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Sommario del 21/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all’Angelus: viaggio in Messico esperienza di trasfigurazione

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La seconda domenica di Quaresima ci presenta il Vangelo della Trasfigurazione di Gesù. All’Angelus il Papa, che ha lanciato un nuovo accorato appello contro la pena di morte, ha legato questa pagina al suo recente viaggio apostolico in Messico. Ascoltiamo le parole del Santo Padre nel servizio di Amedeo Lomonaco: 

“Il viaggio apostolico che ho compiuto nei giorni scorsi in Messico è stata per tutti noi un’esperienza di trasfigurazione. Come mai? Il Signore ci ha mostrato la luce della sua gloria attraverso il corpo della sua Chiesa, del suo Popolo santo che vive in quella terra”.

Un corpo – ha ricordato – “tante volte ferito, oppresso, disprezzato e violato nella sua dignità”:

“In effetti, i diversi incontri vissuti in Messico sono stati pieni di luce: la luce della fede che trasfigura i volti e rischiara il cammino”.

Un viaggio – quello del Papa in Messico – che ha avuto il “baricentro spirituale” nel pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Guadalupe:

“Rimanere in silenzio davanti all’immagine della Madre era ciò che prima di tutto mi proponevo. E ringrazio Dio che me lo ha concesso. Ho contemplato, e mi sono lasciato guardare da Colei che porta impressi nei suoi occhi gli sguardi di tutti i suoi figli, e raccoglie i dolori per le violenze, i rapimenti, le uccisioni, i soprusi a danno di tanta povera gente e di tante donne”.

Da tutta l’America – ha aggiunto il Papa vanno a pregare là dove la Vergine si mostrò all’indio San Juan Diego, dando inizio all’evangelizzazione del Continente. E questa è “l’eredità che il Signore ha consegnato al Messico”:

“Custodire la ricchezza della diversità e, nello stesso tempo, manifestare l’armonia della fede comune, una fede schietta e robusta, accompagnata da una grande carica di vitalità e umanità. Come i miei Predecessori, anch’io sono andato a confermare la fede del popolo messicano, ma contemporaneamente ad esserne confermato; ho raccolto a piene mani questo dono perché vada a beneficio della Chiesa universale”.

Il Santo Padre ha inoltre ricordato come sia stato accolto con gioia dalle famiglie messicane che hanno dato “delle testimonianze limpide e forti”. Lo stesso – ha detto – si può dire “per i giovani, per i consacrati, per i sacerdoti, per i lavoratori, per i carcerati”. Il Pontefice si è quindi soffermato sull’incontro a Cuba con il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill:

“Un incontro tanto desiderato pure dai miei Predecessori. Anche questo evento è una luce profetica di Risurrezione, di cui oggi il mondo ha più che mai bisogno. La Santa Madre di Dio continui a guidarci nel cammino dell’unità”.

Dopo l’Angelus, Papa Francesco ha ricordato che domani avrà luogo a Roma un convegno internazionale dal titolo “per un mondo senza la pena di morte” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. “Un segno di speranza – ha affermato - è costituito dallo sviluppo, nell’opinione pubblica, di una sempre più diffusa contrarietà alla pena di morte”:

“In effetti, le società moderne hanno la possibilità di reprimere efficacemente il crimine senza togliere definitivamente a colui che l’ha commesso la possibilità di redimersi. Il problema va inquadrato nell’ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell’uomo e al disegno di Dio sull’uomo e sulla società e anche a una giustizia penale aperta alla speranza del reinserimento nella società. Il comandamento «non uccidere» ha valore assoluto e riguarda sia l’innocente che il colpevole”.

Anche il criminale – ha detto il Papa lanciando un accorato appello - mantiene l’inviolabile diritto alla vita: 

“Faccio appello alla coscienza dei governanti, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte. E propongo a quanti tra loro sono cattolici di compiere un gesto coraggioso ed esemplare: che nessuna condanna venga eseguita in questo Anno Santo della Misericordia”.

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Distribuite dopo l'Angelus 40 mila Misericordine

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Al termine dell’ Angelus il Papa ha annunciato il dono della Misericordina, una scatolina a forma di medicinale che all’interno non contiene pillole ma la coroncina della divina Misericordia composta da 59 grani, l’immagine di Gesù Misericordioso e il classico foglietto con posologia e istruzioni. Il kit era stato già distribuito nel novembre del 2013, a conclusione dell’ anno della Fede. Le parole del papa nel servizio di Marina Tomarro

"Oggi, ho pensato di regalare a voi che siete qui in piazza una “medicina spirituale” chiamata Misericordina. Già una volta l’abbiamo fatto, ma questa è di migliore qualità: è la Misericordina plus. Una scatolina che contiene la corona del Rosario e l’immaginetta di Gesù Misericordioso." 

Con queste parole Papa Francesco ha annunciato alle decine di migliaia di fedeli, il dono della Misericordina. E a distribuire le oltre 40 mila confezioni arrivate dalla Polonia sono stati poveri, senzatetto e profughi, insieme a molti volontari e religiosi. E' grande la sorpresa e la gioia tra i presenti. Ascoltiamo i loro commenti:

R. – E’ un’emozione forte! Questa Misericordina io la associo all’amore che il Papa ha verso di noi e che noi dobbiamo trasmettere agli altri.

R. – La riceviamo volentieri, perché ci sono tante persone alle quali possiamo darla.

D. – Cosa vuol dire la misericordia, la misericordia di Dio?

R. – Ci ama, ci perdona e ci invita – anche a noi – a perdonare e ad amarci fra di noi.

R. – Ci avvicina al Signore, non soltanto attraverso la preghiera, ma anche attraverso il frutto della preghiera, che è la richiesta anzitutto di perdono per i nostri peccati e quindi una maggiore grazia nella nostra vita di essere in comunione con Cristo e con la Chiesa intera.

R. – Un bellissimo regalo! Perché ce ne vuole tanta di misericordia del mondo. Tantissima! Quindi averne avuta un po’ oggi da Papa Francesco è un regalo immenso.

D. – Lei recita la Coroncina della Misericordia abitualmente?

R. – Sì, si! Assolutamente… Dà conforto e ci si sente meno soli nel mondo.

R. – E’ una cosa importantissima, anche perché è un medicinale particolare: per noi che recitiamo il Rosario almeno due volte al giorno è importante!

D. – Cosa vuol dire per voi la misericordia di Dio?

R. – La misericordia di Dio è fare bene agli altri, senza fermarsi mai: incondizionatamente. 

Nel “bugiardino", viene spiegata che la Misericordina, pratica diffusa da Santa Faustina Kowalska, suora mistica polacca canonizzata nel 2000 da San Giovanni Paolo II, "è un medicinale spirituale che rinvigorisce nell’anima". E non ci sono effetti collaterale, ma  anzi produce "tranquillità del cuore, la gioia esterna e il desiderio di diffondere il bene". E L’efficacia del curativo "è garantita dalle parole di Gesù".  E’ consigliata almeno una volta al giorno sia agli adulti che ai bambini, e si può ricorrere ad essa sempre, e in particolare  ricordano le  istruzioni: quando "desideriamo la conversione dei peccatori", quando "sentiamo il bisogno dell’aiuto nella decisione difficile", o quando manca la forza per resistere alle tentazioni, o  non sappiamo perdonare qualcuno.

