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Sommario del 19/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco in aereo: chi costruisce solo muri non è cristiano

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Papa Francesco ha concluso ieri il suo viaggio in Messico. Poco prima delle 15.00 l'arrivo all'aeroporto di Roma-Ciampino, poi - prima del rientro in Vaticano - la consueta visita di ringraziamento nella Basilica di Santa Maria Maggiore davanti all'immagine della Salus Populi Romani. L'ultimo atto, il tradizionale appuntamento con i giornalisti sul volo di ritorno: non si è parlato solo di Messico e dell’incontro con il Patriarca Kirill. Molte le domande, importanti le risposte del Pontefice che, infine, ha ringraziato l’organizzatore dei viaggi papali sin dal Pontificato di Giovanni Paolo II, Alberto Gasbarri, che con il viaggio del Messico, conclude il suo servizio. Francesca Sabatinelli: 

“Un vescovo che cambia la parrocchia ad un sacerdote, quando si riconosce un caso di pedofilia, è un incosciente! E la cosa migliore che possa fare è la rinuncia”. E’ perentorio Francesco, sin dall’inizio del suo incontro con i giornalisti quando, in spagnolo, gli si chiede della pedofilia in Messico, del caso Maciel, di un orrore che ancora oggi scuote molte delle vittime e che spesso però, è la domanda, vede come punizione lo spostamento del sacerdote colpevole.

Il coraggio di Benedetto XVI contro le sporcizie nella Chiesa
Il Papa rende quindi apertamente omaggio al predecessore Benedetto XVI, colui che, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il caso Maciel lo “ha avuto tutto nelle sue mani, ha fatto l’indagine”. Fu l’allora cardinale Ratzinger che, ricorda Francesco, nella Via Crucis del Venerdì Santo, pochi giorni prima della morte di Giovanni Paolo II, disse che “bisognava pulire le ‘porquerias’ della Chiesa, le sporcizie”. Fu Benedetto XVI, prosegue, “il coraggioso che aiutò tanti ad aprire questa porta”. Il lavoro va avanti, assicura Francesco, che ha deciso di nominare un terzo segretario aggiunto alla Dottrina della Fede “perché si occupi solamente di questi casi”. Francesco ringrazia poi il Signore che “sia stata scoperchiata questa pentola”, che bisogna continuare a scoperchiare. “E’ una mostruosità, dice, perché un sacerdote" che "è consacrato per portare un bambino a Dio e là se lo ‘mangia’ in un sacrificio diabolico, lo distrugge”.

Chi costruisce solo muri non è cristiano
Il passaggio dalla lingua spagnola a quella italiana vede il Papa rispondere alla questione immigrazione, uno dei punti cardine della campagna elettorale negli Usa, con il candidato Donald Trump che, oltre a dare al Papa dell’"uomo politico" per le sue posizioni nei confronti dei migranti, ha annunciato pesantissime azioni contro di loro. Cita Aristotele, il Papa, perché fu lui a definire l’uomo “animale politico” e spiega che "una persona che pensa soltanto di fare muri" e "non a fare ponti, non è cristiana". Ma, dice, bisogna vedere se Trump "ha detto così le cose".

Incontro con Kirill e commenti dei greco-cattolici
Francesco parla poi dell’incontro e dall’abbraccio con Kirill a Cuba, di un colloquio che ha reso felici entrambi e aggiunge poi che sarà vicino al Concilio panortodosso di Creta con un messaggio e con le sue preghiere affinché “gli ortodossi vadano avanti”. Di qui poi la risposta forse più complessa di tutta la conferenza stampa, sulle reazioni nate tra i greco-cattolici in Ucraina alla Dichiarazione congiunta firmata dal Papa e dal Patriarca e ritenuta - dice il giornalista francese che fa la domanda - un “documento politico di appoggio alla politica russa". Francesco esprime preoccupazione per le critiche nate in Ucraina da parte dei greco-cattolici che si sarebbero sentiti “profondamente delusi e traditi” dal documento e allo stesso tempo però aiuta nell’interpretazione dell’intervista con la quale l’arcivescovo maggiore ucraino Sviatoslav Shevchuk aveva denunciato i sentimenti del suo popolo. “Per capire una dichiarazione bisogna cercare l’ermeneutica di tutto”, dice: dunque, da una parte l’aspetto dogmatico delle dichiarazioni dell’arcivescovo, in piena comunione con il Vescovo di Roma, dall’altra l’espressione delle idee personali, diritto di ognuno, in merito alla Dichiarazione congiunta e non all’incontro con Kirill, precisa Francesco. Sul documento, è il messaggio del Papa, si può discutere, non dimenticando la guerra e la sofferenza in cui si trova l’Ucraina, ecco quindi che si capisce quello che sente un popolo in questa situazione. Gli accordi di Minsk vadano avanti, ripete quindi il Papa “e non si cancelli con il gomito quello che è stato scritto con le mani”.

Unioni civili: il Papa non s'immischia, ma pensa come la Chiesa
E’ perentorio poi Francesco quando ribadisce che “il Papa non si immischia nella politica italiana”, rispondendo alle domande sulla legge sulle unioni civili in discussione al Parlamento italiano:

“Perché il Papa è per tutti e non può mettersi in politica concreta, interna di un Paese: questo non è il ruolo del Papa! E quello che penso io è quello che pensa la Chiesa”.

Quello che dice il Catechismo sulle persone omosessuali
“Un parlamentare cattolico – aggiunge poi Francesco – deve votare secondo la propria coscienza ben formata”, ribadendo il “ben formata”, e come il suo pensiero sulle persone omosessuali sia quello contenuto nel Catechismo della Chiesa cattolica.

Aborto non è male minore, ma crimine
Sul virus Zika e sul rischio per le donne in gravidanza che ha condotto alcune autorità a proporre l’aborto o di evitare la gravidanza, Francesco con forza ripete il perché la Chiesa non possa prendere in considerazione il concetto di “male minore”:

"L’aborto non è un 'male minore', è un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia, eh? E’ un crimine. E’ un male assoluto”.

Non bisogna confondere, prosegue, “il male di evitare la gravidanza con l’aborto”. L’aborto “non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne un’altra, nel migliore dei casi”:

"E’ un male in se stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no è un male umano".

Evitare la gravidanza non è un “male assoluto”, prosegue, ricordando anche le indicazioni di Paolo VI per i casi di violenza, come fu per alcune suore in Africa autorizzate a usare anticoncezionali.

Non sprecare cultura e storia dell'Europa
Nel prendere spunto dalla domanda sul prestigioso premio Carlo Magno che gli verrà consegnato tra poche settimane, il Papa auspica quella che definisce una ri-fondazione dell’Unione Europea:

"Perché l’Europa non è unica, ma ha una forza, una cultura, una storia che non la si può sprecare e dobbiamo fare di tutto perché l’Unione Europea abbia la forza e anche l’ispirazione di farci andare avanti".

Integrare nella vita della Chiesa le famiglie ferite
Sulla famiglia, su divorziati e risposati, Francesco ricorda che il documento post-sinodale di imminente uscita - forse prima di Pasqua - riporterà tutto ciò che il Sinodo ha detto e spiega inoltre come fondamentale siano sempre la preparazione al matrimonio e l’educazione dei figli, coloro che sono “le vittime dei problemi della famiglia”, anche quando questi problemi nascono da cause esterne, come dal bisogno di lavoro. Francesco rievoca poi l’incontro con le famiglie a Tuxtla per ribadire l’importanza di “integrare nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati”, il che però non significa “fare la Comunione”: "questo sarebbe una ferita anche ai matrimoni, alla coppia" perché non permetterebbe loro di "compiere quella strada di integrazione". 

L'amicizia di un prete con una donna
Un’amicizia con una donna non è un peccato, prosegue poi il Papa con i giornalisti, rispondendo ad una domanda sull'amicizia e sulla corrispondenza tra Giovanni Paolo II e la filosofa americana Anna Tymieniecka. “Un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna, è un uomo che gli manca qualcosa”, sono le parole di Francesco:

"Un’amicizia con una donna non è un peccato, un’amicizia. Un rapporto amoroso con una donna che non sia tua moglie è peccato. Il Papa è un uomo, il Papa ha bisogno anche del pensiero delle donne. E anche il Papa ha un cuore che può avere un’amicizia sana, santa con una donna".

