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Sommario del 03/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Vigilare contro il male, con Gesù e Vangelo: il Papa all’Angelus

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“Impariamo a tenere il cuore rivolto a Gesù mentre si svolgono le nostre giornate, con gioie e dolori, soddisfazioni e problemi”. E’ l’invito di Papa Francesco che, all’Angelus riprendendo la Liturgia, parla del mistero del male, dell’Incarnazione del Dio che ci salva e di quanti "hanno chiuso la porta in faccia al Figlio di Dio". Dio - assicura Francesco - può salvarci dal male che "è sempre accovacciato alla nostra porta e vuole entrare". Dunque, il rinnovato invito di Francesco a leggere ogni giorno un brano del Vangelo.  Il servizio di Fausta Speranza

Di fronte al mistero del male, “siamo chiamati a spalancare la porta del nostro cuore alla Parola di Dio”. Papa Francesco ricorda che “il male insidia anche la nostra vita e che richiede da parte nostra vigilanza e attenzione perché non prevalga”. Ricorda quella che definisce "una bella frase della Genesi": 

“Il Libro della Genesi dice che il male è “accovacciato davanti alla nostra porta”. Guai a noi se lo lasciamo entrare; sarebbe lui allora a chiudere la nostra porta a chiunque altro. Siamo invece chiamati a spalancare la porta del nostro cuore alla Parola di Dio, per diventare così suoi figli".

Dio si è incarnato affinchè – spiega Francesco – “toccassimo con mano l’amore di Dio”. E sottolinea la "drammaticità dell’Incarnazione": di fronte alla luce, gli uomini hanno scelto le tenebre. Poi, l’invito ad accogliere davvero la Parola di Dio e a far sì che “il Vangelo diventi sempre più carne anche nella nostra vita”:

"E Lui ci difenda dal male, dal diavolo, che sempre è accovacciato davanti alla nostra porta, davanti al nostro cuore, e vuole entrare".

“Accostarsi al Vangelo, meditarlo e incarnarlo nella vita quotidiana è il modo migliore per conoscere Gesù e portarlo agli altri".  Dunque, un richiamo all’Anno Santo della Misericordia.  Papa Francesco infatti non ha dubbi: “Se lo accogliamo, cresceremo nella conoscenza e nell’amore del Signore, impareremo ad essere misericordiosi come Lui”. “È l’invito – afferma il Papa - della santa Madre Chiesa ad accogliere questa Parola di salvezza, questo mistero di luce. Questa è la vocazione e la gioia di ogni battezzato: indicare e donare agli altri Gesù; ma per fare questo dobbiamo conoscerlo e averlo dentro di noi, come Signore della nostra vita”.

Dopo la preghiera mariana,  il Papa rinnova l'invito a leggere ogni giorno un brano del Vangelo:

"E ricordo anche quel consiglio che tante volte vi ho dato: tutti i giorni leggere un brano del Vangelo, un passo del Vangelo, per conoscere meglio Gesù, per spalancare il nostro cuore a Gesù, e così possiamo farlo conoscere meglio agli altri. Anche, portare un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa: ci farà bene. Non dimenticate: ogni giorno leggiamo un passo del Vangelo".

“Nei momenti lieti e in quelli tristi, affidiamoci a Lui, nostra speranza!”, dice il Papa che ricorda anche “l’impegno che – dice - ci siamo presi a capodanno, Giornata della Pace, sul tema: Vinci l’indifferenza e conquista la pace”. “Con la grazia di Dio, - assicura il Papa - potremo metterlo in pratica”. Inoltre, un saluto cordiale ai fedeli di Roma e pellegrini venuti dall’Italia e da altri Paesi, alle famiglie, le associazioni, i diversi gruppi parrocchiali, in particolare ad alcuni cresimandi. E “a tutti gli auguri di pace e di bene nel Signore”.  Poi torna la richiesta alla quale ci ha abituato Papa Francesco:  “Non dimenticate, per favore, di pregare per me”.

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Il rev.do Célestin-Marie Gaoua, nuovo vescovo di Sokodé, in Togo

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Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Sokodé, in Togo, presentata da mons. Ambroise Kotamba Djoliba, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. E ha nominato vescovo della Diocesi di Sokodé, il rev.do Célestin-Marie Gaoua, nato Wahala, dioc. di Atakpamé, il 6 aprile 1957 e ordinato sacerdote il 27 dicembre 1986. Dopo diversi incarichi in alcuni seminari e in Francia, nel 2009 è diventato rettore del Seminario Maggiore filosofico nazionale Benoît XVI, a Tchitchao, in Diocesi di Kara.  

La Diocesi di Sokodé  (1955), suffraganea dell'Arcidiocesi di Lomé, ha una superficie di 12.610 kmq e una popolazione di 1.300.000 abitanti, di cui 153.000  sono cattolici. Ci sono 17 Parrocchie, servite da 65 sacerdoti  (47 diocesani e 18 Religiosi), 87 suore e 32 seminaristi.

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Oblati San Giuseppe: ripartire con il Papa dalle povertà dell'uomo

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Il Giubileo straordinario della Misericordia coinvolge per volere di Papa Francesco anche le periferie, là dove spesso più forte si sente il disagio. Emblematica, in tal senso, l’apertura della Porta Santa della Cattedrale di Bangui, in Centrafrica, la prima nel mondo. Anche l’Italia ha le sue periferie, in particolare nel Meridione. In Puglia sono molto attivi gli Oblati di San Giuseppe. Giancarlo La Vella ha intervistato padre Francesco Russo, superiore provinciale della Congregazione per il Sud d'Italia: 

R. – Il Papa ci sta insegnando che il centro non è quello geografico: il centro è quello dove il cuore batte, soffre, spera. E quindi anche la scelta di aver aperto la prima Porta Santa in uno dei Paesi più poveri della terra ci fa capire che è da lì che dobbiamo ripartire, se vogliamo recuperare tutti quegli elementi, ribaditi da Papa Francesco, di fraternità, di umanità, anche di attenzione al prossimo, che il Vangelo ci ha voluto trasmettere. Quindi è interessante accogliere da subito questo invito a vivere il Giubileo, partendo proprio da questa centralità che è la povertà del cuore dell’uomo, laddove poi alla fine il Signore ha voluto incarnarsi.

