Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 18/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa su confine Usa-Messico: mai più uomini e donne carne da macello

◊  

Papa Francesco ha concluso il suo viaggio in Messico. Poco prima delle 15.00 l'arrivo all'aeroporto di Roma-Ciampino. Ultima tappa della sua visita è stata la Messa a Ciudad Juarez, a soli 80 metri dal confine con gli Usa dove sorge la rete anti-immigrati, davanti a centinaia di migliaia di persone. “Mai più morte e sfruttamento!”: è stato l'accorato appello lanciato dal Papa all'omelia, col pensiero rivolto ai tanti che cercano una nuova speranza al di là della frontiera e diventano invece "carne da macello”. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Fedeli alla Messa del Papa al di là della rete, negli Usa
Il Messico e gli Stati Uniti per alcune ore sono diventati una cosa sola. Il Papa nell’ultimo giorno del suo viaggio apostolico ha celebrato la Messa a Ciudad Juarez una delle città più violente del mondo, dove la tratta di esseri umani si lega al narcotraffico, dove migliaia di persone muoiono nel tentativo di attraversare il confine per entrare negli Stati Uniti, ad El Paso: tanti ce la fanno. E molti erano lì, dietro la rete, anche vescovi statunitensi, ad 80 metri dal piccolo palco verde su sfondo bianco su cui il Papa ha celebrato la speranza e la vittoria della vita sulla morte.

L'accoglienza calorosa e la preghiera alla grande Croce
Francesco è stato accolto dalla gioia della gente che lo ha accompagnato per tutto questo viaggio in terra messicana. I colori papali risaltavano tra la sabbia, gli arbusti e la roccia che disegnano questa città sul confine del fiume Rio Grande che qui si riduce ad un canale tra due argini di cemento. Poco prima della Messa, Francesco è andato verso la grande Croce di legno posta sul confine e ha pregato in silenzio: lì ci sono anche le scarpe dei migranti a simboleggiare i tanti morti nel tentativo di passare la frontiera, ha salutato benedetto migliaia di fedeli: i muri e le reti si sono dissolti nell’amore di Cristo per l’uomo:

Mai più morte e sfruttamento
“Mai più morte e sfruttamento! C’è sempre tempo per cambiare, c’è sempre una via d’uscita e un’opportunità, c’è sempre tempo per implorare la misericordia del Padre”.

Il Papa ha chiesto a Dio “il dono della conversione, un “cuore  aperto”, il “dono delle lacrime per poter vedere:

“Sono le lacrime che possono aprire la strada alla trasformazione; sono le lacrime che possono ammorbidire il cuore, sono le lacrime che possono purificare lo sguardo e aiutare a vedere la spirale di peccato in cui molte volte si sta immersi”.

Vuoti legali che schiacciano sempre i più poveri
Ha guardato al dramma delle migrazioni a causa delle crisi umanitarie e a chi cerca speranza viaggiando anche a piedi “attraversando centinaia di chilometri per montagne, deserti, strade inospitali”, poi ha parlato dei “vuoti legali”, della droga, dello sfruttamento e della “rete” - ha detto - che “si tende” approfittando di bisogno, debolezza e “cattura e distrugge sempre i più poveri”:

Carne da macello 
“Ingiustizia che si radicalizza nei giovani: loro, come carne da macello, sono perseguitati e minacciati quando tentano di uscire dalla spirale della violenza e dall’inferno delle droghe”.

“E che dire delle tante donne - ha aggiunto - alle quali è stata strappata ingiustamente la vita”. Il Papa ha toccato il cuore dei fedeli e le lacrime solcavano il volto di molti, ha parlato dell’umanità schiacciata in questa città e spesso in ogni luogo di confine:

“Un passaggio, un cammino carico di terribili ingiustizie: schiavizzati, sequestrati, soggetti ad estorsione, molti nostri fratelli sono oggetto di commercio del transito umano”.

Conversione e misericordia, vie di salvezza
In questo anno giubilare ha indicato la via della “conversione” della “salvezza” della “misericordia” per uscire da questa “spirale di morte”. Ha lodato il lavoro “di tante organizzazioni della società civile in favore dei diritti dei migranti” in cui sono impegnati molti religiosi, religiose, sacerdoti e laici. Persone ha detto che difendono la “vita” “rischiando molte volte la propria”:

“Con la loro vita sono profeti di misericordia, sono il cuore comprensivo e i piedi accompagnatori della Chiesa che apre le sue braccia e sostiene”.

Giovani, speranza per il Messico
Nel saluto finale il Papa ha parlato del “valore dei giovani” che sono “la speranza di questo popolo”, evidenziando che "la notte ci può sembrare enorme e molto oscura”, ma che “esistono tante luci che annunciano la speranza”.