Desiderio di andare in Cina e di incontrare l'imam di al Azhar
In conclusione, il Papa spiega il suo desiderio di incontrare l’Imam di al Azhar, di recarsi in Cina, e poi ripercorre la grande ricchezza, storia, gioia e anche fede del popolo messicano, da capire attraverso “il fatto Guadalupe”. La Madonna è lì, dice il Papa che molto l’ha pregata, per il mondo, per chiedere la pace:

"Ho chiesto perdono, ho chiesto che la Chiesa cresca sana, ho chiesto per il popolo messicano anche; una cosa che ho chiesto tanto è che i preti siano veri preti e le suore vere suore e i vescovi veri vescovi, come il Signore ci vuole".

E tutto il resto è segreto, conclude Francesco, come “le cose che un figlio dice alla Mamma”.

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P. Lombardi commenta i temi affrontati dal Papa con i giornalisti

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Sui giornali di tutto il mondo grande risalto oggi alla conferenza stampa del Papa sull’aereo che lo riportava a Roma dal Messico. Tra i temi che hanno maggiormente attratto l’attenzione dei media: le parole su Trump e l’immigrazione, la questione dei greco-cattolici dopo l’incontro tra Francesco e Kirill, il virus Zika e il ricorso ad aborto e contraccezione e il dibattito in Italia sulle unioni civili. Roberto Piermarini ha commentato questi temi con il portavoce vaticano e direttore della nostra emittente Padre Federico Lombardi, al seguito del Papa in Messico 

D. – Il Papa ha sottolineato che chi pensa soltanto a fare i muri e non i ponti, non è cristiano. Molti hanno parlato di una scomunica, se così possiamo dire, nei confronti del candidato repubblicano alla corsa alla Casa Bianca, Donald Trump…

 R. – Ma il Papa ha detto quello che ben sappiamo, quando seguiamo il suo magistero e le sue posizioni: che non bisogna costruire muri, ma ponti. Questo lo dice da sempre, continuamente, e lo ha detto anche a proposito delle questioni delle migrazioni in Europa, moltissime volte. Quindi non è affatto una questione specifica, limitata a questo caso. E’ un suo atteggiamento generale, molto coerente con quello che è un seguire con coraggio le indicazioni del Vangelo di accoglienza e di solidarietà. Naturalmente, questo poi è stato molto rilanciato, ma non è che volesse essere, in nessun modo, un attacco personale né un indicazione di voto. Il Papa ha detto chiaramente che non entrava nelle questioni del voto nella campagna elettorale degli Stati Uniti e ha anche detto – cosa che naturalmente non è stata molto ripresa – che lui diceva questo nel caso che fosse esatto e vero quello che gli era stato riferito, quindi dando il beneficio anche del dubbio a proposito di quello che gli è stato riferito delle espressioni del candidato repubblicano. E’, quindi, il noto discorso dell’accoglienza, del costruire ponti invece che muri, che è caratteristico di questo Pontificato. Va interpretato e capito in questo senso.

 D. – Al Papa è stato chiesto anche un commento sulle reazioni dei greco-cattolici in Ucraina dopo la dichiarazione congiunta firmata da Papa Francesco e dal Patriarca Kirill. Quali sono le cose da sottolineare nella risposta del Pontefice?

 R. – Ci sono state delle cose molto interessanti in questa risposta. Anzitutto, il Papa ha messo in rilievo il suo profondo, antico e ottimo rapporto personale con l’arcivescovo maggiore Shevchuk. E questo è molto interessante, evidentemente. Poi ha messo in rilievo anche quanto è stato riferito di positivo dell’intervista dell’Arcivescovo maggiore. Ciò che è stato più importante nell’evento è stato l’incontro stesso e questo l’Arcivescovo lo capisce benissimo, come tutti lo capiamo benissimo. La grande novità è il fatto di avere aperto una porta per un rapporto diretto tra il Papa e il Patriarca, che è naturalmente l’inizio, la possibilità di un cammino che poi può svilupparsi, avere tante conseguenze positive. La questione del documento e dei punti che riguardano l’Ucraina nel documento è poi una dimensione anche un po’ più opinabile, se vogliamo. Come il Papa ha messo in rilievo, si può capire che persone molto coinvolte, con grandi sofferenze, abbiano delle loro reazioni o delle loro prospettive personali o comuni, per cui sentono una difficoltà ad accettare quello che è scritto sull’Ucraina nel documento. Allo stesso tempo, dobbiamo essere oggettivi e vedere che nel documento si parla di attese di pace, di responsabilità nell’agire nei confronti della pace. E il Papa ha aggiunto nella sua risposta che egli ha sempre insistito che gli accordi di Minsk vanno presi sul serio e bisogna cercare di realizzarli effettivamente. Poi io noterei che, anche nella dichiarazione comune, ci sono dei punti molto importanti per quanto riguarda le Chiese greco-cattoliche, come la chiarissima affermazione del loro diritto all’esistenza, e anche questo non era scontato. Quindi, il fatto che le Chiese greco-cattoliche siano da considerare, da rispettare pienamente nella loro esistenza e nella loro vita, anche da parte ortodossa e del Patriarcato russo, e questo è un punto certamente significativo. Mi pare, quindi, che il Papa abbia dimostrato la sua comprensione per delle difficoltà di accettazione da parte di chi vive una situazione drammatica, ma abbia anche aiutato – come lui dice – a vedere le cose più nell’insieme, e nell’insieme la valutazione positiva da dare nell’incontro è assolutamente dominante e anche assai presente nella stessa intervista dell’arcivescovo maggiore.

 D. – Riguardo alle strategie di contrasto alla diffusione del virus Zika, caldeggiate dall’Oms, Papa Francesco ha ribadito che l’aborto è un crimine, un male assoluto. I media parlano oggi di un’apertura del Papa alla contraccezione. Cosa può dirci in proposito?

 R. – L’aspetto fondamentale mi sembra che sia stato colto, ed è che il Papa parla della inaccettabilità dell’aborto come soluzione. In questi casi, invece, purtroppo, ci sono state delle prese di posizione o delle dichiarazioni che sembrano andare piuttosto in questa direzione del facilitare l’aborto, cosa che per noi è assolutamente inaccettabile. Il Papa distingue poi nettamente la radicalità del male dell’aborto come soppressione di una vita umana e invece la possibilità di ricorso a contraccezione o preservativi per quanto può riguardare casi di emergenza o situazioni particolari, in cui quindi non si sopprime una vita umana, ma si evita una gravidanza. Ora non è che lui dica che vada accettato e usato questo ricorso senza nessun discernimento, anzi, ha detto chiaramente che può essere preso in considerazione in casi di particolare emergenza. L’esempio che ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione. E anche - ricordiamo per esempio – la discussione seguita ad un passo del libro intervista di Benedetto XVI “Luce del mondo”, in cui egli parlava a proposito dell’uso del condom in situazioni a rischio di contagio, per esempio, di Aids. Allora il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il Papa. Mentre sull’aborto non ha dato spazio a delle considerazioni. Poi il Papa ha insistito che bisogna cercare naturalmente di sviluppare tutta la ricerca scientifica, i vaccini, in modo tale da contrastare questa epidemia e questo rischio del virus Zika, che sta suscitando tanta preoccupazione, e però bisogna che non si cada nel panico e quindi nel far prendere degli orientamenti o delle decisioni che non sono proporzionati alla realtà del problema. Quindi capire bene la natura del problema, continuare a studiarla, a reagire anche con la ricerca, per trovare le soluzioni più sostanziali e più stabili; evitare comunque un ricorso all’aborto e, se ci fossero delle situazioni di emergenza grave, allora una coscienza ben formata può vedere se ci sono delle possibilità o delle necessità di ricorso a non abortivi per prevenire la gravidanza.

 D. - In Francia alcuni hanno associato la risposta del Papa sui vescovi responsabili di copertura nei casi di pedofilia, al caso del cardinale Barbarin. E’ corretto questo riferimento?

 R. – No! Secondo me non ha assolutamente alcun fondamento. La domanda era fatta da un giornalista messicano che aveva in mente – diciamo – le vicende del padre Maciel o anche quelle degli Stati Uniti, che sono più vicine al Messico, e quanto riguarda casi effettivi di copertura, in cui cioè irresponsabilmente dei sacerdoti che siano stati colpevoli o che si siano comportati in modo assolutamente grave, vengono sposati mettendo così a rischio altre situazioni. In questo senso il Papa dice: il vescovo mancherebbe di responsabilità e quindi poi dovrebbe dimettersi. Ma il caso del cardinale Barbarin è completamente differente: egli non ha assolutamente preso delle iniziative per coprire, ma si è trovato di fronte ad una situazione che risaliva a molti anni prima, in cui non aveva avuto delle accuse particolari, e ha sempre affrontato la questione con estrema responsabilità. Quindi non ritengo affatto che questa risposta del Papa si possa riferire a questo caso, che è delicato e complesso e in cui il cardinale mi sembra che si stia muovendo con molta responsabilità.