D. – E’ un’epoca difficile questa. Come incarnare concetti come la misericordia, il perdono?

R. – C’è grande tensione nell’umanità. Ci insegna la Sacra Scrittura che Dio non ha dimenticato il suo popolo, non ha chiuso gli occhi sulle sue povertà, sulle sue difficoltà. Quindi anche in questo tempo di tensione noi siamo invitati a recuperare la gioia della presenza di Dio, che si prende cura dell’uomo, dell’uomo ferito, dell’uomo povero, dell’uomo debole. E noi siamo anche – credo – invitati a vivere gesti di misericordia nella logica proprio di questa attenzione alla povertà e alle sofferenze dell’uomo. Credo che possiamo dare una risposta alle violenze, con cui i nostri notiziari riempiono la cronaca quotidiana, attraverso quello che il Papa ci ha chiesto in questo Anno Santo: quindi gesti di misericordia, gesti di perdono, partendo proprio dalle cose più semplici, dalle cose più quotidiane, che sono certamente alla portata di tutti.

D. – Lei viene dal Sud dell’Italia, possiamo dire una periferia italiana. In questi giorni del Giubileo, qual è stato concretamente un atto che le ha mostrato che stiamo vivendo un momento eccezionale?

R. – Io vengo dalla Puglia, che è stata definita anche il ponte tra l’Oriente e l’Occidente, e quindi anche la terra dove approdano tante di quelle situazioni povere alle quali siamo chiamati a dare una risposta. E’ interessante vedere come la Chiesa italiana intera si stia interrogando su come accogliere l’invito del Papa ad aprire le porte anche a chi è nella povertà, a chi lascia la sua terra, a chi fugge dalla violenza. Noi, anche nelle nostre diocesi, e anche come Congregazione, stiamo cercando proprio di accogliere questa provocazione che il Papa ci ha fatto e quindi stiamo ragionando proprio in termini più concreti, per cercare di dare una risposta altrettanto significativa a questi bisogni che nascono dalla povertà, qualunque sia il colore della pelle, l’etnia, la situazione culturale e sociale. Dove c’è una persona che soffre, lì c’è la presenza di Cristo e quindi noi dobbiamo riconoscerla ed accoglierla.

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Oggi in Primo Piano



Arresti a Teheran dopo l'assalto all'ambasciata saudita

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Resta alta la tensione tra Iran e Arabia Saudita dopo l’esecuzione, da parte di Riad di 47 condannati, tra cui l’imam sciita al Nimr, considerato uno dei maggiori oppositori sauditi. La guida suprema iraniana Khamenei ha invocato la 'vendetta divina' sui politici di Riad. Quaranta le persone arrestate a Teheran per l’assalto di ieri sera all’ambasciata saudita, atto condannato dal presidente iraniano Rohani, secondo cui si è trattato di un gruppo di estremisti. La cronaca nel servizio di Elvira Ragosta

Tra le reazioni del mondo sciita, l’assalto all’ambasciata saudita in Iran è stata la più feroce. Decine di manifestanti ieri sera hanno lanciato bombe incendiarie contro la rappresentanza diplomatica di Riad. In quaranta sono stati arrestati dalla polizia. L’ayatollah Khamenei ha espresso via web la sua condanna, per l’esecuzione di al Nimr, invocando “la vendetta divina sui politici sauditi per l'illegittimo spargimento di sangue di un martire”. Il leader sciita, era l’imam della moschea di Qatif e uno dei maggiori oppositori sauditi. Nel paese a maggioranza sunnita, al Nimr nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province sciite ed era stato tra gli organizzatori delle proteste scoppiate nel 2011 sull’onda delle cosidette primavere arabe. La tensione tra i due Stati si è concretizzata anche nelle reciproche accuse. Se Teheran ha bollato le 47 esecuzioni capitali di Ryad come atto di terrorismo, per l’Arabia Saudita è l’Iran a sostenere il terrore. Moderazione all’Arabia Saudita sul fronte del rispetto dei diritti umani è stata chiesta dagli Stati Uniti, tramite il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Ben Rhodes, che a Riad chiede anche una riduzione delle tensioni nella regione.

Ma quanto può pesare questa escalation di tensione tra Iran e Arabia Saudita nella geopolitica della regione? Elvira Ragosta lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, direttore di Famiglia Cristiana web: 

R. – Il conflitto tra sciiti e sunniti, rappresentato in questo momento soprattutto da Arabia Saudita e Iran, va avanti da molti secoli, perlomeno, è acutissimo negli ultimi decenni e non credo saranno queste esecuzioni a cambiarne la natura e la radicalità. Credo che queste esecuzioni siano un monito all’Occidente, da parte dell’Arabia Saudita, per dire: “Noi siamo l’unico punto di riferimento in Medio Oriente, noi facciamo quello che vogliamo e l’Occidente deve accettare questa alleanza che va avanti ormai da un secolo, a qualunque costo”. Io credo che il vero messaggio sia questo, perché sciiti e sunniti, Iran e Arabia Saudita si combattono da tempo su talmente tanti fronti che certamente l’esecuzione di al Nimr, per quanto clamorosa, non può influire su questo quadro.

