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Sommario del 26/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: i cristiani portino nel mondo l’amore di Dio

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La storia della Chiesa è una “storia di amore”, “amore ricevuto da Dio che va portato al mondo”. E’ uno dei passaggi del discorso che Papa Francesco ha rivolto, in Vaticano, ai partecipanti al Congresso Internazionale per il 10.mo anniversario della Deus caritas est di Benedetto XVI, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum. Il Pontefice ha sottolineato che, nell’Anno Giubilare, i cristiani sono chiamati a vivere le opere di misericordia come segno dell’amore di Gesù. L’indirizzo d’omaggio a Francesco è stato rivolto da mons. Giovanni Pietro Dal Toso. Il servizio di Alessandro Gisotti

Una storia di amore, una storia di carità. Papa Francesco sottolinea il valore della prima Enciclica di Benedetto XVI e annota che la carità sta al centro della vita della Chiesa, “ne è veramente il cuore, come diceva Santa Teresa di Gesù Bambino”.

L’amore di Dio è il cuore pulsante della vita di un cristiano
L’Anno giubilare che stiamo vivendo, è dunque la sua esortazione, “è anche l’occasione per ritornare a questo cuore pulsante della nostra vita e della nostra testimonianza, al centro dell’annuncio di fede”:

Dio è amore (1 Gv 4,8.16). Dio non ha semplicemente il desiderio o la capacità di amare; Dio è carità: la carità è la sua essenza, la sua natura. Egli è unico, ma non è solitario; non può stare da solo, non può chiudersi in Sé stesso, perché è comunione, è carità, e la carità per sua natura si comunica, si diffonde”.

“Così Dio associa alla sua vita di amore l’uomo e – sottolinea – anche se l’uomo si allontana da Lui, Egli non rimane distante e gli va incontro”. Proprio questo venirci incontro, soggiunge, “è la sua misericordia, è il suo modo di esprimersi verso di noi peccatori, il suo volto che ci guarda e si prende cura di noi”.

Cristiani siano testimoni dell’amore di Dio nel mondo
“Carità e misericordia – riprende Francesco – sono così strettamente legate, perché sono il modo di essere e di agire di Dio: la sua identità e il suo nome”. E, riprendendo la Deus caritas est, ricorda che “ogni nostra forma di amore, di solidarietà, di condivisione è solo un riflesso di quella carità che è Dio”:

“Egli, senza mai stancarsi, riversa la sua carità su di noi e noi siamo chiamati a diventare testimoni di questo amore nel mondo. Perciò dobbiamo guardare alla carità divina come alla bussola che orienta la nostra vita, prima di incamminarci in ogni attività: lì troviamo la direzione, da essa impariamo come guardare i fratelli e il mondo”.

Ogni istituzione della Chiesa riveli che Dio ama l’uomo
L’Enciclica, prosegue Francesco, ci ricorda che la carità “vuole rispecchiarsi sempre più nella vita della Chiesa”:

“Come vorrei che ognuno nella Chiesa, ogni istituzione, ogni attività riveli che Dio ama l’uomo! La missione che i nostri organismi di carità svolgono è importante, perché avvicinano tante persone povere ad una vita più dignitosa, più umana, cosa quanto mai necessaria”.

Opere di misericordia, segno dell’amore di Gesù
Questa missione, riprende, “è importantissima perché, non a parole, ma con l’amore concreto può far sentire ogni uomo amato dal Padre, figlio suo, destinato alla vita eterna con Dio”. Francesco ringrazia quindi “tutti coloro che si impegnano quotidianamente in questa missione, che interpella ogni cristiano”:

“In questo Anno giubilare ho voluto sottolineare che tutti possiamo vivere la grazia del Giubileo proprio mettendo in pratica le opere di misericordia corporale e spirituale: vivere le opere di misericordia significa coniugare il verbo amare secondo Gesù. E così, tutti insieme, contribuiamo concretamente alla grande missione della Chiesa di comunicare l’amore di Dio, che vuole diffondersi”.

L’Enciclica Deus caritas est, ribadisce, “conserva intatta la freschezza del suo messaggio, con cui indica la prospettiva sempre attuale per il cammino della Chiesa”. Tutti, conclude il Papa, “siamo tanto più veri cristiani, quanto più viviamo con questo spirito”.

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Il Papa incontra i bambini protagonisti del libro "L'amore prima del mondo"

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Ieri pomeriggio è stato reso noto l'incontro privato che il Papa ha avuto con alcuni bambini il 22 febbraio scorso nella sala attigua all'Aula Paolo VI: si tratta dei piccoli di vari continenti che gli hanno scritto alcune domande e alle quali Francesco ha risposto. Ne è nato il libro intitolato “L’amore prima del mondo. Papa Francesco scrive ai bambini” edito dalla “Loyola Press” dei Gesuiti americani, uscito proprio ieri in Italia e riproposto in 14 lingue. Fausta Speranza ci racconta l'incontro dei bimbi col Pontefice: 

"Las preguntas mas dificiles que me han hecho, no fueron en los examenos los profesores...
"Le domande più difficili non me le hanno fatte agli esami i professori, ma i bambini". Così Francesco spiega che “le domande dei bambini sono le più difficili perché i bimbi hanno la capacità di vedere l’essenziale”. Emerge qualcosa che viene dal profondo e che tocca nel profondo l’altro, facendolo maturare. Il Papa saluta ogni bambino e chiede a ognuno da dove venga, con curiosità e simpatia. Passa dall’inglese all’italiano e soprattutto allo spagnolo. Riceve i doni dei bambini: dai cioccolatini del Belgio allo sciroppo d’acero del Canada, da un fischietto irlandese a una ciotola fatta di conchiglie delle Filippine, dagli stivali dell’Australia ai dolci della Sicilia e a una statuetta del Kenya. Alla bimba cinese confida che, di fronte ad un’immagine della Vergine di She Shan, prega ogni giorno per la Cina. In particolare apprezza che siano oggetti e disegni fatti dai piccoli:

"Tu l’hai fatto? (vede un disegno con un Crocifisso) - 'Sì' - Bello, bello! Bravo! Ma facciamolo vedere! Che bel disegno questo! ".

Quando gli domandano quale sia l’aspetto migliore dell’essere Papa, Francesco non ha esitazioni:

"Essere con la gente, essere vicino alla gente mi piace tanto, perché tu sei con un anziano, con un bambino, con un ragazzo, con una ragazza, con un uomo grande. Ognuno ti insegna qualcosa della vita e ti fa vivere la vita, e si fa il rapporto con la gente".

"Per essere felici nella vita - aggiunge - occorre costruire ponti con le altre persone". Poi il riferimento alla sofferenza: Francesco ricorda la domanda del grande Dostoevskij:  “Perché soffrono i bambini?”. E vi assicuro che io, il Papa, che sembra sapere tutto e avere tutto il potere, non so rispondere a questa domanda. L'unica cosa che mi dà la luce è guardare questa Croce, capire perché Gesù ha sofferto, l'unica risposta che posso trovare.

Ancora una domanda che ha il sapore della spontaneità: “Come ci si sente a essere Papa?”: “Mi sento tranquillo – dice Francesco – ma è perché Dio mi dà la grazia di non perdere la pace”:

"La vita di una persona non è così sempre, la vita di una persona e così: ci sono momenti gioiosi e ci sono momenti dove tu sei giù, ci sono momenti di grande amore per Gesù e per i compagni e per tutta la gente, e ci sono momenti dove l’amore alla gente non c’è e tu sei un po’ traditore dell’amore di Gesú; ci sono momenti che ti sembra di essere più santo e altri momenti dove tu sei più peccatore. Ma la mia vita e così. Non spaventarti mai se tu vivi un momento brutto, non spaventarti mai se tu fai un peccato, l’amore di Gesù è più grande di tutto quello, va' da Lui e lasciati abbracciare da Lui".

Il Papa ricorda che quando era bambino voleva fare il macellaio, quella è stata la sua prima vocazione. E quando gli si chiede se è difficile fare il Papa, risponde con semplicità: “E’ facile e difficile, come la vita di ogni persona”. Poi un messaggio essenziale alla domanda di un bimbo:

(Bambino): "Tu, che amore provi per Gesù Cristo, per Dio?".

"Io non so se veramente amo Gesù Cristo, cerco di amarlo, ma sono sicuro che Lui mi ama, di quello sono sicurissimo". 

"Quali santi ammira di più?" domanda un bambino. E il Papa risponde: "Sono amico di Santa Teresina del Bambino Gesù, sono amico di Sant'Ignazio, sono amico di San Francesco", sono i tre Santi che "più mi toccano il cuore".

E infine un messaggio da non dimenticare: “Per Gesù – ricorda Francesco – i bambini erano come il riflesso della strada verso il Padre”.

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Cantalamessa: obbedire alla Parola è seguire le buone ispirazioni

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“Accogliete la parola seminata in voi”: questo il tema della seconda predica di Quaresima tenuta da padre Raniero Cantalamessa per la Curia Romana e alla presenza di Papa Francesco. Proseguendo la riflessione sui principali documenti del Concilio Vaticano II, il predicatore della Casa Pontificia ha proposto una meditazione sulla Costituzione dogmatica “Dei Verbum” che tratta dell’ispirazione divina della Scrittura e nello stesso tempo, del suo rapporto con la tradizione. Una sintesi nel servizio di Adriana Masotti

Con la venuta di Cristo la comunicazione di Dio cambia radicalmente
A differenza degli idoli, il Dio della Bibbia è un Dio che parla. Certo, precisa padre Cantalamessa, si tratta di un parlare diverso dall’umano, un parlare agli orecchi del cuore. In ogni caso, si tratta di un parlare in senso vero. Anzi, prosegue, nessuna voce umana raggiunge l’uomo alla profondità in cui lo raggiunge la Parola di Dio. A volte il parlare di Dio è “un tuono potente, altre volte un vento leggero. Con la venuta di Cristo la comunicazione di Dio cambia radicalmente: la Parola si fa carne, Dio parla anche con voce umana. Il Verbo è stato veduto e udito e tuttavia ciò che si sente non è parola di uomo, ma Parola di Dio, del Figlio di Dio. Il discorso si fa così in prima persona, non più “Così dice il Signore!”, ma “Io vi dico!”.