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A Milano a livello diocesano il Giubileo degli Sportivi

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Il mondo dello sport si inserisce nel grande Giubileo della Misericordia voluto da Papa Francesco.  Presidenti, dirigenti e allenatori delle società sportive si riuniranno domani sera alle 21.00 nella Basilica di Sant’Ambrogio, a Milano, per vivere a livello diocesano il Giubileo degli Sportivi. La serata di lunedì sarà caratterizzata, tra l’altro, da una veglia di preghiera con il passaggio della Porta Santa, il racconto della storia del Mar de Plata, squadra di rugby sterminata dalla dittatura argentina e dalla parola dell’Arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, che aiuterà atleti, dirigenti e tifosi a cogliere l’importanza della misericordia anche nel campo sportivo. Al microfono di Luca Collodi, don Samuele Marelli, direttore della FOM, la Fondazione Diocesana per gli Oratori Milanesi: 

R. – Prima di tutto per noi lo sport è un mezzo per educare, per cui, parlare di misericordia nello sport significa riconoscere che lo sport è uno straordinario strumento educativo. Oggi l’educazione è un po’ - potremmo dire - la 15.ma opera di misericordia spirituale e corporale nello stesso tempo. Per questo abbiamo voluto fortemente questo Giubileo degli sportivi nella nostra Diocesi di Milano alla presenza dell’arcivescovo, il cardinale Angelo Scola, dandogli proprio questo titolo: “La Misericordia scende in campo”. Abbiamo l’idea che, attraverso lo sport, uno degli strumenti educativi per eccellenza, la misericordia davvero può scendere in campo e farci incontrare da molti ragazzi.

D. - A guardare lo sport di oggi potremmo concludere apparentemente che di misericordia in campo nello sport ce ne è veramente poca …

R. - Sì, è vero, perché non è automatico che lo sport sia uno strumento educativo e quindi che sia abitato dalla misericordia. Lo sport, però, ha delle potenzialità: a determinate condizioni può essere realmente uno strumento educativo attraverso il quale fare esperienza di misericordia per la propria vita. Noi vorremmo dire, vorremmo custodire queste condizioni a partire dalle quali lo sport davvero può essere strumento e veicolo di misericordia.

D. – Dove inizia la misericordia nello sport?

R. – La misericordia nell’avere cura dell’altro e quando parliamo di sport parliamo soprattutto di sport fatto da ragazzi, quindi negli oratori. In Lombardia abbiamo centinaia di migliaia di ragazzi che praticano sport in oratori, dunque nel complesso ecclesiale. La misericordia inizia con un approccio allo sport che ne riconosca la validità in riferimento alla persona, perché quando questa è al centro la vittoria è sempre assicurata. Questo è proprio l’inizio del cammino della misericordia nello sport.

D. - E come prosegue la misericordia a livello agonistico invece?

R. - Certamente con l’aumentare dell’età ed entrando nella dinamica dell’agonismo diventa più difficile - meno ovvio - vivere questa esperienza della misericordia nello sport. Tuttavia credo non impossibile. Significa prima di tutto coltivare un cammino spirituale personale che permette di vivere in ogni dimensione della vita e dunque anche in quella dello sport la misericordia che noi riceviamo perché in fondo questa non è semplicemente un atteggiamento poetico dovuto alla bontà della persona, ma è semplicemente il risultato di ciò che Dio fa per noi. Noi siamo oggetto di misericordia anzi tutto da parte di Dio e per questo possiamo rivolgerci con misericordia agli altri.

D. - Ci sono dei ruoli nel mondo dello sport? Penso ad esempio ad un allenatore, che deve vedere la misericordia con un occhio di attenzione, …

R. - Certamente. Noi crediamo che la misericordia non debba nascondere la verità. Il Salmo dice: “Misericordia e verità si incontreranno”. Credo proprio che la misericordia vera non è senza verità. Tuttavia la verità vera non è senza misericordia. Per cui mi sembra bello dire che anche nello sport misericordia non significa misconoscere la verità.

D. – La misericordia non è in contrasto con la competizione sportiva?

R. - Direi proprio di no, anzi lo sport può essere un veicolo di misericordia che certamente la sana competizione non è in contrasto con la misericordia. Anche nella competizione c’è uno spazio di misericordia dove si riconosce che è importante vincere, non è uguale vincere o perdere, perché è appunto una competizione ma certamente non è la prima cosa o comunque è importante che la vittoria non sia a tutti i costi; ci sono dei costi che sono troppo alti che non possono essere pagati per la vittoria come la scorrettezza , il doping o altre dinamiche negative. Quindi la misericordia può abitare certamente lo sport dove c’è competizione.

D. - E stasera alle 21 l’arcidiocesi di Milano vivrà questo Giubileo degli sportivi …

R. - Sarà un momento molto semplice presieduto dal cardinale arcivescovo. Ci troveremo nell’atrio della Basilica di Sant’Ambrogio e insieme, dopo una breve preghiera, varcheremo la porta Santa. Quella di Sant’Ambrogio insieme a quella del Duomo di Milano è una delle due porte sante presenti nella città di Milano. Varcheremo la Porta santa e all’interno ascolteremo delle testimonianze; poi concluderemo con la parola dell’arcivescovo rivolta al mondo dello sport a partire dall’esperienza della misericordia in questo Giubileo.

D. - Uno slogan sportivo, un messaggio al mondo dello sport …

R. - Si lascerei quello che daremo stasera che è anche il titolo della nostra veglia: “La Misericordia scende in campo”.

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Biblioteca Vaticana: opera calcografica per il Giubileo

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Un’opera calcografica celebrativa, dedicata al Giubileo della Misericordia, verrà presentata mercoledì prossimo dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, alla presenza del cardinale segretario di stato, Pietro Parolin. La realizzazione della stampa, che conferma la tradizione della Biblioteca come luogo di dialogo con l’arte contemporanea, è stata curata da Barbara Jatta, responsabile del Gabinetto delle Stampe e dal vice-prefetto, Ambrogio M. Piazzoni. Il servizio di Fabio Colagrande: 

Celebrare i grandi eventi della Chiesa e raccontare per immagini l’attività della Città del Vaticano: fedele a questo duplice compito il Gabinetto della Grafica della Biblioteca Vaticana ha realizzato in 200 esemplari una stampa artistica per il corrente Giubileo. Sentiamo uno dei curatori, Barbara Jatta:

“Nasce sicuramente seguendo una tradizione della Biblioteca Apostolica rispetto alle arti grafiche e alla celebrazioni di eventi importanti per la storia della Chiesa. Già nel Giubileo del Duemila producemmo una bellissima pianta monumentale in nove tavole,  - quindi 2 metri per 2 – sulla Roma del Duemila. Poi, successivamente, la Biblioteca realizzò l’attuale pianta dello Stato della Città del Vaticano. L’idea è, appunto, quella di continuare questa trazione. Abbiamo pensato come dare la testimonianza della Biblioteca Vaticana rispetto al Giubileo della Misericordia, che Papa Francesco ha voluto indire”.