Nessun muro può impedire l'amore di Dio
Poi rivolgendosi a tutti prima dell’affidamento alla Vergine di Guadalupe - mentre decine di palloncini bianchi e gialli salivano in cielo, quasi simbolicamente, dal confine messicano a quello statunitense - riferendosi anche alle nuove tecnologie, ha sottolineato:

“Possiamo pregare, cantare e festeggiare insieme l'amore misericordioso che Dio ci dona, e che nessun confine potrà impedirci di condividere”.

inizio pagina

Francesco abbraccia i detenuti: la misericordia di Dio è per tutti

◊  

Abbiamo perso decenni pensando che il problema della sicurezza si risolvesse solo incarcerando, mentre è necessario prevenire e affrontare le cause strutturali dell'insicurezza: è quanto ha detto il Papa ai detenuti del Penitenziario Cereso 3, prima tappa della visita a Ciudad Juarez. Un discorso intensoun incontro commovente. Molto bello l'abbraccio con la detenuta che ha offerto la sua testimonianza e con i carcerati che hanno improvvisato una piccola orchestrina. Oltre 254 mila detenuti di 389 carceri messicane hanno potuto seguire in Tv l'evento. Il servizio del nostro inviato Alessandro Guarasci: 

L’accoglienza è festosa a Ciudad Juarez, città al ridosso del confine con gli Usa. In migliaia sono ad accoglierlo all’aeroporto. Ma Francesco è venuto qui per parlare anche e soprattutto per coloro che sono, purtroppo, il frutto della civiltà dello scarto: i carcerati. E allora ecco che Francesco si reca nell’Istituto di rieducazione Cereso 3, uno dei più grandi del Paese. Qui ci sono circa tremila detenuti, nel cortile ne sono stati radunati 700 e Francesco ne ha salutati una cinquantina. Una ragazza ha portato la sua sofferta testimonianza. Nella cappella una preghiera comune, durante la quale il Pontefice regala un Crocifisso di cristallo, a lui i ragazzi del Penitenziario ne donano uno di legno.

Rompere i giri viziosi della "violenza e della delinquenza" 
A chi è rinchiuso qui, il Papa ricorda che serve rompere i giri “viziosi della violenza e della delinquenza”, che “non c’è luogo dove la sua misericordia non possa giungere, non c’è spazio né persona che non essa non possa toccare”. Dunque tutti hanno possibilità di redimersi. Francesco sottolinea che “ci siamo dimenticati di concentrarci su quella che realmente dev’essere la nostra preoccupazione: la vita delle persone, quella delle loro famiglie, quella di coloro che pure hanno sofferto a causa di questo giro vizioso della violenza”.

Carceri sintomo della cultura dello scarto
Le carceri sono spesso un buco nero della nostra società, fa capire Francesco: “La misericordia divina ci ricorda che le carceri sono un sintomo di come stiamo come società, in molti casi sono un sintomo di silenzi e omissioni provocate dalla cultura dello scarto. Sono un sintomo di una cultura che ha smesso di scommettere sulla vita; di una società che è andata abbandonando i suoi figli”. Poi una confessione che viene dal cuore del Pontefice:

“Hermanos, siempre me pregunto al entrar a una cárcel:... 
Fratelli, mi chiedo sempre entrando in un carcere: 'Perché loro e non io?'. E questo è un mistero della misericordia divina. Ma questa misericordia divina la stiamo celebrando oggi tutti quanti, guardando avanti nella speranza”.

Il problema della sicurezza non si risolve solo incarcerando 
Il Papa mette in luce che “la misericordia ci ricorda che il reinserimento non comincia qui tra queste pareti, ma che comincia prima, 'fuori', nelle vie della città”. Dunque, serve una società che non si ammali, perché, fa notare il Pontefice, “il problema della sicurezza non si risolve solamente incarcerando", ma intervenendo "per affrontare le cause strutturali e culturali dell’insicurezza che colpiscono l’intero tessuto sociale”. E il reinserimento sociale inizia mandando i propri figli a scuola, creando spazi pubblici per il tempo libero, favorendo la partecipazione civica. Un discorso particolarmente importante in questo periodo per il Papa:

"Celebrar el Jubileo de la misericordia con ustedes es aprender... 
Celebrare il Giubileo della misericordia con voi significa imparare a non rimanere prigionieri del passato, di ieri. È imparare ad aprire la porta al futuro, al domani: è credere che le cose possano essere differenti. Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è invitarvi ad alzare la testa e a lavorare per ottenere tale desiderato spazio di libertà”. 

Ed ancora:

“Celebrar el Jubileo de la Misericordia con ustedes es repetir esa frase... 
Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è ripetere quella frase che abbiamo ascoltato recentemente e che ho detto con tanta forza: quando qualcuno mi ha detto: 'Non ti domandare perché sei qui, ma perché'. E questo 'perché' ci porti avanti; e questo 'perché' ci faccia saltare gli inganni sociali che credono che la sicurezza e l’ordine si raggiungono solamente incarcerando le persone”. 