 D. - Rispondendo ad una domanda sul dibattito nel parlamento italiano sulle unioni civili, Francesco ha detto che “il Papa non si immischia”. Però ha aggiunto che un parlamentare cattolico deve votare secondo “una coscienza ben formata”. E’ significativo che molti media abbiano omesso i termini “ben formata”…

 R. – Sì. Il Papa ha risposto molto brevemente, dicendo che appunto non voleva immischiarsi nelle questioni della politica italiana. Però ha aggiunto questo tema della “coscienza ben formata”, dicendo che “non è la coscienza del ‘quello che mi pare’”. Quindi libertà di coscienza non vuole affatto dire adesso io dico quello che mi sembra, prendo l’atteggiamento che mi sembra più vantaggioso o più facile o motivato da interessi politici o di giochi di potere. No! Dice: la coscienza ben formata è quella che si orientata a delle considerazioni profonde e oggettive dei valori di responsabilità nei confronti della persona, della famiglia e della società. Ecco, in questo caso credo che la “coscienza ben formata” debba essere ben consapevole di quale sia il valore della famiglia nella società e che la famiglia va difesa anche dal punto di visita legislativo e che c’è il valore dell’interesse dei bambini, dell’interesse dei figli e della loro educazione, che spesso viene dimenticato a vantaggio invece di interessi di carattere più individualistico. Allora, in questo senso, il Papa – senza dare delle indicazioni operative particolari e lasciando anche alle Conferenze episcopali le loro responsabilità – aiuta a capire che c’è tutto un lavorio di approfondimento, in cui anche la Dottrina Sociale della Chiesa aiuta una visione della realtà umana più approfondita ed oggettiva, cui bisogna ispirarsi nelle decisioni che riguardano il bene della società, il bene della famiglia, il bene delle persone.

 D. - La conferenza stampa del Papa sull’aereo ha fatto passare in secondo piano il successo della visita del Papa in Messico. Cosa le è rimasto di questo viaggio di Francesco?

 R. – Mi è rimasto moltissimo, evidentemente. Mi è rimasta l’idea di un grande incontro che è avvenuto: il Papa parla sempre della “cultura dell’incontro” e un viaggio è l’incontro tra il Papa e un grande popolo. In questo caso un popolo che ama il Papa e che esprime anche molto efficacemente i suoi sentimenti e il suo amore, e a cui il Papa si è avvicinato con tutta la ricchezza della sua umanità e della sua capacità di comunicare l’amore di Dio attraverso i suoi gesti, attraverso la sua vicinanza, attraverso il suo calore e la sua tenerezza. Il motto di questo viaggio era “Messaggero di misericordia e di pace” e mi pare che sia stato veramente realizzato. Mi rimane anche il momento culmine dal punto di vista spirituale che è l’incontro tra il Papa e la Vergine di Guadalupe, alla sera, dopo la celebrazione della Messa: quel momento, quel tempo di dialogo silenzioso, che esprimeva il rapporto più intenso tra la Vergine e il Papa. Questo rapporto si è poi sviluppato anche facendo vedere le sue conseguenze, la sua ispirazione in tutti gli altri momenti del viaggio. Un viaggio – possiamo dire - “guadalupano”. Certamente il Papa ha tenuto presente e ha mostrato la sua consapevolezza dei grandi problemi del Messico, che – sappiamo - il Papa ha toccato e che ha ripetuto molte volte: le migrazioni, la violenza, il narcotraffico, le ingiustizie nei confronti degli indigeni… Però questa gravità dei problemi non ha impedito che il messaggio fondamentale del Papa fosse un messaggio di incoraggiamento, di speranza e di richiamo di tutti alla responsabilità . Questo parlare anzitutto ai giovani, al popolo del Messico come un popolo giovane: i giovani sono la ricchezza, la speranza e coloro che, impegnandosi - a seconda della loro possibilità, e con l’aiuto responsabile anche di tutte le altre componenti della società -, possono far sperare anche in un futuro migliore. Quindi mi è parso un viaggio di misericordia, di pace, anche di grande speranza e di incontro gioioso, profondo, suscitatore di buone energie per il popolo del Messico. Più di così non so che cosa avremmo potuto desiderare…

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Papa a gesuiti messicani: lavorate per la dignità di chi soffre

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La Compagnia di Gesù in Messico ha pubblicato un breve videomessaggio di Papa Francesco rivolto ai gesuiti messicani. Il Pontefice chiede ai suoi confratelli di lavorare senza sosta per la dignità delle persone, in particolare per quelli che soffrono. Quindi sottolinea l’importanza della gioventù messicana e del suo patrimonio spirituale. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Un saluto da fratello”. Papa Francesco ha colto l’occasione della visita privata alla nunziatura di Città del Messico, da parte di sei gesuiti – all’inizio del viaggio apostolico – per inviare un breve messaggio alla Compagnia di Gesù del Paese. Un video che è stato pubblicato ieri sul canale YouTube Vocaciones Jesuitas del Messico:

“Sigan trabajando por la dignidad…”
“Continuate a lavorare per la dignità, la dignità di Gesù che è in ogni donna e uomo del Messico”, è l’esortazione rivolta da Francesco ai suoi confratelli. “Il Messico – rileva – ha un volto giovane”. E ancora esorta i gesuiti messicani a “continuare a lavorare per questa dignità di Gesù” affinché “non finisca negoziata sulla Croce così che vivano meglio quelli che lo crocifiggono”.

“Mexico sufre, pero Mexico es grande…”
“Il Messico soffre – constata con amarezza – però il Messico è grande, ha cose bellissime, ha una ricchezza impressionante, una storia originale, quasi unica nell’America Latina”. E’ questa, per Francesco, la forza inestimabile dei messicani. Francesco assicura infine le sue preghiere e chiede ai gesuiti di lavorare per la Causa del  Beato martire Miguel Augustin Pro, gesuita di Guadalupe, Proprio in occasione del breve colloquio, i gesuiti messicani hanno donato al Papa le reliquie del martire ucciso nel 1927 durante le persecuzioni anticattoliche perpetrate dal regime anticlericale di Plutarco Elías Calles.

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Hummes: da visita Papa in Messico nuovo ruolo comunità indigene

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Una rinnovata attenzione della Chiesa per la comunità indigena. E' uno dei doni del viaggio apostolico in Messico di Papa Francesco, una dimensione che va al di là dei confini messicani come spiega - al microfono di Cristiane Murray - il cardinale brasiliano Cláudio Hummes

R. – Io vorrei fortemente sottolineare che questo è importantissimo per tutti coloro che lavorano con le comunità indigene nel mondo, qui in America Latina; anche per noi brasiliani, soprattutto per tutti quelli che sono in Amazzonia, nella Pan Amazzonia. Qui in Amazzonia noi cerchiamo veramente delle nuove strade per promuovere la presenza della Chiesa e per costruire una Chiesa che sia veramente inculturata nelle regioni in cui sono presenti i nostri indigeni. Credo che il Papa, in Chiapas, abbia detto delle cose importantissime al riguardo. E poi i suoi gesti, i suoi atteggiamenti con gli indigeni; l’accoglienza che ha ricevuto da parte degli indigeni, in cui ha trovato tantissimi diaconi permanenti sposati indigeni, sacerdoti indigeni ed una pastorale indigena dei vescovi e della diocesi che è portata avanti già da tempo. Questo sforzo di costruire – diciamo cosi – una Chiesa che lì sia veramente una Chiesa indigena. E questo vorrebbe dire una Chiesa veramente inculturata nella cultura, nella storia, nel modo di vivere, nel momento presente di questi indigeni, con le loro sfide, le loro aspirazioni, le loro sofferenze, le loro carenze. Una Chiesa che sia veramente indigena in questo senso, che abbia quindi un clero indigeno e che permettesse agli indigeni stessi di dire: “Noi siamo la Chiesa indigena di Gesù Cristo”. Quindi una Chiesa che sia veramente Chiesa di Gesù Cristo, nata ovviamente da Roma, con questa possibilità, che rappresenta sempre una grande sfida in tutto il mondo, quella cioè di essere una Chiesa veramente inculturata nella cultura di quella gente. E’ anche interessante che lì, come gesto e come segno, il Papa abbia autorizzato anche la Liturgia in una delle lingue principali indigene. Questo per noi, qui in Brasile, che lavoriamo soprattutto in Amazzonia, è una luce ed una indicazione forte. So che il Papa segue molto il nostro lavoro, il lavoro dei nostri vescovi tra gli indigeni. Ci ha anche già detto che la Chiesa in Amazzonia dovrà avere un volto amazzonico: un volto amazzonico, con un clero autoctono. In Chiapas, questo è venuto fuori fortemente e ci dà molta speranza. 

