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Sommario del 22/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Dio vuole i suoi pastori fedeli, dediti, misericordiosi

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“Collaboratori di Dio” a immagine del Buon Pastore. È l’invito che Papa Francesco ha rivolto ai vertici della Curia Romana nella Messa giubilare presieduta nella Basilica vaticana, nel giorno della festa liturgica della Cattedra di San Pietro. “Nei nostri ambienti di lavoro”, ha detto il Papa, “nessuno si senta trascurato o maltrattato”, ma faccia l’esperienza della misericordia. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Talari e mozzette, cravatte e cappotti. Le une accanto agli altri in processione sotto la Porta Santa, poi ancora vicine durante la Messa in Basilica. Sono le “divise” di chi presta servizio nella Curia Romana e in tutti i dicasteri e istituzioni collegate alla Santa Sede. Divise di sacerdoti e di laici, diverse nella foggia ma unite dalla “stoffa” dell’unica domanda che investe, spiega Papa Francesco, chi è al servizio del Papa e della Chiesa. La domanda di Gesù ai suoi più intimi: “Voi chi dite che io sia?”.

Cuore nuovo
Il Papa è partito da qui, da un quesito che, afferma subito all’omelia, è chiaro e diretto e di fronte al quale “non è possibile sfuggire o rimanere neutrali, né rimandare la risposta o delegarla a qualcun altro”. Una domanda che non però ha “nulla di inquisitorio, anzi, è piena di amore”, e bussa al cuore per chiedere disponibilità:

“Lasciamo che la grazia plasmi di nuovo il nostro cuore per credere,  e  apra  la  nostra  bocca  per  compiere la professione di fede e ottenere la salvezza. Facciamo nostre, dunque, le parole di Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente’”.

Chiesa salda su Cristo
Gesù, ripete il Papa, “è il fondamento e nessuno ne può porre uno diverso. Lui è la ‘pietra’ su cui dobbiamo costruire”, la roccia grazie alla quale, osservò S. Agostino, la Chiesa regge “pur agitata e scossa per le vicende della storia”:

“Non crolla, perché è fondata sulla pietra, da cui Pietro deriva il suo nome. Non è la pietra che trae il suo nome da Pietro, ma è Pietro che lo trae dalla pietra; così come non è il nome Cristo che deriva da cristiano, ma il nome cristiano che deriva da Cristo”.

Non trascurare nessuno
Da questa professione di fede, prosegue Francesco, “deriva per ciascuno di noi il compito di corrispondere alla chiamata di Dio”. Qui il Papa si rivolge in particolare a cardinali e vescovi, ai pastori, perché siano profondamente ciò questo vocabolo evoca secondo il Vangelo, cioè pronti con la pecora smarrita, quella ferita, quella malata:

“Fa bene anche a noi, chiamati ad essere Pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione. Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni. Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore”.

Fedeltà e misericordia
Imitandolo, conclude Francesco, “siamo chiamati ad essere i collaboratori di Dio” nell’“impresa fondamentale e unica” di testimoniare la vita della grazia:

“Lasciamo che il Signore ci liberi da ogni tentazione che allontana dall’essenziale della nostra missione, e riscopriamo la bellezza di professare la fede nel Signore Gesù. La fedeltà al ministero bene si coniuga con la misericordia di cui vogliamo fare esperienza. Nella Sacra Scrittura, d’altronde, fedeltà e misericordia sono un binomio inseparabile. Dove c’è l’una, là si trova anche l’altra, e proprio nella loro reciprocità e complementarietà si può vedere la presenza stessa del Buon Pastore”. 

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Rupnik: far emergere in ogni Curia persone libere da se stesse

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Libera, disponibile, generosa, che si apre: questa è la Chiesa per padre Marko Ivan Rupnik, il teologo gesuita, direttore del Centro Aletti, che stamani in Aula Paolo VI ha inaugurato con una meditazione il Giubileo della Curia Romana e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede, al quale partecipano anche i dipendenti laici e i loro familiari. Il servizio di Giada Aquilino

La nostra fede è “accoglienza di una vita” e questo è il compito della Chiesa: “manifestare di quale grazia, di quale bontà siamo stati destinatari”, cioè far vedere al mondo cosa Dio abbia fatto di noi, scorrendo “attraverso l’umanità”. È stata una meditazione sul senso della misericordia nella vita quotidiana quella che padre Rupnik ha tenuto in Aula Paolo VI, alla presenza del Papa, per il Giubileo della Curia Romana e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede:

“In qualche modo, non la Curia Romana, ma ogni Curia rischia certamente la tentazione di acquisire un carattere un po’ para-statale, para-imperiale, come nel passato. Ed è una tentazione tremenda: perché questo mette nel cuore la funzione, la struttura, l’istituzione, l’individuo ‘che è in funzione di...’”.

Sarebbe uno “scandalo”, ha detto il padre gesuita, “far vedere al mondo che viviamo il Cristianesimo come una realtà individuale”: la Chiesa, ha aggiunto, si contraddistingue per “un modo di strutturarsi, di governare, di dirigere, di gestire” che è comunione, che è inclusione. “Dietro una Chiesa brava - ha osservato - non si incamminerà mai nessuno”, ma ciò avverrà di fronte a una “Chiesa bella”, che dentro i suoi gesti e le sue parole faccia “emergere un altro, il Figlio e, ancor più, il Padre”: così l’uomo potrà diventare “luogo della vita, come comunione e misericordia”:

“Com’è bello quando senti qualcuno che ha avuto a che fare con qualsiasi Curia e dice: sai, ho trovato delle persone libere, libere da se stesse, che si offrono, disponibili, generose, che aprono. Quante ce ne sono! E bisogna farle emergere”.

Questa è la missione della Chiesa:

“Coprire la distanza tra noi e il nostro uomo contemporaneo, ferito come noi, dolente come noi, provato come noi: più saremo provati come tutti gli uomini, più saremo misericordiosi, perché questo è il sacerdozio di Cristo. È stato provato in tutto per essere sacerdote misericordioso. E così coinvolgeremo le persone in un desiderio di vita nuova”.

D’altra parte è il Signore “l’unico che può coprire la distanza che separa l’uomo perduto, peccatore, morto, da Dio vivente”. L’uomo, da solo, non può farlo: tale capacità di Dio di “raggiungerci” è la stessa identità di Dio “verso di noi e verso la Creazione, cioè la misericordia”. Passando in rassegna vari passi biblici, il teologo si è soffermato sul brano di Giovanni in cui Cristo si presenta come la vera vite e il Padre è il vignaiolo: la vita quotidiana diventa “il luogo” dove chi è stato raggiunto dalla misericordia la rivela, proprio “perché vive la vita che è comunione, cioè include l’altro”:

“Se passa attraverso di noi questa vita di Dio, l’uomo è capace di portare il frutto che rimane, è capace di avvolgere il suo lavoro nell’amore che rimane in eterno, perché torna al Padre: ciò che l’uomo può rivelare è la sua divina umanità in Cristo”.