Francesco dice che ora, a chi costretto in carcere spetta la parte più dura: aiutare a frenare il giro vizioso della violenza e dell’esclusione.

inizio pagina

La detenuta al Papa: grazie, ti sei fatto carcerato con i carcerati

◊  

“L’unico merito che ho nel rivolgermi a lei è l’uniforme che porto”. Si è rivolta così a Papa Francesco la detenuta del Penitenziario messicano Cereso 3 di Ciudad Juarez, che ha raccontato una toccante storia personale di fede e di rinascita umana. Le sue parole nel servizio di Alessandro De Carolis

Si può stare in tanti modi dietro le sbarre di una cella. Maledicendo, disperandosi, per la propria sfortuna o benedicendo Dio che sulle righe storte di quella sventura scrive una nuova storia di speranza e dignità.

Carcere, famiglia di estranei
Resteranno a lungo in chi le ha ascoltate – e ha visto l’abbraccio che le ha accompagnate – le parole della detenuta che ha rivolto il saluto a Papa Francesco durante la sua visita al carcere di Ciudad Juarez. Parole che sono uno spaccato della vita dietro quel cemento alto che impedisce tutto – dove non si è padroni di niente, neanche di “te stesso”, ha affermato la donna – e insieme un soffio di vita, in cui l’affetto di una figlia o l’inginocchiarsi in preghiera diventano, spiega, il sale di esistenze altrimenti buttate via:

“È proprio in questi luoghi che si mette alla prova la tua fede, la forza del tuo spirito. In questo luogo dove non importa chi sei dall'altro lato delle mura, in cui il tuo compagno di cella diventa parte della tua famiglia, in cui si condivide la mensa con degli sconosciuti che saranno parte dei tuoi giorni e dove siamo tutti uguali nei nostri vestiti così come siamo uguali agli occhi di Dio”.

Uguali agli occhi di Dio
“Questa esperienza ci sta trasformando”, ha raccontato la detenuta. “All'inizio di questo viaggio chiamato carcere ci siamo sentiti esposti, vulnerabili, da soli. Ma la sua presenza con noi – di un Papa “diventato uno di noi in carcere” – è “un invito”, ha assicurato, per quelli “che hanno dimenticato qui che sono degli esseri umani, perché se anche siamo trasgressori della legge e peccatori, la maggior parte di noi spera nella redenzione e in alcuni casi, ha la volontà di raggiungerla”, aiutati – ha soggiunto la donna – da programmi lavorativi, compresi spazi e momenti religiosi, che facilitano il recupero degli ospiti del centro:

“Impariamo un lavoro che ci aiuterà ad affrontare con dignità la libertà. Non tutto è finito qui, è solo una pausa nella nostra vita, è un momento per riflettere su come vorresti vivere e vorresti che i tuoi figli vivano. Lavoriamo per far sì che i nostri figli non ripetano la nostra storia”.

Esperienza per rinascere
La nostra situazione legale – ha osservato la donna – genera a volte disperazione e tristezza, quindi è comprensibile che per noi non vi sia tesoro più grande che il contatto umano con i nostri cari”. Un “ti amo mamma” dalle labbra di mia figlia quando viene in carcere, ha confidato, “mi darà la forza per sopravvivere nei prossimi giorni di carcere”. E tuttavia, ha soggiunto la detenuta, “se la vita e le nostre azioni ci hanno gettato nell’oscurità, forse non è per morire in essa, ma perché la illuminiamo con la nostra fede e la nostra voglia di cambiare”:

“A molti di noi la Parola di Dio ci ha portato a capire che le mura del nostro carcere spirituale sono state alzate da noi stessi, dai nostri vizi, dalle nostre passioni male indirizzate. Questa esperienza ci fa essere pazienti e perseveranti. Queste due grandi virtù ci rendono migliori, le usiamo a nostro vantaggio. Lavoriamo su noi stessi perché il nostro futuro diventi il progetto della nostra vita, rafforziamo il nostro spirito perché dovunque andiamo portiamo amore e così porteremo Dio, perché Dio è amore”.

inizio pagina

Papa: no a sfruttamento lavoratori, Dio chiederà conto a schiavisti

◊  

La mancanza di opportunità di lavoro sostenibile è uno dei più grandi flagelli a cui sono esposti i giovani messicani perché la piaga della povertà, generata dalla disoccupazione, può diventare terreno fertile per il narcotraffico. E’ quanto ha affermato Papa Francesco incontrando oltre 3 mila rappresentanti del mondo del lavoro a Ciudad Juárez. “Quando il capitale – ha detto il Papa - è l’unico guadagno possibile, questo si chiama esclusione”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La sfida, indicata dal Papa, è quella di investire sulle persone superando il paradigma dominante dell’utilità economica. Il confronto è la soluzione per “tessere relazioni durature”, costruire il domani e ricomporre i legami sociali “logorati dalla mancanza di comunicazione”. Il Santo Padre ha esortato i rappresentanti di diverse organizzazioni di lavoratori a superare le contrapposizioni, ad impegnarsi per fare in modo che il lavoro sia uno spazio per “costruire società e cittadinanza”. Il negoziato - ha spiegato - porta a perdere qualcosa ma è fonte di miglioramento per tutti. Il Pontefice ha anche ricordato una comune responsabilità: quella di creare “opportunità di lavoro dignitoso” in una terra flagellata dalla disoccupazione, dove la povertà può diventare “terreno favorevole per cadere nella spirale del narcotraffico e della violenza”:

“No se puede dejar solo y abandonado…
Non può essere lasciato solo e abbandonato il presente e il futuro del Messico”.