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Cantalamessa: grazie allo Spirito Gesù è presenza non memoria

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La liturgia riscopra il dinamismo proprio dello Spirito Santo, il cui ruolo vitale nella vita della fede cristiana resta talvolta ancora in ombra. Lo ha detto il predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa, nella prima predica di Quaresima tenuta al Papa  e alla Curia Romana nella Cappella “Redemtoris Mater” del Palazzo apostolico. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Riscoperto, ma non del tutto, neanche dalla liturgia. Se lo Spirito Santo oggi “non è più ‘lo sconosciuto’ della Trinità, questo lo si deve al Concilio Vaticano II, che ha permesso alla Chiesa di prendere “una più chiara coscienza della sua presenza e della sua azione”.

Il protagonista che manca
Tuttavia, padre Raniero Cantalamessa parte da questa premessa per riflettere sul fatto di come questo indubbio “risveglio” non abbia portato a un giusto risalto del ruolo dello Spirito Santo, rimasto ancora un po’ in ombra rispetto alle altre Persone della Trinità. Un problema, sostiene il predicatore pontificio, rilevabile già nel testo conciliare sul rinnovamento liturgico, la Sacrosanctum concilium, di cui cita e commenta un passo:

“Ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado’. È nei soggetti, o negli ‘attori’, della liturgia che oggi siamo in grado di notare una lacuna in questa descrizione. I protagonisti qui messi in luce sono due: Cristo e la Chiesa. Manca ogni accenno al posto dello Spirito Santo. Anche nel resto della costituzione, lo Spirito Santo non è mai oggetto di un discorso diretto, solo nominato qua e là, e sempre ‘in obliquo’”.

L’Anello essenziale
Non si tratta, osserva padre Cantalamessa, “di fare, per così dire, il tifo per l’una o l’altra delle tre Persone della Trinità, ma di salvaguardare il dinamismo trinitario della liturgia”. Un dinamismo, ricorda, ben espresso da San Basilio quando dice che “Come le cose divine discendono a noi dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo, così le cose umane ascendono al Padre attraverso il Figlio, nello Spirito Santo”. Dunque, afferma il religioso francescano…

“…Non basta perciò ricordare ogni tanto che c’è anche lo Spirito Santo; bisogna riconoscergli il ruolo di anello essenziale, sia nel cammino di uscita delle creature da  Dio che in quello di ritorno delle creature a Dio. Il fossato esistente tra noi e il Gesù della storia è colmato dallo Spirito Santo. Senza di lui, tutto nella liturgia è soltanto memoria; con lui, tutto è anche presenza”.

“Non fa cose nuove, ma fa nuove le cose”
E una liturgia resa viva dallo Spirito assolve, assicura padre Cantalamessa, a uno dei suoi “compiti primari che è la santificazione delle anime”:

“Lo Spirito Santo non autorizza a inventare nuove e arbitrarie forme di liturgia o a modificare di propria iniziativa quelle esistenti (compito questo che spetta alla gerarchia). Egli è l’unico però che rinnova e da la vita a tutte le espressioni della liturgia. In altre parole, lo Spirito Santo non fa cose nuove, ma fa nuove le cose”.

Spirito e preghiera di adorazione
Così, prosegue padre Cantalamessa, “lo Spirito Santo vivifica in modo particolare la preghiera di adorazione che è il cuore di ogni preghiera liturgica”:

“La sua peculiarità deriva dal fatto che è l’unico sentimento che possiamo nutrire solo ed esclusivamente verso le persone divine (...) Noi veneriamo la Madonna, non la adoriamo, contrariamente a quanto alcuni pensano dei cattolici”.

Spirito e preghiera di intercessione
Inoltre, conclude il predicatore pontificio, “lo Spirito Santo intercede per noi e ci insegna a intercedere, a nostra volta, per gli altri”. L’intercessione, rimarca, è “una componente essenziale della preghiera liturgica”, come dimostra la Chiesa che “non fa che intercedere: per se stessa e per il mondo, per i giusti e per i peccatori, per i vivi e per i morti”. Ed è ben accetta a Dio perché non pensa a sé ma agli altri:

“La preghiera di intercessione è così accetta a Dio, perché è la più libera da egoismo, riflette più da vicino la gratuità divina e si accorda con la volontà di Dio, la quale vuole ‘che tutti gli uomini siano salvi’. Dio è come un padre pietoso che ha il dovere di punire, ma che cerca tutte le possibili attenuanti per non doverlo fare ed è felice, in cuor suo, quando i fratelli del colpevole lo trattengono dal farlo.

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Giubileo: i donatori di sangue incontrano Papa Francesco

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Domani, sabato 20 febbraio, per la prima volta, i donatori di sangue incontreranno Papa Francesco, in Piazza San Pietro, nell'ambito dell’udienza speciale giubilare. L’evento è organizzato dalla Fidas, Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue, con l’adesione dei volontari Avis, Frates e Croce Rossa Italiana. Sono presenti anche associazioni autonome del territorio nazionale e rappresentanti del sistema trasfusionale. Eliana Astorri ha intervistato Aldo Ozìno Caligaris, presidente Fidas: 

R. – E’ un evento molto atteso, devo dire, non soltanto da noi che abbiamo organizzato, ma dalla grande quantità dei donatori – più di 25 mila donatori di sangue, volontari e periodici del nostro Paese – che sono a Roma per questo incontro con il Santo Padre, in occasione del Giubileo della Misericordia. E’ un evento molto atteso, perché per noi acquista un significato particolare, in quanto il gesto volontario della donazione del sangue si coniuga con i principi della solidarietà, della disponibilità, dell’attenzione all’altro, di chi non ha e di chi non è, e di conseguenza credo si allinei molto con quelle che sono le tematiche che oggi Papa Francesco propone e diffonde in tutto il mondo.

D. – Si lamenta sempre la mancanza di sacche di sangue, almeno a Roma e nel Lazio, ma i donatori sono in aumento…

R. – I donatori, dunque, sono sistematicamente in aumento. Devo dire che a livello nazionale noi abbiamo oltre un milione e 700 mila donatori di sangue. E la cosa che ci pone come un dato di primato, a livello mondiale ed europeo, è il fatto che il 90 per cento di questi donatori sono periodici e associati. Vuol dire, quindi, persone che hanno acquisito la consapevolezza e quindi sistematicamente compiono questo gesto, che è a supporto del sistema trasfusionale ed è buona garanzia del funzionamento dei sistemi sanitari regionali e nazionali.

D. – Vorrebbe spiegare quanto sia importante donare il sangue sia per chi ne ha bisogno ma anche proprio per chi lo dona…

R. – E’ importante, innanzitutto, per un principio molto semplice: il sangue non si produce in laboratorio e non è possibile averlo dall’industria. L’unico modo, quindi, per averlo è unicamente attraverso - sia emocomponenti freschi che il plasma ed i medicinali plasma derivati - il gesto volontario della donazione del sangue, non remunerata, secondo la scelta del nostro Paese, che fortemente noi come associazioni condividiamo e difendiamo. Questo, quindi, è il motivo per cui è importante fare e avere le donazioni in un’ottica di una programmazione condivisa a livello nazionale, regionale e locale, a seconda dei bisogni e soprattutto poi a seconda della misurazione dell’appropriatezza dell’utilizzo di questa, che è una risorsa comunque etica oltre ad avere un valore intrinseco in termini di produzione, di impegno di personale e di tutto quello che serve ovviamente per la raccolta, per la sua lavorazione, per la sua qualificazione, conservazione, assegnazione. Per il donatore è importante poter fare una donazione, in quanto il donatore attraverso la donazione usufruisce di un costante periodico controllo delle proprie condizioni di salute, e quindi viene monitorato il suo stato di condizioni generali di salute nel tempo e, oltretutto, il donatore costituisce - i donatori nel nostro Paese, donatori in senso assoluto - un osservatorio epidemiologico privilegiato proprio per verificare patologie particolari di un determinato segmento, come le patologie legate agli eccessi di grassi nel sangue, per fare, quindi, un monitoraggio del rischio, per esempio, delle malattie cerebro-cardiovascolari. Quindi la donazione del sangue, a sua volta, diventa, oltre che un gesto di volontariato, un ottimo sistema per fare prevenzione e per fare un monitoraggio proprio della popolazione relativamente alle grandi patologie, che diventano poi spesso oggetto di approfondimento di studio, ma in questo caso soprattutto di prevenzione.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Sorprendente ricchezza: la conferenza stampa del Papa di ritorno dal Messico.