La Parola, sacramento che opera al di là di noi stessi
Se, secondo Sant’Agostino, il Sacramento è “una Parola che si vede”, per padre Cantalamessa è possibile definire la Parola “un Sacramento che si ode” ed è un Sacramento che opera anche al di là di noi stessi e delle nostre capacità, mettendoci in contatto con la verità e la volontà di Dio, Ma come fare perché la Parola di Dio diventi cammino di santificazione personale? Padre Cantalamessa individua tre momenti suggeriti dalla Lettera di San Giacomo. Il primo è “accogliere la Parola”, sfuggendo alla tentazione di limitarsi alla sola lettura critica ed esegetica, oppure di fermarsi al fondamentalismo, alla sola lettera. La lettura della Parola è insomma, per San Giacomo, un guardarsi allo specchio, non passare il tempo a guardare lo specchio.

La parabola del siminatore
Padre Cantalamessa cita la parabola del seme e del seminatore con cui Gesù ci aiuta a scoprire a che punto ciascuno di noi è in fatto di accoglienza della Parola. Quattro i tipi di terreno in cui essa cade: la strada, le pietre, i rovi, la terra buona:

“Leggendo noi potremmo essere tentati di sorvolare in fretta sulle prime tre categorie, aspettando di arrivare alla quarta che, pur con tutti i limiti, pensiamo sia il caso nostro. In realtà - e qui sta la sorpresa - il terreno buono sono quelli che, senza sforzo, si riconoscono in ognuna delle tre categorie precedenti! Quelli che umilmente riconoscono quante volte hanno ascoltato distrattamente, quante volte sono stati incostanti nei propositi suscitati in loro dall’ascolto di una parola del Vangelo, quante volte si sono lasciati sopraffare dall’attivismo e dalle preoccupazioni materiali. Ecco, costoro, senza saperlo, stanno diventando il vero terreno buono”.

Fissare lo sguardo sulla Parola e metterla in pratica
La seconda tappa del nostro cammino consiste nel “fissare lo sguardo” sulla Parola, nello stare a lungo davanti allo specchio, in sostanza nella meditazione o contemplazione della Parola:

"L’anima che si guarda nello specchio della Parola impara a conoscere 'com’è', impara a conoscere se stessa, scopre la sua difformità dall’immagine di Dio e dall’immagine di Cristo".

Ma per fortuna, commenta il predicatore, nello specchio si riflette anche il volto di Dio e il suo cuore pieno di misericordia. Infine, la terza fase, quella che più sta a cuore a Gesù. Dice l’apostolo Giacomo: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola”:

"Se ascoltiamo con attenzione, ci accorgeremo con sorpresa che non c’è giorno in cui, nella liturgia, nella recita di un salmo, o in altri momenti, non scopriamo una parola della quale dobbiamo dire: 'Questo è per me! Questo è quello che oggi devo fare!'”.

Obbedienza alla Parola di Dio
L’obbedienza alla Parola di Dio è l’obbedienza che possiamo fare sempre. Obbedire alla Parola di Dio significa seguire le buone ispirazioni. E padre Cantalamessa conclude: 

"Una parola di  Dio ti ha suggerito un proposito, ti ha messo in cuore il desiderio di una buona confessione, di una riconciliazione, di un atto di carità; ti invita a interrompere un momento il lavoro e a rivolgere a  Dio un atto d’amore? Non porre indugio; non fare che passi".

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Papa sceglie cardinale Bassetti per le meditazioni della Via Crucis

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Papa Francesco ha scelto il cardinale Gualtiero Bassetti per le meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo che si svolgerà al Colosseo il 25 marzo prossimo. L'arcivescovo di Perugia ha sviluppato nelle 14 stazioni il tema della sofferenza dell’uomo di oggi, della famiglia e delle persecuzioni, sul filo conduttore dell’amore e del perdono. Tiziana Campisi lo ha intervistato: 

R. – La Via Crucis è quella tradizionale, che si innesta sulla meditazione sulla Parola di Dio con una riflessione attenta anche su quanto sta avvenendo nel mondo, soprattutto nei luoghi in cui si soffre per la guerra, la povertà e dove viene violata anche quotidianamente la dignità della persona umana, perché Gesù vive la sua passione personalmente, però la rivive anche nell'umanità. In questa Via Crucis mi sono ispirato a un’opera di un autore molto caro all’Umbria: è il Perugino. Una scena bellissima del Perugino la ricordo nel Monastero di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, dove c’è questa unione alla Passione di Gesù profonda, un’armonia fra la passione dell’uomo e la Passione di Cristo. E poi, per illustrare tutti i contenuti della Via Crucis, ho scelto delle formelle molto belle, che sono qui, nel Seminario di Perugia, in ceramica, degli Anni Trenta. La meditazione è sulle tradizionali stazioni della Via Crucis, però voglio fare anche dei riferimenti al tempo presente, che purtroppo non è privo di croci. Quindi ho cercato di leggere il dolore proprio alla luce del grande amore di Dio per l’umanità, perché altrimenti il dolore non ha senso. Il dolore si può leggere solo alla luce dell’amore di Dio. E nell’Anno della Misericordia è chiaro che l’orizzonte della mia Via Crucis non può essere che quello dell’amore e del perdono.

D. – Quali temi in particolare ha sviluppato nelle 14 stazioni?

R. – La famiglia, infatti, la IV stazione è quella in cui Gesù incontra sua Madre, è stata per me di una intensità unica, quindi, accanto al dramma di Maria il dramma delle nostre famiglie, le situazioni delle nostre famiglie e poi i giovani, il lavoro - sono anche i temi che mi stanno particolarmente a cuore, che certamente ho “spalmato” durante la Via Crucis - i piccoli e grandi drammi degli uomini di oggi, della Chiesa stessa che anch’essa ha bisogno continuamente di purificazione e riconciliazione.

D. – A quali riflessioni vuole indurre il fedele?

R. – Proprio sul fatto che il dramma della Passione di Cristo è vicino al dramma della passione dell’uomo di oggi e che quindi i grandi drammi dell’umanità e della Chiesa hanno bisogno di purificazione e riconciliazione. In fondo, la Passione e la morte di Gesù sono la nostra riconciliazione con Dio. Però, di questa riconciliazione ne abbiamo bisogno personalmente, ma ne ha bisogno anche l’umanità e la Chiesa. Pensiamo anche alla situazione drammatica dei giovani di oggi che stanno perdendo il senso della vita e questo porta anche a drammi, a insicurezze; la stessa precarietà economica; il dover lasciare la propria terra a causa della guerra e della miseria. Ho cercato, alla luce della “Misericordiae vultus”, della Lettera del Papa con cui ha indetto l’Anno Santo, di riepilogare nella Passione di Gesù anche la passione della Chiesa, degli uomini, del mondo, anche con una particolare riflessione sui cristiani perseguitati, perché meditando la morte di Gesù in Croce non si può non fare riferimento alla persecuzione dei cristiani nel mondo contemporaneo. E in questo senso, purtroppo, in alcune zone della Terra, tanti nostri fratelli stanno vivendo nella propria carne questa passione. I martiri del XXI secolo sono indubbiamente gli apostoli di oggi, e come dice giustamente il Santo Padre, quando ti uccidono per odio a Cristo, mica ti domandano se sei cattolico o protestante o ortodosso. E’ proprio in odio alla fede che tu testimoni, che tu esprimi.  Mi sembra che con quello che stiamo vivendo oggi, con l’Anno della Misericordia - questo grande Giubileo - e con tutto l’insegnamento che ci viene anche dai viaggi del Santo Padre, non manchi il materiale per una meditazione abbondante su temi della Via Crucis.

D. – Quali stazioni l’hanno toccata personalmente?

R. – Ho fatto un riferimento alla IV stazione, alla famiglia. E poi sicuramente c’è la stazione della morte in Croce che cercherò di commentare anche con una breve poesia di Turoldo, dove c’è l’assoluta solitudine di Gesù, l’abbandono del Padre, quando veramente ha preso su di sé il dramma di tutta l’umanità. E quello che tutti ci colpisce di più è che Gesù è salito sulla Croce perché ci è voluto salire - e avrebbe potuto evitarlo - e non è disceso dalla Croce e sarebbe potuto discendere, perché era il Figlio di Dio. E quindi è chiaro che la riflessione sulla morte di Gesù rimane sempre il fatto più profondo del cristianesimo, unito – naturalmente – alla Pasqua di Resurrezione.

D. – C’è un messaggio sintetico che vuole dare attraverso la sua Via Crucis?

R. – La Via Crucis di Gesù Cristo mi sembra che quest’anno sia particolarmente la Via Crucis degli uomini, per un motivo o per un altro; ma tutto viene poi concentrato nella luce della Pasqua di Resurrezione: questo è il grande messaggio di speranza che continuiamo a portare. Cristo è morto ed è risorto per la salvezza nostra e del mondo intero.