La scelta degli artisti - il disegnatore Pierluigi Isola e l'incisore Patrizio Di Sciullo - è avvenuta grazie al dialogo, sempre vivo, che la Biblioteca del Papa intrattiene con l’arte contemporanea. Ancora Barbara Jatta:

“Questa è una Biblioteca storica, antica, che ha chiaramente tra i fondi più importanti e preziosi in termine di manoscritti, stampati, numismatica e arti grafiche. Però è anche un luogo che vive, che ha più di 100 persone che quotidianamente vivono nel quotidiano e che tendono a fare in modo che questa sia una Biblioteca attiva. Quindi queste iniziative sono proprio in quest’ottica: nel dialogare, in particolare, con gli artisti contemporanei che producono arti grafiche in queste settore”.

Il disegno – e poi l’incisione - è diviso in due parti: nella superiore una veduta ‘capriccio architettonico’, del percorso giubilare delle Sette Chiese di Roma; in quella inferiore un’invenzione allegorica di figure umane e elementi architettonici a simboleggiare le quattordici opere di misericordia. E in quest'ultimo spiccano le 'porte' giubilari, come spiega ancora la curatrice:

“Leggendo bene la Bolla d’indizione del Giubileo straordinaria della Misericordia di Papa Francesco, ci siamo resi conto che sono tante le porte sante che lui ha voluto aprire per questo Giubileo straordinario. E quindi abbiamo dato varie porte di accesso: nella parte bassa, una che è simbolicamente un colonnato berniniano, ma anche tutti i grandi templi o le cattedrali che il Santo Padre ha voluto identificare come luoghi di accesso del Giubileo; e, dall’altra parte, una porta di un carcere, in cui i carcerati vengono accolti: è una porta aperta, tra l’altro, del carcere proprio per questa simbologia.

Un’opera che conferma la vocazione non solo conservativa del Gabinetto delle stampe della Biblioteca Vaticana e servirà anche a comunicare, attraverso l’arte, il messaggio del Giubileo. Sentiamo ancora la dott.ssa Jatta

“Stamperemo soltanto 200 opere per lasciare una tiratura – diciamo – limitata. Non darne una grande diffusione, perché deve essere veramente qualcosa di particolare che generalmente il Santo Padre omaggia alle persone che vengono a fargli visita. La Segreteria di Stato l’ha già omaggiata due volte: al principe di Monaco, Alberto di Monaco, e al presidente Rohani. E poi la mettiamo in vendita, perché un’opera del genere ha avuto dei suoi costi e quindi chiaramente noi la vendiamo nel nostro catalogo della Biblioteca come uno dei prodotti della Biblioteca. Alla stregua dei libri che produciamo, anche questa, come le altre iniziative analoghe che abbiamo realizzate, la venderemo al pubblico.

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L'incontro tra Francesco e Kirill in un convegno di Civiltà Cattolica

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Lo storico incontro e l’abbraccio tra Papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill, lo scorso 12 febbraio a Cuba, rappresentano una tappa intermedia nel cammino delle due Chiese, le cui relazioni hanno radici nel passato. Di questo evento, ricordato anche da Papa Francesco all’Angelus, si è discusso ieri in una tavola rotonda organizzata dalla rivista dei Gesuiti “Civiltà Cattolica”. Il servizio di Elvira Ragosta

Una tappa preparata a lungo, quella che ha portato all’abbraccio fraterno tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill, e simbolica anche perché avvenuta a Cuba, isola-ponte tra Nord e Sud e tra Est e Ovest, e che ha avuto come cornice una sala dell’aeroporto cubano, un “non luogo antropologico” del Nuovo Mondo, sottolinea padre Antonio Spadaro, direttore di “Civilità Cattolica”, e una tappa intermedia, appunto, all’interno di un cammino aperto al futuro nel dialogo tra cattolici e ortodossi:

R. - I cristiani – in questo caso, appunto, i cattolici e gli ortodossi – hanno preso consapevolezza, insieme, della peculiarità di questo momento. In fondo è la storia, le urgenze della storia, che hanno fatto sì che il Vescovo di Roma e il Patriarca di Mosca si siano incontrati. Quindi è proprio questa storia, una storia fatta anche di persecuzioni – e quindi questa testimonianza comune del sangue – che ha fatto nascere l’esigenza di un “‘ecumenismo del sangue”, che è un ecumenismo di base, che porta i cristiani a unirsi, al di là di tutte le differenze.

D. – E al di là di tutte le differenze, si è ricordato quanto l’incontro sia stato più importante della Dichiarazione, seguita poi…

R. – La Dichiarazione evidentemente è una tappa importante, però l’incontro – cioè l’abbraccio – è veramente l’evento storico. Il fatto che questi due grandi leader cristiani si siano abbracciati è una sorta di icona, è diventato un segno, un segno profetico, di speranza, per tutti gli uomini di buona volontà. Il documento è importante, ma evidentemente è frutto di una mediazione. Lo slancio profetico, però, sono quelle mani che, oltre che scrivere, si sono anche abbracciate.

Sulla conversazione fraterna tra Papa Francesco e il patriarca Kirill si sofferma padre David Nazar, rettore del Pontificio Istituto Orientale, che sottolinea l’importanza di questa porta aperta verso il futuro delle relazioni tra le due Chiese e il profondo significato ecumenico dell’incontro:

R. – La porta è già aperta: non si può tornare più nel passato! La sola possibilità è quella di avanzare la conversazione.

D. – Una fraternità tra cristiani che, dal punto di vista spirituale, come lei sottolineava, esiste già, anche se ci sono delle differenze teologiche…

R. – Sì, è vero. Quando parliamo di ecumenismo molto spesso pensiamo a dei leader che creano un ecumenismo giuridico. Io direi che questo è, invece, l’ultimo punto. La fraternità cristiana è molto più importante di una unificazione – diciamo - giuridica. E si vede come in altri Paesi– ad esempio in Canada, in Inghilterra e negli Stati Uniti – una collaborazione ecumenica faccia molto cose, con la possibilità di avere una comunità internazionale cristiana, che può parlare dei problemi globali. Potrebbe essere una cosa meravigliosa, ma senza una unificazione giuridica..

Un incontro importante, ricorda padre Germano Mariani, docente di Teologia orientale e Missiologia, che ha visto i due protagonisti alzarsi insieme dalla nebbia delle difficoltà che permangono tra le due Chiese, ma che ha consentito loro di guardare oltre le creste di queste difficoltà:

R. – Guardare il Medio Oriente, guardare l’Europa, guardare la famiglia e la famiglia è uno dei punti chiave su cui sia gli ortodossi che i cattolici si stanno orientando per vedere se è possibile lavorare insieme. Dunque credo che sia molto importante il guardare fuori, insieme, per poter immaginarsi una possibile area di collaborazione.

D. – Una necessità storica, dunque?

R. – Una necessità, certamente. Io credo in Papa Francesco un desiderio forte, un incontro voluto, cercato, senza condizioni come dicevo e quindi anche una esigenza interiore  in un certo senso, sana, quella dell’incontro;  e l’altra certamente le condizioni esterne, quelle storiche, che in questo momento stiamo vivendo nel Mediterraneo, in Europa, in Eurasia… Credo che tutti questi focolai di guerra, più o meno indentificati o in avvenire, siano stati certamente una delle motivazioni per questo incontro. Probabilmente la più importante.