Missionario di pace: la stampa internazionale a conclusione del viaggio.

Nessuna lacrima va sprecata: Lucio Coco a sessant'anni di don Gnocchi.

Per la pace e per il creato: il patriarca ortodosso russo Cirillo in Antartide e in America Latina.

Quelle braccia alzate: prima predica di Quaresima.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Iniziato il cessate il fuoco. A rischio Ginevra 3

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In Siria, inizia oggi il cessate-il-fuoco concordato a Monaco di Baviera il 12 febbraio scorso. Scontri nelle ultime 24 ore si sono registrati in varie parti del Paese. Intanto sono "quasi 120 mila" gli sfollati, in questo momento al confine turco in fuga dalle violenze, che si aggiungono agli 11 milioni totali. In questo quadro, per l'inviato speciale dell'Onu per la Siria, Staffan De Mistura, non è “realistico” che le parti tornino al tavolo dei negoziati il 25 febbraio a Ginevra. Massimiliano Menichetti ha intervistato Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie: 

R. – Questo cessate-il-fuoco non credo che sarà mantenuto perché la competizione tra i diversi attori – regionali ed extra-regionali – è molto, molto forte. Qui si gioca una partita che non è esclusivamente sulla Siria, per la Siria, o a favore dell’opposizione della Siria: qui si gioca una partita che investe responsabilità a livello globale. Faccio riferimento ovviamente agli Stati Uniti e alla Russia. Le cancellerie europee e quelle di tutto il mondo sono in grande fibrillazione, non riescono a trovare un punto di raccordo sostenibile né nel medio e neanche nel lungo periodo.

D. – Tutto questo nello scenario di lotta contro anche il sedicente Stato islamico…

R. – ...che tuttavia dà la possibilità ad alcuni attori, come ad esempio la Turchia, di regolare i conti con la minoranza curda. Ankara tende a estendere la sua influenza non soltanto dal punto di vista politico, economico, ma sostanzialmente militare: tende cioè a controllare fino alla frontiera, la parte nord del Paese.

D. – In Siria, ci sono i bombardamenti della coalizione contro i ribelli, si combatte contro lo Stato islamico, i gruppi tribali all’interno sono divisi e combattono tra di loro. Sembra che tutti siano contro tutti…

R. – Appunto perché tutti combattono contro tutti bisogna rivedere gli equilibri, rivedere le strategie dei vari attori.

D. – Ma quindi un intervento saudita di terra sarebbe altra benzina sul fuoco?

R. – Altra benzina sul fuoco il cui beneficiario potrebbe essere l’Arabia Saudita, che così rientrerebbe in gioco per cercare di rafforzare la sua alleanza con gli Stati Uniti.

D. – L’inviato Onu, Staffan de Mistura, ha ribadito che la data del 25 febbraio indicata per la ripresa dei colloqui di pace sulla Siria a Ginevra non è realistica. Che ne pensa?

R. – Non si può ancora parlare di pace. La pace chiaramente rimane sull’orizzonte, ma nel medio e lungo periodo. Le grandi potenze si devono sedere intorno a un tavolo e, sulla base dei reciproci interessi, stabilizzare quella regione. Bisogna tener conto, ad esempio, anche dell’importanza del governo attuale siriano che rimane tuttora – che lo si voglia o no – un elemento sulla cui base si può costruire una stabilità regionale.

D. – In questo momento, sembra che proprio la Russia sia il maggiore attore in questo scenario…

R. – Questo va – a mio avviso – sostenuto. Una volta che si è raggiunto un accordo con la Russia allora si può parlare di “politica di stabilizzazione regionale”.

D. – “Ginevra 1”, “Ginevra 2” nella sostanza sono fallite. “Ginevra 3” di fatto non parte. Come si può arrivare a un incontro reale e non soltanto di facciata? Perché l’impressione è un po’ questa…

R. – Realisticamente, non si tiene conto dell’elemento nuovo da qualche mese a questa parte, che è costituito dalle azioni della Russia. Se questo riconoscimento non viene fatto in un tavolo di Ginevra, sarà molto difficile arrivare a strutturare una strategia che porti alla stabilizzazione: una strategia dico anche in termini sia militari sia diplomatici. Credo che il punto essenziale sia il riconoscimento, in questa fase, proprio della Russia come attore importante per la stabilità o comunque per le politiche tese alla stabilità. 

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Usa-Corea del Nord. Obama firma nuove sanzioni economiche

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Ricevono il plauso di Seul le nuove sanzioni contro la Corea del Nord firmate ieri dal presidente degli Stati Uniti Obama in risposta “alle provocazioni di Pyongyang”, cioè gli ultimi test nucleari e il lancio di un missile. Cosa prevedono queste sanzioni e chi colpiranno? Roberta Barbi lo ha chiesto al prof. Carlo Filippini, esperto dell’Asia Orientale per l’Università Bocconi di Milano: 

R. – Queste sanzioni puniscono chiunque - individui o società e soprattutto, naturalmente, banche – abbia relazioni di affari, relazioni commerciali o finanziarie con, appunto, enti della Corea del Nord. In più alcune sanzioni riguardano esplicitamente alcune persone - i governanti della Corea del Nord - per le quali è proibito entrare in altri Paesi. Le ultimissime sanzioni dovrebbero prevedere – anche se non è ancora chiarissimo esattamente quali siano i punti specifici delle sanzioni – la condanna e più esattamente la messa sulla “lista nera” delle imprese, anche straniere, che lavorano con imprese nordcoreane o con il governo nordcoreano.

D. – Il testo menziona anche società che hanno rapporti commerciali con queste entità nordcoreane, incluse alcune imprese cinesi. Questo che cosa significherà per la Cina, già alle prese con un importante crisi economica, che aveva iniziato a prendere le distanze - almeno politicamente - dalla Corea del Nord?

R. – Dal punto di vista economico, penso che per la Cina queste sanzioni siano relativamente minori perché in teoria potrebbero - le imprese cinesi - interrompere i rapporti con quelle nordcoreane, o farli attraverso degli intermediari. Se la Cina volesse davvero sanzionare e colpire l’economia della Corea del Nord, i risultati negativi sarebbero minimi. Il problema è che la Cina naturalmente non vuole fare questo, perché significherebbe quasi “abdicare” di fronte agli Stati Uniti. Il problema si porrà quando eventualmente alcune imprese cinesi verranno messe dagli Stati Uniti nella "lista nera". Se la Cina volesse interrompere tutte le relazioni commerciali con la Corea del Nord, il regime della Corea del Nord avrebbe un collasso e svanirebbe. Questo, però, è chiaro che avrebbe conseguenze molto negative: probabilmente milioni e milioni di nordcoreani si riverserebbero immediatamente o nella Corea del Sud o addirittura anche in Cina.

D. – Intanto gli Usa stanno mostrando i muscoli: gli F-22 arrivati nei giorni scorsi in Corea del Sud sono in grado di raggiungere Pyongyang, in caso di necessità, in soli 7 minuti…

R – Questi F-22, che sono arrivati e che hanno fatto un sorvolo a bassa quota, fanno parte delle "manovre di marzo": ogni anno, a marzo, ci sono manovre militari congiunte fra Stati Uniti e Corea del Sud. La Corea del Nord le ritiene - ed è sempre stata molto forte nel condannare queste manovre – una prova per invadere la stessa Corea del Nord. Del resto la Corea del Nord fa sempre esercitazioni e l’apparato militare della Corea del Nord è sempre – in teoria – molto in allerta. È un gesto più dimostrativo, per dire ai sudcoreani che gli Stati Uniti sono al loro fianco.

D. – L’annuncio di Obama che visiterà il Vietnam a maggio, dopo che l’anno scorso i due Paesi hanno festeggiato il ventennale dalla ripresa delle relazioni diplomatiche, come incide sugli equilibri del Sudest asiatico?

R. – Fa parte di questo spostamento dell’attenzione degli Stati Uniti verso l’Asia. La Cina sta militarizzando alcune isole in quello che è il Mar Cinese Meridionale, che è una zona contesta praticamente da tutti gli Stati che confinano con il mare. Gli Stati Uniti sono molto preoccupati di questo, perché significherebbe che la Cina avrebbe basi navali a 1.000-1.500 chilometri dalle sue coste e potrebbe effettivamente interdire la navigazione a chiunque, a qualsiasi nave civile o militare. È abbastanza curioso che, dopo aver combattuto una guerra feroce con l’uso di armi chimiche, il Vietnam si rivolga ora agli Stati Uniti per controbilanciare, appunto, l’espansionismo cinese del Sudest asiatico.