D. – Qual è il ruolo dei due Paesi nella lotta al sedicente Stato islamico?

R. – Certamente, è più deciso, è più convinto – per tante ragioni – il ruolo dell’Iran, nella lotta contro l’Isis. Per i movimenti radicali, estremisti, terroristici islamici che operano nel cosiddetto “Siraq”, tra Siria e Iraq, l’Arabia Saudita è stata fomentatrice, finanziatrice, organizzatrice, armatrice … Che poi abbia preso le distanze dall’Isis, non prendendole però da tutta una galassia di movimenti che sono sostanzialmente analoghi, conta poco. Certamente l’Iran in questo momento, per ragioni di interesse politico, ovviamente, è molto più convinto nella battaglia contro l’Isis. D’altra parte, l’Arabia Saudita è diventata da due anni il primo acquirente mondiale di armi, e queste armi non possono certo accumularsi in Arabia Saudita: queste armi vanno da qualche parte. E vanno, ovviamente, in parte anche sul fronte siriano.

D. – Secondo lei, quali scenari si possono aprire, nell’immediato presente?

R. – Non credo che cambierà moltissimo, se non che ovviamente ci sarà ancora un inasprimento, però delle stesse tensioni che abbiamo visto in opera in questi anni. E qui il punto vero è l’atteggiamento dell’Occidente: l’atteggiamento dell’Occidente nei confronti dell’Arabia Saudita deve cambiare perché l’Arabia Saudita gode – ormai da decenni – di un’impunità che sta diventando veramente devastante.
 

Del braccio di ferro tra Iran e Arabia Saudita Elvira Ragosta ha parlato anche con Gabriele Iacovino, analista del Cesi (Centro studi internazionali): 

R. – Queste esecuzioni avvenute in Arabia Saudita non sono altro che l’ultimo episodio di un’escalation anche di toni tra le due potenze regionali. Da una parte, abbiamo un Iran che negli ultimi mesi, nell’ultima parte del 2015, si è affacciato nuovamente sulla scena internazionale, dall’altra parte, abbiamo un’Arabia Saudita preoccupata di questa ascesa di influenza iraniana, e abbiamo anche una serie di crisi in cui si sta vedendo appunto la contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, tra Teheran e Ryad. Abbiamo visto l’Iraq, abbiamo visto la Siria ma vediamo anche come lo Yemen sia nuovo territorio di scontro e di influenza nella regione tra le due potenze. Quindi, sì: è una questione che per adesso ricalca i temi religiosi, ma inevitabilmente ha e avrà e continuerà ad avere delle ripercussioni politiche nella regione.

D. – Gli sciiti rappresentano una minoranza nel mondo islamico, rispetto ai sunniti; e in Arabia Saudita sono il 5 per cento. Secondo alcuni, dietro all’esecuzione dell’imam al Nimr ci sono anche interessi economici: il leader sciita nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province orientali, ricche di petrolio …

R. – Più che reali interessi economici, c’è una questione di fatto: è una minoranza, quella sciita ma è una minoranza che abita la regione ricca dell’Arabia Saudita, dove di fatto ci sono tutti i giacimenti di petrolio e ci sono tutte le infrastrutture petrolifere. E’ qui un altro territorio di scontro, non solo religioso ma di fatto anche politico e, inevitabilmente, economico. La minoranza sciita in Arabia Saudita non ha la forza politica per chiedere una secessione, però di fatto è una questione che è sempre all’ordine del giorno della casa regnante, innanzitutto da un punto di vista di sicurezza, perché di fatto il controllo della sicurezza di quella regione è fondamentale per le finanze saudite, essendo lo Stato dell’Arabia Saudita fondato sull’industria petrolifera. E' l’unica entrata per le casse della casa regnante …

D. – Come interpretare la reazione che si è registrata in Iran?

R. – E’ una reazione politica forte, perché di fatto se qualcosa avviene a Teheran davanti all’ambasciata saudita, è perché le autorità iraniane lo vogliono. E’ un segnale forte all’Arabia Saudita, è un segnale di escalation dei toni. E, difatti, potrebbe anche essere un problema per il proseguo dei negoziati, primo fra tutti quello di Vienna, ma anche per quanto riguarda la questione Iraq. Làddove in Medio Oriente vi è una dialettica sunnismo contro sciismo, per quando riguarda l’influenza e la divisione del potere, questo episodio avrà delle ripercussioni.

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Rwanda: il presidente Kagame si candida al terzo mandato

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Il presidente del Rwanda Paul Kagame ha annunciato la sua candidatura ad un terzo mandato alle elezioni del 2017. La decisione arriva dopo che lo scorso 18 dicembre un referendum popolare aveva modificato la costituzione e cancellato il limite a due mandati presidenziali. Kagame, di fatto leader del Paese africano dalla fine del genocidio tra hutu e tutsi nel 1994, potrà ora rimanere al potere per altri dieci anni, come spiega Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi, al microfono di Michele Raviart

R. – Kagame potrà ricandidarsi nel 2017 e poi successivamente potrà ricandidarsi ancora per due volte. Quindi potrebbe rimanere al potere fino almeno al 2027, qualcuno dice almeno fino al 2034, quindi di fatto diventa un presidente a vita.

D. – Qual è la situazione delle opposizioni a  Kagame in Ruanda?

R. – L’opposizione è molto debole in Rwanda ed è stata schiacciata in questi ultimi tempi. Formalmente esiste un’opposizione ma di fatto sono il presidente e il suo partito a dominare la scena politica ruandese. Kagame è al potere dal 1994 ed è presidente dal 2000. Ha fatto cose positive nel Paese. Ha capito che il genocidio era legato soprattutto a questioni economiche e ha cercato di diversificare l’economia rendendo il Rwanda un Paese non più legato all’agricoltura ma ha diversificato le fonti di approvvigionamento, ha investito molto su internet e sulle nuove tecnologie. Si è avviato verso una strada di sviluppo. Detto questo, questo non può giustificare il fatto che un presidente rimanga a vita al potere.

D. – Critiche sono arrivati da parte di Stati Uniti e Unione Europea che hanno esplicitamente invitato Kagame a non ripresentarsi per una terza volta. Quanto è importante ancora il ruolo di queste potenze in Rwanda?