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Il Papa riceverà in Vaticano il Patriarca Abuna Matthias I

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Dal 26 al 29 febbraio, Abuna Matthias I, Patriarca della Chiesa Ortodossa Tewahedo Etiopica, sarà a Roma per incontrare Papa Francesco. Abuna Matthias I è stato eletto Patriarca della Chiesa Ortodossa Tewahedo Etiopica il 28 febbraio del 2013. Il Patriarca incontrerà Papa Francesco lunedì 29 febbraio. Egli farà inoltre visita al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il Patriarca si recherà anche sulla Tomba dell'Apostolo Pietro. Domenica 28 febbraio, celebrerà la divina liturgia con la comunità etiopica di Roma nella cappella del Collegio Urbano.

Chiesa ortodossa etiope ha mantenuto diverse pratiche ebraiche
Secondo un’antica tradizione, il primo grande evangelizzatore degli etiopi fu San Frumenzio, un cittadino romano di Tiro che era naufragato sulla costa africana del Mar Rosso. Frumenzio fu ordinato vescovo da S. Atanasio di Alessandria e tornò poi in Etiopia per promuovere l'evangelizzazione del Paese. La Chiesa ortodossa d’Etiopia, ricorda una nota del dicastero per l’Unità dei Cristiani, appartiene alla “famiglia” delle “Chiese ortodosse orientali”. Questa Chiesa, unica nel suo genere, ha mantenuto diverse pratiche ebraiche, come la circoncisione, il rispetto delle regole alimentari e l'osservanza dello shabbat del Sabato e della Domenica. La liturgia etiope è di origine alessandrina (copta) ed è influenzata dalla tradizione siriaca. La liturgia è stata sempre celebrata nell’antica lingua Ge’ez fino a tempi molto recenti. Oggi una traduzione della liturgia nell’amharic moderno è usata sempre più nelle parrocchie. Prosegue una forte tradizione monastica. La Chiesa conta oggi 35 milioni di membri. Esiste anche una grande comunità a Roma.

Rapporti cordiali con la Chiesa Cattolica
Per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica, prosegue il comunicato, essi sono cordiali e si intensificano. Il precedente Patriarca della Chiesa ortodossa etiope Tewahedo, Abuna Paulos, ha reso visita a Papa Giovanni Paolo lI nel 1993 e nel 2009 ha visitato Papa Benedetto XVI. All’inizio di ottobre 2009, dietro invito del Santo Padre, Abuna Paulos ha parlato alla II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi sulla situazione del continente africano e sulle sfide che le popolazioni africane devono affrontare. Come membro della “famiglia” delle Chiese ortodosse orientali, la Chiesa ortodossa etiope Tewahedo partecipa ufficialmente alla Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. Nel gennaio 2012, l’incontro della Commissione è stato ospitato ad Addis Abeba da Sua Santità Abuna Paulos I, che è poi deceduto il 16 agosto 2012.

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Giubileo: la Confindustria incontra Papa Francesco

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Domani la Confindustria incontrerà Papa Francesco in occasione del Giubileo dell’Industria. Per oggi ha promosso all'Augustinianum il convegno intitolato “Fare insieme. Sviluppo, istruzione, lavoro”. L’appuntamento serve a riflettere sulle sfide umane ed etiche dell’economia ai tempi della società globale e iperconnessa. Per l’incontro con il Santo Padre è prevista la presenza di 7 mila imprenditori. Il servizio di Eugenio Murrali

Costruire una cultura del crescere insieme, perché l’economia sia il prodotto positivo del lavoro comune, allontanarsi dalla cultura dello scarto, inventare nuovi dinamismi. Questi alcuni degli spunti del Convegno che vede confrontarsi personalità della Chiesa, come i cardinali Calcagno, Vegliò e Ravasi, e rappresentanti della cultura e dell’impresa. Un richiamo al concetto di solidarietà, sottolinea l’economista e presidente dell’Accademia dei Lincei Alberto Quadrio Curzio:

"L’importanza di perseguire la solidarietà, dinamica e creativa, che parte dalla persona ma giunge alle istituzioni. Ciascuno deve trovare il suo posto in questo grande universo di solidarietà, che sarà conseguita nella misura in cui ognuno, nel suo quotidiano, coopererà al bene comune: l’impresa nel fare bene impresa, i soggetti delle forme associative nell’operare bene per il “no profit”, i soggetti della politica e delle istituzioni per essere rigorosi nei loro compiti della democrazia rappresentativa. Quindi la solidarietà. E io credo in questo concetto, che tra l’altro in tutta la Dottrina Sociale, dal 1891 ad oggi – 125 anni – ritorna di continuo con diverse intonazioni, riferite ai diversi momenti storici, ma senza mai cambiare la sostanza. Vedo non solo la possibilità, ma la necessità dell’incontro tra tutte le persone, i soggetti e gli operatori, nei rispettivi campi di vita".

Ma anche un monito all’Europa a non perdere il suo ruolo guida e la sua essenza comunitaria troppo osteggiata dagli egoismi nazionali. Osserva lo storico Marc Lazar:

“Nella situazione attuale dell’Europa, dove c’è tanta inquietudine, tante paure, sia per ragioni economiche, legate alle migrazioni, sia per ragioni politiche, il fatto di cercare di ricostruire un tessuto comune in diversi Paesi, e anche in Europa, è assolutamente necessario. Quindi in questo senso questo convegno è forse una pista, tra tante altre, per ricostruire il sistema Paese, che dovrebbe, però, essere il sistema europeo” .

Il rettore della Luiss Massimo Egidi riflette anche sui nuovi orizzonti aperti dalle macchine e dall’intelligenza artificiale che portano gli uomini ad assumere nuovi ruoli nella catena del valore. E sull’incontro degli imprenditori con il Santo Padre il prefetto della Segreteria per le Comunicazioni, mons. Dario Edoardo Viganò, afferma:

“L’insieme degli imprenditori domani dal Santo Padre significa anche un incontro tra una storia, una storia fatta di valori, di investimento, di patrimoni familiari, di creatività italiana, che si incontra con il Papa che ci richiama al fatto che tutto questo ha come bene centrale il lavoro e il lavoro della persona. Quindi, la persona che può sviluppare sul luogo del lavoro un propria creatività può pienamente realizzarsi. E credo che questo sia un momento, in Italia e in Europa, in cui questo grande patrimonio debba essere ripensato dentro a dei perimetri di un rilancio dell’occupazione, che – appunto – non deve diventare semplicemente uno slogan, ma trasformarsi in politiche concrete”.

Al convegno intervergono altre personalità della politica e dell’economia tra cui Romano Prodi.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: mons. Osvaldo Padilla, Arcivescovo tit. di Pia, Nunzio Apostolico in Corea e in Mongolia, con i familiari; l’onorevole Bodo Ramelow, ministro presidente dello Stato Libero di Turingia, con la consorte e seguito; mons. Aldo Giordano, arcivescovo tit. di Tamada, nunzio apostolico in Venezuela; mons. Jean-Abdo Arbach, B.C., arcivescovo di Homs dei Greco-Melkiti (Siria).

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Card. Tagle visiterà profughi siriani e iracheni in Libano

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Il cardinale Luis Antonio Tagle di Manilla, presidente di Caritas Internationalis, visiterà i rifugiati provenienti dalla Siria e dall'Iraq durante una visita in Libano, da domenica 28 febbraio al 2 marzo. Nei Paesi vicini alla Siria, Caritas Giordania, Caritas Libano e Caritas Turchia continuano a portare aiuti ai rifugiati che sono ormai quasi 5 milioni.

Card. Tagle incontrerà rifugiati e lavoratori migranti
Il cardinale Tagle incontrerà inoltre i lavoratori migranti, compresi quelli provenienti dalle Filippine, che hanno subito abusi da parte dei datori di lavoro e che la Caritas Libano aiuta dando alloggio, assistenza legale, medica e psicologica. Il Libano, ricorda una nota di Caritas Internationalis, ospita più di un milione di Siriani, un peso enorme per un Paese di appena 4 milioni di abitanti, mentre l'Unione europea, con oltre 500 milioni di abitanti, considera una grave emergenza l'arrivo, durante l’anno passato, di un milione di migranti e rifugiati.

Caritas Internationalis rafforza impegno per i profughi
La Caritas distribuisce carburante, stufe, aiuti in denaro, lenzuola, buoni per alimenti o altri prodotti, vestiti caldi per l'inverno, cure mediche gratuite, consulenza legale, protezione e assistenza psicologica. La Caritas considera inoltre l’istruzione una priorità, poiché un’intera generazione di bambini siriani rischia di essere descolarizzata. Caritas Libano serve anche i rifugiati iracheni in fuga dalle persecuzioni. All’inizio del 2016, Caritas Internationalis ha inoltre lanciato la campagna ‘La Pace è possibile’ per porre fine alla guerra in Siria. (A.G.)

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Gasbarri: 47 anni alla Radio Vaticana, un bilancio entusiasmante

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A fine febbraio si conclude il servizio ultra-quarantennale di Alberto Gasbarri alla Radio Vaticana. Lascia la Direzione amministrativa e l’organizzazione dei viaggi apostolici dei Papi. Proprio in questo mese di febbraio ha compiuto la sua ultima missione. In volo verso Cuba, Papa Francesco ha voluto esprimergli pubblicamente la propria gratitudine. Al microfono di Sergio Centofanti, Alberto Gasbarri traccia un bilancio di questi anni: 

R. - Un bilancio senz’altro entusiasmante. Ero giovanissimo. Io avevo 23 anni e lei 38, ma fu amore a prima vista nonostante la differenza di età. Oggi io ne ho 70 e lei 85 ma l’amore è sempre lo stesso. La Radio Vaticana è stata la mia prima famiglia, almeno in senso cronologico, infatti mi sono sposato solo dopo alcuni anni. L’ambiente di lavoro era stimolante e coinvolgente. All’inizio entrai nella Direzione Tecnica come esperto del suono e mi trovai immerso in un piccolo gruppo di tecnici superspecializzati con livelli di preparazione straordinari, ammirati e stimati anche in ambito internazionale. L’ambiente multiculturale delle redazioni linguistiche era esaltante e ti dava l’impressione di vivere al centro del mondo e in tutto il mondo allo stesso tempo. Questo è sempre stato uno dei punti di forza della Radio Vaticana. Dopo circa 47 anni rendo grazie a Dio per avermi dato l’opportunità di svolgere il mio impegno per la Chiesa Universale, essendo consapevole di aver dato il mio modesto contribuito per lo sviluppo di uno strumento di comunicazione efficiente e prestigioso per la diffusione del Vangelo.