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S. Egidio: la pena di morte sia un capitolo del passato

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All’indomani dell’accorato appello di Papa Francesco per una moratoria universale della pena capitale, i fondamentali diritti alla vita e alla dignità della persona sono stati al centro del convegno promosso dalla Comunità di Sant’Egidio alla Camera dei deputati e incentrato sul tema “Per un mondo senza pena di morte”. Il servizio di Amedeo Lomonaco

L’appello del Papa per una moratoria della pena capitale nel mondo durante l’anno della Misericordia ha irrorato il ricco confronto tra rappresentanti e ministri della Giustizia di 30 Paesi, non solo di Stati abolizionisti. Dal 1786, anno in cui il Granducato di Toscana fu il primo Stato ad abolire legalmente la pena di morte, sono stati compiuti molti passi verso un mondo senza questa piaga. Nell’ultima votazione all’Onu per la moratoria universale delle esecuzioni capitali, sono stati 114 i Paesi a favore. Durante il Convegno, si è anche ricordato che, dopo l’Europa, l’Africa si appresta a essere il secondo continente libero dalla piaga della pena di morte.

Card. Marx: la giustizia sia sempre legata alla misericordia
Il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha ricordato che la misericordia per i cristiani ha il volto di un uomo, condannato a morte, che ha perdonato i propri carnefici. Per preservare l’umanità – ha aggiunto il porporato – bisogna difendere la società dalla sete di vendetta. La giustizia – ha spiegato – deve essere legata alla misericordia. Uccidere in nome della giustizia deve essere considerato un tratto del passato, non quello della nostra civiltà.

Il giudice Huber: la pena di morte svilisce l’uomo
Peter M. Huber, giudice della Corte Costituzionale tedesca ha ricordato che la Germania nazista ha ‘banalizzato’ la pena di morte, applicata durante gli anni di regime per una ampia casistica di reati. La pena di morte – ha spiegato il giudice – viola la dignità umana perché non risponde a una esigenza di prevenzione o a una istanza di educazione, ma solo a un desiderio di vendetta o a un presunto valore di deterrenza. In questi casi, però, l’essere umano diventa un oggetto della politica statale. La pena di morte svilisce dunque l’uomo, lo riduce ad un mezzo per un fine politico.

Marazziti: il terrore e la paura non diventino una trappola
Anche il linguaggio – ha detto il presidente della Commissione Affari sociali della Camera, Mario Marazziti – mostra il diffuso senso di vergogna nei confronti della pena di morte. Si utilizza infatti il verbo giustiziare, non uccidere. Si usa il termine esecuzione e non omicidio, ha detto Marazziti. Oltre a comprendere l’ipocrisia delle parole, bisogna anche arginare le trappole del terrore. Il sedicente Stato islamico, ha ricordato, vuole paralizzare con la paura anche il mondo occidentale. In questo mondo, dove la morte è esibita e spettacolarizzata, il suo rifiuto – ha affermato Marazziti – è quindi una esigenza di giustizia, una parola di vita.

Il ministro sudafricano Masutha: ora prevale il diritto alla vita
Alcuni ministri di giustizia di Paesi, scossi da violenze e da conflitti, hanno descritto la virtuosa parabola che, attraversando pagine di ingiustizie e di sofferenze, ha completato l’iter verso l’abolizione della pena di morte. Il ministro della Giustizia in Sudafrica, Michael Masutha, ha ricordato come la pena di morte sia stato uno strumento utilizzato nel periodo dell’Apartheid. Nel 1996, ha spiegato, la pena capitale in Sudafrica è stata abolita perché ritenuta incompatibile con il diritto alla vita, saldamente correlato a quello della dignità umana. La storia, ha aggiunto, ha insegnato che in Sudafrica, come altrove, la pena di morte non ha avuto la funzione di deterrenza.

Il ministro cambogiano Ang Vong Vathana: ergastolo anche per reati gravi
Il ministro della Giustizia della Cambogia, Ang Vong Vathana, ha ricordato che nel Paese asiatico per reati gravi, tra cui crimini di guerra e contro l’umanità, la pena massima può essere l’ergastolo. Il ministro cambogiano ha anche ricordato che in recenti processi nei confronti di esponenti del regime dei “Khmer Rossi” – responsabile dal 1975 al 1979 della morte di oltre due milioni di persone – non sono state emesse sentenze di condanna a morte. Ogni Paese, ha auspicato Ang Vong Vathana , consideri la possibilità di applicare l’amnistia e di abolire la pena capitale.

Il ministro della Sierra Leone Kamara: abolizione della pena capitale anche de iure
Tra i vari interventi si registra, infine, quello del ministro della Giustizia della Sierra leone, Joseph Kamara. Lo Stato africano, Paese abolizionista de facto, è stato scosso da una sanguinosa guerra civile finita nel 2002. Il virus dell’Ebola – ha aggiunto il ministro – ha recentemente diffuso paura e incertezza. Ma prosegue il processo di revisione della Costituzione per rafforzare la difesa dei diritti umani. Ed è già incardinato l’iter per l’abolizione, anche nell’impianto del diritto, della pena capitale. 

All’Angelus, Papa Francesco ha lanciato un appello rivolto ai governanti cattolici chiedendo loro di compiere un gesto “coraggioso ed esemplare”. “Nessuna condanna – ha auspicato il Papa – venga eseguita in questo Anno Santo della Misericordia”. Sull’accorato appello del Pontefice all’Angelus, Amedeo Lomonaco ha intervistato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo

R. – Un appello forte che impegna i governanti cattolici, presidenti o capi di governo o uomini politici, perché – come il Papa ha già detto in aereo tornando dal Messico – se uno si dichiara cristiano, questo va verificato anche nelle scelte concrete. Noi cristiani crediamo al Comandamento “Non uccidere”. Dunque, credo che questo appello del Papa scuoterà veramente parecchie coscienze nel mondo, a partire dagli Stati Uniti. Io mi ricordo molto bene che, nel 1986, Giovanni Paolo II, quando convocò le religioni ad Assisi per pregare per la pace, chiese un giorno di tregua mondiale dalle guerre, che effettivamente si verificò. Quindi, con la stessa speranza, guardo a questo appello del Papa.

D. – Guardiamo con speranza, dunque, all’appello del Santo Padre. Il Papa ha anche aggiunto che nell’opinione pubblica è sempre più diffusa la contrarietà alla pena di morte. Anche questo è un ulteriore segno di speranza…

R. – Sì e mi pare che nel discorso del Papa ci sia veramente un appello a una giustizia che si rinnova in cui atti come quelli della vendetta di Stato, rappresentata dalla pena di morte, siano superati, siano atti del passato. Quindi, questo discorso del Papa guarda al futuro e dà una responsabilità a tutti coloro che governano i Paesi in cui c’è ancora la pena di morte di collocarsi nell’età contemporanea, nell’età di oggi, in cui dovrebbero essere garantiti pienamente i diritti umani.

D. – All’età di oggi e anche allo scenario futuro guarda il Convegno “Per un mondo senza la pena di morte”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Quali sono i temi su cui si articola questo incontro, questo appuntamento?

R. – E’ il nono appuntamento che la Comunità di Sant’Egidio organizza, convocando ministri della giustizia un po’ da tutti i contenenti – più di 30 – che rappresentano sia Paesi in cui vige ancora la pena di morte, "de jure" o "de facto", sia Paesi che la hanno già abolita. Perché questo Convegno? Per provare, scambiandosi delle esperienze e vedendo l’evoluzione dei Paesi che hanno abolito la pena di morte, a rassicurare Stati che ancora la detengono che proprio senza la pena di morte la giustizia funziona meglio. E lo Stato è più capace di garantire anche la sicurezza dei suoi cittadini. L’altro motivo è quello di sostenere la grande campagna, che si sta facendo a livello di Nazioni Unite, sulla proposta di moratoria universale della pena di morte. L’ultimo voto ha avuto un grande successo: sono 114 gli Stati favorevoli alla mozione. Di anno in anno crescono e quindi vogliamo essere anche un sostegno al grande lavoro che si sta facendo in sede di Nazioni Unite.