R. – Il Rwanda, insieme all’Etiopia, è stato negli ultimi anni uno dei pilastri della politica statunitense, nell’Africa, soprattutto nell’Africa orientale. Per Washington perdere un alleato così importante potrebbe dire andare incontro a delle difficoltà in quest’area che è particolarmente delicata. Pensiamo alla crisi in Somalia, quindi la possibilità di infiltrazioni da parte del fondamentalismo islamico in tutta l’area. Il  Rwanda è anche un pilastro della politica economica perché controlla gran parte delle risorse minerarie di cui è ricca quell’area; pensiamo all’oro, al coltan, in futuro anche al petrolio, ai diamanti… Il Rwanda svolge un ruolo molto attivo e non sempre positivo in tutto il Congo orientale.

D. – La vittoria di Kagame vorrebbe dire per l’America perdere il Rwanda?

R. – Probabilmente non lo perderebbe però si raffredderebbero i rapporti, quindi andrebbe incontro a maggiori difficoltà rispetto al passato. Attualmente il legame è molto forte. Un allentamento di questi legami potrebbe portare difficoltà. Nell’Africa gli Stati Uniti stanno affrontando una battaglia globale con la Cina proprio per tenere le proprie zone di influenza. Quindi il Rwanda potrebbe cambiare area di influenza e per gli Stati Uniti potrebbe essere una grossa perdita.

D. – Abbiamo visto situazioni simili in questi ultimi mesi di presidenti che si candidano per una terza candidatura dopo aver emendato le Costituzioni anche in Uganda, in Burundi ... Perché succede questo, cosa manca per una transizione democratica effettiva?

R. – Ci sono tanti fattori. Spesso e volentieri ci sono potenze esterne che favoriscono l’affermarsi in Paesi africani di loro uomini che sanno essere amici e quindi possono garantire l’influenza in questi Paesi. In altri casi ci sono proprio conflitti interni che si coagulano in alcuni personaggi chiave; questi personaggi, rimanendo a vita, favoriscono non solo politiche autocratiche, non democratiche, ma anche una gestione rapace e personalistica delle risorse naturali dei Paesi. Però, se è vero che in alcuni Paesi si sono ricandidati i presidenti per il terzo mandato, ci sono altri Paesi in cui la popolazione ha rifiutato questa cosa: penso soprattutto al Burkina Faso che ha mandato via Blaise Compaoré quando stava tentando di ricandidarsi ulteriormente alla presidenza del Burkina Faso e poi ha sventato un golpe ed è andata alle elezioni democratiche e ha eletto democraticamente un presidente della Repubblica. Quindi c’è un desiderio di democrazia. Spesso e volentieri fattori esterni o fattori interni ma legati a dinamiche internazionali evitano questa svolta democratica.

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Riforme e unioni civili: le sfide della politica in Italia nel 2016

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L'Italia non riesce a recuperare le perdite della crisi e a mettersi a pari dei big Ue su industria e lavoro. Secondo i dati Eurostat rielaborati dal Mise, a stentare e' soprattutto l'occupazione giovanile, che dal minimo registrato durante la crisi ha recuperato 0,9 punti (2,7 in Germania, 4,2 in Gran Bretagna e 1,9 in Spagna). Bene invece il clima di fiducia. A parte l'economia, per la politica italiana, ’anno che si è appena aperto ha in agenda appuntamenti cruciali. Tra tutti: in primavera, elezioni amministrative nelle città più importanti; in autunno, il referendum sulle riforme costituzionali. Ma il primo passaggio importante sarà a fine gennaio l’esame al Senato del disegno di legge sulle unioni civili. Il servizio di Giampiero Guadagni: 

Dal lavoro alla pubblica amministrazione, dalla giustizia alle modifiche costituzionali e del sistema elettorale: le riforme sono decisive anche per consolidare la ripresa economica. E’ la convinzione più volte espressa da Matteo Renzi, anche in sede europea. E per questo il premier attende fiducioso il via libera di Bruxelles alla Legge di stabilità approvata dal Parlamento a fine anno. Intanto però il primo vero scoglio per il governo è il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, che approderà in Senato a fine gennaio. La Conferenza episcopale italiana ricorda come sia scorretto applicare ad altri tipi di relazione i diritti che spettano alla famiglia composta da mamma, papà e bambini. Il 2016 sarà l’anno dei valori, ha detto da parte sua il presidente del Consiglio. Ma sui valori legati alla legge in esame manca l’accordo nella stessa maggioranza. Cattolici del Pd e centristi di Area Popolare, così come nell’opposizione un’ampia parte di Forza Italia e la Lega, sono contrari in particolare alla possibilità che il componente di una coppia dello stesso sesso possa adottare il figlio del partner. Sulla legge Cirinnà potrebbero crearsi allora alleanze inedite, visto che il Movimento 5 Stelle intende approvare il ddl senza modifiche.

Possibili dunque ripercussioni anche in vista delle elezioni amministrative della prossima primavera che riguarderanno le cinque città italiane politicamente più importanti: Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna. Un banco di prova fondamentale per Renzi e per il suo partito, il Pd, dopo la schiacciante vittoria alle europee dello scorso anno. Ma la vera sfida il premier segretario l’ha lanciata per l’autunno, quando dovrebbe essere celebrato il referendum sulle riforme costituzionali, dopo il voto finale in Parlamento che darà il via libera al Nuovo Senato e alla fine del bicameralismo perfetto. I sondaggi sul referendum finora danno in vantaggio il composito fronte del “no”. Ma Renzi ha deciso di giocarsi tutto in questa partita. “Se perdo il referendum – ha detto – fallisce la mia esperienza politica”. Insomma, l’esito del referendum sarà decisivo per il futuro della legislatura. Ma anche e soprattutto per il futuro quadro istituzionale del Paese.