D. - Quali ricordi hai di quando sei entrato in radio?

R. - Era la fine del 1969, c’era alla Radio un unico Direttore-Delegato che era Padre Stefanizzi. Un uomo di grandi capacità e preparazione tecnica, e di un rigore che terrorizzava. Per arrivare all’assunzione si dovevano superare diversi sbarramenti con prove selettive teoriche e pratiche che duravano circa due anni. Lui mi ha dato l’imprinting che mi ha plasmato per la vita. Gli sono eternamente grato e ancora oggi gli faccio visita alla sua venerata età di quasi 99 anni. Ci trovavamo a circa metà del Pontificato di Paolo VI. Un Papa di grande sensibilità, cultura, raffinatezza ed umanità. Ovviamente il rapporto che avevo con il Santo Padre allora lo ricordo con una sensazione di grande venerazione ma anche di timore reverenziale, Quelle poche volte che avevo l’occasione di stare al suo cospetto mi paralizzavo e quasi non riuscivo a parlare. Fu un grande Pontefice per lo sviluppo delle comunicazioni. Infatti sulla scia del Concilio Vaticano II diede un impulso formidabile al multilinguismo della Radio con il potenziamento delle redazioni e l’incremento di trasmissioni verso nuove aree geografiche, soprattutto dove la Chiesa era in sofferenza. Per le radio ad Onde Corte e Onde Medie erano gli anni della grande battaglia delle potenze con la guerra fredda e la lotta delle ideologie. Paolo VI fu poi il Papa iniziatore dei viaggi apostolici internazionali, originale connotazione che senza saperlo avrebbe cambiato fondamentalmente la mia vita futura.

D. - Com'è stato il tuo rapporto con i Gesuiti? Per tanti anni sei stato l'unico direttore laico della radio...

R. - Il mio rapporto con loro è stato sempre molto familiare e costruttivo. L’impegno della Compagnia era in quegli anni molto forte, infatti i Padri della Comunità erano allora molto numerosi (circa 35 nelle redazioni linguistiche e nei posti di responsabilità). Dopo la fase del Direttore unico (che era sempre stato un tecnico poiché all’inizio la Radio Vaticana era prevalentemente uno strumento tecnico) si sviluppò un nuovo organigramma con il Direttore Generale che era il P. Martegani, il Direttore dei Programmi che era il P. Blajot e il Direttore dei Gr P. Farusi. Poi c’erano i Padri responsabili delle sezioni linguistiche. Tutti uomini di grande cultura che ti facevano sentire un eterno scolaro apprendista. La mia memoria è tuttora costellata da una galleria di personalità di religiosi di valore che hanno inciso sulla mia formazione di uomo e di cattolico.  Ho avuto l’opportunità di conoscere e frequentare i vari Prepositi Generali ricordando con particolare devozione uomini straordinari come P. Arrupe e P. Kolvenbach. Ed anche il privilegio di lavorare al fianco di forti personalità come P. Borgomeo, comunicatore di razza e manager di grande spessore, di P. Quercetti, dallo spirito missionario puro e disarmante, e tanti altri… fino ai giorni nostri con il caro amico P. Lombardi che tutti ben conoscete.  

D. - I momenti più belli ... e quelli più brutti...

R. - Tra i momenti più belli ricordo certamente la copertura radiofonica dei grandi eventi. In ordine cronologico: il Giubileo del 1975, i due conclavi del 1978,  l’Anno Santo straordinario del 1983, il Giubileo del 2000, l’elezione di Papa Benedetto nel 2005 e quella di Papa Francesco nel 2013. Momenti esaltanti per chi lavora in una Radio e che ti fanno sentire di vivere nella storia. Tra quelli più brutti, il drammatico attentato a Giovanni Paolo II nel 1981, la lunga agonia e morte di Giovanni Paolo II e il senso di vuoto in occasione della rinuncia di Papa Benedetto. Sento ancora quel  dolore dentro di me che scatena la commozione. Ma tra i momenti brutti non posso dimenticare anche la lunga battaglia che la Radio Vaticana ha dovuto sostenere per difendersi dalle ingiuste accuse di creare condizioni di disturbo e pericolo con la sua attività di trasmissione in Onde Corte e Onde Medie. L’emittente vaticana ha sempre osservato scrupolosamente le regole internazionali e si aveva la netta percezione di essere sotto un vero e proprio attacco strumentale.

D. - La Radio Vaticana ora si trasforma. Come vedi la riforma?

R. - Questa riforma è una operazione che secondo me andava impostata già oltre dieci anni fa. Cioè da quando il mondo della comunicazione si stava trasformando in multimediale. Purtroppo però non c’erano ancora le condizioni per favorire una ristrutturazione e una integrazione degli organi mediatici vaticani a causa di alcune rigidità storiche e di una certa inerzia di creatività. A causa delle risorse limitate e della crisi economica si pensava solo a cercare di ridurre i costi con semplici manovre di ripiegamento. Ora il coraggio e la determinazione di Papa Francesco hanno dato una scossa a tutta la Curia per adeguare la macchina organizzativa alle moderne necessità. Però la riforma del settore delle Comunicazioni avrà successo e conseguirà il suo obiettivo di efficienza solo se il coraggio del Santo Padre ispirerà e sarà guida anche per i riformatori altrimenti sarà una manovra inefficace. Sarà però importante che la riforma tenga conto della irrinunciabilità della comunicazione nell’opera di evangelizzazione della Chiesa, con conseguente consapevolezza di costi inevitabili, e della preoccupazione di non prendere come modello di riferimento i due criteri che sono alla base della comunicazione odierna nel mondo che sono quelli del rispetto del sistema economico vigente e della ricerca del gradimento. Perché altrimenti si rischia di ispirarsi proprio a quei modelli di vita e di economia della teoria dello “scarto” che Papa Francesco non condivide.

D. - Non possiamo non parlare dell'attività di organizzatore dei viaggi papali. Ci puoi raccontare qualche aneddoto?

R. - Ovviamente, di aneddoti ne ho tantissimi, ma voglio raccontare uno di quelli che mi capitò proprio quasi all’inizio di questo mestiere molto particolare, che io ho sempre considerato il mio “dopo-lavoro”, perché ho sempre considerato quello della Radio il “primo” lavoro. Si tratta di un aneddoto che rivela la difficoltà di relazione che talvolta si possono avere con certe personalità. Eravamo alla fine del 1982, per preparare il viaggio in America Centrale – il 17.mo di Giovanni Paolo II – che si è svolto nel marzo del 1983. America Centrale, viaggio di nove giorni in otto Paesi: pensate, questo era lo stile di Papa Giovanni Paolo II. Questo episodio accadde in Guatemala. Arrivammo con padre Tucci per fare il primo sopralluogo e come al solito incontrammo il nunzio apostolico e gli alti rappresentanti della Conferenza episcopale del Guatemala. E tra questi alti rappresentanti c’era il famoso cardinale Casariego, che era una delle figure più carismatiche dell’America Centrale, in quel periodo. Dovete pensare che un cardinale negli anni Ottanta era qualcosa di molto più importante di quello che si può considerare oggi: erano figure veramente carismatiche. Il cardinale Casariego accolse padre Tucci e me, vide padre Tucci con il “clergyman” e me vestito naturalmente da laico. Allora chiamò in disparte padre Tucci e gli fece una lavata di testa, dicendo: “Padre Tucci, io posso anche sopportare che lei, gesuita, venga non con la talare ma con il ‘clergyman’, ma non posso sopportare che lei si presenti con un confratello sacerdote vestito da laico!”. Padre Tucci gli rispose: “Ma eminenza, guardi che quello che lei chiama ‘un confratello vestito da laico’ è un laico, perché è il dr. Gasbarri che è un laico, è un mio assistente, stretto collaboratore”. Quindi, il cardinale Casariego: “Ah, ma allora mi deve scusare padre, perché pensavo che fosse un religioso … Ma allora, dobbiamo trovargli subito una bella ragazza, a questo giovane!” – io ero un trentenne … E padre Tucci subito, con la battuta pronta, gli disse: “Ma eminenza, lei adesso sta cercando di favorire un adulterio, perché il dr. Gasbarri è sposato e ha anche due figli …”. Ecco, questo fu il mio primo approccio con uno dei cardinali considerati personaggi storici in America Latina, in quegli anni.

D. - Cosa ti resta nel cuore di questi viaggi?

R. - Mi restano nel cuore sostanzialmente tre cose: l’avere sperimentato la Chiesa vera dal di dentro, con vite fantastiche di spirito missionario e con totale donazione al Signore e all’umanità. L’aver vissuto il lavoro e l’impegno straordinari delle Rappresentanze Pontificie sparse nel mondo e aver conosciuto la fedeltà, il sacrificio e la competenza dei Nunzi Apostolici e di tutto il personale diplomatico della Santa Sede ai quali va la mia profonda gratitudine per tutto il sostegno e la collaborazione che mi hanno dato nello svolgimento del mio non sempre facile compito. Infine la mia personale esperienza professionale insieme al carissimo Padre Tucci che è stato per me maestro di una intera vita e guida spirituale indimenticabile. 