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Sudan, scelti i missionari della misericordia per i rifugiati

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In Sudan, dal 2010 a oggi il numero dei cristiani è diminuito in maniera drastica, passando da 5,5 milioni ad appena un milione. Per permettere alle comunità cattoliche sudanesi, sempre più isolate, di vivere il Giubileo, il Papa ha voluto la nomina di quattro missionari della misericordia. Ma quali sono le condizioni di chi oggi in Sudan professa la fede cristiana? Eugenio Murrali lo ha chiesto a Marta Petrosillo, portavoce in Italia della Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre: 

R. – La secessione del Sud, a maggioranza cristiana, ha lasciato un Nord a netta maggioranza islamica e con un governo – quello di Omar al-Bashir – che ha ulteriormente inasprito le misure contro le minoranze. Nel Paese vige la shari’a – la legge coranica – ed è applicata anche ai non musulmani. Un caso emblematico è quello di Mariam Ibrahim, la donna condannata a morte perché accusata del reato di apostasia, ovvero di aver abbandonato la fede islamica per il cristianesimo. Purtroppo, quello di Mariam non è un caso isolato in un Sudan in cui, ad esempio, le donne cristiane sono condannate a ricevere delle frustrate per aver indossato dei pantaloni o delle gonne ritenute troppo corte dalla polizia religiosa.

D. – Il Papa ha voluto che fossero nominati quattro missionari della misericordia: sono dei laici scelti ognuno da un campo profughi diverso per impartire la catechesi. Qual è il senso di questa iniziativa?

R. – Moltissimi cristiani emigrati nel Sud Sudan dal Sudan dopo la creazione dello Stato del Sud Sudan, a causa della guerra civile in atto nello Stato più giovane al mondo sono dovuti ritornare in Sudan. Moltissimi si trovano nei campi profughi. Ovviamente, non sempre le comunità sono semplici da raggiungere e, incontrando i vescovi dei due Paesi, il Santo Padre ha sottolineato proprio l’importanza della figura dei catechisti. Questi d’altronde sono molto importanti, specialmente in Africa, per raggiungere quelle comunità che si trovano lontane dai centri parrocchiali e sono difficilmente raggiungibili da parte dei sacerdoti. Quindi, un ruolo cruciale anche in questo Anno della Misericordia lo riveste la figura del catechista, sia nel senso della vicinanza alla popolazione, ma anche per invitare quanti stanno soffrendo a causa della guerra e delle limitazioni che si vivono nel Sudan alla misericordia, appunto, a perdonare e a non cercare vendetta.

D. – Urgenze spirituali, ma anche urgenze materiali per i cristiani?

R. – Ovviamente sì, perché poi tra l’altro, dopo la secessione del Sud Sudan, tutte le persone originarie delle regioni oggi appartenenti al Sud Sudan sono state private della loro cittadinanza dal governo di Khartoum. Quindi, sono costretti a vivere in Sudan a causa della guerra civile in atto in Sud Sudan e delle gravi condizioni nel Paese, ma la loro situazione, da rifugiati, non è certamente semplice anche a causa di questo provvedimento che li priva della cittadinanza. Quindi, sì, è necessario provvedere anche ai loro bisogni materiali.

D. – In questo senso, il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre al programma "Save the Saveable" è  importante. Come continua questo progetto?

R. – È un progetto nato nel 1986 che noi abbiamo sostenuto fin dal principio e che si occupa proprio dell’educazione dei bambini dei campi profughi di Khartoum. Un'iniziativa molto importante, sia perché permette una formazione di questi bambini ispirata ai valori cristiani che altrimenti, se andassero nelle scuole statali, riceverebbero un’educazione fortemente islamica. Ma soprattutto permette alle bambine di essere educate, dal momento che, in molte scuole del Sudan, anche statali, alle bambine non è permesso di frequentare la scuola.

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Unioni civili. Gandolfini: parole del Papa strumentalizzate

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Prosegue in Italia il dibattito sulle unioni civili, in attesa della ripresa dell’esame del ddl in Senato mercoledì prossimo. Il nodo resta il tema delle adozioni: il premier, alla ricerca di un’intesa nella maggioranza, potrebbe all’assemblea nazionale del partito di domenica presentare una proposta risolutiva, forse uno spacchettamento del testo. Intanto, nel dibattito entrano anche le parole del Papa di ritorno dal Messico.” Non mi immischio”, è quanto rilancia la maggior parte dei mass media, tralasciando il riferimento del Papa al voto “secondo coscienza ben formata”. Ancora una volta “si strumentalizza il Papa”, commenta Massimo Gandolfini, promotore del Family Day, al microfono di Gabriella Ceraso: 

R. – Questa frase, “il Papa non si immischia”, è stata subito strumentalizzata dicendo che il Papa ha dichiarato una libertà di coscienza assoluta facendo intendere che quindi la libertà di coscienza è quella sorta di foro interno nel quale ognuno può formularsi la regola che vuole. Ma il Papa non ha parlato così! Il Papa ha parlato di una “coscienza ben formata”. E quando si parla di coscienza ben formata la Chiesa intende la coscienza di una persona che, cresciuta in una realtà storica, in un ambiente storico ben preciso, ha elaborato tutti gli strumenti che gli consentono di discernere qualcosa che può essere utile alla costruzione del bene comune da qualcosa che invece può essere malvagio e quindi di scegliere secondo questa o retta o ben formata coscienza.

D. – Come stati vivendo questi sette giorni di ripresa di dibattito con proposte e smentite continue sul ddl?

R. – Sembra quasi che sia in corso lo “spacchettamento”, non tanto dei principi o delle regole di questa legge, quanto invece delle persone che li devono votare. Mentre si dovrebbe entrare in maniera anche molto laica ma molto rigorosa nei singoli provvedimenti e ci si accorgerebbe che nel Codice civile italiano sono già scritte tutte le regole di mutuo soccorso che potrebbero normare una relazione affettiva tra due persone di pari sesso, mentre con il disegno di legge Cirinnà, viene negato il fondamentale di tutti i diritti, come dice l’Art. 29 della Costituzione: “I bambini hanno il diritto di aver un padre ed una madre”.

D. – Domenica, Renzi potrebbe proporre uno stralcio della quesitone adozioni. Che scelta sarebbe?

R. – Sia ben chiaro che questa è una trappola, perché se si cancella l’Art. 5 del disegno di legge Cirinnà, ma rimangono in piedi ad esempio l’Art. 2 e l’Art. 3 che di fatto descrivono un’unione civile come un simil-matrimonio, basteranno cinque minuti a un tribunale periferico o alla Corte europea dei diritti dell’uomo per dire: “Ma se l’unione civile è equiparata al matrimonio non può essere discriminata rispetto a esso per quanto riguarda l’adozione dei bambini”. Quindi, per via giurisprudenziale entrerà dalla finestra quello che avevamo tentato di cacciare dalla porta. Se non si compone una chiara, lucida, differenza tra l’unione civile, la convivenza di persone di pari sesso e il matrimonio come convivenza legata su diritti e doveri che fanno riferimento all’Art. 29 della Costituzione, ogni sforzo di cercare di fare qualche maquillage verrà subito vanificato da qualche corte territoriale o addirittura dall’Europa. È per questo che la nostra opposizione non è soltanto all’Art. 5. Di fatto, si costruisce un’entità giuridica che ha tutte le caratteristiche del matrimonio, soltanto che per pacificare le coscienze delle italiani si dirà: “Non si userà mai la parola matrimonio”. Ma nella sostanza sarà un matrimonio.

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Migrazioni: Lazio seconda regione per residenti stranieri

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Sono 637 mila i cittadini stranieri residenti nel Lazio e oltre la metà vive nel Comune di Roma Capitale. E’ quanto emerge dall’11.mo Rapporto dell’Osservatorio romano sulle migrazioni, realizzato dal Centro studi e ricerche Idos, col sostegno dell’Istituto di studi politici San Pio V. La pubblicazione sul presente e sul futuro dell’immigrazione nella regione Lazio è stata presentata ieri pomeriggio a Roma. Il servizio di Elvira Ragosta

Secondo i dati dell’Osservatorio romano-laziale sulle migrazioni, gli immigrati rappresentano il 10,8 per cento della popolazione laziale. L’incidenza femminile supera di poco la metà, confermando il dato a livello nazionale. Se sono romeni 35 su 100 residenti stranieri in tutta la regione, diverse sono le concentrazioni di collettività nazionali nelle province: quella indiana, ad esempio, risiede maggiormente nella provincia di Latina. Dal punto di vista economico, nel Lazio i lavoratori con cittadinanza straniera rappresentano il 14% degli occupati e aumentano le imprese gestite da immigrati. Capitolo a parte per i richiedenti asilo: il Lazio accoglie il 23% dei beneficiari a livello nazionale e provengono per lo più da Mali, Afghanistan e Nigeria. Roma, inoltre, si conferma crocevia strategico della mobilità per i minori stranieri non accompagnati, accogliendone circa un terzo del totale nazionale. Sul significato di questi dati la riflessione di Ginevra Demaio, curatrice del Rapporto:

“Oggi Roma, e in parte anche il Lazio per effetto della capitale, anticipa quanto probabilmente accadrà nel resto del Paese perlomeno a metà secolo dal punto di vista dell’impatto a livello di popolazione, mercato del lavoro, imprenditoria, ma anche nei contesti sociali: la scuola è il primo che viene in mente. Anche dal punto di vista dell’accoglienza abbiamo quasi 4.800 posti assicurati dallo Sprar; ma allo stesso tempo una risposta che comunque è inferiore alla domanda. Quindi, ci invita a prepararci al futuro”.