D. – Volendo fare proprio un punto sulla situazione della pena di morte nel mondo, quali sono i dati più salienti?

R. – Oggi, ci sono dei tentativi di reintroduzione da parte di alcuni Stati oppure di applicazione in Paesi che la avevano abolita "de facto", perché il terrorismo e la violenza diffusa pongono nuovi problemi. Oggi, dopo l’Europa, che è il primo continente libero dalla pena di morte, grazie al lavoro di Sant’Egidio e di altre organizzazioni l’Africa si sta avviando ad essere il secondo continente. Poi, c’è la grande evoluzione che comincia a esserci in alcuni Stati americani che proprio recentemente hanno abolito la pena di morte. Quindi, questa evoluzione positiva potrebbe avere una ricaduta importante. 

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Nomina episcopale in Guatemala

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In Guatemala, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Zacapa y Santo Cristo de Esquipulas il sacerdote Ángel Antonio Recinos Lemus, del clero della diocesi di Jalapa e parroco della parrocchia di "Nuestra Señora de Lourdes" in El Progreso Achuapa nella medesima diocesi. Il neo presule è nato il 2 agosto 1963 in Azulco, Jalpatagua, Dipartimento civile di Jutiapa, diocesi di Jalapa. Ha compiuto gli studi elementari nella "Escuela Rural Mixta de Azulco" (1970-1975) e gli studi secondari presso l' "Instituto Básico de Moyuta", Jutiapa (1976-1978). Ha concluso gli studi secondari conseguendo il Baccellierato in "Ciencias y Letras" (1979-1980). Dal 1981 al 1985 ha fatto studi di "Ingenieria en Sistemas" presso la "Facultad de Informática y Ciencias de la Computación" dell'Università Statale "Francisco Marroquín" a Città di Guatemala. Dal 1985 al 1986 ha lavorato nel campo dell'informatica per il conto di varie imprese. Dal 1987 al 1989 fece studi di filosofia nell'Università "Rafael Landívar". Dal 1990 al 1993 ha fatto gli studi di teologia nel Seminario maggiore nazionale di "Nuestra Señora de la Asunción" a Citta di Guatemala. È stato ordinato presbitero il 3 dicembre 1994 ed incardinato nella diocesi di Jalapa. La sua vita sacerdotale ha poi seguito le seguenti tappe: 1994-1995: Incaricato del Seminario minore della diocesi di Jalapa e della Parrocchia "Santa Catarina Mártir", Quezada, Jutiapa; 1995-1996: Vicario parrocchiale in Quezada, EI Progresso Achuapa e Santa Catarina Mita, Jutiapa; 1997-2000: Rappresentante diocesano per la pastorale indigena presso la Conferenza Episcopale di Guatemala e Membro della Commissione per l'organizzazione delle Assemblee diocesane; Parroco della parrocchia "San Luis Rey de Francia", San Luis Jilotepeque, Jutiapa; 1998-1999: Rappresentante nazionale negli incontri latinoamericani della Red de Informatica de la Iglesia en América Latina (RIIAL), tenutosi nella Repubblica Domenicana ed in Messico; 2000-2003: Studi presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, dove ha ottenuto la Licenza in Teologia biblica. 2004-2005: Formatore e Professore di Sacra Scrittura nel Seminario maggiore nazionale di "Nuestra Señora de la Asunción", Città di Guatemala. 2005-2009: Direttore accademico dell'Istituto di Teologia del Seminario maggiore nazionale di "Nuestra Señora de la Asunción", Città di Guatemala. Docente di Sacra Scrittura nell'Istituto di Teologia del Seminario maggiore nazionale di "Nuestra Señora de la Asunción", presso la Università "Rafael Landívar" e nell'Università Mesoamericana (Teologado Salesiano). 2009-2016: Parroco della parrocchia di "Santiago Apóstol", Mataquescuintla, Jalapa. Nel marzo 2012 fu anche nominato "Subcoordinador de la COPADENA: Comision Pastoral de Defensa de la Natureleza" della diocesi di Jalapa. Attualmente è Parroco della parrocchia di "Nuestra Señora de Lourdes", El Progreso Achuapa, Jutiapa.

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Radio Vaticana: p. Lombardi conclude servizio. Procede unificazione con Ctv

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In vista della conclusione del servizio presso la Radio Vaticana del direttore generale, padre Federico Lombardi, e del direttore amministrativo, dott. Alberto Gasbarri, a fine febbraio, il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò – acquisita l’indicazione della Segreteria di Stato – ha nominato ad interim dal primo marzo prossimo il dott. Giacomo Ghisani, legale rappresentante dell’emittente e responsabile della direzione amministrativa della Radio Vaticana, “affinché curi l’ordinaria amministrazione” della Radio “nel contesto attuale della ristrutturazione dei media vaticani”. Padre Federico Lombardi lascia la "Radio del Papa" dopo 26 anni di straordinario servizio: nel 1990 era arrivato a Palazzo Pio come direttore dei programmi, quindi nel 2005 è stato nominato direttore generale. In occasione di tale decisione, la Segreteria per la Comunicazione ha pubblicato una nota su cui ci riferisce Alessandro Gisotti

Prosegue il processo di unificazione dei media vaticani, in linea con il Motu proprio  di Francesco che il 27 giugno scorso istituiva la Segreteria per la Comunicazione affinché tutte le realtà che si occupano di comunicazione "vengano accorpate in un nuovo Dicastero della Curia Romana": si tratta di Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Sala Stampa della Santa Sede, Servizio Internet Vaticano, Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, L'Osservatore Romano, Tipografia Vaticana, Servizio Fotografico, Libreria Editrice Vaticana. Già dal primo gennaio scorso, il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e la Sala Stampa della Santa Sede sono realtà accorpate, “dal punto di vista amministrativo e di management”. Nulla viene invece “modificato circa la competenza della Segereteria di Stato per quanto attiene alla comunicazione istituzionale”.

Nel 2016 accorpamento di Radio Vaticana e Centro Televisivo Vaticano
Il 2016, si legge in una nota del dicastero presieduto da mons. Dario Edoardo Viganò, secondo la tabella di marcia “presentata e approvata, prevede il lavoro complesso ma certamente positivo di accorpamento di Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano (Ctv), unificazione in parte già avviata nella pratica per alcuni servizi”. La nota cita ad esempio “il servizio cerimonie per la produzione e la distribuzione dell’audio e del video delle cerimonie papali e di altri importanti eventi vaticani e per il migliore impiego di alcune risorse umane”. In questo quadro, prosegue il comunicato, “si comprende il motivo per cui, all’uscita – alla fine del mese di febbraio – per ragioni di scadenza dei rispettivi mandati quinquennali e pensionistiche di due figure dirigenziali”, il direttore generale padre Federico Lombardi e il direttore amministrativo, Alberto Gasbarri, “non si proceda alla loro sostituzione con analoghe figure dirigenziali, ma alla nomina di un Legale rappresentante e di un responsabile dell’ufficio amministrativo, nell’unica figura del dott. Giacomo Ghisani, attualmente già vicedirettore della Direzione generale della Segreteria per la Comunicazione e ottimo conoscitore della realtà della Radio Vaticana per avervi lavorato molti anni come responsabile dell’ufficio legale e relazioni internazionali”.