Il paradigma dell’utilità economica, come principio delle relazioni personali, non solo provoca “la perdita della dimensione etica delle imprese” ma dimentica la vera ricchezza:

“La mejor inversión que se puede realizar…
Il migliore investimento che si può fare è quello di investire sulla gente, sulle persone, sulle loro famiglie”.

La mentalità dominante, che subordina le persone alla finanza, porta in molti casi “a sfruttare i dipendenti come oggetti da usare e gettare”. Il capitale condiziona così la vita delle persone e deforma la società:

“Dios pedirá cuenta a los esclavistas de nuestros días...
Dio chiederà conto agli schiavisti dei nostri giorni e noi dobbiamo fare tutto il possibile perché queste situazioni non si verifichino più”.

Ogni volta che l’integrità delle persone “è minacciata o ridotta ad un bene di consumo”, la Chiesa sarà “una voce profetica che aiuterà tutti a non perdersi nel mare seducente dell’ambizione”. “Non si può lasciare il futuro – ha affermato Papa Francesco – nelle mani della corruzione, della brutalità, della mancanza di equità”. Tante volte – ha spiegato il Papa rivolgendosi ad imprenditori e lavoratori – non è facile trovare un accordo in un mondo sempre più competitivo e non è facile portare tutte le parti ad una trattativa. Ma la mancanza di trattative - ha osservato il Papa - è uno scenario preoccupante perché si lascia al guadagno e al profitto la possibilità “di determinare il destino dei popoli”.

“El lucro y el capital no son un bien…
Il guadagno e il capitale non sono beni al di sopra dell’uomo, ma sono al servizio del bene comune”.

Papa Francesco ha infine invitato a sognare un Messico in cui i genitori abbiano il tempo per giocare con i figli. "Vi invito a sognare - ha concluso - il Messico che i vostri figli meritano". Un Messico che "sappia riconoscere nell'altro la dignità di figlio di Dio".

inizio pagina

Arizmendi: incontro col Papa è forza per il cuore dei popoli indigeni

◊  

Uno dei momenti importanti del viaggio del Papa in Messico è stato l’incontro con le comunità indigene nel Chiapas. Ascoltiamo in proposito il commento del  vescovo di San Cristóbal de las Casas, Felipe Arizmendi Esquivel, al microfono di Alessandro Guarasci: 

R. – Este fue un regalo de Dios …
Questo è stato un regalo di Dio! Una delicatezza della misericordia di Dio per questi popoli disprezzati, dimenticati, emarginati. Hanno ricevuto il messaggio del Papa come forza per il loro cuore. Loro stessi lo hanno detto: “Ci sentiamo incoraggiati ad andare avanti. Grazie per dirci che siamo importanti, che valiamo, che non siamo oggetti”. Il Papa stesso ha voluto dire che è necessario chiedere perdono ai popoli nativi, perché troppe volte hanno visto disprezzata la propria cultura. I nostri popoli indigeni hanno apprezzato moltissimo la presenza del Papa, i suoi gesti, il suo modo di porsi con loro. E’ stato molto, molto importante che le letture, i testi, i canti siano stati fatti nelle lingue indigene. Questo è stato un qualcosa che è stato apprezzato veramente tantissimo. Rendiamo grazie a Dio per questa visita del Papa!

D. – La Chiesa messicana è preparata per affrontare le sfide proposte dal Papa?

R. – El Papa, en su visita a México nos ha hecho muchas propuesta ….
Durante la sua visita in Messico, il Papa ci ha fatto molte proposte, raccomandazioni e ci ha lanciato varie sfide. In particolare quella relativa all’inculturazione della Chiesa nelle comunità indigene; quella della difesa dei diritti di questi popoli e della difesa del diritto della Madre Terra. Sono sfide che siamo pronti ad affrontare. Stiamo lavorando… ma non posso affermare che siamo una Chiesa che risponde perfettamente a queste sfide che il Papa ci lancia. Tuttavia, continuiamo a sforzarci per affrontarle, come la vicinanza con il popolo indigeno: bene, viviamo con loro! E’ la nostra vita quotidiana. E il Papa è venuto ad incoraggiarsi ad andare avanti, perché sa che stiamo lavorando per questo. Siamo preparati e stiamo lavorando. E non soltanto nella diocesi di San Cristóbal, ma in moltissime parti della nostra America Latina si sta facendo un grande sforzo per rispondere a questa pastorale dei popoli aborigeni. Ancora di più: il Papa ci ha anche incoraggiato nel dirci che l’approvazione del testo liturgico, d’ora in poi, non dipenderà tanto dall’istanza superiore delle Congregazioni vaticane, ma dalle Conferenze episcopali che certamente sono più vicine e che vivono le realtà di questi popoli. Questo ci ha incoraggiato molto! Il Papa è venuto a consegnare un Decreto di approvazione della lingua Nahuatl – la lingua maggiormente parlata in Messico - come lingua liturgica. Questo ci incoraggia tutti! Quindi, continuiamo in questo cammino di vicinanza alle comunità indigene che hanno una cultura millenaria, nella quale c’è una grande saggezza e una grande presenza di Dio.