D. - Il tuo rapporto con i Papi: che ci puoi dire?

R. - E’ stato un rapporto di grande devozione e affetto da parte mia. Ma di grande  fiducia, supporto e pazienza da parte loro. Solo con questi ingredienti si può svolgere questo lavoro, altrimenti non si possono ottenere i risultati auspicati.

D. - Infine, ora che farai?

R. - Il risvolto della medaglia della bellezza e della straordinarietà del mio percorso professionale è quello di aver fatto una vita di grande impegno e sacrificio e di aver dovuto rimandare tante cose al futuro dicendo questo lo farò quando avrò tempo. Ecco ora spero che Dio mi dia il tempo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il cuore e la bussola: al Congresso promosso da Cor Unum il Papa parla della carità nella vita della Chiesa.

“Frasi senza fretta” e “Paradosso e avanguardia”: Elena Buia Rutt e Gabriele Niccolò ricordano lo scrittore statunitense Henry James nel centenario della morte.

Pozzi di grazia: Michael Davide Semeraro sulla Quaresima come tempo di recupero e di crescita.

Un articolo di Cristiana Dobner dal titolo “Una storia rimossa”: Marianna d’Asburgo e le difficoltà di una donna a decidere della propria vita.

Il cardinale Jean-Louis Tauran sulla logica del buon vivere: i dieci comandamenti della “Laudato sì”.

Per riparare la casa comune: il vescovo Nunzio Galantino sull’ecologia integrale secondo Papa Francesco.

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Oggi in Primo Piano



Siria, arcivescovo di Homs: da tregua nuove speranze di pace

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Cresce l’attesa in Siria per il cessate-il-fuoco che dovrebbe entrare in vigore dalla mezzanotte di oggi, grazie all’accordo tra Stati Uniti e Russia. Circa cento milizie di insorti hanno comunicato di voler rispettare la tregua. Intanto la Turchia ha espresso i propri dubbi sulla tenuta dell'intesa. Infatti solo oggi sono saliti a 30 i raid russi nella provincia di Aleppo: lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Proseguono anche i combattimenti tra ribelli e governativi nei pressi di al-Tamoura, il villaggio conquistato due settimane fa dai soldati fedeli al presidente Bashar al Assad. Sull’importanza della tenuta di questa tregua ascoltiamo l’arcivescovo melchita di Homs Jean-Abdo Arbach al microfono di Marina Tomarro

R. – Per noi è una grande gioia che ci sia questa tregua, perché potrebbe essere un primo passo per un cammino di vera pace. Stiamo aspettando che sia messa in pratica davvero, perché in essa c’è la speranza che sia la prima scintilla verso la pace. Siamo figli della pace e vogliamo che questo momento tanto agognato diventi un gesto importante non solo per noi ma per tutto il mondo!

D. - Come è iniziata la persecuzione contro i cristiani in Siria?

R. - Con una violenza enorme … uccidendoli in maniera crudele. I terroristi, quando entravano nelle nostre città, invadevano le chiese e subito si scagliavano contro le icone come fossero persone vive sfregiando i loro volti, in segno di disprezzo verso la fede che rappresentavano … Prima della guerra i rapporti tra musulmani e cristiani erano pacifici. In precedenza c’erano stati degli episodi di violenza, ma erano sporadici, e più che in Siria succedevano in Iraq o in Libano … ma era più un dare fastidio che un vero odio. Con l’arrivo della guerra tutta l’ostilità è invece uscita fuori, le violenze si sono moltiplicate in una maniera spaventosa.

D. - Quanto è importante che i cristiani restino in Siria?

R. – A nessuno piace essere strappato dalla propria casa, è una cosa crudele inumana. Ed è li la spiegazione del perché non dobbiamo lasciare la nostra terra, perché ci siamo nati e vissuti, è il nostro ambiente, per questo vogliamo rimanere! E per questo chiediamo aiuto all’Europa! Innanzitutto vi chiediamo preghiere e poi domandiamo con forza che cessi la guerra, basta con tutta questa violenza! Bisogna far capire a chi è al potere di non andare oltre, di non dividere ancora il Medio Oriente ma di aiutarlo ad essere più unito. La nostra terra è patrimonio di tutti, e tutto il mondo conosce il massacro che stiamo subendo. Se questa sorgente di civiltà viene distrutta totalmente, cosa succederà poi? Io personalmente in questo momento cerco di essere uno strumento di Dio per aiutare tutti coloro che hanno bisogno, cristiani e musulmani, non c’è differenza, siamo tutti fratelli!

D. - Cosa potrebbero fare di più gli aiuti internazionali?

R. - Finché ci sono gli interessi economici nessuno riuscirà ad aiutarci davvero. Chi governa deve cambiare la mentalità, per darci un vero aiuto, non solo quello scritto sulle carte. Tutte le guerre vengono fatte per interessi economici e la nostra purtroppo non fa eccezione.

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Consiglio d'Europa: misure Ue su immigrazione violano diritti umani

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"Molte" delle misure adottate dai governi dell'Ue sull'immigrazione sono in contrasto con le norme europee sui diritti umani. È la denuncia del commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muizniek, il quale ha anche parlato di minaccia alla coesione sociale. E mentre migliaia di persone continuano a fuggire dalle violenze, soprattutto in Siria, sale la tensione tra Grecia e Austria. Massimiliano Menichetti

Non usa mezzi termini Nils Muizniek nei confronti di muri, controlli e filo spinato adottati da diversi Paesi del Vecchio Continente per contenere l’arrivo dei migranti. “I Paesi europei stanno entrando sempre più in un circolo vizioso - dice - chiudendo le loro frontiere ai richiedenti asilo”. Secondo Muizniek "molte" delle misure adottate dai governi dell'Ue "non sono solo sono in contrasto con le norme europee sui diritti umani, ma sono anche dannose per la coesione sociale” e oltretutto “inefficaci". Intanto continua l'esodo di migliaia di persone che scappano dalle violenze, soprattutto in Siria. Si tenta la sorte attraversando il Mediterraneo partendo dalla Libia o a piedi lungo la cosiddetta rotta balcanica appena superata la Grecia. E mentre c’è chi lotta per poter vivere, sale la tensione diplomatica tra Austria e Grecia: quest’ultima ha rifiutato una richiesta di visita del ministro dell'Interno viennese. Ieri è stata la volta del ministero degli Esteri ellenico che ha richiamato in patria per consultazioni l'ambasciatore a Vienna in segno di protesta per il mancato invito al summit organizzato proprio dall'Austria con i Paesi balcanici sul tema immigrazione. Vienna vuole imporre un tetto sull’accoglienza: 80 persone al giorno e 3.200 in transito. L’Unione Europea è sempre più divisa: da una parte c’è chi invoca aperture, dall’altra chi pensa al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne; tra le proposte, “l'obbligo” per gli Stati responsabili, in prima linea Italia e Grecia, di condurre controlli sistematici anche sui cittadini europei.

Molte le Organizzazioni internazionali impegnate per aiutare i migranti. Luca Collodi ha raggiunto telefonicamente, sull'isola greca di Lesbo, Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the Children: 

R. – L’isola di Lesbo è quella sulla quale è arrivato il maggior numero di persone; gli sbarchi non sono mai finiti. Al campo sono registrate 1.500 persone; anche noi abbiamo assistito a uno sbarco spontaneo, perché qua è diverso dall’Italia: arrivano direttamente sulle coste con questi gommoncini sui quali entrano 20-30 persone e invece ne arrivano 70-80; sbarco di famiglie con bambini anche molto piccoli  … Vengono poi portati tutti, grazie anche all’aiuto di tante organizzazioni volontarie – ce ne sono moltissime presenti sull’isola – vengono portati in questo campo. Dopodiché, una volta che sono registrati, si allontanano, vanno a prendere il traghetto per Atene, perché l’obiettivo di quasi tutti è appunto quello di raggiungere il confine e di proseguire per il Nord Europa. E a questo proposito io sottolineo che noi siamo molto preoccupati per la recente decisione dell’Europa di chiudere le proprie porte ai rifugiati afghani in un periodo in cui il numero delle vittime civili in Afghanistan ha raggiunto livelli altissimi. Dividere rifugiati e migranti alle frontiere sulla base della sola nazionalità, viola il diritto internazionale e nega alle persone il diritto di essere ascoltate e di essere prese in considerazione nelle loro istanze individuali.

D. – Tra l’altro, il problema è che l’Europa non riesce a dare una risposta unitaria a questa crisi: questo è un po’ il tema, anche, della chiusura dei confini... 

R. – Non riesce a darla ed è quella che, tra l’altro, noi invochiamo. Chiediamo che venga creato un sistema di asilo europeo, che vengano inoltre protette e accolte queste persone, assicurando loro anche una via di accesso legale e sicura, perché sappiamo bene che l’unica via di accesso, al momento, è quella di consegnarsi nelle mani dei trafficanti.