Radio e Ctv, insieme per valorizzare patrimonio dei due media 
Ancora, si evidenzia che il “processo di ristrutturazione si accompagna a quello della formulazione di nuovi Statuti non solo del dicastero, ma anche del previsto Ente Collegato che garantirà la rappresentanza legale sia nelle sedi istituzionali che in quelle europee ed internazionali”. Oltre ai “nuovi Statuti – informa la nota – si provvederà anche nella riformulazione delle Tabelle organiche della nuova realtà unificata”. “Il lavoro che ci attende – si legge ancora – è una grande occasione per poter valorizzare, in entrambi gli Enti, le aree di eccellenza e il patrimonio costituito dal multilinguismo e multiculturalismo”. In questa fase, informa la Segreteria per la Comunicazione, il Ctv continuerà a fare riferimento a Stefano D’Agostini “per l’ordinaria amministrazione”. Il personale di Radio Vaticana, oltre al dott. Giacomo Ghisani per le questioni amministrative, farà rifermento – per quanto riguarda l’attività redazionale e la situazione delle diverse redazioni linguistiche, (cioè l’attuale direzione dei Programmi), al padre Andrezej Majewski, mentre per gli aspetti tecnologici, compresi acquisti e sviluppo progetti (cioè l’attività e le competenze dell’attuale direzione tecnica) all’ing. Sandro Piervenanzi. La Segreteria per la Comunicazione, prosegue la nota, “seguirà con cura e attenzione tale processo, per agevolare soluzioni di eventuali difficoltà e garantirne il successo”. 

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In un convegno solidarietà tra Onu e religioni per gli aiuti umanitari

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Organizzazioni umanitarie, istituzioni e leader religiosi si sono riuniti oggi in Vaticano per il convegno “Riaffermare la solidarietà globale, ricostruire l’umanità”. L’evento, promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali si pone l’obiettivo di aumentare gli aiuti umanitari e migliorare le condizioni materiali e spirituali di milioni di persone colpite da guerre e disastri naturali. Il servizio di Michele Raviart

Sono 125 milioni le persone al mondo bisognose di aiuti umanitari. Di queste, solo tre quarti riesce a ricevere assistenza e questo sebbene gli sforzi della comunità internazionale non siano mai stati così grandi. Oltre 25 miliardi di dollari sono stati stanziati solo nel 2014, cifra inferiore del 40% rispetto agli impegni presi dai governi. Cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas internationalis

Queste vittime non sono numeri, non sono statistiche, ma persone umane! E l’aiuto è anche un appello al mondo: ma dove sta l’umanità? I soldi e il denaro, che vengono dal governo per l’aiuto caritativo è molto meno rispetto alle spesse di questi governi per i conflitti.

Per colmare il "gap" umanitario sarebbero necessari 15 miliardi di dollari, una cifra irrisoria rispetto ai 78 mila miliardi prodotti dall’economica mondiale, spiega Kristalina Georgieva, vicepresidente della Commissione europea e copresidente del gruppo dell’Onu sul finanziamento umanitario.

"It is very important to bring more donors…
E’ molto importante riuscire a portare più donatori. Oggi, solo cinque Paesi fanno fronte ai due terzi degli aiuti umanitari. Ma molto importante è anche il settore privato, che è praticamente assente da quest’area: soltanto il 5% di aiuti arrivano infatti dal settore privato, che avrebbe la creatività, l’abilità, le potenzialità per fornire non soltanto soldi, ma soluzioni alle crisi".

Le organizzazioni e i rappresentanti giunti in Vaticano si rivolgono quindi direttamente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu affinchè faccia il possibile per eliminare guerre e conflitti, che sono le radici di ogni emergenza umanitaria. Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia accademia delle scienze sociali:

"Noi dobbiamo aiutare le Nazioni Uniti in questa missione umanitaria così importante per questi milioni di persone che soffrono, ma anche per tutta l’umanità: evidentemente questa sofferenza si ripercuote in tutti gli esseri umani. Vogliamo che lo spirito della religione e lo spirito delle Nazioni Unite convergano in una specie di sinergia spirituale, perché in definitiva questi spiriti vengono dal Santo Spirito, che è uno solo e che muove la gente ad aiutare il prossimo e i beni alla misericordia, come dice il Papa".

In questo senso, le religioni possono essere un importante veicolo per l’azione umanitaria, anche alla luce dell’Enciclica "Laudato si'", in cui si invita l’umanità ad abbracciare “un’etica globale di giustizia, misericordia e pace”. Mons. Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati:

“Evidentemente la fede religiosa – quella cristiana e come anche tante altre – può essere veramente una fonte e uno stimolo per un impegno sempre più grande. Dopotutto, nostro Signore Gesù Cristo ha dato la sua vita per l’umanità. Noi dobbiamo imitare questo impegno e compiere i sacrifici necessari per migliorare la vita di tante persone bisognose nel mondo di oggi”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un gesto coraggioso: all'Angelus dedicato al viaggio in Messico il Papa chiede ai governanti di sospendere le esecuzioni capitali durante il giubielo.

Alla Curia romana Francesco raccomanda di essere comunità di servizio dove nessuno si senta trascurato o maltrattato.

Un articolo di Anna Foa dal titolo "Domande proibite": solo i bambini non provano imbarazzo a parlare di Dio.

Tra storia e famiglia: Pio Cerocchi sugli anni Cinquanta nelle fotografie di Antonello Trombadori.

Da Voltaire agli esperimenti di Marconi: Antonio Paolucci su personaggi e vicende che hanno fatto la storia di Villa Mondragone.

Quando Milani denunciava la coltre di incenso: il cristiano fra potere e modernità.

Soli ma insieme: Alberto Mainardi, monaco di Bose, sul monachesinmo come vocazione all'unità e alla comunione.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Is, terrorismo d'effetto nasconde difficoltà sul terreno

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180 morti e 200 feriti il bilancio ancora provvisorio degli attentati ieri in Siria a Damasco e Homs, rivendicati dal sedicente Stato islamico. Aumenta quindi la preoccupazione per la capacità operativa dei miliziani dell’Is in Siria, dopo le notizie che la loro avanzata fosse arginata. Roberta Gisotti ha intervistato Stefania Azzolina, analista del Centro Studi internazionali (Ce.S.I): 

R. – Sicuramente, gli attentati di ieri ad Oms e a Damasco hanno avuto come obiettivo quello di dimostrare che lo Stato islamico, seppure in un momento di oggettiva difficoltà, continua ad avere una capacità grande di colpire quelli che sono in questi momento i centri di potere del fronte lealista e quindi del governo di Assad. Ha grande valore simbolico soprattutto l’attentato a Damasco presso il Mausoleo sciita che viene colpito per la terza volta. Quindi, si vogliono colpire luoghi strategici, simbolici, proprio per riaffermare la propria capacità in un momento che invece sul campo vede lo Stato islamico arretrare su diversi fronti.

D. – È pur vero che questi attentati potrebbero trarre in inganno, perché operare con attentati terroristici non comporta avere poi dietro eserciti equipaggiati e strutture logistiche…

R. – Assolutamente sì. È proprio questo l’obiettivo: cercare, utilizzando strumenti di natura terroristica di sopperire a quella che è una mancanza di capacità di azione sul territorio. Proprio nel corso di questo fine settimana, infatti, si è avuta notizia del ritiro delle milizie di Al Baghdadi da 27 villaggi situati a nord di Aleppo. L’esito della battaglia di Aleppo sarà in grado di fornirci le tendenze del prossimo futuro. Nel caso in cui le forze lealiste riusciranno a concludere l’accerchiamento di Aleppo, e quindi pian piano riprendere anche il controllo del centro cittadino, a questo punto le milizie dell’insorgenza sunnita avrebbero solamente il controllo di Idlib. Questo porterebbe l’opposizione siriana a non avere più un grande credito al tavolo delle trattative.