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Milano: nuovo centro accoglienza per i senza fissa dimora

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A Milano, nella Chiesa di Via della Pace, è stato aperto un nuovo centro per l’accoglienza delle persone senza fissa dimora per l’intero periodo invernale. E’ una delle iniziative del Progetto Arca, l’associazione che dal 1996 si occupa delle persone che vivono in strada. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, le persone senza dimora sono in aumento e a preoccupare è soprattutto la loro età media, pari a 44 anni: uomini e donne nel pieno dell’età lavorativa che non trovano uno sbocco professionale. Nell’ultimo anno sono state aiutate più di 44 persone, tra senza fissa dimora, profughi, anziani e famiglie. Il presidente del Progetto Arca, Alberto Sinigallia, al microfono di Maria Cristina Montagnaro, spiega di cosa si tratta: 

R. – E’ una Chiesa all’interno del Policlinico di Milano, che non veniva usata e che abbiamo adibita a dormitorio. Le persone che entreranno in questo dormitorio sono senza dimora e stazionano e dormono nei sotterranei del Policlinico.

D. – Il vostro, quindi, è un ricovero notturno?

R. – Sì, ma finalizzato ad un reinserimento sociale. E’ un primo passo per avere una relazione con le persone e dove faranno anche cena e colazione. Durante il giorno, invece, andranno in uno dei nostri dormitori in cui ci sono gli assistenti sociali e gli psicologici e dove è presente lo sportello lavoro e in cui poter iniziare un recupero. La scommessa è proprio quella: prendere le persone croniche, che sono cioè anni che stazionano nel Policlinico, per fare un percorso insieme a loro di reinserimento sociale.

D. – Qual è il motivo scatenante per cui queste persone si ritrovano a vivere in queste condizioni?

R. – Negli ultimi anni, forse negli ultimi due, c’è stato un grande aumento dovuto agli sfratti, che sono in grandissimo aumento: per cui troviamo intere famiglie che vengono nei dormitori e nelle mense; una volta era molto difficile trovare i bambini nelle mense, adesso è invece all’ordine del giorno. Un’altra causa sono le separazioni e le crisi emotive e quindi sicuramente i padri separati. La crisi economica è un altro fattore fondamentale che ha portato all’aumento degli italiani e delle famiglie: gli ultimi dati riguardo all’indigenza dicono che gli stranieri sono in leggero calo, mentre gli italiani sono in grande aumento.

D. – Che cosa si può fare per aiutare queste persone a superare i momenti di difficoltà?

R. – Bisogna dare loro un momento di serenità iniziale, durante la quale – attraverso un processo di residenza - possano andare a contattare la parte più intima di se stessi, dando così un obiettivo al recupero: se non c’è questo noi non possiamo aiutarli. La vera leva è la volontà del recupero che possono trovare dentro di loro. Noi possiamo aiutarli con un qualcosa di esterno, che può essere la casa, la serenità, i colloqui dello psicologo o dell’assistente sociale, a trovare questo punto di ripartenza. Ma il punto di partenza possono essere soltanto loro.

D. – Ci può raccontare una storia a lieto fine di cui siete stati testimoni?

R. - Una in particolare di una integrazione di un rifugiato politico che ha trovato un lavoro, che ha fatto il ricongiungimento familiare, ha avuto anche un figlio in Italia: attualmente lavorano sia la moglie che il marito, hanno tre figli, hanno trovato casa e sono addirittura riusciti ad ottenere un mutuo.

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Il bene contagioso. Dino Impagliazzo, una storia di solidarietà

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Nove anni fa era solo, con una manciata di panini e la macchina stipata di cassette di frutta e verdura, scartate dai mercati rionali. Oggi sono molte centinaia i pasti distribuiti a senza tetto e immigrati nei pressi di alcune stazioni romane e soprattutto sono 350 i volontari che lo aiutano. È la storia di Dino Impagliazzo, dirigente in pensione, che a 85 anni continua a essere l’anima di una bella esperienza di solidarietà nella capitale. La racconta al microfono di Eliana Astorri

R. – Sto facendo questo tipo di attività dal marzo del 2007, quindi sono già passati un po’ di anni… Ho iniziato da solo, portando una decina di panini alla Stazione Tuscolana; poi ho coinvolto in questa mia attività i condomini del palazzo. Pian piano si sono moltiplicati e attualmente forniamo 800 pasti alla settimana nelle due stazioni di Roma Ostiense e Roma Tuscolana: i pasti sono completi, composti da primo, secondo, frutta, thè e dolci se ci sono…

D. – Lei non ha aiuti da parte delle istituzioni: come fa a comprare il cibo necessario? Solo con l’aiuto di parenti e amici, come dice?

R. – No, no! C’è anzitutto una fornitura mensile da parte del Banco Alimentare, che ci fornisce pasta, riso e altri alimentari non deperibili. Ho poi preso contatti con tutti i fornai del quartiere e la sera passo per i forni e ritiro il pane non venduto, che serve per il giorno dopo. Altrettanto faccio per i mercati rionali di frutta e verdura: prima facevo tutto da solo, ora invece facciamo insieme il giro alla chiusura dei mercati e raccogliamo tutta la verdura e la frutta che il giorno dopo non sarebbe vendibile.

D. – Vediamo che il bene esiste: c’è!

R. – C’è e certo che esiste! Ci sono tante persone impegnate. Io ho cominciato da solo, poi mi sono venute dietro le persone del palazzo e attualmente sono oltre 350 i volontari che collaborano a questa iniziativa e che sono felici di poterlo fare.

D. – Quante volte alla settimana può dare da mangiare ai senzatetto che gravitano intorno alla Stazione Ostiense e alla Stazione Tuscolana?