inizio pagina

Padre Spadaro: il Papa ridà valore all'anima popolare del Messico

◊  

Il Papa in Messico ha trovato l'accoglienza straordinaria di un popolo che gli ha manifestato un affetto e una stima grandissimi. Ma quale messaggio Francesco lascia alla gente di questo grande Paese latinoamericano? Alessandro Guarasci lo ha chiesto al direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, al seguito papale: 

R. – Il messaggio del Papa è un messaggio che vuole aprire questa società, che a volte vive rassegnata o comunque vive oppressa da tensioni legate alla violenza, al narcotraffico … non c’è speranza per i giovani. E allora, il Papa dice: “I giovani non sono solo la speranza della società e della Chiesa, ma ne sono la ricchezza”. Interessante anche il fatto che il Papa unisce la sapienza ancestrale del Messico, ricco di lingue, culture diverse, da valorizzare – quindi la sapienza degli anziani, degli antichi – e dall’altra parte dice che la società deve offrire delle opportunità di crescita, perché altrimenti questa ricchezza, questa capacità di mettere a frutto la ricchezza evapora. Allora, è un grande messaggio di fede, di fede nel Signore Gesù che è in grado di salvare un popolo, una società che vive in difficoltà e, nello stesso tempo, la valorizzazione di una energia dell’anima popolare del Messico, del “modo di vivere messicano”, come lui l’ha definito.

D. – Il centro rimane anche la Madonna di Guadalupe: un punto di riferimento per tutti i messicani, credenti e anche non credenti …

R. – Se consideriamo i tre viaggi che Papa Francesco ha fatto in questi ultimi mesi a Cuba, negli Stati Uniti e in Messico, vediamo che il punto che li unisce è proprio la devozione mariana: la Madonna del Cobre a Cuba, l’Immacolata Concezione a Washington e la Madonna di Guadalupe che è la Patrona dell’America. La cosa importante è il modo in cui il Papa vede la Madonna di Guadalupe: è che in lei, anzi, nei suoi occhi, vede riflesso il popolo. Cioè, il popolo si riflette negli occhi della Madonna. Nel dipinto pare che, appunto, nelle pupille della Madonna, guardando al microscopio sia possibile vedere una scena di persone che stanno davanti a Lei. Allora, questo rapporto filiale con Maria vive del fatto che nei suoi occhi il popolo si può riflettere, si può riconoscere.

D. – Secondo lei, questo viaggio serve anche per incoraggiare la Chiesa messicana per farla diventare più audace?

R. – Certamente Papa Francesco ha molto sollecitato la Chiesa locale, con i suoi discorsi ma anche con una dedica che ho trovato nel seminario di Ecatepec. In quel seminario, il Papa ha firmato una dedica dicendo: “Possiate essere pastori del popolo fedele di Dio e non chierici di Stato”, e l’ha ripetuto nuovamente ai religiosi. Per dire: attenzione, perché la Chiesa rischia di non giocare il suo ruolo all’interno di questa condizione, se si chiude dentro se stessa, rivendicando i propri privilegi, i propri diritti, diventando in qualche modo una burocrazia. Allora, no: qui c’è bisogno di un coinvolgimento popolare profondo. In questo, il Papa è stato assolutamente chiaro. Quindi, una grande sfida per la Chiesa, per la società civile ma certamente per il ruolo che la Chiesa gioca all’interno della società.

inizio pagina

Papa Francesco: ammirazione per la fede dei messicani

◊  

Durante il rientro a Roma, il Papa ha inviato i consueti telegrammi augurali per i Paesi sorvolati, in particolare con il grazie alla popolazione messicana per la calorosa accoglienza riservatagli. Nel messaggio al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, il Pontefice sottolinea che in Messico ha potuto incontrare “numerosi fedeli e rappresentanti di quelle care popolazioni ammirandone la fede e il desiderio di crescita spirituale e sociale”. Quindi, assicura “una speciale preghiera per il bene, la serenità e la prosperità della diletta nazione italiana”, alla quale invia la sua “affettuosa benedizione”.

inizio pagina

Twitter, Francesco supera i 27 milioni di follower

◊  

Durante il suo viaggio in Messico l’account Twitter del Papa, @Pontifex in nove lingue, ha superato i 27 milioni di follower. In vari tweet Francesco esprime la sua gratitudine per l’accoglienza ricevuta: “Mi sono sentito accolto, ricevuto con affetto e speranza dai fratelli messicani: grazie per aver aperto le porte della vostra vita”. “Grazie al Messico e a tutti i messicani. Il Signore e la Vergine di Guadalupe ci accompagnino sempre”.

Poi ha lanciato altri tweet legati ai vari eventi vissuti a Ciudad Juarez:

“La misericordia di Gesù abbraccia tutti e in tutti gli angoli della terra: apri il tuo cuore!”.