D. – A proposito di trattative, da Amman in Giordania è arrivato l’annuncio oggi del segretario di Stato Usa, Kerry, di un accordo – ma solo provvisorio, è stato sottolineato – per un cessate-il-fuoco da cui sarebbero esclusi quei gruppi ritenuti dall’Onu terroristi. Ma che senso può avere tale accordo se non quello di inutile facciata?

R. – Rappresenta sicuramente un piccolo passo, nel senso che in questo momento le diplomazie mondiali stanno cercando di evitare una nuova escalation del conflitto. Si è visto come nelle scorse settimane sia la Turchia che l’Arabia Saudita abbiano più volte paventato l’idea di possibili interventi all’interno del contesto siriano, che di fatto andrebbero a rendere la situazione, già difficile, ancora di più precaria soluzione. È un tentativo quindi di trovare un cessate-il-fuoco che però – come giustamente lei sottolinea – è soltanto una dichiarazione, perché lo stesso ministro degli Esteri russo, Lavrov e il segretario di Stato, Kerry hanno detto che permangono ancora delle contrapposizioni su punti maggiormente specifici. Ad esempio, ci dovrebbe essere la volontà da parte della Russia di porre fine ai bombardamenti che in questo momento però stanno aiutando le forze lealiste a riprendere i territori persi nel corso degli anni passati, oppure rimane sempre il ruolo fondamentale di quale sarà il ruolo di Assad una volta che le conflittualità sul campo verranno fermate.

D. – Quindi, un valore più che operativo sul cessate-il-fuoco, un valore politico di contenere, come lei ha spiegato…

R. – Assolutamente sì. C’è comunque la volontà di porre fine al conflitto, ma permangono delle criticità, delle visioni diverse e soprattutto permangono degli interessi estremamente confliggenti l’uno con l’altro, che non permettono di giungere a una sintesi che di fatto possa essere accettabile per tutti i soggetti sia regionali che internazionali coinvolti nella crisi siriana.

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Brexit: Ue non farà campagna per il referendum del 23 giugno

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"La Commissione Ue non farà campagna" per il referendum in Gran Bretagna. E’ la decisione annunciata dall’esecutivo comunitario, il cui ruolo – ha spiegato la portavoce Margaritis Schinas – “era da facilitatori tra la Gran Bretagna e gli altri 27” Stati membri. E mentre il premier David Cameron ha dato il via alla sua campagna per il sì alla permanenza del Regno Unito nell’Ue, la sterlina è scesa ai minimi da quasi un anno a questa parte, dopo l’annuncio del sindaco di Londra, Boris Johnson, a favore della Brexit. “L’accordo Ue-Gran Bretagna, in attesa del referendum, dimostra che quando si vuole si possono ottenere risultati favorevoli fra le parti contraenti”. E’ il commento dell’economista Stefano Zamagni sull’intesa che, in attesa del referendum 23 giugno prossimo, ha scongiurato la Brexit. Emanuela Campanile lo ha intervistato: 

R. – In primo luogo, l’Unione europea è il più grande partner commerciale della Gran Bretagna. In secondo luogo, l’Ue è uno dei più grandi sistemi finanziari del mondo, e la Gran Bretagna è il più grande centro finanziario dell’Unione europea. In terzo luogo, la Gran Bretagna, dopo la Germania, è il Paese più popolato in Europa, con oltre 65 milioni di abitanti. Allora, basterebbero questi tre dati per farci capire che un’Europa senza la Gran Bretagna, al di là di ciò che qualcuno potrebbe dire. Entrambi ci hanno guadagnato. Finalmente si è risolto il problema delle “due velocità” dell’integrazione. Devo dire che questa è stata una grande abilità dei negoziatori. Il fatto di sapere che ci fosse un italiano tra i negoziatori mi ha consolato, e mi ha confermato che gli italiani, quando vogliono, veramente riescono quasi a fare miracoli. Cioè, riconoscendo che la Gran Bretagna ha diritto ad un minor grado di integrazione, cioè è un Paese dentro l’Ue a statuto speciale, si è però così spianato il terreno per facilitare una maggiore integrazione tra gli altri Paesi. Quindi, la Gran Bretagna resta nell’Unione europea, e i Paesi dell’area euro così hanno adesso la possibilità di integrarsi molto di più fra di loro, e non hanno più la scusa, perché fino adesso la scusa era: “Londra non vuole”. Finalmente – questa è una mia opinione – si apre la prospettiva di un vero e proprio controllo democratico. Voglio dire che finora tutte le grandi e importanti decisioni, dal Fiscal Compact al Fondo Salva Stati, alla cosiddetta “operatività della Troika”, erano prese in sede intergovernativa, non comunitaria. Intergovernativa vuol dire che i capi di Governo si mettevano d’accordo tra di loro bypassando il Parlamento, e questo non è accettabile. Ora, invece, queste stesse decisioni saranno controllate, volute, dal Parlamento stesso. Se ad esempio il Fiscal Compact, che tanto fa parlare e tanto fa soffrire diversi Paesi, tra cui l'Italia, fosse stato deciso in sede parlamentare e non in sede intergovernativa, sicuramente avrebbe avuto tutta un’altra stesura.

D. – Però ancora bisogna lasciare la parola ai cittadini, e il referendum è atteso per il 23 giugno. Vorrei sapere se c’è da parte della società civile una coscienza di quanto lei ci ha descritto…

R. – Conoscendo la loro cultura, i britannici adesso fanno un po’ il gioco delle parti, dicendo che non hanno ottenuto abbastanza, ma il governo inglese non avrebbe inviato Cameron a Bruxelles a negoziare e a firmare l’accordo, se non avesse avuto la contezza e la certezza che il referendum sarebbe passato.

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India: morti e feriti per rivolta dei Jat esclusi da diritti di casta

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Oltre 10 morti e 150 feriti, questo il bilancio di otto giorni di rivolte e proteste nel nord dell’India, nello Stato dell’Haryana alle porte di New Delhi, dove la comunità dei Jat, appartenente a una casta rurale da sempre esclusa dai privilegi lavorativi che assegnano posti nella pubblica amministrazione, ha assaltato negozi, uffici, scuole e l’acquedotto principale causando una crisi idrica nella capitale indiana da 20 milioni di abitanti. Dopo un primo intervento militare, il governo indiano ha accolto le richieste dei dimostranti, promettendo nella prossima sessione parlamentare, di varare una legge per l’inclusione dei Jat nelle quote riservate alle classi arretrate. Il sistema delle caste, seppur ufficialmente abolito negli anni ’50, influenza ancora in modo importante il sistema economico e sociale dell’India, causando spesso frizioni e intolleranze tra le classi più povere del Paese. Una tradizione dura da eliminare come ci spiega Maurizio Salvi corrispondente per l’Ansa da New Delhi, raggiunto al telefono dal nostro Stefano Pesce 

R. – Una consistente comunità chiamata “Jat”, che affonda le sue origini nel Medio Evo ed è praticamente diffusa su tutto il Nord dell’India e in una regione del Pakistan, ha deciso di rivendicare una maggiore visibilità per i componenti del loro gruppi; hanno attaccato scuole, edifici, pompe di benzina, stazioni, hanno bloccato strade, ferrovie, hanno anche bloccato la principale fonte di approvvigionamento dell’acqua di New Delhi che, come si sa, è una delle più grandi metropoli del mondo.