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Unioni civili. Aibi: il "grande bluff" delle adozioni gay

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All’indomani del sì del Senato, grazie al voto di Pd, Area popolare e verdiniani, alla fiducia sul maxiemendamento alle Unioni Civili, la senatrice del Pd Cirinnà rilancia il tema delle adozioni gay: “Un ddl in materia - ha detto -  è quasi pronto. Verrà incardinato alla Camera, dove i numeri sono sicuri, in modo che arriverà al Senato blindato”. Il testo licenziato ieri da Palazzo Madama non prevede la stepchild adoption e l’obbligo di fedeltà, ma le associazioni cattoliche parlano di confusione tra matrimonio e unioni gay. Il portavoce del Family Day Gandolfini definisce la legge “incostituzionale” e si appella al presidente Mattarella. “Un grande bluff quello messo in atto dal governo sulle adozioni” denuncia Marco Griffini, presidente dell’Associazione Ai.Bi, amici dei bambini, che da anni si batte per una riforma delle adozioni internazionali. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Si è rivelato un bluff, nel senso che se si voleva sistemare quei 500 casi di coppie omosessuali conviventi che hanno i figli, questo lo si poteva tranquillamente fare con la legislazione attuale. Solo il Tribunale di Roma in questi ultimi tempi ha regolarizzato 16 casi di adozione del figliastro. Evidentemente il ddl Cirinnà aveva tutto un altro scopo. Effettivamente adesso il bluff si è scoperto, perché a pochissime ore dall’approvazione della legge sulle unioni civili, sono incominciati i discorsi sulla riforma delle adozioni. Adesso è come un vantaggio, perché effettivamente si è creato una sorta di credito nei confronti delle coppie omosessuali che, private del diritto all’adozione, lo vanno a reclamare addirittura con la riforma legislativa.

D. – Anche qualora non venisse fatta la riforma delle adozioni con questo maxiemendamento, si sente di dire che non è affatto scongiurata la possibilità delle adozioni per le coppie omosessuali?

R. – Ma, io direi che adesso rispetto all’altro ieri hanno una cosa in più, nel senso che – come si diceva prima – già si potevano sistemare le adozioni del figliastro. Adesso con il fatto di avere un riconoscimento, di essere comunque registrati come coppie di fatto, l’equiparazione al matrimonio con un semplice ricorso alla magistratura è molto più facile rispetto a prima. Basta ripercorrere la storia dell’Irlanda per vedere come è iniziato il discorso per il riconoscimento del matrimonio alle coppie gay, dell’adozione alle coppie gay: è iniziato proprio così.

D. – La vostra battaglia da anni è quella di chiedere una riforma organica delle adozioni internazionali. Proprio in queste ore la relatrice del disegno di legge sulle unioni civili, Monica Cirinnà, ha detto: “Un ddl sulle adozioni per le coppie omosessuali è quasi pronto; verrà incardinato alla Camera e arriverà al Senato blindato”. Come accogliete queste dichiarazioni?

R. – Le accogliamo molto male, perché chiaramente la strada adesso è aperta. La riforma delle adozioni, se partirà come partirà, sarà centrata su un unico obiettivo, che sarà quello di aprire alle coppie omosessuali.

D. – La politica, dunque, diciamo, apre le porte, apre la strada alla riforma delle adozioni con speciale riguardo alle coppie omosessuali, lei sta dicendo, mentre le vostre richieste da più anni avanzate restano ignorate?

R. – Resteranno ignorate, perché purtroppo, come si vede, in Italia, manca il dibattito parlamentare. Questa vicenda delle unioni civili lo ha dimostrato: non c’è stato nessun passaggio in Commissione parlamentare. Già lo vediamo noi il prossimo cammino di questa riforma delle adozioni internazionali: partirà una linea governativa e si arriverà magari a porre anche qui la fiducia, perché si vuole arrivare a questo obiettivo di aprire le adozioni agli omosessuali.

D. – Mentre voi con altrettanto tempismo che cosa avreste desiderato?

R. – E’ quello che stiamo chiedendo da anni. In Commissione Giustizia, al Senato e alla Camera da anni giacciono delle proposte di riforma delle adozioni internazionali che hanno l’obiettivo di incrementare le adozioni, di renderle molto più facili. Non dimentichiamo, infatti, che questo dibattito sugli omosessuali nasconde quella che è una drammatica realtà: oggi noi in Italia abbiamo 5 milioni 450 mila coppie eterosessuali coniugate senza figli.

D. – Desiderose di avere figli?

R. – Tutte le indagini che sono state svolte dimostrano non solo che queste coppie vorrebbero avere dei figli ma non possono averne perché sono sterili, ma addirittura non vorrebbero limitarsi ad un solo figlio, ma a più figli. E quindi noi abbiamo questo enorme esercito che nessuno considera, perché tutta l’attenzione è stata posta in questo dibattito su 7500 coppie di omosessuali conviventi.

D. – Avete una richiesta al governo in questo momento?

R. – Noi già sappiamo quali saranno le linee di questa riforma che spazzerà via totalmente tutto il mondo del no profit, quindi anche le realtà cattoliche. E’ successo anche in Inghilterra: quando l’Inghilterra ha aperto l’adozione agli omosessuali, le agenzie cattoliche hanno posto l’obiezione di coscienza. Per cui queste agenzie cattoliche inglesi si sono opposte e le autorità hanno detto loro: “No, l’adozione internazionale è un servizio pubblico: o voi vi attenete a quello che è la legge o non operate più”. E quindi, di fatto, hanno chiuso. Siamo molto preoccupati perché il futuro non è per nulla roseo.

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G20 a Shanghai. Allarme Ocse: rallentano economie avanzate

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Si apre il G20 finanziario a Shanghai, in Cina, che sul tavolo vede i timori dell’Ocse che segnala un preoccupante rallentamento delle economie avanzate e di quelle emergenti che coinciderebbero con uno stallo delle riforme, la cui urgenza sottolinea anche il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Lagarde. Riforme che, tuttavia, dovrebbero essere stimolate anche nella vasta fetta del Sud del mondo, per ora assente dall’agenda del G20, come sottolinea al microfono di Paola Simonetti, l'esperto di economia internazionale, Riccardo Moro: 

R. – Quello di cui stiamo parlando, quando parliamo di G20, è una parte del problema e mi si permetta di dire che è una parte molto piccola. A settembre, le Nazioni Unite hanno lanciato l’Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibili, che sono incentrati sulla riduzione delle disuguaglianze nel pianeta. Quando parliamo del G20 parliamo di una parte irrilevante del Prodotto Interno Lordo mondiale e parliamo di una minoranza della popolazione mondiale: stiamo parlando di una élite, che è sempre meno élite nel momento in cui è inclusa la Cina, che ha una popolazione evidentemente molto grande; ma non teniamo conto di quelle che sono le esigenze, significativamente diverse, delle parte rilevante del Pianeta che sta nell’emisfero Sud, in cui livelli di benesseri come quelli che sono comuni a Paesi membri del G20 sono ancora estremamente lontani.

D. – Sul tavolo del G20 si dovranno fare delle proposte concrete, urgenti, a lungo termine. Secondo lei, quali sono i Paesi che avranno più bisogno - diciamo - di dimostrare di avere in programma qualche cosa di concreto?

R.- Quello che deve mostrare maggiore cambiamento è la Cina, perché la Cina è sicuramente la seconda economia del mondo, il motore delle dinamiche che abbiamo in questo momento, perché è quella che ha abituato il mondo ad avere trend di crescita molto elevati. Però la Cina ha una condizione particolare, perché tuttora il suo cambio è amministrato dall’autorità, il valore della moneta cinese non è determinato dal mercato.

D. – Per quanto riguarda, invece, l’Italia: le raccomandazioni sono soprattutto su fisco e lavoro, dal momento che - è evidente - la disoccupazione giovanile resti l’emergenza…

R. - Per l’Italia queste preoccupazioni sono sensate. Ci sono tre cose, in Italia, che destano preoccupazione: la prima, il grave stato dell’occupazione e in particolare della disoccupazione giovanile; la seconda, l’esposizione debitoria, che sicuramente comporta una riduzione degli strumenti fiscali a disposizione del governo; e, infine, il terzo elemento è quello della raccolta fiscale, che è tuttora influenzata e debilitata da una troppa forte evasione fiscale.

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Elezioni Irlanda: esito incerto, rischio ingovernabilità

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Giornata di voto in Irlanda per le elezioni politiche. Lo spettro dell’ingovernabilità aleggia su questa tornata elettorale, visto che difficilmente il Fine Gael del premier Enda Kenny - dato intorno al 30% - e i laburisti, riuniti in una coalizione di governo riusciranno a riconquistare la maggioranza dei seggi. Formare una  coalizione con il partito di opposizione Fianna Fail, sembra quindi l’ipotesi più praticabile. I seggi chiuderanno questa sera alle 22 locali e lo scrutinio dei voti inizierà domani, quando verranno pubblicati anche gli exit poll. Per un commento sulla situazione politica e sulle maggiori sfide che aspettano il nuovo governo, Marco Guerra ha intervistato Concetto La Malfa giornalista italiano residente in Irlanda, editore di italvideonewstv.net: 

R. – C’è un elettorato abbastanza disorientato in queste elezioni, perché molta gente che aveva votato il Fine Gael, che è stato al governo con i laburisti, è ora alquanto delusa, perché non ha fatto quello che aveva promesso. Per cui è probabile che ci sarà una perdita da parte del Fine Gael, da parte dell’associato Partito Laburista; però le perdite di questi due partiti non andranno probabilmente al Fianna Fáil, che è stato il partito al governo durante il periodo del crash. Per cui ci sarà una dispersione di voti, che andranno ai piccoli partiti che si sono fatti avanti, soprattutto ai partiti più piccoli tipo Sinn Fein, il partito nazionalista, e altri partiti tipo Social Democrats, i Verdi, il Partito contro l’austerità e altri piccoli partiti. Quindi l’ingovernabilità è possibile, però è probabile anche che ci sia un governo di coalizione fra Fianna Fail e i laburisti. Questo è quello che si sente. Però, forse, le cifre non lo permetteranno…

D. – Ma quali sono stati i temi in agenda della campagna elettorale e le sfide che attendono il futuro dell’Irlanda?

R. – I senzatetto; la povertà, che è sempre in crescita; la situazione della sanità, che è un po’ in una situazione critica: questi sono i temi principali. La posizione un po’ strana è quella del Fine Gael, appunto, che ha promesso di eliminare la Universal Social Charge (Usc), che praticamente è una tassa introdotta da qualche anno. Tutti gli altri partiti si chiedono come farà mai, senza queste entrate per lo Stato, a curare certi problemi. Rimane sempre un problema di fondo: tutte le politiche vengono orientate a dar più soldi in tasca soprattutto ai meno abbienti e il costo della vita in Irlanda continua a crescere: il costo dell’elettricità, il costo del gas, il costo dell’assicurazione delle macchine, il costo del bollo delle macchine, il costo delle assicurazioni private per la sanità… Un altro problema di fondo è quello relativo agli affitti, perché non c’è assolutamente alcun controllo proprio per quanto riguarda gli affitti, che data la penuria di locali a disposizione sono alle stelle; così come sono alle stelle i costi delle case.