“Giubileo della misericordia significa imparare a non rimanere prigionieri del passato, credere che le cose possano essere differenti”.

“Cari carcerati, avete sperimentato grandi dolori, potete diventare profeti di una società che non generi più violenza ed esclusione”.

“Tutti noi dobbiamo lottare per far sì che il lavoro sia un’istanza di umanizzazione e di futuro”.

“Il guadagno e il capitale non sono beni al di sopra dell’uomo, ma sono al servizio del bene comune”.

“Non dimenticate che la misericordia di Dio è nostro scudo e nostra fortezza contro l'ingiustizia, il degrado e l'oppressione”.

“Sono le lacrime che possono generare una rottura capace di aprirci alla conversione”.

Per quanto riguarda i follower la lingua più seguita resta lo spagnolo (11.146.700), seguita dall’inglese (8.680.000), italiano (3.365.500), portoghese (1.909.000), polacco (566.700), francese (433.000), latino (419.300), tedesco (299.200) e infine dall’arabo (234.200).

E’ stato Benedetto XVI a inaugurare l’account @Pontifex: il primo tweet risale al 12 dicembre del 2012.

inizio pagina

Papa nomina don Felice Accrocca nuovo arcivescovo di Benevento

◊  

Papa Francesco ha nominato nuovo arcivescovo metropolita di Benevento don Felice Accrocca, del clero della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, parroco, vicario episcopale per la Pastorale e docente di Storia Medievale presso la Pontificia Università Gregoriana. Succede a mons. Andrea Mugione, che lascia per raggiunti limiti di età.

Don Felice Accrocca è nato il 2 dicembre 1959 a Cori, in provincia di Latina, nella diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Dopo la maturità scientifica ha frequentato i corsi teologici presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Successivamente ha conseguito la Laurea in Lettere all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e il Dottorato in Storia Ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato presbitero a Cori il 12 luglio 1986, incardinandosi nella diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno.

Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi pastorali più significativi: viceparroco della parrocchia S. Maria Assunta in Cielo, a Cisterna (1986-1989); parroco della parrocchia S. Luca, a Latina (1989-2004); moderatore della Curia Vescovile (2001-2003); parroco della parrocchia S. Pio X, a Latina (2003-2012); assistente diocesano dell'Azione Cattolica (2003-2007); segretario del Sinodo Diocesano (2005-2012). È stato anche coordinatore della Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali e caporedattore del mensile della Diocesi "Chiesa Pontina".

Attualmente è direttore della Scuola Diocesana di Teologia “Paolo VI” (dal 1994); vicario episcopale per la Pastorale diocesana (dal 1999); responsabile dei seminaristi diocesani (dal 2007); parroco della parrocchia Sacro Cuore e amministratore parrocchiale di S. Pio X, a Latina (dal 2012). Partecipa come relatore in molti convegni in Italia e all'Estero, specialmente sul Francescanesimo. Ha all’attivo numerose pubblicazioni, tra libri, articoli e saggi.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Attentato ad Ankara: accusati i curdi. Nuovo attacco nel sud: 7 morti

◊  

La Turchia considera il regime di Damasco  "direttamente responsabile" dell'attentato che ieri sera ad Ankara ha provocato 28 morti e accusa i curdi siriani come esecutori materiali della strage. Immediata la risposta dei leader curdi siriani che rigettano  le accuse e mettono in guardia Ankara su eventuali operazioni di terra in Siria. Il servizio di Marco Guerra: 

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha puntato il dito contro i curdi dell'Ypg e del Pkk, indicandoli come responsabili dell'attentato compiuto ad Ankara. In un discorso trasmesso dalla tv turca, il Capo dello Stato ha dichiarato di non credere alle dichiarazioni dei leader delle due organizzazioni curde, considerate da Ankara alla stregua di gruppi terroristi, che hanno negato qualsiasi coinvolgimento con la strage. Erdogan ha poi fatto sapere che "sono state arrestate 14 persone e ci saranno altri arresti" in relazione all’attacco di ieri sera. E poco prima il premier turco Davutoglu aveva parlato anche di un coinvolgimento di Damasco. Intanto, in mattinata si sono registrate nuove violenze: almeno sette soldati turchi sono rimasti uccisi nell'esplosione che ha colpito un convoglio, nel sud-est del Paese a maggioranza curda. Mentre L'aviazione turca ha condotto una serie di raid contro le basi dei ribelli del Pkk in Iraq. Infine media locali riferiscono di 2000 miliziani dell'opposizione siriana appoggiati da Ankara ed entrati in Siria dalla Turchia per combattere contro i curdi. Sulle accuse avanzate dalla Turchia sentiamo il commento di Alessandro Politi, analista esperto dell’area:

R. – Da una parte, ci sono delle reazioni automatiche che portano ad accusare sempre i curdi. Ma è molto probabile che questa bomba, chiunque l’abbia messa, sia un messaggio dissuasivo per evitare una escalation militare in Siria, quindi per evitare l’invio di truppe di terra. Che alcune persone, poi, mettano le bombe e altre mandino il messaggio in chiaro, è storia comune, non dico solo nel terrorismo, ma nella politica.