D. – A oggi il bilancio è di 10 morti e 150 feriti, giusto?

R. – Sì … la forte pressione e le violenze esercitate hanno convinto il governo centrale ad accettare la principale rivendicazione di questa comunità “Jat”, quella di essere inserita nella classificazione delle caste indiane che si chiamano “altre caste sfavorite”, cioè che non sono le caste più basse, che però hanno delle quote di privilegi negli uffici pubblici, nelle scuole …

D. – Il sistema delle caste, in India, è ancora oggi fondamentale per l’ordine sociale; ma come funziona?

R. – Una legge del 1950 aveva abolito ufficialmente le caste in India; diciamo che il sistema delle caste che poi in realtà è ancora pienamente vigente, è diventato più un fenomeno sociologico-amministrativo che non giuridico-politico, nel senso che le caste esistono di fatto; l’appartenenza a questo tipo di organizzazione permette o non permette a un cittadino indiano di aspirare ad essere qualcosa più in alto o più in basso nella scala sociale. Uno nasce in una casta e in quella casta resta per tutta la vita.

D. – Il sistema “informale” delle caste – se così possiamo definirlo – influenza anche le nuove generazioni, in India?

R. – Sì. Anche se i giovani tendono a sentirsi molto più slegati; però è vero che, per esempio, al momento del matrimonio tra due giovani, l’importanza di appartenere a una casta o a un’altra fa la differenza, e spesso ancora in India sono le famiglie che stabiliscono le condizioni e che scelgono i partner tra loro. La possibilità che un giovane faccia una vita totalmente autonoma dal punto di vista affettivo – per esempio – è ancora abbastanza limitata. Però è anche vero che ormai, grazie anche al fatto che le caste permettono alle fasce più basse della popolazione di accedere a livelli più alti di studio, rappresentano un meccanismo che con il tempo le fa un po’ implodere, perché a un certo punto se un “dalit”, cioè un intoccabile, riesce a laurearsi all’università – c’è il caso anche del West Bengala dove c’è una governatrice dello Stato che è una dalit – ecco, quando succedono queste cose evidentemente le caste perdono di forza. Però, nel complesso ancora anche i giovani devono essere sensibili, per ragioni familiari, a questa divisione in caste.

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Giappone, Mondiali di calcio per atleti con disturbi mentali

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A volte, lo sport oltre che gioco è anche terapia. Lo dimostrano i 12 calciatori, tutti con patologie psicotiche e affettive, selezionati per rappresentare l’Italia ai Mondiali per persone con problemi di salute mentale che si terranno in Giappone dal 23 al 29 febbraio. Un’iniziativa per far conoscere l’efficacia terapeutica del calcio, che spesso aiuta le persone con disagi mentali a reinserirsi nella società. Durante il ritiro a Roma, Corinna Spirito ha incontrato la squadra e lo psichiatra Santo Rullo, vicepresidente di "Strade Onlus" che ha promosso il progetto: 

R. – Il progetto è partito tre anni fa, quando in Giappone si è tenuta la prima Conferenza internazionale sullo sport per persone con problemi di salute mentale. Vi hanno partecipato otto nazioni, tra cui l’Italia. In quella sede si è deciso di organizzare il primo Campionato del Mondo per poi studiare un’area di intervento sia clinico che organizzativo dello sport per questa categoria di atleti, perché poi in realtà la cosa che abbiamo voluto sottolineare è che questa è una situazione sportiva vera e propria. Adesso, stiamo tentando di creare una squadra che sia competitiva e che può anche diffondere maggiormente l’idea che lo sport possa essere per la salute mentale come la fisioterapia per le malattie fisiche. È importante assicurare a tutte le persone che soffrono di un disturbo psichiatrico degli spazi di sport protetti, che possano migliorare il loro stato di salute.

D. – E c’è ancora scetticismo su questo, magari da parte dei colleghi?

R. – Sì, molto scetticismo! Basta pensare al setting di una psicoterapia: due sedie, una di fronte all’altra, e la mente del paziente che parla con la mente dello psichiatra. Quello che noi vediamo sul campo è la disponibilità dell’atleta con disturbo psichico a leggere la mente dell’altro e farsi leggere dall’altro la propria mente. Questo gli psicoterapeuti cognitivisti la chiamano “Teoria della mente” ed è uno dei disturbi più frequenti nelle varie patologie: l’incapacità cioè di capire le intenzioni dell’altro, da un punto di vista emotivo. Nel calcio c’è una immediatezza – la tattica del fuorigioco oppure la disposizione dei ragazzi che si muovono all’interno del campo – presuppone il fatto che la persona debba mentalizzare quello che andrà a fare l’altro compagno o avversario che sia. E questo è chiaramente un modo per recuperare quelle funzioni alterate.

D. – Il calcio in questo senso diventa una terapia alternativa e complementare?

R. – In qualche modo è alternativa, perché quasi tutte le terapie psichiatriche hanno un difetto: la malattia mentale normalmente quando insorge tende a dissociare mente e corpo e gli interventi terapeuti psichiatrici tendono a concentrarsi soltanto sulla mente. È alternativo lo sport in quanto riavvicina mente e corpo: per fare un gesto atletico bisogna che la mente ritorni al servizio del corpo. Si fa, in qualche modo, il percorso opposto a quello che la malattia in genere determina.

Questi benefici i ragazzi della Nazionale italiana di calcio per persone con problemi mentali li hanno vissuti sulla propria pelle. E ora sono loro i primi testimonial dell’efficacia di una partita di calcio nel trattamento di patologie come la depressione e la schizofrenia. Come Antonio, che spera di diventare un esempio positivo per altri ragazzi affetti da disturbi simili:

“Dopo questa esperienza, siamo soddisfatti. L’importante è che tanti ragazzi si affaccino al mondo dello sport, perché tanti ragazzi – e specialmente con problemi psicologici – non lo fanno… Questo è il messaggio principale: divertirsi e rendersi conto che anche in certe condizioni psicologiche ognuno può dare il massimo in qualsiasi ambito: sia nello studio, sia nel volontariato, sia nello sport… Mettiamo al centro la persona”.

Anche Silvio ha da subito trovato giovamento dagli allenamenti calcistici:

“Praticare uno sport di squadra aiuta a migliorarsi dentro, a relazionarsi, a socializzare, invece di starsene da soli. Anche se la riflessione profonda che fai quando sei solo ti aiuta a capire molti aspetti della vita. Ognuno di noi, anche chi si isola e non vuole fare sport, deve pensare che si deve vincere nella vita e nello sport”.

E proprio l’entusiasmo dei ragazzi della Nazionale per questo progetto apre la possibilità ad altre iniziative similari e continuative. Lo ha spiegato l’ex pugile Vincenzo Cantatore, preparatore atletico della squadra:

“Sembra un po’ presuntuoso dirlo, ma in 2-3 giorni già si vedono i primi risultati. Tanto è vero che noi abbiamo creato una situazione particolare, un progetto che partirà subito dopo questo dei Mondiale e che si chiama 'No contact boxe', in cui lavoreremo maggiormente con i ragazzi che soffrono di pressione, con i parkinsoniani, con chi ha fatto uso di stupefacenti, con chi fa uso di neurolettici, per dare loro una vera risposta, forte, fisica e mentale”.