R. – Io e gli altri amici facciamo da mangiare quattro volte a settimana: sabato, domenica, lunedì e martedì di ogni settimana; in qualsiasi periodo dell’anno e quindi anche nel periodo estivo e durante le vacanze siamo sempre presenti e sempre con un pasto completo. Mediamente sono circa 800 persone la settimana cui portiamo da mangiare.

D. – E’ conosciuto ormai in queste zone? Le persone con disagio che vivono per la strada l’aspettano?

R. –Sì! A dir la verità questa è una cosa molto bella: quando abbiamo iniziato, le persone – di solito - erano un po’ diffidenti: pensavano che tu fai una certa cosa per un qualche interesse e tanti pensavano che fossimo pagati per fare questo tipo di discorso. Poi, man mano, si sono resi conto della gratuità della nostra attività e adesso ci vogliono proprio bene. Se c’è qualcuno - ad esempio - tra i nuovi arrivati che è un po’ sgarbato, viene subito ripreso perché non permettono che ci trattino male. C’è ormai questa sorta di affetto e di familiarità tra di noi, almeno fra coloro che sono – diciamo – più sedentari e che stanno da più tempo con noi.

(La versione audio integrale dell’intervista verrà trasmessa il 7 gennaio dal canale Radio Vaticana Italia - 105 FM)

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San Sebastián e Breslavia capitali europee della cultura 2016

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Sono Donostia-San Sebastián, nei Paesi Baschi e Breslavia, ovvero Wroclaw, in Polonia, le capitali europee della cultura 2016. L’idea del titolo è nata nel 1985 dal Consiglio Ue dei ministri e intende promuovere una maggiore conoscenza tra i cittadini europei per creare le basi per un nuova identità dell’Europa unita. Dal 2009 le città a cui va il riconoscimento sono due, una di una nazione appartenente da tempo all’Unione Europea, l’altra scelta tra i Paesi di recente ingresso. Il servizio di Adriana Masotti

“Uniti nella diversità”, il motto dell’Unione Europea che intende rafforzare i legami culturali fra le tante aree del continente, è l’impegno assunto in pieno dalla multiculturale Breslavia, nota per l’allestimento in Avvento di uno dei più bei mercatini di Natale d’Europa. Famosi gli gnomi, più di 300, sparsi in vari punti della città e diventati il suo simbolo. Sono un omaggio ai militanti che negli anni ’80 ridicolizzavano le celebrazioni ufficiali dell’allora regime comunista. Città della Polonia sud-occidentale, storica capitale della Slesia, Breslavia sorge sulle rive del fiume Oder e con i suoi oltre 100 ponti ricorda Venezia. Il suo centro è un concentrato di splendidi edifici dagli stili più diversi. Per due secoli parte della Germania, la sua storia è segnata dalla presenza di diverse culture: polacca, ceca, austriaca, tedesca ed ebrea, che si riflettono nella sua architettura, arte, letteratura e musica. Fu terra natale di Edith Stein, suor Teresa Benedetta della Croce, proclamata santa da Giovanni Paolo II e Patrona d'Europa, e Dietrich Bonhöffer, teologo luterano, entrambi vittime del nazismo. Simbolo per decenni di guerra fredda e di divisione dell'Europa, dopo la caduta del comunismo la città è diventata città di dialogo.

Breslavia è il terzo centro universitario della Polonia e sono i giovani i maggiori fruitori dei numerosissimi festival e manifestazioni culturali che animano tutto l’anno la vita cittadina e che per il 2016 si moltiplicheranno promettendo eventi di alta qualità. “Desideriamo che Wroclaw sia una metropoli apertissima, iscritta definitivamente nella mappa d’Europa e del mondo” dice il sindaco Dutkièwicz. Quasi raddoppiati gli investimenti in cultura per questa occasione storica che coinvolgerà anche le comunità straniere presenti sul territorio, un segno importante in un panorama nazionale di generale euroscetticismo e di chiusura nei confronti dei migranti.

Cambiamo scenario: “Pace e coesistenza” lo slogan scelto da San Sebastián, città turistica dei Paesi Baschi sul Mar Cantabrico, a pochi chilometri dalla Francia, e sul Cammino di Santiago di Compostela. Il nome in castigliano è preceduto da quello in lingua basca di Donostia. Fra i luoghi di maggiore interesse la Cattedrale del Buon Pastore, la Piazza della Costituzione, i resti di un antico castello, il pittoresco centro storico. Rinomata la sfilata dei carri allegorici a Carnevale, le regate in barca, le "Fiestas de barrio" in estate con sfide fra i quartieri della città. Una pubblicazione di 104 pagine presenta ai visitatori la ricca serie di eventi in calendario per il 2016. Nella settimana dal 18 al 24 gennaio è previsto un programma speciale di inaugurazione che coincide anche con la celebrazione della festa del patrono. Per tutto l’anno la città continuerà a offrire numerose proposte culturali incentrati su quattro motivi: pace, vita, voci e conversazioni. Seminari, installazioni, conferenze, degustazioni gastronomiche, laboratori, esposizioni, concerti e proiezioni, troveranno spazio a San Sebastián, il tutto per dimostrare in quanti modi la cultura può contribuire alla costruzione di una società pluralista e pacifica che punta a una migliore convivenza attraverso il dialogo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Medio Oriente: due estremisti ebrei incriminati per il rogo di Duma

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Due incriminati per il rogo di Duma
Due estremisti ebrei sono stati incriminati per un incendio avvenuto la scorsa estate in un’abitazione privata in Cisgiordania in cui morirono un bimbo di 18 mesi e i suoi genitori, mentre il fratello rimase ferito. Si tratta di Amiram Ben Oliel, 21 anni, accusato per l'uccisione dei tre membri della famiglia palestinese, e di un minorenne, di cui non e' stata divulgata la identità, incriminato per averlo assistito nell'attentato. Inoltre, altri tre estremisti ebrei, secondo quanto riportato da radio Gerusalemme, sono stati incriminati per vari episodi di violenza, fra cui uno a danno della Chiesa della Dormizione a Gerusalemme. Tutti sono accusati di far parte di una ''organizzazione terroristica'', ispirata ad una ''ideologia razzista e nazionalista''.