D. – La Turchia, da giorni bombardava le postazioni curde in Siria. L’attentato nella capitale turca può essere una risposta?

R. – In linea teorica sì, ma i curdi siriani sanno benissimo che una bomba ad Ankara non cambia assolutamente nulla dal punto di vista politico del governo turco. Mentre un attentatore che ha una posta in gioco molto più alta e anche più mezzi per mettere in atto le sue strategie dissuasive, potrebbe avere maggiore interesse.

D. – Chi può esserci, quindi, veramente, dietro questo attentato?

R. – L’accusa turca è molto immediata, quindi o hanno delle fonti molto buone o è un’intuizione politica che va verificata. Potrebbe essere un attentato siriano, però la scena mediorientale è piena di attentatori che non dicono il loro nome, non mostrano il loro volto, ma le cui bombe o i cui attacchi hanno poi delle conseguenze politiche concrete.

D. – Sullo sfondo delle nuove violenze in Turchia, resta il caos siriano. La guerra civile, oltre confine, è ormai entrata in territorio turco?

R. – No, non per ora. Ci sono degli attentati sanguinosi, ma ancora molto limitati, non c’è una campagna di attentati. E’ precisamente lo scopo di molti di questi attentati o almeno di alcuni: evitare che ci sia un’estensione, un allargamento delle violenze oltre la frontiera turco-siriana, in direzione turca.

D. – Poi ci sono Russia e Stati Uniti che continuano ad appoggiare i miliziani curdi che combattono contro lo Stato Islamico. Questo è destinato a far alzare le tensioni con Ankara. Come se ne esce?

R. – Le tensioni con Ankara ci sono già e dureranno fino a quando ci sarà una guerra civile in Siria e fino a quando soprattutto Ankara non deciderà di trovare una soluzione politica al suo problema curdo all’interno. Più passa il tempo, più si rischia di perdere un’occasione preziosa, di chiudere questo lunghissimo dossier.

D. – Quindi, diciamo che la questione curda è l’ennesimo dossier di questo scacchiere complesso in Siria e in Medio Oriente…

R. – La questione curda è semplicemente la questione della cattiva gestione di una rivendicazione che va dall’identitario al separatista. Sarebbe opportuno seguire l’esempio italiano, che ha già gestito senza troppi problemi tre separatismi. Altrimenti abbiamo le storie infinite, come in Corsica, come nei Paesi Baschi, come in Irlanda del Nord, come nei territori curdi.

inizio pagina

Siria: primi aiuti umanitari. Mons. Audo: passo sulla via della pace

◊  

In Siria l’esercito siriano, sostenuto dall’aviazione russa, ha preso il controllo oggi di al Kansba, località strategica nella provincia di Latakiya nel nord-ovest del Paese. “La ripresa della provincia di Latakiya – riferisce l’agenzia governativa siriana - permetterà il lancio di una grande operazione per la riconquista della provincia di Idlib”. Intanto l’Unione Europea chiede a Damasco di interrompere le operazioni militari contro i gruppi legati all’opposizione moderata. Il servizio di Amedeo Lomonaco

I leader europei chiederanno a Russia e Siria di interrompere subito gli “attacchi contro i gruppi dell'opposizione moderata” perché minacciano le prospettive di pace, avvantaggiano le milizie del sedicente Stato Islamico e alimentano la crisi dei rifugiati. E’ quanto si legge nella bozza delle conclusioni al Consiglio europeo di oggi e di domani. Intanto sul terreno, mentre Medici Senza Frontiere denuncia che oltre 100 mila persone sono intrappolate nei pressi di Aleppo, almeno 15 civili - tra cui 3 bambini - sono rimasti uccisi nel nord della Siria in seguito a bombardamenti della coalizione a guida Usa. Fonti dell'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria hanno infine reso noto che più di 2.000 miliziani dell'opposizione sono entrati nel Paese dalla Turchia con armi e mezzi blindati per contrastare l'avanzata di combattenti curdi nell'area di Azaz a nord di Aleppo.

In Siria intanto sono arrivati i primi aiuti umanitari destinati alle popolazioni delle città assediate, come stabilito dall’accordo per la tregua raggiunto venerdì scorso a Monaco di Baviera. L’inviato speciale dell'Onu per la Siria, Staffan de Mistura, aveva definito un “dovere” del governo siriano quello di garantire l’accesso agli aiuti. Si tratta di un segno importante, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il vescovo caldeo di Aleppo, mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria: 

R. – È una situazione di miseria, di povertà totale in tutte le regioni della Siria. E penso che una decisione di questo tipo, di apertura, per facilitare l’arrivo degli aiuti, sia una cosa molto positiva: è il segno di un accordo per trovare una soluzione, accettare il dialogo, finalmente. Questo è molto importante.