L’avventura della Nazionale di calcio sarà, inoltre, protagonista di un documentario diretto da Volfango De Biasi perché la storia di questi 12 atleti possa raggiungere più persone possibili e ricordare il lato migliore dello sport: quello che salva e riscatta.

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Nella Chiesa e nel mondo



Consiglio delle Chiese su religioni e sviluppo sostenibile

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“Partner per il cambiamento: le religioni e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”: su questo tema si è svolto nei giorni scorsi a Berlino, una conferenza promossa dal Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc).  Dopo gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio fissati nel 2000, la nuova Agenda adottata nel 2015 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite si propone l’ambizioso obiettivo di eliminare la povertà entro i prossimi 15 anni, di promuovere la prosperità economica, lo sviluppo sociale e la protezione dell’ambiente su scala globale.

Il contributo concreto delle religioni nella lotta alla povertà
La conferenza di Berlino è stata un’occasione per evidenziare il contributo concreto che le religioni stanno dando su questo fronte. I partecipanti hanno convenuto, in particolare, sul fatto che le organizzazioni confessionali di base (Fbo) svolgono un ruolo importante nel sostegno a quei processi finalizzati a eliminare la povertà estrema e a promuovere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per decenni, le comunità di fede hanno infatti fornito servizi umanitari e di sviluppo anche in regioni non raggiunte dagli Stati.

Lanciato un nuovo partenariato su religione e sviluppo sostenibile
Durante i lavori, inoltre, è stato lanciato un nuovo partenariato internazionale su religione e sviluppo sostenibile (Partnership on Religion and Sustainable Development). “Questa iniziativa — ha ricordato il segretario generale del Wcc Olav Fykse Tveit — parla in modo eloquente di un nuovo riconoscimento e dell’apprezzamento, da parte di Governi, donatori, organizzazioni e di tutta la comunità internazionale, del ruolo fondamentale della religione nello sviluppo umano e sostenibile, nella risposta umanitaria e nella ricerca della pace nel mondo lacerato dai conflitti”. Tveit ha auspicato che la nuova partnership possa condividere gli obiettivi di sviluppo con attori governativi e intergovernativi; promuovere il coordinamento tra le varie agenzie in modo che l’impegno religioso sia sistematico, coerente e significativo; garantire che le opinioni e i valori dei gruppi religiosi siano presi in considerazione; resistere alla tentazione di strumentalizzazioni politiche e infine superare le limitazioni giuridiche che ancora ostacolano l’impegno con gli attori religiosi. (L.Z.)

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Americhe: al via 40° Incontro dei vescovi della Chiesa cattolica

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Prende il via oggi a Tampa, in Florida, la 40.ma riunione dei vescovi della Chiesa cattolica in America, l’incontro informale che dal 1967 riunisce con una cadenza annuale o biennale le presidenze delle Conferenze episcopali degli Stati Uniti (Usccb), del Canada (Cecc-Cccb) e dell’America Latina e dei Caraibi (Celam).  

Cristo, volto della misericordia tema al centro della sessione
L’incontro, al quale quest’anno partecipano una ventina di vescovi,  è un’occasione per fare il punto sugli sviluppi e le sfide pastorali del continente. Il tema al centro dell’attuale  sessione, che proseguirà fino al 25 febbraio, è Cristo, volto della Misericordia alla luce dell’Enciclica di Papa Francesco  “Laudato si'” e del Documento di Aparecida del 2007, il testo finale della V Conferenza generale dell'Episcopato latinoamericano e dei Caraibi e di cui l’allora arcivescovo di Buenos Aires è stato il principale estensore.

Migrazioni, evangelizzazione, famiglia tra i temi delle precedenti sessioni
Conosciute precedentemente come Riunioni interamericane dei vescovi, questi incontri hanno assunto l’attuale denominazione nel 1999, in vista della pubblicazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in America” di San Giovanni Paolo II per sottolineare l'unità della Chiesa dell'emisfero occidentale. Il primo incontro di questa nuova serie si è svolto a Vancouver, in Canada, durante il Grande Giubileo del 2000 con al centro il tema della cancellazione del debito dei Paesi più poveri. Nel corso degli anni successivi gli episcopati americani hanno quindi discusso di immigrazione, (Clearwater, Florida - 2001), globalizzazione dell'economia (San Salvador de Bahia, Brasile - 2002), globalizzazione delle culture locali (Quebec City, Canada - 2003), famiglia (San Antonio, Texas - 2004), mezzi di comunicazione sociale (Bogotá, Colombia - 2005), laici (Toronto, Canada  - 2006), nuova evangelizzazione e secolarizzazione della società (Huntington, Stati Uniti - 2008), Anno sacerdotale e aiuti umanitari ad Haiti (Montreal, Canada - 2010), comunione e la comunicazione (Baltimora, Stati Uniti – 2011) e, infine, di missione ed evangelizzazione (sempre a Tampa, Stati Uniti – 2014). (A cura di Lisa Zengarini)

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Usa: nasce il Dialogo nazionale cattolico-musulmano

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Sarà l'arcivescovo Blase J. Cupich di Chicago il primo co-presidente cattolico de un nuovo forum di incontri interreligiosi denominato "Dialogo nazionale cattolico-musulmano", promosso dalla Commissione per gli affari ecumenici e interreligiosi della Conferenza episcopale statunitense (Usccb).

La Chiesa cattolica deve contribuire a orientare il dialogo con l'islam
La Commissione - riferisce l'agenzia Fides - sponsorizza sessioni di dialogo cattolico-musulmano a livello regionale da oltre due decenni. Mons. Mitchell T. Rozanski di Springfield, Massachusetts, presidente della Commissione, ha detto che "ora è il momento giusto per iniziare un dialogo a livello nazionale". "Mentre cresce la paura dell'Islam nella società, la Chiesa cattolica deve contribuire a orientare il dialogo e la buona volontà", ha detto il vescovo Rozanski. "I nostri dialoghi hanno avuto come obiettivi di una maggiore comprensione, stima reciproca e la collaborazione tra musulmani e cattolici. I membri hanno stabilito legami duraturi di amicizia e un profondo senso di fiducia. Sono grato a mons. Cupich per aver accettato di rappresentare la nostra conferenza", ha proseguito .

Le varie sessioni di dialogo in tutto il Paese
Le attuali sessioni di dialogo cattolico-musulmano si svolgono a livello regionale in aree come il Mid-Atlantic (in collaborazione con il Circolo islamico del Nord America), Midwest (in collaborazione con l'Islamic Society of North America) e West Coast (collaborazione con l'Islamic Shura Council della California meridionale e l'Islamic Educational Centre di Orange County). Ogni incontro è co-presieduto da un vescovo e da un leader musulmano. Questi dialoghi continueranno in coordinamento con il nuovo dialogo nazionale. (C.E.)

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Sud Corea: santuario dei martiri cattolici è Parco di storia e cultura

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Il distretto Jung della capitale sudcoreana ha annunciato nei giorni scorsi lo stanziamento di circa 34 milioni di euro per trasformare il santuario cattolico di Seosomun, dedicato alla memoria dei primi martiri del cristianesimo coreano, in “Parco della storia e della cultura”. Il luogo, dove nel 1985 si svolse la canonizzazione dei Santi martiri della Corea per volontà di Giovanni Paolo II, verrà rinnovato — riferisce l'agenzia AsiaNews — e inglobato in un parco dedicato alla dinastia Joseon, che ha regnato nel Paese asiatico per quasi otto secoli, garantendo continuità al Paese, ma che ha anche lanciato diverse feroci persecuzioni contro i cristiani.