D. – Che Paese è oggi l’Irlanda? Siamo lontani dagli anni della "Tigre Celtica", in cui l’economia cresceva a ritmi elevati…

R. – Durante la Celtic Tiger  - la "Tigre Celtica" - c’è stato il vero boom economico, in cui – bene o male – quasi tutti avevano avuto il loro guadagno. Adesso, invece, se c’è piccola ripresa, questa ripresa non si trasmette nelle classi meno abbienti: questo è il problema…

D. – Le dinamiche continentali hanno un peso su questo voto: il vento antieuropeista spira anche in Irlanda?

R. – Per induzione, più che altro… Per induzione rispetto alla situazione che sta avendo luogo nel Regno Unito, con la proposta del referendum se rimanere o uscire dall’Ue. Tutti sanno che quello che succederà in Inghilterra - positivo o negativo che sia - si rifletterà automaticamente anche sull’Irlanda, perché l’Irlanda e l’Inghilterra sono sempre state legate da rapporti commerciali abbastanza sostanziali.

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Mattarella inaugura anno accademico Università di Palermo

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Inaugurato questa mattina a Palermo alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, l’anno accademico dell’Università degli Studi del capoluogo siciliano. “Le risorse europee - ha detto il rettore Fabrizio Micari - non sono poche e se si riusciranno a spendere bene, si riuscirà a incentivare lo sviluppo”. Il servizio è di Alessandra Zaffiro

Un lungo applauso e l’inno di Mameli cantato da un coro di bambini hanno accolto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Teatro Massimo che ha partecipato all’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Ateneo palermitano:

“Le università devono essere co-protagoniste di una nuova stagione di crescita e di sviluppo - ha detto il rettore, Fabrizio Micari - Non è immaginabile che il nostro Paese possa mantenere o addirittura rafforzare il suo ruolo nell’ambito delle maggiori e più avanzate potenze economiche mondiali con una percentuale di laureati tra le più basse in Europa”.

“E’ necessario garantire il diritto allo studio - ha aggiunto il rettore - consentendo agli studenti di scegliere liberamente in base alle proprie vocazioni e aspirazioni, riducendo o addirittura annullando, le tasse di iscrizione per gli studenti meno abbienti e più meritevoli soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia".

Nella prolusione sul tema “Diritto, religione, cultura: verso una laicità inclusiva”, Mario Giuseppe Ferrante, docente di Diritto Canonico ed Ecclesiastico ha evidenziato come “compito dello Stato sia quello di superare l’apparente ‘Babele religiosa’ e fungere da ‘sistema di riferimento organizzante’ (Gestalt), garantendo l’attuazione del principio del pluralismo religioso tutelato dagli articoli 8 e 9  della Costituzione, senza però perdere o indebolire la propria identità culturale”.

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Via Crucis a Roma per vittime tratta: 120 mila donne schiavizzate

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Sette “stazioni” per esprimere solidarietà alle donne vittime della tratta, prostituzione coatta e violenza. E’ la Via Crucis organizzata stasera a Roma dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, in collaborazione con la Pastorale Vocazionale della Diocesi di Roma, che partirà alle 19.30 dalla Chiesa di Santo Spirito in Sassia per arrivare fino alla Chiesa Nuova. Oltre ad alcuni interventi, come quello del cardinale vicario Agostino Vallini, sono previsti momenti di preghiera, meditazioni e testimonianze delle vittime salvate dalla tratta. “Sarà una Via Crucis vivente, molto coinvolgente", spiega don Aldo Buonaiuto, coordinatore dell'iniziativa”. Luca Collodi lo ha intervistato: 

R. – Vivente perché tocca di fatto la vita, il calvario - in questo caso - di tante donne che sono state trafitte, torturate, proprio come Gesù, che sono state ingannate, rinnegate, e allo stesso tempo derise e violentate nel corpo ogni giorno: sono le donne schiavizzate, le donne che non hanno voce, che non possono neanche protestare perché sono ridotte in schiavitù, che sono sui marciapiedi di Italia per soddisfare i bisogni  perversi di oltre 9 milioni di maschi italiani che durante l’anno vanno a comprare il loro corpo. Subiscono la schiavitù e le loro catene sono da una parte le minacce che subiscono e dall’altra le ritorsioni nei confronti dei loro familiari. E’ una Via Crucis che vuole dare anche speranza, non ci fermiamo alla morte, ma vogliamo andare oltre, guardando a Gesù. Vogliamo dare speranza a queste persone.

D. – Don Aldo, come Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, voi seguite le ragazze che si prostituiscono, che sono sfruttate. Qual è la situazione in Italia e a Roma?

R. – Purtroppo in tutto il territorio nazionale c’è una situazione drammatica e in espansione e con i viaggi della disperazione dei profughi il fenomeno è triplicato. Abbiamo tantissime ragazze, molte delle quali sono minorenni, circa il 37 per cento. Anche su Roma il fenomeno è aumentato, tante, tante ragazze nigeriane e romene. Dai Paesi dell’Est arrivano prevalentemente romene, albanesi, ma anche moldave, ucraine. Un fiume di ragazze sulle strade, oltre 120mila, e non hanno scelta. Non si sta parlando delle donne che lo vogliono fare, qui c’è la criminalità organizzata. Ogni giorno in tutta Italia ci sono indagini, ci sono arresti, che purtroppo non fanno tanta notizia e rimangono nei trafiletti delle cronache locali. Eppure questo fenomeno è molto, molto diffuso, presente. Viviamo questo degrado mentale in cui la persona può essere comprata. Oggi tutto si può comprare, si può acquistare il corpo per motivi sessuali, si può acquistare l’utero in affitto, davanti a tutte queste cose che si ritiene si possano fare, noi vogliamo dire che è invece inammissibile. Dobbiamo ribellarci e sentire insopportabile questa ingiustizia, quella cioè di pensare che ci sono persone di serie B che devono soddisfare i bisogni di altre persone.

D. – Dobbiamo anche constatare che ci sono molti italiani che usano il corpo di queste donne volutamente…

R. – Esatto, i cosiddetti clienti sono i maschi italiani. Come ho detto sono 9 milioni e l’età va dai 30 ai 50 anni. Io li incontro, parlo con loro, dicono di essere sposati, di essere fidanzati, molti dicono che le mogli addirittura lo sanno e che tollerano questa situazione, perché preferiscono che i loro mariti vadano con le prostitute piuttosto che avere un’amante, è qualcosa veramente di uno squallore incredibile. Anche queste donne che difendono i loro maschi, invece di mettersi dalla parte di queste ragazze che potrebbero essere le loro figlie. Qui bisogna compiere una svolta. Ecco, il modello nordico che l’Unione europea chiede di recepire, e cioè di fermare la domanda. E’ un cambiamento di mentalità, occorre capire che una relazione, la più intima, anche quella sessuale, non si può acquistare. Casomai si deve conquistare, ma non acquistare.

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Nella Chiesa e nel mondo



Europa: promozione della pace, tema della Plenaria della Comece

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“La vocazione dell’Europa a promuovere la pace nel mondo” sarà il tema che impegnerà i 27 vescovi membri della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) nel corso della loro Assemblea plenaria di primavera, in programma a Bruxelles dal 2 al 4 marzo. In una nota dell’organismo episcopale, ripresa dall’agenzia Sir, si spiega che “i vescovi della Comece saranno aggiornati da esperti riguardo la situazione geopolitica ai confini meridionali e orientali esterni dell’Ue e le nuove sfide per la sicurezza”.

Federica Mogherini invitata all’incontro
A partecipare all’incontro – sottolinea la nota – “è stata invitata” anche Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la sicurezza, per riferire “sul profilo di una nuova strategia globale” dell’Unione europea in questo ambito. All’attualità geopolitica si affiancherà, poi, una riflessione teologica ed etica sul valore della pace che sarà guidata da don Seán Healy, membro del Social Justice dell’Irlanda. I vescovi della Comece discuteranno, inoltre, una bozza di documento sulla vocazione dell’Europa nella promozione della pace nel mondo, preparata congiuntamente dalla Comece stessa e dalla Commissione europea Giustizia e pace.

Centrale la riflessione sulla questione dei rifugiati
Un momento sarà poi specificamente dedicato alla questione dei rifugiati in Europa, con un intervento del vescovo austriaco Ägidius Zsifkovics, che terrà una relazione sulla situazione attuale e riferirà i frutti dell’incontro svoltosi alla metà di febbraio ad Heiligenkreuz, alla presenza dei  vescovi rappresentanti dei Paesi di ingresso, transito e destinazione dei flussi migratori contemporanei. (I.P.)