Coloni contro un'abitazione  palestine

Quattro coloni ebrei hanno attaccato la scorsa notte una abitazione nel villaggio palestinese di Beit Furik (Nablus), lanciando sassi e deponendo sul terreno una bottiglia incendiaria, non accesa. Lo ha reso noto Ghassan Daglas, un funzionario dell'Anp addetto al monitoraggio dei coloni, secondo cui gli ultra' hanno tracciato slogan in cui minacciavano di bruciare il villaggio. Alcuni abitanti - ha aggiunto - li hanno pero' messi in fuga. L'episodio si e' concluso senza vittime

Cecchino palestinase spara donna israeliana

Un cecchino palestinese ha colpito oggi presso la Tomba dei Patriarchi di Hebron, in Cisgiordania, una giovane israeliana le cui condizioni sono gravi. Lo riferiscono fonti militari. L'attentatore, che era appostato su un tetto, si e' dileguato. (E.R.)

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11 morti in attacco armato a base aerea nel Punjab indiano

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Ancora scontri armati all'interno della base aerea di Pathankot, nel Punjab indiano. Dopo l'attacco del commando di guerriglieri,  presumibilmente proveniente dal Pakistan, che ha tenuto le forze indiane impegnate per ore in uno scontro a fuoco, le forze di sicurezza, durante un'operazione di rastrellamento, hanno scoperto altri due militanti nascosti ed è scoppiato un nuovo confronto armato.  II bilancio complessivo delle vittime  sale a undici morti, sette militari e quattro assalitori.  Compiuta a poco piu' di una settimana da un inaspettato incontro a Lahore fra i premier indiano e pachistano, Narendra Modi e Nawaz Sharif, l'operazione terroristica e' apparsa agli analisti come un tentativo di contrastare le prove di disgelo in corso fra le due potenze nucleari della regione sud-asiatica. 

Commentando in serata l'accaduto, Modi ha sostenuto che si e' trattato di "nemici dell'umanita' che non possono accettare che l'India si sviluppi, aggiungendo: "ma le nostre forze di sicurezza hanno impedito loro di avere successo". Da parte sua il governo di Islamabad ha diffuso un comunicato di condanna dell'attacco in cui assicura che "rimane impegnato nella cooperazione con l'India ed altre Nazioni regionali per sradicare la minaccia del terrorismo che colpisce la regione".

I guerriglieri, con indosso tute mimetiche militari, sono entrati in azione in piena notte, attorno alle 3,30 locali, riuscendo a penetrare nel primo settore piu' sterno della base, che si trova a poche decine di chilometri dal confine pachistano, lanciando bombe e sparando all'impazzata. Qui, per impedire che il commando raggiungesse l'area nevralgica dove sono parcheggiati i caccia Mig-21 e gli elicotteri Mi-25 dell'aviazione, gli attaccanti sono stati affrontati da reparti speciali della polizia e dell'esercito.

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Mons. Muskus ai giovani della Gmg: lasciate che Dio tocchi i vostri cuori

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“Lasciate che Dio tocchi i vostri cuori con la Sua misericordia e li trasformi”: scrive così mons. Damian Muskus, coordinatore generale della Giornata mondiale della gioventù di Cracovia, in un messaggio indirizzato ai tanti giovani che si preparano all’evento. Mancano, infatti, sei mesi alla Gmg 2016 che si terrà nella città polacca dal 26 al 31 luglio, alla presenza di Papa Francesco.

Dio è fonte di gioia, coraggio e forza
“Preparatevi a sperimentare le straordinarie sorprese che Dio ha preparato per voi – sottolinea il presule, rivolgendosi ai ragazzi – e coltivate il mistero del Signore, che per amore è venuto per noi sulla terra”. Di qui, l’auspicio che “lo splendore della presenza di Dio possa illuminare la vita quotidiana” dei giovani e che “l’amore di Dio possa essere per loro fonte di coraggio, di forza e di gioia”. “Portate tutto questo al vostro prossimo – conclude mons. Muskus – specialmente a coloro che hanno bisogno di speranza e di sostegno, così che diventerete, per il mondo, un chiaro segno dell’amore misericordioso del Padre”.

Preparativi nel mondo. Vescovi francesi: con Gmg, sperimentare amore di Dio
Intanto, in tutte le diocesi del mondo, tantissimi giovani si stanno preparando alla Gmg di Cracovia. In Francia, ad esempio, la Conferenza episcopale locale (Cef) ha dedicato all’evento una sezione speciale del proprio sito web. “Tre motivi per andare alla Gmg di Cracovia”, si intitola la pagina che poi spiega: “Si deve andare alla Gmg innanzitutto perché i giovani polacchi stanno preparando un’accoglienza incredibile; in secondo luogo per sperimentare il grande amore di Dio, davvero in formato extralarge, per i giovani di tutto il mondo; ed infine per incontrare Papa Francesco che ha già detto ‘Io ci vado!’ “.

Mons. Moutel: giovani, dono per tutta la Chiesa
La speciale sezione web riporta anche la riflessione di mons. Denis Moutel, presidente del Consiglio per la Pastorale dei bambini e dei giovani, all’interno della Cef. “I giovani non sono il futuro della Chiesa, bensì il presente – afferma il presule – e, giocando un po’ sulla parola ‘presente’, si può dire che essi sono un dono per la Chiesa”. Di qui, il richiamo che mons. Moutel fa all’evangelizzazione, vera “sfida sia per i giovani che per la Chiesa stessa”, soprattutto perché “la vita cristiana non è praticabile solamente in tempo di bonaccia”, anzi: è soprattutto “nelle nostre povertà, nelle nostre incertezze, nei nostri errori che Dio ci viene incontro” e “ci permette di sperimentare la felicità, attraverso il sacramento della riconciliazione”.