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Oggi in Primo Piano



Siria: attentato a Homs, 46 morti. Kerry: tregua più vicina

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È di almeno 46 vittime e decine di feriti il bilancio, ancora provvisorio, di un duplice attentato avvenuto questa mattina a Homs, in Siria. Sul fronte diplomatico, intanto, il segretario di Stato americano John Kerry da Amman annuncia: “Un accordo di principio sulla tregua è più vicino che mai”. Roberta Barbi: 

Si trova in visita ufficiale in Giordania, il segretario Usa Kerry, da dove riaccende la speranza sulla possibilità di un cessate il fuoco in Siria, dopo il rinvio sine die di quello inizialmente previsto per il 19 febbraio scorso. L’accordo potrebbe arrivare nei prossimi giorni, ha specificato, affermando di sperare in un prossimo colloquio tra Obama e Putin e ribadendo che la tregua comunque “escluderà le operazioni militari contro le organizzazioni definite terroristiche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. Intanto nel Paese martoriato dalla guerra si continua a morire: questa mattina sono 46, finora, le vittime accertate – per la maggior parte civili - delle due esplosioni di questa mattina a Homs, nel quartiere di Zahraa: nel primo caso si è trattato di un’autobomba; la seconda non si sa ancora se sia opera di un kamikaze. E fa discutere un’intervista al presidente siriano Assad comparsa sul quotidiano spagnolo El Pais: “Ci sono 80 Paesi che sostengono il terrorismo nel mondo in vari modi”, ha dichiarato ricordando che “non ci sono prove” in merito ai civili uccisi dai raid aerei russi, al contrario di quelli americani e ribadendo che “l’appoggio della Russia e dell’Iran è stato fondamentale per l’esercito siriano”. Sul fronte della lotta al cosiddetto Stato islamico, infine, nelle ultime ore le milizie curdo-siriane hanno riconquistato il giacimento di gas di Jasbe e la cittadina di Shaddadi, strategica metà strada tra le roccaforti siriana e irachena di Raqqa e Mosul.

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Orrori dell'Is a Mosul: la testimonianza del parroco di Alqosh

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La violenza continua ad essere l’arma più forte dei miliziani jihadisti in Siria e in Iraq. Decapitazioni, impiccagioni e lapidazioni di ragazzi, donne, anziani, colpevoli solo di aver ascoltato musica occidentale o di non aver partecipato alla preghiera del venerdì. Le ultime notizie arrivano da Mosul, ancora roccaforte jihadista, nonostante i raid internazionali nel Nord dell’Iraq. A confermarlo è padre Ghazwan Baho, parroco di Alqosh, unico avamposto della Diocesi di Mosul che resiste all’Is. Gabriella Ceraso lo ha raggiunto telefonicamente: 

R. – Queste notizie sì, sono vere, però non abbiamo dei testimoni, perché i testimoni vengono uccisi e poi da Mosul non c’è una via d’uscita; però le notizie arrivano o via Internet su Facebook e poi ci sono, qualche volta, dei contatti via telefono tra gli amici che sono a Mosul e qualche altra persona che si trova a Erbil.

D. – Perché succede questo?

R. – L’Is applica la Sharia e ci sono delle condanne per esempio per chi ruba, a cui viene tagliata la mano, a chi gioca a calcio gli viene tagliata una  gamba o un piede… Ci sono anche delle leggi più severe, quelle relative alla decapitazione o altre.

D. – Chi abita oggi nella città di Mosul?

R. – Mosul contava quasi due milioni di abitanti. I cristiani, nel cento per cento dei casi, sono scappati; chi non era a favore dell’Is, fin dal primo giorno ha lasciato la città. Tanti invece erano a favore, però dopo che l’Is ha cominciato ad applicare interamente la Sharia, alcuni non sono più a favore dell’Is, ma ormai non possono più uscire… Solo una settimana fa un giovane è riuscito ad uscire pagando 30 mila dollari: è una somma di denaro che certo non tutti possono pagare… E poi non è garantito che non venga ammazzato prima di uscire.

D. – C’è più libertà e più sicurezza nel resto del Paese?

R. – In Kurdistan c’è sicurezza, ma nel resto del Paese… Baghdad, ad esempio, non è del tutto sicura, così come anche altre città. Noi, ad Alqosh, siamo a 15 chilometri dalla frontiera con l’Is: l’ultimo villaggio di fronte all’Is…

D. – L’Iraq, come la Siria, è sotto bombardamento da mesi da parte di diverse formazioni internazionali. E si dice che qualche successo lo abbiano avuto. E’ evidente per chi abita in Iraq tutto questo?

R. – Qui ad Alqosh sentiamo i bombardamenti da più di un anno…. Non è cambiata la situazione! Invece in altre parti, come a Ramadi, nel Sud, sono state liberate dall’esercito iracheno.

D. – Quindi, in generale, secondo lei - e secondo le notizie e le testimonianze raccolte anche grazie alla presenza della Chiesa sul territorio  – a che punto siamo in Iraq? Oggi questo Paese come lo definirebbe, come lo giudicherebbe?

R. – Peggiora sempre! Quest’anno l’Iraq è anche entrato in una crisi economica e alcuni membri del governo sono stati anche accusati per i furti che hanno commesso e il governo non riesce a pagare il salario degli iracheni. E poi c’è stato anche questo abbassamento del prezzo del petrolio: in Iraq il 95 per cento delle entrate sono rappresentate dal petrolio. La gente è disperata! Da una parte c’è la guerra, dall’altra parte il governo non ha più soldi e non ci sono più i servizi… Quindi adesso la situazione è ancora più complicata.

D. – Vedete la situazione peggiorare, vedete un fronte nemico che non si allontana e un Paese che è in grande difficoltà. Che cosa è che vi spinge a stare in Iraq?

R. – Per noi, rimanere qui significa dare una speranza a tutti i cristiani dell’Iraq, soprattutto, perché questa è l’ultima città della zona di Mosul non conquistata dall’Is. E’ un segno di speranza! Questo non vuol dire che tutti vogliono restare: alcuni hanno già deciso di lasciare il Paese, ma nella maggioranza siamo qua e continuiamo fin quando possiamo… Però la situazione diventa sempre più complicata, soprattutto se la liberazione di Mosul viene rimandata al prossimo anno: non credo che tanti potranno resistere fino al prossimo anno!

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Presidenziali in Niger con migliaia di civili in fuga da Boko Haram

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Si svolge questa domenica in un clima di tensione il primo turno delle elezioni presidenziali in Niger, Paese a maggioranza musulmana. Il presidente uscente Mahamadou Issoufou sfida ben quattordici candidati dell’opposizione. Le violenze degli estremisti islamici di Boko Haram hanno causato la fuga di 300mila civili, sfollati nella regione di Diffa, nel Sud-Est del Paese. Anche la piccola minoranza cristiana ha subìto attacchi. Nei campi profughi, 5500 bambini possono andare oggi a scuola grazie a interventi umanitari. Sulla situazione ascoltiamo Nicoletta Confalone, specialista emergenze dell'Unicef in Niger, intervistata nel Paese africano da Giacomo Zandonini: 

R. - È una situazione drammatica dal punto di vista della sicurezza e del trauma che hanno subito queste popolazioni a causa degli attacchi di Boko Haram. La situazione poi è resa ancora più drammatica, perché la regione di Diffa, già prima della crisi, aveva tantissimi problemi umanitari. E' la regione più povera del Paese. Quindi la situazione dal punto di vista umanitario era già molto seria.