Grande anche la presenza di immigrati nel Settore Est della diocesi di Roma, rappresentano il 30% circa delle presenze romane. Mons. Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare per il Settore Est della diocesi:

R. – È una sfida all’accoglienza, per cui è importante coinvolgere tutte le comunità del mio settore per accogliere quanto più è possibile e nello stesso tempo accompagnare all’inserimento e all’integrazione all’interno del nostro territorio chi si ferma certamente a Roma.

D. – A proposito di integrazione, che racconti di integrazione ha raccolto da queste persone?

R. – Io ho avuto un’esperienza molto semplice: gli oratori romani. Giro tante parrocchie a Roma e la mia grande sorpresa è vedere, specialmente in estate, che gli oratori si svuotano delle presenze italiane, ma sono pieni di presenze straniere. Questa per me è stata una grande consolazione, perché ho detto che l’oratorio può essere veramente un luogo di vera integrazione. Perché se si inizia da piccoli ad integrare i nostri fratelli che vengono da altre terre lontane, penso che ci sarà in futuro un buon risultato e una buona integrazione. Quindi, vorrei sempre di più aprire gli oratori del mio settore alla presenza di altri, anche se non sono cristiani o cattolici. Ma l’oratorio è un luogo aperto.

Tra i residenti stranieri nel Lazio, 8 su 10 sono comunitari, un quarto proviene dall’Asia, più del 10% dall’Africa e il 9% dalle Americhe. Quasi la metà degli oltre 360 mila stranieri residenti nella capitale, poi, proviene da Romania e Ucraina. Aumentano a Roma i matrimoni con un coniuge straniero e aumenta anche il tasso generico di natalità delle donne straniere. Il Rapporto curato dal Centro studi e ricerche Idos mostra il persistere dell’emergenza abitativa dei circa novemila Rom e Sinti e sottolinea come la segregazione abitativa e i processi di esclusione colpiscano soprattutto i minori. Tanti i progetti di integrazione, tra i quali quelli curati dall’Associazione “Iliria” per le comunità albanesi. Arber Behari è tra gli organizzatori di attività culturali nella provincia di Rieti:

“Realizziamo eventi sportivi, mostre fotografiche e attività musicali. Questo ci ha portato a costruire veramente dei percorsi virtuosi. E penso che nelle piccole realtà si possa sperimentare veramente bene per avere un alto livello di integrazione per tutti”.

Pia Gonzales, invece, è redattrice del giornale “Ako Ay Pilipino”:

“Questo giornale è un punto di riferimento per i 170 mila filippini residenti in Italia, perché noi scriviamo notizie riguardanti l’immigrazione, i cambiamenti della legge. E quindi diventa un punto di riferimento soprattutto per i filippini che non parlano bene la lingua italiana”:

Sui dati complessivi del rapporto curato da Idos e Istituto San Pio V, il commento del presidente onorario di Idos, Franco Pittau:

“Con il nostro Rapporto, vogliamo mostrare che il fenomeno dell’immigrazione è una componente importante della costruzione di Roma”.

I dati relativi alla dimensione religiosa dell’immigrazione nel Lazio ci dicono che il 68% dei residenti stranieri è cristiano. Seguono, distanziati i musulmani, al 19%, poi gli induisti, i buddisti e i fedeli di altre religioni.

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Lumsa, i 90 anni della Federazione delle Università cattoliche

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Non affrontare i problemi singolarmente ma cercare di lavorare insieme per vincere le sfide impegnative del mondo dell’educazione. E’ partita da questa riflessione, questa mattina alla Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa) a Roma, la presentazione  del libro “Cronaca della Federazione Internazionale delle Università cattoliche 1924-2014”, scritto da Michèle Jarton, giurista della Sorbona a Parigi, in occasione del 90.mo anniversario della fondazione della Fiuc. Sull’importanza della ricorrenza, ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro

Diventare una rete per la circolazione e la valorizzazione dei progetti internazionali, per  diffondere sempre di più le buone pratiche educative e raccogliere i frutti. Sono questi gli obiettivi della Federazione internazionale delle università cattoliche, che, in occasione del suo 90.mo anniversario dalla sua fondazione, viene raccontata nel libro “Cronaca della Federazione Internazionale delle Università cattoliche 1924-2014”. Ascoltiamo il commento monsignor Guy Real Thivierge segretario generale della Fiuc.

R. – Gli universitari sono importantissimi. E poi è anche una maniera di vedere il futuro. C’è allora una bella tensione tra il passato e il futuro. E questa Federazione poi viene presentata in dialogo con il mondo e con la Chiesa, perché educare – e questa è una della nostre convinzioni – è dialogare. Se non dialoghiamo, non possiamo pretendere di educare. Allora, questo libro è una forma di illustrazione dell’importanza del dialogo nell’educazione e soprattutto nell’educazione cattolica.

E quindi, diventa sempre più fondamentale per la Fiuc fare rete, e per questo la federazione lancia a tutte le università cattoliche l’invito alla cooperazione e a sviluppare una vocazione del lavorare insieme. Ascoltiamo ancora mons. Thivierge:

R. – Noi cerchiamo di promuovere i rapporti di amicizia, di solidarietà e anche i rapporti di lavoro tra le università, perché noi siamo convinti che lavorare con gli altri ci permetta di andare molto più in là.

D. – Il Papa durante la conferenza stampa in volo ha parlato dell’importanza della formazione dei cattolici. Secondo lei, cosa vuol dire e quanto le università cattoliche possono contribuire a questo?

R. – Diciamo che è il nostro lavoro, come la missione di una Federazione, però anche la missione di ciascuna delle università cattoliche. Sono loro infatti sul terreno, nelle diverse culture, Paesi e tutto, a lavorare per la formazione. Noi abbiamo una visione molto precisa della formazione: è una formazione integrale. L’università cattolica, quando ha potuto dare dei diplomi, ha fatto unicamente la metà del lavoro, perché noi pretendiamo di andare molto, molto in là attraverso una formazione alla responsabilità, alla solidarietà, per formare le giovani generazioni precisamente alla responsabilità della società e anche di tutta l’umanità.

Quindi, la formazione di professionisti del domani che mettano al centro la dignità dell’uomo è uno degli scopi principali delle università cattoliche. Ascoltiamo a questo proposito il cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica:

R. – Le università cattoliche partecipano come tutte le altre istituzioni della Chiesa all’unica missione della Chiesa che è quella di evangelizzare. Lo fanno, però, secondo la loro specifica metodologia, cioè quella di favorire il dialogo tra fede e ragione. Per cui, sono aperte al dialogo col mondo e attente alla evoluzione anche storica in cui deve incarnarsi il Vangelo, che è perenne, ma che ovviamente deve trovare degli approfondimenti nella ricerca e un adeguamento nel linguaggio, per essere comprensibile agli uomini del nostro tempo, soprattutto là dove si formano e si educano i giovani a prendere coscienza delle loro capacità e delle loro missioni, che avranno nei luoghi e nei tempi che cambiano.

Ma cosa può spingere oggi un giovane ad inscriversi in un ateneo cattolico piuttosto che uno laico? Ascoltiamo Francesco Bonini, rettore della Lumsa:

R. – Sicuramente, l’attenzione alla persona, che dà una marcia in più nelle relazioni che oggi sono fondamentali nella società complessa; ed anche quella riserva di energia che la spiritualità dà nel rigore e nella eccellenza nella professione. Noi puntiamo a formare delle persone e puntiamo a formare dei professionisti.

D. – Quali sono oggi le difficoltà che le università cattoliche vanno ad affrontare e in che modo, secondo lei, potrebbero essere aiutate maggiormente?