A Seosomun morto Pietro Yi Seung-hun, il primo coreano a essere battezzato
L’area di Seosomun è stata teatro infatti di centinaia di esecuzioni capitali. Solo nel XIX secolo, si stimano in diecimila le vittime cattoliche della repressione lanciata contro le lotte di potere interne, i tentativi di penetrazione straniera e il conflitto ideologico posto dai convertiti che — in quanto cristiani — rifiutavano la rigida struttura sociale sostenuta dal confucianesimo. Buona parte di queste vittime morirono a Seosomun. Qui trovò la morte anche Pietro Yi Seung-hun, il primo coreano a essere battezzato (a Pechino) e considerato il fondatore della Chiesa cattolica in Corea.

Alla cerimonia presente anche l’arcivescovo di Seoul
Il 16 agosto 2014, durante la visita in Corea del Sud, Papa Francesco si è fermato per un momento di preghiera presso il santuario di Seosomun prima di celebrare la messa di beatificazione di Paolo Yun Ji-chung e dei suoi centoventitré compagni (venticinque dei quali furono decapitati nei pressi del santuario di Seoul). La cerimonia per l’inizio dei lavori del “parco della storia e della cultura” si è svolta alla presenza dell’arcivescovo di Seoul, card. Andrew Yeom Soo-jung. (L.Z.)

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India. Chiesa Maharashtra contro il fenomeno suicidi fra contadini

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La diocesi di Amravati, nello Stato indiano del Maharashtra, è in prima linea contro i mali originati dalla povertà e dalle difficoltà quotidiane che provocano nel territorio un vero e proprio “genocidio” tra i contadini.

La solidarietà della Chiesa con i contadini in difficoltà
“La diocesi — ha spiegato il vescovo Elias Joseph Gonsalves — presenta uno dei più elevati tassi di suicidio tra i contadini in tutta l’India. Gli agricoltori sono colpiti da carestie, siccità e indigenza. Negli ultimi otto anni, a causa di ripetuti cattivi raccolti, molti di loro hanno deciso di togliersi la vita. È per questo che la Chiesa porta avanti un progetto volto a risollevare tale angoscia”. Per far fronte a questa drammatica situazione, mons. Gonsalves ha lanciato un appello a tutti i fedeli affinché continuino quella “lunga tradizione di generosità” che li ha sempre contraddistinti.

11mila vittime di calamità naturali aiutate dalla diocesi negli ultimi otto anni
La diocesi di Amravati — riferisce l'agenzia AsiaNews — ha creato un’agenzia, la “Jeevan Vikas Sansthan and Manav Shakti Sanstha”, che si occupa di alleviare le sofferenze dei contadini cercando di prevenirne i gesti estremi. “Nel 2011 — ha ricordato il vescovo — i numeri ufficiali parlavano di 4.427 agricoltori sommersi dai debiti che si sono tolti la vita nell’arco di dieci anni. Ma gli attivisti sostengono che la realtà sia ben peggiore e che il numero dei suicidi sia addirittura il triplo”. Negli ultimi otto anni, l’opera della Chiesa ha soccorso undicimila vittime di calamità naturali, oltre tremila contadini indebitati e più di millecinquecento malati di aids.  Tutto questo nonostante il numero dei cattolici sia esiguo; nel territorio infatti risiedono solo settemila fedeli, su una popolazione di undici milioni di abitanti. I cattolici rappresentano appena lo 0,01% degli abitanti.

Mostrare in modo tangibile la misericordia
​Ricordando il Giubileo della misericordia indetto da Papa Francesco, mons. Gonsalves ha invitato tutti a “riscoprire la ricchezza contenuta nelle opere di misericordia spirituali e corporali. È bene — ha concluso il presule — che coloro che sperimentano Dio, ricco di misericordia e compassione, mostrino in modo tangibile questa misericordia a quelli che sono vittime delle “strutture del peccato” che impediscono alle persone svantaggiate l’accesso alle risorse, donate in modo così generoso dal Creatore”. (L.Z.)

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Terra Santa. Maison d’Abraham: "casa dei poveri” a Gerusalemme

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Nella gamma infinita delle case e delle fondazioni cristiane disseminate nel tessuto dei quartieri di Gerusalemme, la Maison d'Abraham occupa un posto particolare: accoglie pellegrini e visitatori di ogni appartenenza religiosa di passaggio nella Città Santa, con un'attenzione particolare per i più poveri, secondo le indicazioni ricevute da Papa Montini al momento della sua fondazione.

La Casa fondata per essere la grande centrale cattolica della carità
La Maison d'Abraham - riferisce l'agenzia Fides - fu fondata nel 1964, su richiesta di Papa Paolo VI, da padre Jean Rodhain, il noto sacerdote francese presidente del Sacours Catholique, l'organizzazione nata dopo la Seconda Guerra mondiale con l'idea di farne la “grande centrale cattolica della carità”. La nuova istituzione trovò la sua sede in un vecchio monastero benedettino nel quartiere di Ras al Amud, nella parte araba di Gerusalemme.

La Casa è stata completamente rinnovata nella gestione
Nell'ultimo anno – riferiscono i media ufficiali del patriarcato Latino di Gerusalemme - l'istituzione è stata rilanciata attraverso un radicale rinnovamento dell'equipe a cui è affidata la gestione: nuova direttrice (Cecile Roy, sposata con quattro figli), nuovo cappellano e nuove religiose della comunità delle suore domenicane di Tours, che animano la Casa insieme a impiegati locali e a volontari in gran parte francofoni. Il nuovo cappellano è Jean-Claude Sauzet, un sacerdote fidei donum della diocesi francese di Saint Denis.

Missione della Maison: facilitare la comprensione della Terra Santa
La missione della Maison è anche quella di facilitare per i propri ospiti la comprensione della situazione attuale di Palestina e Israele alla luce della pastorale sociale della Chiesa, facendo intervenire figure del luogo. Padre Suazet dedicherà tempo e energie anche al lavoro di assistenza nelle carceri di Israele.

Maison d'Abraham: luogo di pace nel quartiere musulmano di Ras al-Amud
“La Maison d’Abraham” - si legge nel rapporto diffuso dai media ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme “è un luogo di pace in mezzo al difficile quartiere di Ras al-Amud, a pochi metri da una colonia sulla quale sventola la bandiera israeliana. La Casa offre un forte contributo di presenza organizzando regolarmente feste coi residenti nel quartiere, soprattutto in occasione delle grandi feste musulmane”. La Casa – spiega padre Suizet - “vive con Ras al-Amud: subiamo le medesime chiusure dell’acqua, le stesse interruzioni della corrente elettrica, i residenti lo sanno – e così è un luogo di accoglienza radicato nel quartiere”. 

Missione della Casa: accogliere i poveri che vogliono venire a Gerusalemme
Fanno parte delle attività della Maison i cosidetti Viaggi della Speranza del Secours Catholique, aperti a tutti, che propongono visite nei luoghi della Terra Santa, tempi di condivisione coi residenti e incontri con le comunità. La Maison d’Abraham ospita anche corsi di formazione per persone impegnate presso il Secours catholique e la rete delle Caritas. Ma per Cecile Roy, la nuova direttrice della Maison, la missione prioritaria, in piena fedelta alle origini della casa, rimane quella di offrire ai più poveri “la possibilità di venire a Gerusalemme. Poiché la Maison d’Abraham è un tesoro affidato soprattutto ai più poveri”. (G.V.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 53

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.