D. - Si stima in almeno 300mila il numero di rifugiati e sfollati interni nella regione. Quali sono gli ultimi sviluppi?

R. - L’ultimo fenomeno registrato alla fine del 2015 è stato un movimento di massa che ha coinvolto tra le 60 e le centomila persone che, a causa degli attacchi, si sono spostate verso la strada asfaltata, la Strada Nazionale 1. Le popolazioni si sono riversate su cento kilometri mettendo a dura prova le capacità di resistenza delle popolazioni locali.

D. - Come è nata e si è evoluta questa drammatica crisi umanitaria?

R. - La crisi in realtà è cominciata nel 2013, ma non in Niger. E' cominciata in Nigeria con gli attacchi di Boko Haram e quindi con tutti i rifugiati che sono arrivati nella regione di Diffa. In effetti la popolazione di Diffa, nonostante sia molto povera con problemi di servizi, è stata la prima a fornire un’assistenza umanitaria a questi rifugiati. Nel febbraio del 2015 gli attacchi di Boko Haram sono entrati nel territorio del Niger e quindi c’è stato un impatto molto più diretto sulla popolazione nigerina. Il governo ha imposto subito lo stato di emergenza con una serie di limitazioni tra le quali un coprifuoco che ancora non è stato tolto, il divieto di circolare in moto, il divieto del commercio del pesce e del peperone… Una serie di misure che servivano a limitare quelle che si pensava fossero le fonti di reddito per i Boko Haram.

D. – Quali interventi sta portando avanti l'Unicef a favore dei minori rifugiati e delle loro famiglie?

R. - L’Unicef in tutto questo ha cominciato a rispondere immediatamente alla crisi già dal 2013 per appoggiare il governo in forniture di servizi di base. Nel Niger ci sono quattro crisi fondamentali: non solo quella legata a Boko Haram, ma quella legata alla sicurezza alimentare e quindi di malnutrizione con più di 400mila bambini che saranno vittime, secondo le stime, di malnutrizione severa solo nel 2016. Questo vuol dire che se non ci saranno interventi immediati, tutti questi bambini moriranno. C’è la crisi legata alle catastrofi naturali perché tutti gli anni durante il periodo delle piogge delle zone sono vittime di inondazioni. Solo l’anno scorso abbiamo avuto 50mila vittime. Ogni anno ci sono anche delle epidemie di colera. Fortunatamente l’ultimo caso risale all’inizio dell’anno. L’anno scorso abbiamo avuto un’epidemia di meningite molto severa.

D. - Tra gli obiettivi di Boko Haram ci sono le scuole. È possibile oggi garantire l’educazione dei minori rifugiati in queste zone?

R. - Diffa è una delle regioni con il tasso di scolarizzazione più basso del Paese, se non addirittura il più basso. A questo si è aggiunto il problema della sicurezza e della crisi legata a Boko Haram. Insieme con il Ministero dell’educazione e a tutti gli altri partner abbiamo cercato di appoggiare una strategia a due velocità: da una parte la creazione di scuole temporanee per garantire l’accesso alla scuola in siti spontanei dove ci sono  grandi quantità di persone sfollate o rifugiate; dall’altra, sostenere delle scuole già esistenti, aumentare la loro capacità per poter accogliere i bambini sfollati o rifugiati.

D. - In questa situazione drammatica ritornare nelle proprie terre sembra un’ipotesi sempre più lontana. È veramente così?

R. - Ho parlato con più persone e credo che siano ancora troppo traumatizzate per prevedere un ritorno. I pochi che sono riusciti a coltivare lungo il fiume Komadugu cercano ogni tanto di tornare nei loro campi vicino al fiume, ma sono veramente a rischio perché Komadugu è il fiume che segna il confine tra il Niger e la Nigeria. Adesso ci troviamo nelle stagione secca per cui il fiume si sta abbassando e quindi anche i Boko Haram possono attraversarlo più facilmente. Quindi, probabilmente, torneranno se ci sarà la sicurezza. Credo anche che ci siano delle popolazioni talmente traumatizzate dalla violenza degli attacchi, soprattutto i nigerian. Gli attacchi in Nigeria sono stati molto più violenti di quelli in Niger e sarà molto più difficile per loro perché è più di un anno che si trovano qui. Si stanno integrando nei villaggi, nella popolazione locale, alcuni fanno parte delle stesse famiglie, degli stessi gruppi etnici, ma è chiaro che l’altra condizione è che ci siano i servizi di base: poter avere accesso al lavoro, alla salute, al cibo e all’educazione.

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Bolivia: referendum sul quarto mandato presidenziale di Morales

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In Bolivia si svolge questa domenica il referendum costituzionale sulla ricandidatura del presidente Evo Morales alle elezioni del 2019. La consultazione potrebbe permettere al capo dello Stato di presentarsi per il quarto mandato. Ma cosa prevedono i sondaggi? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Roberto Da Rin, esperto di questioni sud americane del Sole 24 Ore: 

R. – C’è un 42 per cento di favorevoli e un altro 42 per cento di contrari: tecnicamente i due principali istituti di sondaggio danno forse un lievissimo vantaggio al “sì” e quindi per chi è a favore di Morales. Però fino a qualche settimana fa i sondaggi davano a favore di Morales una quota molto maggiore di favorevoli: vicino al 60 per cento. Poi c’è stato uno scandalo che ha fatto rilevare una relazione sentimentale di Morales con una donna che percepiva molti redditi in quanto dirigente di una società compartecipata dalla Cina. Questo ha fatto sì che alcuni schieramenti strumentalizzassero questa relazione e i sondaggi hanno rilevato uno spostamento di voti.

D. – Come è stata la campagna di Morales?

R. – Morales ha puntato su una narrazione che aderisce sostanzialmente alla realtà. Infatti, metre i Paesi latinoamericani vivono una crisi profonda – si pensi ad Argentina, Brasile, Messico, il Venezuela – la Bolivia è uno dei pochissimi Paesi che, invece, ha registrato tassi di crescita sostenuti. E' un Paese produttore di gas, ma fino all’arrivo di Morales c’era ancora un tasso di indigenza elevatissimo e quindi uno sfruttamento di risorse di cui non beneficiava minimamente la popolazione. Tutti hanno riconosciuto che Morales ha fatto dei cambi sostanziali: il Fondo Monetario, la Banca Mondiale… Quindi organismi internazionali hanno riconosciuto che con la presenza di Morales sono stati fatti passi avanti e che la popolazione – soprattutto quella povera e indigente – ha migliorato molto la sua condizione di vita.

