prima era stata riaperta quella di San Bonifacio a Lumbala Nguimbo. (R.P.)

inizio pagina

Vescovi Cile: documento su equità e sviluppo sociale

◊  

“Equità e sviluppo in Cile: i nuovi volti degli esclusi”: si intitola così il documento che la Commissione Giustizia e pace della Pastorale sociale-Caritas del Cile ha presentato ieri, come un contributo al dibattito sullo sviluppo integrale e più equo per la società cilena. Obiettivo del documento – informa una nota dei vescovi - è quello di favorire un maggiore dialogo sociale che permetta di prevenire situazioni di povertà e disagio e di formulare proposte che rendano più giusto e umano lo sviluppo del Paese.

Disuguaglianze sociali ed economiche sono scandalose
“Le diseguaglianze sociali ed economiche eccessive tra le persone o i popoli dell’unica famiglia umana - si legge nel testo - sono scandalose e vanno contro la giustizia sociale, l’equità, la dignità della persona umana e la pace sociale e internazionale”. Di qui, il richiamo al fatto che “la legittima preoccupazione della Chiesa per l’equità nella vita sociale deriva dalla sua propria natura ed identità come Popolo di Dio e comunità di credenti”, al fine di costruire una società che sia “una comunità di fratelli, in quanto tutti figli dello stesso Padre”.

20% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà
Strutturato in tre parti, il documento episcopale analizza, in primo luogo, il contesto sociale attuale, legato alla globalizzazione, analizzando le sfide che devono affrontare alcune categorie più vulnerabili, come donne, bambini, anziani, migranti. La seconda parte, invece, riporta alcune “considerazioni etiche”, ribadendo il no della Chiesa all’esclusione sociale, all’idolatria del denaro, all’iniquità che genera violenza ed esortando anche alla salvaguardia del Creato. Il documento mette poi in evidenza come la forte crescita economica del Cile, pari negli ultimi anni ad una media del 5 per cento, abbia certamente ridotto la povertà assoluta, ma senza di fatto diminuire gli squilibri di fondo. Sotto il livello di povertà, infatti, riferisce la Commissione Giustizia e pace, c’è ancora il 20% della popolazione cilena, percentuale che supera il 22% per l’infanzia.

Dialogo, strumento fondamentale per rilanciare lo sviluppo sostenibile
Infine, nella terza parte, il documento episcopale suggerisce alcune proposte per rilanciare lo sviluppo e l’uguaglianza nel Paese: al primo posto, viene indicato il dialogo, “unico strumento per raggiungere accordi strategici che permettano uno sviluppo sostenibile e dignitoso per tutti”, “spazio di incontro tra i differenti gruppi e realtà del Cile nel quale, a partire dallo sforzo di comprendere il punto di vista dell’altro, si possano trovare soluzioni che promuovano il bene comune e non gli interessi individuali”, così da rendere il Paese “più giusto” e ridurre “l’esclusione e la povertà”. Ulteriori suggerimenti riguardano, poi, l’avvio di politiche a lungo termine e l’attenzione da porre alle periferie territoriali del Paese.

Evangelizzazione e promozione umana sono strettamente connesse
Un paragrafo a parte, inoltre, è dedicato al contributo che le confessioni religiose possono dare all’uguaglianza: “Il proposito di una società più equa e di uno sviluppo integrale – si legge – comporta una seria sfida alla coscienza cristiana, al dialogo ecumenico ed interreligioso ed al suo apporto al bene comune, specialmente nella preoccupazione per i più esclusi”. Di qui, il richiamo alla “stretta connessione tra evangelizzazione e promozione umana” ed alla necessità di “un cammino di conversione, così da essere uno stimolo per la coesione sociale”.

Sviluppo è autentico solo se è integrale e giusto
​Di fronte, infine, “all’insoddisfazione di molti, alla sfiducia nelle istituzioni ed alla perdita di unità nella società”, il testo si conclude con “l’invito a riflettere ed a dialogare sul problema della disuguaglianza che colpisce così gravemente le radici del sistema sociale”, perché “uno sviluppo autentico si realizza solo se è integrale e giusto”. (I.P.)

inizio pagina

Cambogia. Mons. Schmitthaeusler: aprire le Porte Sante del cuore

◊  

Aprire tre “Porte Sante” molto particolari, quelle del cuore, mettendo in pratica la fede, la misericordia e la speranza: questo l’invito rivolto ai fedeli da mons. Olivier Schmitthaeusler, vicario apostolico di Phnom Penh, in Cambogia, in una lettera pastorale dedicata al Giubileo straordinario della misericordia. Nella missiva, il presule definisce l’Anno Santo come un tempo “provvidenziale”, perché coincide con la conclusione del triennio pastorale della Chiesa locale, dedicato alla carità.

La Porta della fede insegna l’umiltà di Dio
“Siamo tutti invitati – spiega il presule – a vivere intensamente l’infinito amore di Dio per ciascuno di noi come un viaggio interiore di conversione che ci spinge ad aprirci ai sofferenti e a chi ha fame di giustizia e di pace”. Tre, dunque, le “Porte Sante” simboliche che i fedeli cambogiani sono esortati a passare, nel corso del Giubileo: la prima è la “porta della fede”, che spinge l’uomo verso “la profondità del cuore per ricevere ciò che la ragione non può comprendere, ovvero l’umiltà di Dio”. Infatti, spiega mons. Schmitthaeusler, “la società di Phnom Penh, in così rapida crescita, porta alla tentazione di sentirsi forti anche senza Dio”. Al contrario, passare “la porta della fede ci aiuta ad accogliere Cristo nella nostra vita, nel nostro mondo”.

La Porta della misericordia spinge ad agire in favore del prossimo
La seconda porta da attraversare, invece, è quella della misericordia: in particolare, il vicario apostolico ricorda il 50.mo anniversario della “Gaudium et spes”, la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II. “Attraversando la porta della misericordia – scrive il presule – i nostri cuori si espanderanno ed agiranno concretamente in favore del prossimo, nella sequela di Gesù”. Per questo, mons. Schmitthaeusler esorta i fedeli a praticare le opere di misericordia spirituali e corporali, concentrandosi soprattutto su sette priorità: educazione, salute, lavoro, disabilità, salvaguardia del Creato, inclusione dei poveri nella società e dialogo con le altre religioni, ricordando anche il 50.mo anniversario della “Nostra Aetate”, dichiarazione conciliare sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.

La Porta della speranza aiuta a vincere odio, violenza, povertà e corruzione
Infine, la terza porta, quella della speranza: il presule cambogiano ribadisce la necessità di avere “grandi speranze per il nostro mondo così destabilizzato dall’odio e dalla violenza, così sfigurato dalla povertà e dalla corruzione”. “Di fronte alla violenza, preghiamo il Signore, Principe della pace – scrive mons. Schmitthaeusler – di fronte all’odio ed al disprezzo sociale, alla fragilità ed alla povertà, ai giovani persi e disorientati, alle famiglie disgregate, la nostra speranza ha un nome, quello di Dio Padre, ed un volto, quello di Gesù”.

Aiutare poveri, bambini, anziani, detenuti
Di qui, l’esortazione del presule affinché “queste tre porte siano aperte innanzitutto nei nostri cuori, per dare testimonianza di carità ai detenuti, alle famiglie povere, agli anziani abbandonati, ai bambini portatori di speranza”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 14

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.