R. – Tutto il sistema universitario pubblico, fatto di soggetti privati e statali, deve ripensarsi. Quindi, questa è una sfida globale ed è una sfida anche molto significativa in Italia. Per fare questo occorre sempre più il confronto, ma anche la collaborazione, la competizione quindi. Ma la competizione deve essere valorizzata da questo “cum” che sta nel prefisso, cioè farlo insieme agli altri.

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Nella Chiesa e nel mondo



Paraguay-Cile: Patriarca Kirill incontra i vescovi cattolici

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Sulla scia dello storico vertice tra Papa Francesco e il Patriarca ortodosso Kirill, prosegue all’insegna dell’amicizia tra Chiesa cattolica e ortodossa il viaggio del Patriarca di Mosca in America Latina. Mercoledì Kirill è arrivato in Cile, nella ventosa città meridionale di Punta Arenas, vicina allo stretto di Magellano, ed è stato accolto all’aeroporto dal vescovo Bernardo Bastres. Il breve saluto - riferisce l'agenzia Sir - è stato all’insegna della cordialità. 

La visita di Kirill  in Paraguay
​Kirill proveniva dal Paraguay; qui anche l’arcivescovo di Asunción, mons. Edmundo Valenzuela, presidente della Conferenza episcopale paraguaiana, e il nunzio apostolico, mons. Eliseo A. Ariotti, hanno preso parte alla celebrazione presieduta da Kirill nella chiesa ortodossa della capitale. Alla fine della celebrazione il Patriarca ha ringraziato “il popolo del Paraguay per la solidarietà verso i profughi russi” nel secolo scorso e ha esortato a “rafforzare le relazioni tra cattolici e ortodossi”. Ha donato ai vescovi presenti una medaglia commemorativa come segno di incontro con tutta la comunità cattolica. “È stato un grande incontro, che ci ha dato la possibilità di sentirci fratelli”, ha commentato mons. Valenzuela. (R.P.)

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Egitto: Patriarca Tawadros celebra i funerali di Boutros Ghali

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Boutros Boutros Ghali è stato “un uomo fedele alla sua nazione” che “ha difeso la pace in tutti i ruoli che ha assunto”. Così il Patriarca copto ortodosso Tawadros II ha reso omaggio alla figura del politico e diplomatico egiziano, deceduto all'età di 93 anni lo scorso 16 febbraio, durante il funerale da lui celebrato ieri nella cattedrale copta del Cairo. Di fede cristiana copta, Boutros Ghali era stato dal 1992 al 1996 il primo Segretario generale dell'Onu nato in Africa. La sua conferma alla guida dell'organismo internazionale per un secondo mandato era stata resa impraticabile a causa del veto espresso degli Stati Uniti.

Il tributo civile e militare in una moschea della capitale
Prima delle esequie cristiane celebrate nella cattedrale copta, un tributo civile e militare alla figura dello scomparso si era tenuto nell'area di una moschea della periferia cairota, alla presenza dello stesso Patriarca Tawadros, del Presidente egiziano Adel Fattah al Sisi e dello Sheikh Ahmed al Tayyeb, Grande Imam di al Azhar. La bara di Boutros Ghali, avvolta nella bandiera egiziana, è stata poi trasportata nella cattedrale. Al funerale ha preso parte anche un'ampia schiera di diplomatici egiziani, africani e europei.

Il cordoglio del Papa
​Nei giorni scorsi, anche Papa Francesco aveva inviato all'attuale Segretario generale dell'Onu, il coreano Ban Ki-moon, un telegramma in cui esprimeva le condoglianze per la scomparsa di Boutros Ghali, e rendeva omaggio alla sua vita spesa “nel generoso servizio al suo Paese e alla comunità internazionale”. (G.V.)

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Ghana: II Assemblea dei vescovi dell'Africa occidentale

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“La Nuova evangelizzazione e le sfide specifiche della Chiesa, famiglia di Dio in Africa occidentale: riconciliazione, sviluppo e famiglia”. Sarà questo il tema al centro della prossima Assemblea plenaria dei vescovi della Recowa-Cerao, la Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale.

Attesi più di 150 partecipanti
La sessione si terrà ad Accra in Ghana, dal 22 al 29 febbraio. Vi parteciperanno oltre 150 cardinali, arcivescovi, vescovi e rappresentanti di varie istituzioni ecclesiali di 15 Paesi: Benin, Nigeria, Burkina Faso, Togo, Costa d’Avorio, Guinea, Gambia, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Guinea Bissau, Capo Verde, Senegal e Sierra Leone. All’evento sono attesi anche diversi ospiti, tra i quali il Presidente del Ghana John Dramani Mahama, gli ex Presidenti Jerry Rawlings e John Kufou, il nunzio apostolico nel Paese, rappresentanti di altre Chiese cristiane ed leader religiosi musulmani.

Seconda Plenaria dalla fondazione della Recowa-Cerao nel 2009
Quella di Accra sarà la seconda Assemblea plenaria della Recowa-Cerao, nata nel 2009 dalla fusione dell’Associazione delle Conferenze episcopali anglofone dell’Africa Occidentale (Aecawa) della Conferenza Episcopale Regionale francofona dell’Africa dell’Ovest (Cerao) , delle Conferenze Episcopali dei Paesi lusofoni. La prima si era svolta nel 2012 sul tema “La Chiesa , Famiglia di Dio, in Africa occidentale a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”, con l’intervento del card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. In quell’occasione i vescovi della regione si erano impegnati, alla luce dell’esortazione apostolica post-sinodale “Africae Munus”, pubblicata da Benedetto XVI dopo il secondo il Sinodo sull’Africa,  a promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa, guardando alla Chiesa come famiglia di Dio ed a promuovere quindi il superamento tutte le forme di divisione e gli ostacoli presenti nella Chiesa e nella società” in nome “del bene comune, della sussidiarietà e della collaborazione, che sono fattori-chiave della missione episcopale nella regione”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Zambia: Messaggio di Quaresima sulle prossime elezioni

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“La leadership deve essere un’opportunità di servizio e sacrificio”: scrive così nel suo messaggio di Quaresima mons. Alick Banda, vescovo di Ndola, in Zambia, facendo riferimento alle elezioni presidenziali e legislative in programma nel Paese il prossimo 11 agosto. In vista di questo importante appuntamento, il presule desidera “esortare i candidati a ‘prendere il largo’ ed a riflettere sul passo di Vangelo di Matteo”, che narra i quaranta giorni di Gesù nel deserto e le tentazioni a cui venne sottoposto dal diavolo.

Politica è servizio a favore della popolazione
“Questo testo – scrive mons. Banda – ci offre il contesto per comprendere che la leadership è un servizio ed un sacrificio nei confronti del popolo di Dio che è stato affidato alle nostre cure. Quindi, i candidati a qualsiasi incarico istituzionale non devono risparmiare servizi e sacrifici in favore del miglioramento della nostra amata patria e dei poveri che rappresentano la maggioranza del Paese”. Invitando, poi, gli elettori ad usare il voto con prudenza, il presule li esorta ad esaminare con attenzione i programmi politici dei candidati.

Mettere fine alle false promesse elettorali
“Basta con le promesse di ponti da costruire dove non ci sono fiumi da attraversare! – è il forte monito del vescovo di Ndola - Basta con il dire che si vede la luce alla fine del tunnel, quando la realtà non è cambiata! Basta con i politici di professione che sono passati da un partito all’altro ed hanno pensato solo a ‘mangiare’! Hanno fallito in passato ed ora cosa ci garantisce che faranno qualcosa di meglio?”. 

Non incitare alla violenza, ma promuovere giustizia e pace
Riguardo, poi, alla crescente violenza politica nel Paese, perpetrata dai partiti, il presule esorta le istituzioni ad essere pacifiche e a non istigare ad ulteriori atti criminali. “Chiedo ai candidati – scrive il presule – di sforzarsi di perseguire la volontà di Dio nella promozione della giustizia, della pace, della riconciliazione e dell’unità all’interno del nostro popolo composto da diverse convinzioni culturali, tribali, religiose e politiche”, senza “incitare a manifestazioni di odio e contrapposizioni estremiste”.

Si vota l’11 agosto. Saranno prime elezioni multipartitiche
Da ricordare che le prossime elezioni in Zambia saranno tripartite: un elemento non da poco, considerato che il multipartitismo è stato introdotto nel Paese solo nel 1991, dopo la lunga presidenza di Kenneth Kaunda al potere dal 1964 e leader del partito unico United National Independence Party (Unip). Dal 1991, il potere è rimasto nelle mani del Movimento per la democrazia multipartitica, cui è succeduto nel 2011 il Fronte patriottico. (A cura di Isabella Piro)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 50

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