D. – Cosa dire della condotta dell’opposizione di destra in queste settimane?

R. – Ci sono state naturalmente accuse reciproche e c’è chi dice addirittura che tutto lo scandalo sentimentale, su cui l’opposizione ha costruito la propria risalita nei sondaggi, sia stato strumentalizzato e montato dalla destra. Questo è possibile e avviene un po’ in tutte le parti. E' una piccola macchina del fango che si riproduce anche in un piccolo Paese latinoamericano. Di certo, però, il dato su cui vale la pena porre l’attenzione è che, comunque, la Bolivia in questi anni ha saputo effettivamente migliorare le condizioni di vita di milioni di persone: era un Paese estremamente povero ed ora è un po’ meno povero. D'altra parte vero è che – come rimarca anche qualche esponente di sinistra – dopo dieci anni di governo, spesso si creano delle incrostazioni.

D. – In ultima istanza: qual è il valore di questo referendum?

R. – Un valore naturalmente politico in cui si capirà dove andrà la Bolivia nel medio e nel lungo periodo. Di certo si sono ormai acquisite delle consapevolezze, anche da parte della popolazione indios - che è molto numerosa - per quanto riguarda i diritti di cittadinanza. In passato non li avevano mai avuti e non li perderanno in futuro.  

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Ambulatorio di strada per i poveri di Roma: crescono le richieste

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A Roma aumentano le richieste di assistenza sanitaria gratuita, perché aumentano i poveri. E' l'esperienza dell'ambulatorio di strada dedicato a San Francesco, inaugurato nel dicembre scorso. L'iniziativa è dell'associazione Medicina Solidale, impegnata a dare assistenza a senza fissa dimora, immigrati e sempre di più a romani poveri. Del progetto, nato anche grazie all'aiuto dell’Elemosineria Apostolica, parla al microfono di Francesca Di Folco la dott.ssa Lucia Ercoli di Medicina Solidale: 

R. – Il progetto è un’estensione dell’esistente che opera a Roma attraverso “Medicina solidale” da 12 anni, per promuovere la realizzazione di ambulatori di strada, dedicati alla povertà sanitaria che ormai in Italia registra quasi due milioni di persone. E questo è un’ulteriore tentativo, considerando l’incremento delle persone che vivono in strada, soprattutto nell’area del centro della città.

D. – Quali servizi sono garantiti dalla struttura?

R. – Un servizio quotidiano di ambulatorio infermieristico, un servizio medico che si sviluppa il sabato mattina dalle 9 alle 12 e include anche la distribuzione di farmaci; e uno sportello di orientamento psicologico due pomeriggi al mese. Questo per iniziare e per studiare il problema di salute del territorio. Nei primi mesi faremo una valutazione per poi articolare una risposta più adeguata alla domanda di salute.

D. – Qual è il target a cui l’ambulatorio offre i propri servizi?

R. – E’ rivolto a tutte le persone che non riescono più a curarsi, che incominciano a essere veramente tante nel nostro Paese. Noi pensiamo, naturalmente, in particolare alle persone che vivono in condizione di maggiore emarginazione e fragilità sociale, quindi ai senza fissa dimora, ai bambini, alle donne con gravidanza in condizione di fragilità … La povertà che ormai è diventata miseria per migliaia di persone, in Italia.

D. – Quali le patologie che non vi sareste aspettati di curare, dovute alla crisi economica, alla povertà o anche alle migrazioni?

R. – Il dolore allo stomaco da fame, la malnutrizione infantile.

D. – Chiaramente, l’ambulatorio nasce per sopperire a carenze sanitarie …

R. – … a quelle carenze sanitarie che ormai sono davanti agli occhi di tutti. Forse sarebbe bene che a livello istituzionale, soprattutto da parte della Regione Lazio, ci fosse un ripensamento sul profilo degli ospedali come aziende e non più come luoghi di cura. La salute non può diventare un’occasione di profitto. E’ proprio un modo di pensare alla sanità, un modo di pensare alla salute che non è soltanto patologia d’organo, ma è qualche cosa che coinvolge la persona e la sfera delle sue relazioni. La malattia è molto più che una patologia d’organo: iscritta nella povertà, diventa un’esperienza veramente drammatica che esclude le persone da qualsiasi diritto sancito dalla nostra Costituzione.

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Festival di Berlino: orso d'Oro per il film di Rosi “Fuocoammare”

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Meryl Streep premia, con l'Orso d'Oro del 66.mo Festival di Berlino, il film dell'italiano Gianfranco Rosi “Fuocoammare”, il documentario che racconta l'isola di Lampedusa, tra quotidianità e tragedie del mare. Vincitore anche del Premio della giuria ecumenica e di quello di Amnesty International. “Fuocoammare” è stato venduto in tutto il mondo. Il servizio da Berlino di Miriam Mauti: 

A quattro anni dalla vittoria dei fratelli Taviani, l'Italia torna a vincere il Festival di Berlino che, in questa 66.ma edizione, ha dimostrato l'attenzione alla cronaca e alle grandi questioni legate ai profughi, ai migranti, ai rifugiati. Ecco, dunque, l'Orso d'Oro a “Fuocoammare”, straordinario ritratto dell'isola di Lampedusa, firmato da Gianfranco Rosi, che con emozione ha commentato così il significato di questo Premio, poco dopo la cerimonia, nella quale a consegnargli l’Orso è stata Meryl Streep:

“Il mio film è politico a prescindere, non ci sono dei messaggi politici specifici. Però qui a Berlino è diventato quasi simbolico... E’ quindi importante che un film del genere abbia avuto, soprattutto da parte del pubblico, una grandissima adesione. E poi un presidente di giuria come Meril Streep… E’ stato veramente commovente quando mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che la giuria non ha mai avuto alcun dubbio, dal primo momento fino all’ultimo, dopo aver visto  tutti i film: è stato sempre il loro Orso d’Oro. Questo è stato bellissimo!”.

A Rosi anche il Premio della giuria ecumenica e quello di Amnesty International. Nel palmares della giuria, mai cosi condivisibile ed equilibrato, anche i premi agli attori Tryne Dyrholm e Majid Mastoura; Orso alla regia di Mia Hansen Love; Premio Bauer all'esperienza visiva di Lav Diaz, con un film di oltre 8 ore; e Gran premio della giuria a “Morte a Sarajevo” di Danis Tanovic.

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Nella Chiesa e nel mondo



Appello dei Salesiani: il mondo non ignori il dramma della Siria

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Il mondo non ignori il dramma della Siria: questo il drammatico appello lanciato da don Luciano Buratti, salesiano, che opera ad Aleppo. Dopo cinque anni di guerra civile, infatti, in Siria le vittime sono innumerevoli. “Tutto è confusione, la morte è ovunque”, spiega il sacerdote all’agenzia salesiana Ans. Ad Aleppo, in particolare, si combatte costantemente da tre anni: “Ogni notte cadono bombe – racconta don Buratti -  ed ogni volta qualcuno perde un familiare o una persona cara”.

Sacerdoti continuano loro missione, tra mille difficoltà
Ma nonostante le difficoltà, i sacerdoti della Famiglia fondata da don Bosco portano avanti la loro missione. “La nostra comunità - spiega don Luciano - ha scelto di continuare comunque le sue attività”. Cerchiamo di offrire alle famiglie un luogo in cui si possano respirare, anche in mezzo al caos, la stabilità e l’armonia. Per questo, le attività della parrocchia e dell’oratorio seguono il loro normale corso, come facevamo prima dei combattimenti, ma le strutture che operano ancora con una certa normalità sono ormai poche”.  