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Nigeria. Card. Onaiyekan: occorre rinascita spirituale

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In Nigeria, occorre una rinascita spirituale sincera, morale e nazionale, che faccia da antidoto efficace alle sfide socio-economiche del Paese: è la sottolineatura fatta dall’arcivescovo di Abuja, card. John Onaiyekan, in occasione della Plenaria dei vescovi locali, svoltasi nei giorni scorsi sul tema “La Chiesa cattolica: promuovere la misericordia, la giustizia sociale e la pace”. Due, in particolare, le grandi sfide che la Nigeria deve affrontare, evidenziate dal porporato: la corruzione e l’insicurezza, da risolvere non solo attraverso gli sforzi del governo attuale, ma anche in collaborazione con tutta la popolazione.

Puntare sulle “armi spirituali” del Paese per rifondarlo
Esortando, quindi, tutti i nigeriani a sostenere la nazione, il card. Onaiyekan ribadisce: “Dobbiamo mobilitarci tutti, senza sottovalutare l’importanza delle ‘armi spirituali’ perché le sfide del Paese hanno profonde radici morali”. Di qui, l’appello del porporato ad avviare un processo di introspezione in ogni cittadino, anche perché “l’incapacità di affrontare in modo adeguato l'insurrezione terroristica è strettamente legata alla massiccia corruzione criminale” nel Paese. Tuttavia, ha ammonito l’arcivescovo di Abuja, di fronte ad episodi di fondi pubblici finiti nelle tasche di privati, non deve prevalere solo la rabbia: “Dobbiamo cercare un modo positivo ed efficace di andare avanti, guardando ai nostri valori comuni spirituali e religiosi”.

Lotta alla corruzione
“Da molti anni – ha ribadito il porporato – la Chiesa sta conducendo una guerra contro la corruzione con le armi appropriate della preghiera e dell’esortazione”, perché per rifondare adeguatamente il Paese “bisogna andare al di là dei processi legali e puntare ad una seria rinascita morale, nazionale e spirituale”. La strategia da mettere in atto, allora, ha suggerito il porporato, può essere quella “delle tre 'R', ovvero pentimento (in inglese repentance, ndr), riparazione e riconciliazione”.

La sfida del terrorismo di Boko Haram
Guardando, inoltre, alla sfida della lotta al terrorismo, fenomeno patito soprattutto nella parte nord-orientale della Nigeria a causa del gruppo Boko Haram, il card. Onaiyekan ha espresso la sua tristezza per la perdita di uomini nei combattimenti e per lo spreco di denaro investito nell’acquisto di armi, esortando, al contrario, a trovare nuove strategie, diverse dalla guerra, per porre fine agli attacchi terroristici. “In generale, i membri di Boko Haram – ha concluso il porporato – non sono stranieri. Invece che pensare ad ucciderli, allora, avrebbe più senso cercare di convincerli a tornare a far parte delle nostre comunità”. (I.P.)

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Spagna: Gmg e Sinodo al centro della riunione dei vescovi

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La Giornata mondiale della gioventù (Gmg) di Cracovia ed il Sinodo dei vescovi: questi i temi principali al centro della 237.ma riunione della Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola, svoltasi a Madrid il 23 e 24 febbraio. Riguardo alla Gmg in programma nella città polacca il prossimo luglio, la nota conclusiva dei lavori sottolinea che “attualmente sono 21 mila i giovani già pre-iscritti, mentre altri 7 mila fanno riferimento direttamente alla Conferenza episcopale locale (Cee)”.

Facilitare la partecipazione dei giovani alla Gmg
Si prevedono, inoltre, numerosi pellegrinaggi di vari gruppi di fedeli, insieme a 48 vescovi spagnoli che prenderanno parte all’evento. “Stiamo lavorando – ha spiegato il direttore della Pastorale giovanile all’interno della Commissione episcopale per l’apostolato dei laici, Raul Tinajero – per creare diversi itinerari così da facilitare la partecipazione di tutti i giovani alla Gmg, attraverso programmi di aiuto alle singole diocesi”.

Proposti i temi per il prossimo Sinodo dei vescovi
Quindi, i presuli hanno riflettuto sulle proposte da presentare al Sinodo dei vescovi, in vista di una prossima Assemblea generale ordinaria. “Al momento – spiega la nota – non è ancora stato stabilito quando si terrà il prossimo Sinodo, ma la Santa Sede, come da regolamento, ha chiesto comunque alle Conferenze episcopali del mondo di suggerire eventuali temi da trattare”. Tali proposte, “insieme al parere della Segreteria generale del Sinodo, verranno consegnate al Papa che poi sceglierà, definitivamente, l’argomento da affrontare nella prossima Assemblea”.

Ad aprile, in programma l’Assemblea plenaria
La Commissione permanente dei vescovi iberici ha, inoltre, discusso la bozza del documento “Gesù Cristo, Salvatore dell’uomo e speranza del mondo”: presentato da mons. Adolfo González Montes, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, il testo verrà analizzato nel corso della prossima Assemblea plenaria che si terrà dal 18 al 22 aprile. Già approvato, invece, il Piano pastorale 2016-2020, che per quest’anno si concentrerà sul tema “La Chiesa, annunciatrice e lievito del Regno di Dio”.

Riflessione sui frutti del Congresso eucaristico internazionale di Cebu
All’esame anche i frutti del 51.mo Congresso eucaristico internazionale, svoltosi a Cebu, nelle Filippine, alla fine di gennaio. Infine, la Commissione episcopale permanente spagnola ha approvato lo stanziamento di fondi per l’illuminazione di alcune chiese e cattedrali del Paese. (I.P.)

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Vescovi Paraguay: donne, ruolo storico in costruzione società

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"I vescovi del Paraguay salutano tutte le donne nel loro giorno e ricordano il ruolo storico che hanno avuto e hanno ancora nella costruzione della società e della cultura": così il messaggio della Conferenza episcopale del Paraguay (Cep) in occasione della "Giornata della donna del Paraguay" che si celebra ogni anno il 24 febbraio.

Donne ricostruiscono fede e dignità dei popoli
"Le donne paraguaiane hanno la memoria e il dna di quelle che hanno ricostruito la vita, la fede e la dignità del nostro popolo – hanno scritto i vescovi, citati dall’agenzia Fides – e per questo sono chiamate ‘le più gloriose d'America’. Malgrado le situazioni difficili che molte di loro vivono, infatti, sono esempio quotidiano di lotta e di resistenza".

Violenza contro la donna, grande male della società
Di qui, la condanna dei presuli agli "atti di violenza maschilista contro le donne e le ragazze”, definiti come “uno dei grandi mali della nostra società”. “Sollecitiamo le istituzioni competenti - ha sottolineato ancora la Cep - ad agire con fermezza dinanzi a questi fatti, a migliorare le politiche pubbliche e a riconoscere il valore delle donne contro ogni tipo di abuso nei loro diritti".

24 febbraio, data simbolica
La data del 24 febbraio come “Giornata della donna del Paraguay” non è casuale: in questo giorno, infatti, si commemora la "Prima Assemblea delle donne americane", svoltasi ad Asunción nel 1867. L'incontro vide la partecipazione delle donne della capitale e anche dell'intero del Paese, che di comune accordo decisero di raccogliere i loro gioielli per aiutare la causa della guerra del Paraguay. La legge che stabilisce la celebrazione dell'evento è, invece, del 1974, anno in cui le Nazioni Unite celebravano "l'Anno internazionale della donna". (I.P.)

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A Seul aperte le Porte Sante in memoria dei martiri coreani

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Per ricordare i 150 anni dall’inizio della persecuzione anti-cristiana in Corea, l’arcidiocesi di Seoul ha aperto tre Porte Sante in altrettanti santuari dedicati ai primi martiri della Chiesa cattolica locale. Si tratta del mausoleo di Jeoldusan, del santuario di Saenamteo e della chiesa cattolica di Yakhyeon. Alla cerimonia di apertura, svoltasi il 23 febbraio – spiega l’agenzia AsiaNews - hanno partecipato circa  2 mila fedeli per ogni luogo. L’evento rientra nell’Anno dedicato alla commemorazione del martirio, proclamato dall’arcivescovo della capitale, il cardinale Andrew Yeom Soo-jung.

Card. Yeom: i martiri, esempio di fede radicata
Inaugurando l’Anno commemorativo nella cattedrale Myeongdong, nel cuore di Seoul, il porporato ha sottolineato: “Se guardiamo ai cattolici di 150 anni fa, la nostra fede oggi sembra più debole, nonostante la libertà religiosa di cui godiamo. Per questo dobbiamo ricordare i nostri predecessori, che hanno conservato la fede e hanno continuato a credere anche nelle situazioni più dolorose”. È importante, ha concluso il card. Yeom, “meditare su questo esempio. Non possiamo andare avanti senza riflettere sul nostro passato. Il Signore ci aiuti a seguire l'esempio dei martiri, e a vivere una vita al servizio degli altri”.

La singolare storia della Chiesa cattolica coreana
La storia della Chiesa cattolica in Corea, Paese di tradizione buddista, ha avuto un inizio singolare. La Corea, infatti, non è stata evangelizzata da missionari stranieri, ma da laici e laiche coreani. Il primo secolo cristiano nel Paese (1784-1884) è stato tuttavia segnato da durissime persecuzioni costate la vita a 10 mila martiri, pari all’incirca alla metà dell’intera Chiesa dell’epoca. I cristiani hanno ottenuto la libertà religiosa solo dopo la firma del Trattato tra Corea e Francia nel 1886. Ma questa libertà non è durata a lungo, perché durante l’occupazione giapponese della Penisola, dal 1910 al 1945, la Chiesa coreana ha vissuto sotto il rigido controllo dell’Impero del Sol Levante. La riconquista dell’indipendenza, dopo la sconfitta del Giappone nel 1945, non ha portato la libertà a tutto il popolo coreano. La Corea, infatti, è stata spaccata in due parti, a Sud e a Nord del 38° parallelo. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 57

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.