L’importante esempio di San Giovanni Paolo II
“I giovani hanno bisogno dell’amicizia di Cristo – aggiunge ancora mons. Moutel – hanno bisogno di riscoprirsi amati e salvati dalla forza dell’amore del Padre che sempre li attende”. Infine, il presule francese si sofferma sulla figura di San Giovanni Paolo II, il Papa che delle Gmg fu l’ideatore: “Davanti alla barbarie delle ideologie totalitarie del ‘900 – spiega il vescovo – egli mise se stesso e tutta la Chiesa nelle mani della Divina Misericordia, offrendo una speranza al mondo”. (I.P.)

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Visita Papa in Messico: colletta per costruire 2 centri per migranti

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Sarà destinata alla costruzione di due centri di accoglienza per immigrati la colletta nazionale che si terrà in Messico, in occasione della visita del Papa, in programma dal 12 al 18 febbraio. A rivelarlo, in un’intervista a Zenit, è il vescovo di San Cristóbal de las Casas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel, che nei giorni scorsi è stato a Roma per mettere a punto gli ultimi dettagli della visita del Pontefice.

Questione migratoria è particolarmente urgente
“In occasione dell’Anno Santo straordinario della misericordia – spiega mons. Arizmendi – abbiamo deciso di aprire due nuovi centri di accoglienza per gli immigrati: uno alla frontiera con Mazapa ed un altro a Salto de Agua. E la colletta per la visita del Papa sarà destinata a questo progetti”. Il presule sottolinea che la Chiesa locale gestisce già altri tre punti di assistenza per i migranti: uno a Palenque, un secondo a Comitán ed un terzo a San Martín de Porres, inaugurato lo scorso 3 novembre. La questione migratoria, infatti, in Messico è particolarmente urgente: nel Paese arrivano migranti da Guatemala, Honduras, El Salvador, Cuba e, ultimamente, anche da India e Cina.

Allarme per corruzione e disoccupazione giovanile
“Ci addolora moltissimo – racconta il vescovo messicano – vedere gruppi di persone camminare per chilometri e chilometri ed arrivare ai nostri centri di accoglienza con i piedi feriti, piagati. Quello che offriamo loro è un aiuto di prima necessità, come un pasto, un letto, la possibilità di lavarsi. A volte, riusciamo a dare loro anche un aiuto legale per questioni giuridiche”. Un compito non facile, soprattutto in un Paese in cui – è il rammarico di mons. Arizmendi – “il denaro corrompe tutto, a volte anche la Chiesa stessa”. “Molti giovani non trovano lavoro – spiega il presule – ed allora le bande criminali li arruolano tra le loro fila, costringendoli a rubare, uccidere, trafficare droga, pena la morte dei loro familiari”.

Papa Francesco molto apprezzato, riporta tutto all’essenza del Vangelo
Di qui, il richiamo del presule a rafforzare “la Pastorale giovanile e familiare, una vera priorità”. Infine, riguardo alle attese della prossima visita di Papa Francesco, il presule sottolinea come la popolazione messicana lo apprezzi moltissimo, “non solo per la sua semplicità, ma anche perché sta riportando tutto all’essenza del Vangelo. I fedeli lo vedono come una persona tranquilla, ma profondamente consapevole di qual sia la strada giusta da percorrere”. (I.P.)

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Anno Santo a Mauritius: ne parla mons. Piat

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“Riscoprire un tesoro nascosto: la presenza di Dio con noi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”: è questo il senso del Giubileo straordinario della misericordia, indetto da Papa Francesco. A sottolinearlo è mons. Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, nelle Isole Mauritius che, in una riflessione pubblicata sul sito web diocesano, scrive: “L’Anno Santo è l’occasione per rendere grazie a Dio per tutte le piccole luci con cui illumina le nostre vite e che testimoniano, umilmente, la sua vicinanza”.

Donare attenzione al prossimo per mostrargli il volto di Dio

Ma il Giubileo offre anche l’opportunità, sottolinea il presule, di “rileggere la nostra vita per riscoprirvi tutti coloro che ci donano la loro presenza gratuita”, “facendoci del bene”. Guardando, poi, alle festività natalizie, il presule ricorda che “il regalo più grande che si può fare al prossimo è quello di donargli un po’ del nostro tempo, del nostro ascolto, della nostra attenzione, del nostro incoraggiamento” perché “tutto questo potrà portare nella sua vita un piccolo riflesso della presenza di Dio che trasforma l’esistenza”.

Dio è la speranza che illumina la nostra vita

Tuttavia, spiega ancora il presule, il cambiamento che Dio porta nella vita di ciascuno non è “un mutamento spettacolare” bensì è qualcosa di diverso: “È la speranza che illumina il cammino, la forza tranquilla che dimora nell’amore e che lo fortifica, la gioia pacifica che ci permette di andare avanti, con coraggio, nei momenti di difficoltà”, perché il  Signore, “in modo umile e discreto, nella Sua misericordia, si fa prossimo a ciascuno di noi”.

Allarme per famiglia, vittima di indifferenza e persecuzioni arbitrarie

La riflessione del presule si allarga, poi, alla famiglia ed alla sua importanza: facendo un paragone tra la famiglia contemporanea e la Sacra Famiglia, mons. Piat ricorda come essa sia stata “esposta, come tante altre, all’indifferenza generale, rimanendo vulnerabile di fronte alla persecuzione arbitraria dei potenti e costretta all’emigrazione forzata, per avere salva la vita”. Di qui il richiamo conclusivo del presule mauriziano a vivere “la gioia del Natale non come un semplice fuoco di paglia, ma piuttosto come una brace che brilla più discretamente, ma riscalda più a lungo”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 3

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.