La difficile condizione dei cristiani
Quindi, don Buratti si sofferma sulla condizione dei cristiani, particolarmente difficile: chi aveva i mezzi per lasciare il Paese – spiega – ormai lo ha fatto; qualcuno ha cercato rifugio nelle città più sicure, ma molte persone, che non hanno disponibilità economiche, rimangono ad Aleppo. Intanto, “è aumentato il flusso di coloro che arrivano nella nostra parrocchia chiedendo aiuto, cercando Dio e un po’ di conforto – prosegue il salesiano – e sono circa 200 le famiglie della nostra comunità parrocchiale che hanno perso tutto” e che ora cercano di sopravvivere.

L’opera salesiana in Siria
Da ricordare che in Siria i salesiani animano due opere: quella di Aleppo, dedicata a San Giorgio, e quella di Kafroun, dedicata a Don Bosco. Entrambe le strutture sono dotate di un oratorio, una casa di accoglienza e una parrocchia, sempre al servizio dei più bisognosi. (I.P.)

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Stati Uniti. Spara sui passanti in Michigan, almeno 7 morti

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È di almeno 7 morti e una decina di feriti tra cui uno in gravi condizioni, il bilancio provvisorio delle tre sparatorie avvenute ieri pomeriggio alle 18 ora locale, nella cittadina di Kalamazoo, in Michigan, Stati Uniti. Tra le vittime, ci sono un padre con il figlio e una ragazzina di 14 che ha riportato ferite molto gravi ed è deceduta in ospedale.

L’arresto nella notte: l’uomo sorpreso in centro città

La polizia ha arrestato nel centro della città intorno all’una di notte il responsabile dei gravi fatti di sangue: si tratterebbe di un 50enne residente nella zona, fermato mentre era in macchina, dove sono state ritrovate diverse armi da fuoco. L’uomo, che non ha resistito all’arresto, è stato riconosciuto grazie alle numerose testimonianze oculari raccolte dalle forze dell’ordine e alle immagini delle telecamere di sorveglianza acquisite dalla polizia. “Abbiamo il nostro sospettato – ha dichiarato il vice sceriffo della contea, Paul Matyas – la minaccia per il pubblico è cessata”.

Tre sparatorie e la fuga a bordo di una grossa auto

Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, il responsabile delle sparatorie in Michigan avrebbe sparato a caso, contro passanti ignari. Questa la dinamica dei fatti: tutto sarebbe iniziato nel parcheggio di un condominio nel comune di Richland dove sarebbe morta una donna; l’uomo, poi, a bordo della sua grossa auto, si sarebbe spostato nel parcheggio di un ristorante dove il bilancio è di 3 morti e 3 feriti gravi; infine spari anche all’esterno di un concessionario di auto, dove sono morti un padre e un figlio. (R.B.)

 

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Primarie Usa. Clinton si aggiudica il Nevada per un soffio

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Vince anche se con poco scarto di voti (52.5 per cento contro il 47.4 del suo avversario, bernie Sanders) la sfida dei democratici nel Nevada, Hillary Clinton, ex first lady americana dal 1993 al 2001, che si aggiudica così la prima vera vittoria di queste Primarie. Ha riconosciuto lealmente la vittoria, l’antagonista Sanders, che pure ha ribadito che il suo staff “è competitivo ovunque”. “Grazie Nevada – è stato, invece, il discorso di ringraziamento della Clinton alla popolazione – la lotta continua, il futuro che vogliamo è a portata di mano”.

Trump vince la corsa in North Carolina
Sul fronte repubblicano, invece, con il 36.3 per cento dei voti, Donald Trump vince la corsa alle Primarie del South Carolina e guarda già al “super martedì” del Primo marzo, quando voteranno contemporaneamente una dozzina di Stati americani. “Facciamo grande l’America”, ha dichiarato dopo la vittoria, che ha visto i suoi antagonisti fermarsi al 22.5 per cento Marco Rubio e al 22.3 Ted Cruz. Esce di scena, invece, Jeb Bush, inizialmente dato per favorito, che ha annunciato il proprio ritiro dopo aver ottenuto appena l’8 per cento dei consensi. (R.B.) 

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Filippine. Vescovi: la vera pace si basa sulla giustizia

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È un appello a promuovere una pace basata sulla giustizia quello lanciato da mons. Socrates Villegas, presidente della Conferenza episcopale delle Filippine (Cbcp), in una nota pubblicata sul sito Internet dei vescovi. Nel suo messaggio, in particolare, il presule fa riferimento ai recenti scontri avvenuti nel nord del Paese tra le forze di sicurezza regolari ed i ribelli appartenenti al Nuovo Esercito del Popolo (Nep). I combattimenti hanno provocato la morte di sei poliziotti ed il ferimento di altri otto.

Difendere la democrazia
“Come vescovi – scrive mons. Villegas – siamo profondamente rattristati per l’accaduto ed esprimiamo la nostra vicinanza e solidarietà alle famiglie delle vittime, assicurando la nostra preghiera”. “I poliziotti del nostro Paese – prosegue il presule – hanno dato la vita per difendere il nostro stile di vita democratico” e per questo la Cbcp deplora “con forza” coloro che “si definiscono difensori dei diritti del popolo” e poi “non si fanno scrupoli a commettere omicidi ed a compiere atti di estorsione, saccheggio e brigantaggio”.

Tutelare la libertà religiosa
Di qui, il richiamo della Chiesa di Manila alla “sofferenza degli innocenti” e l’appello al governo filippino affinché trovi una soluzione ai conflitti e garantisca, al contempo, “il rispetto dei fondamentali diritti umani e la chiara possibilità, per la popolazione, di godere delle liberà sancite dalla Costituzione, inclusa la libertà religiosa”. Infine, a nome della Cbcp, mons. Villegas eleva preghiere per tutte le vittime cadute “per questa nobile causa”.

La riforma agraria nel mirino del Nep
Costituito il 29 marzo 1969, sotto la direzione del Partito comunista filippino, il Nuovo esercito del popolo è formato principalmente da contadini e rivendica, in particolare, la necessità di una riforma agraria nazionale. Tuttavia, ciò non impedisce ai suoi membri di distruggere campi e terreni agricoli nel corso degli scontri con le forze armate nazionali. (I.P.)

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Indonesia: Quaresima, tempo di impegno a favore degli ultimi

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Si chiama “Sviluppo e digiuno” ed è il programma pastorale proposto per la Quaresima dalla Conferenza episcopale dell’Indonesia (Kwi) in tutte le 37 diocesi del Paese, con l’obiettivo di rinnovare l’impegno caritativo a favore degli ultimi. In particolare, il programma mira ad affrontare l’emergenza fame e a raccogliere fondi per garantire beni di prima necessità ai più poveri. Come spiega all’agenzia AsiaNews mons. Aksi Puasa Pembangunan, arcivescovo di Palembang, ogni cattolico è chiamato ad avere rispetto della vita umana, voluta da Dio, e per questo “deve cercare il bene comune, sia materiale che spirituale”.

La vita diventa più bella se ci lasciamo ispirare da Dio
Gli fa eco mons. Antonius Subianto Bunjamin, vescovo di Bandung, che chiede a tutte le Congregazioni cattoliche diocesane di praticare la rinuncia e il digiuno “con grande entusiasmo e grande impegno, per diventare persone migliori”. “Attraverso le opere di carità infatti – sottolinea il presule - diventiamo persone più compassionevoli”, perché  “la nostra vita può cambiare e diventare più bella se ci facciamo ispirare da Dio”. Sulla stessa linea anche le diverse Lettere pastorali inviate per la Quaresima da numerosi vescovi e sacerdoti indonesiani: ad esempio, il teologo carmelitano padre Michael Agung Christiputro di Batu, propone ai parrocchiani una catena di preghiera dedicata alla Divina misericordia, con inizio giovedì 25 febbraio.

La carità si impara in famiglia
Dal suo canto, mons. Herman Joseph Pandoyo Putro, vescovo di Malang, pone l’attenzione sul ruolo della famiglia cristiana, “all’interno della quale – spiega - le persone imparano già dai primi anni la vita vera ed i valori fondanti dell’essere cristiani”, così che “i giovani che crescono in un’atmosfera di amore e misericordia diventano adulti maturi, la cui compassione non è negoziabile”. Anche mons. Vincentius Sutikno Wisaksono, della diocesi di Surabaya, lancia un appello affinché la carità che caratterizza il periodo quaresimale sia insegnata ai bambini nelle scuole, “soprattutto in questa epoca moderna in cui dobbiamo capire come usare gli strumenti moderni per essere veicoli efficaci del volto misericordioso di Dio”.

Attenzione alla salvaguardia del Creato
Incentrata sulla salvaguardia del Creato, infine, è la riflessione di Quaresima di mons. Pius Riana Prabdi, vescovo di Ketapang, sull’isola del Borneo, uno dei “polmoni” del sud-est asiatico: L’ambiente è la nostra casa comune – dice il presule, riprendendo il tema dell’Enciclica di  Papa Francesco 'Laudato si’ sulla cura della casa comune'. “In questo ambiente viviamo insieme e insieme dobbiamo preservarlo”. Di qui, l’esortazione conclusiva a “cambiare stile di vita ed a fare visita ai fratelli malati, così da fare del bene all’ambiente e alle persone che vi abitano”. (I.P.)

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Nigeria. Mons. Kaigama: convertire i cuori per risolvere problemi del Paese

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Conversione e impegno: queste, in sintesi, le parole-chiave del discorso pronunciato nei giorni scorsi da mons. Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale della Nigeria (Cbcn), nel corso dell’Assemblea Plenaria dell’organismo. L’incontro, dedicato al tema “La Chiesa cattolica: promuovere la misericordia, la giustizia sociale e la pace”, si è svolto dal 13 al 19 febbraio. Nelle parole del presule, l’esortazione ai fedeli affinché arrivino a “convertire il cuore, pensare positivamente alla situazione del Paese e collaborare tutti nell’affrontare le questioni socio-economiche ed i problemi politici nazionali”.

Lavorare allo sviluppo di tutto il Paese, non solo di pochi
“Una nuova Nigeria – ha ribadito mons. Kaigama – sarà possibile solo se smetteremo di agire in base a motivazioni immorali, sbagliate e legate all’avidità per iniziare, invece, a fare cose giuste, amabili, ammirevoli e degne di lode, come ricorda San Paolo nella Lettera ai Filippesi”. Di fronte ad “un risveglio generale della coscienza nazionale”, ha quindi aggiunto il presidente della Cbcn, “bisogna lavorare per il bene dei bambini, dei giovani, dei nascituri, di tutti i nigeriani e dell’intero il Paese”. In quest’ottica, il presule ha esortato in particolare le istituzioni ad operare in favore dello sviluppo nazionale.

Evitare la corruzione, la leadership non è licenza di abuso
Forte, poi, il richiamo ad “evitare la corruzione” e l’appello ai funzionari pubblici a non spartirsi le risorse destinate a “progetti lodevoli, ben concepiti, ma che finiscono poi per essere mal eseguiti o non realizzati affatto”. Mons. Kaigama ha espresso preoccupazione anche per come alcuni nigeriani privilegiati abbiano accumulato ricchezze illecite a scapito della maggioranza, ribadendo: “La leadership non è una licenza di abuso sulla fiducia conferita alle istituzioni” perché così facendo si sono create “condizioni di povertà umilianti per la maggior parte della popolazione”. Il medesimo rammarico è stato espresso per la prevalenza di “interessi politici ristretti” che non hanno portato ad investimenti a lungo termine in settori vitali, come quello agricolo.

Cercare altre fonti di reddito, oltre al petrolio
Infatti, ora che “la gallina dalle uova d’oro è in difficoltà – ha concluso il presule, riferendosi al calo del prezzo del petrolio, risorsa principale della Nigeria – bisogna pensare seriamente ad altre fonti di reddito con la determinazione di usarle però in modo onesto, in nome del bene comune e non del benessere economico di pochi”. Infine, nonostante i conflitti religiosi ed etnici vissuti dal Paese, mons. Kaigama ha esortato i nigeriani ad essere orgogliosi della loro storia ed a lavorare, con solidarietà, per “correggere di squilibri di potere” e “promuovere la condivisione”. Il tutto avendo “il cuore aperto, che trascende gli interessi di parte per guardare al bene del prossimo”. (I.P.)

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Lussemburgo: in Quaresima, esercizi spirituali nella quotidianità

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“Esercizi spirituali nella quotidianità”: è l’iniziativa che il servizio per la pastorale del Lussemburgo, in collaborazione con i gesuiti, i francescani e le parrocchie locali, ha lanciato per questo periodo di Quaresima. La proposta – riferisce l’agenzia Sir - prevede un incontro settimanale in cui, oltre a un momento di preghiera e scambio comunitario, viene presentato il tema della settimana, nel contesto del percorso giubilare sulla misericordia. Il tema generale è “Di’ di sì, quando tutto dice no”.

Approfondire il tema della misericordia
Con l’aiuto del materiale distribuito in queste serate “i partecipanti si impegnano a programmare momenti di preghiera e riflessione durante la propria vita quotidiana personale, familiare, lavorativa”. Sul sito dell’arcidiocesi, www.cathol.lu, saranno inoltre disponibili riflessioni quaresimali preparate a turno dalle diverse comunità religiose femminili e maschili a cui è stata data “carta bianca sulla misericordia”, perché “ciascuna realtà si esprima sul tema secondo le diverse sensibilità e prospettive”.

Un incontro sarà dedicato alla Beata Chiara Badano
In questo contesto, il Movimento dei Focolari in Lussemburgo propone, per il prossimo 6 marzo, un incontro con i genitori della Beata Chiara Badano, morta di tumore osseo nel 1990 a soli 19 anni. Il tema dell’evento sarà “Un Dio misericordioso e un uomo che deve soffrire?”. La riflessione si concluderà con la Messa presieduta in cattedrale dall’arcivescovo di Lussemburgo, mons. Jean-Claude Hollerich. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 52

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.