D. – Può essere questo proprio un segno del fatto che la guerra stia finalmente terminando?

R. – Penso che a livello internazionale ci sia stato un cambiamento. Adesso si deve passare ad un livello regionale: si deve gestire la situazione, risolvere la questione degli interessi di Arabia Saudita, Iran e Turchia. Se facciamo questo passo, passeremo alla terza tappa: all’interno della Siria si va adesso verso una soluzione politica, e non militare.

D. – L’auspicio è proprio questo: che si arrivi ad una soluzione politica, non militare. Come si inserisce “Caritas Siria” in questi sforzi di pacificazione?

R. – Quando lavoriamo con tutti serviamo tutte le parti, senza fare distinzioni. Siamo capaci di dare il messaggio che insieme - tutti i siriani - dobbiamo diventare “più cittadini”. Vogliamo mostrare la bellezza del Vangelo e così speriamo, come Caritas e come cristiani, di preparare il futuro.

D. – A proposito di futuro, Papa Francesco recentemente ha auspicato per la Siria una soluzione politica. Qual'è, secondo lei, allo stato attuale, questa soluzione politica per la Siria?

R. – Incoraggiare il dialogo, fare mediazione, mostrare che vivere insieme è possibile, mostrare l’aspetto positivo della Siria libera da tutti gli interessi regionali e nazionali. 

inizio pagina

Uganda al voto: favorito Museveni, dopo 30 anni al potere

◊  

Uganda al voto per il primo turno delle presidenziali. Dopo 30 anni al potere, Yoweri Museveni è in lizza per il quinto mandato. Dal 1986, la sua politica di liberalizzazione economica ha portato una crescita del Pil del 7% medio annuo tra il 1990 e il 2000, rallentata negli anni di crisi globale ma solo fino al 4,8% nel 2014. Non c’è stato però il giusto impatto sul lavoro e resta un tasso di disoccupazione di oltre il 60% tra la popolazione giovane. Si parla di risorse petrolifere non ancora sfruttate. Nell’intervista di Fausta Speranza, il parere dell’africanista Angelo Turco, presidente della Fondazione Università IULM: 

R. – Negli ultimi anni, il tasso di sviluppo ugandese si è tenuto intorno al 5% di media: è un tasso che, visto dall’Europa, è consistente ma di fatto non ha prodotto un miglioramento né delle condizioni di vita della popolazione né, soprattutto, ha creato impieghi per la enorme popolazione giovanile.

D. – Che dire delle risorse petrolifere che ci sono nel Paese?

R. – Le riserve petrolifere rappresentano una grande promessa, una grande speranza e, al tempo stesso, un grande incubo. L’Uganda è un Paese nel quale la corruzione rappresenta un fattore preoccupante che rischia di limitare lo sviluppo economico e anche di inquinare le relazioni sociali. E, quindi, si teme che il vero sviluppo della economia degli idrocarburi, dell’economia petrolifera, possa accrescere il circolo vizioso della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi attori per il tramite della corruzione. E’ vero però che ci sono grandi prospettive in questa direzione. Anche se dobbiamo tenere presente che in questo momento il barile di petrolio a 30 dollari rende critico, a livello globale, tutto il settore.

D. – Museveni, 30 anni al potere, con tante contraddizioni: da una parte, violazione dei diritti umani, dall’altra, l’impegno di "peacekeeping" in diversi paesi dell’Africa…

R. – Davvero una "imbalsamazione" del Paese. Museveni ha giocato molto la carta della continuità del potere come garante della pace, della stabilità e presentando quindi ogni cambiamento come un rischio dell’ignoto che il Paese non si poteva permettere. Ed è soprattutto su questa base che il presidente uscente si garantisce una possibilità di confermare il quinto mandato che, se non è così alta come dicono i sondaggi poco credibili dei media governativi, è però concreta, tanto più che le opposizioni non hanno saputo sviluppare una strategia elettorale di unità e quindi sono arrivate divise al primo turno, con altissima probabilità di far passare Museveni addirittura al primo turno, senza potere combattere una battaglia unitaria al secondo turno.

inizio pagina

Obama prepara il primo viaggio di un presidente a Cuba dopo 80 anni

◊  

E’ atteso per le prossime ore l’annuncio ufficiale del viaggio del Presidente americano Barack Obama a Cuba, il primo da oltre 80 anni. La visita si svolgerà entro la fine di marzo e arriva dopo il disgelo tra Stati Uniti e l’isola caraibica, che hanno riallacciato i rapporti diplomatici lo scorso anno, anche con la mediazione di Papa Francesco. Imminente la riapertura dei voli commerciali tra i due Paesi, così come  l’installazione di una fabbrica americana di trattori in territorio cubano. Sul tavolo anche il futuro della base di Guantanamo e dell’emgarg.  Immediata la reazione dei due candidati repubblicani di origine cubana. Per Ted Cruz, che si è detto  “rattristato, ma non sorpreso”, il viaggio è un errore, mentre per Marco Rubio “la visita di Obama è assurda” fino a quando Cuba non sarà “libera”. Sul significato di questo storico viaggio Michele Raviart ha intervistato Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali: 

R. – Celebra un successo straordinario della diplomazia internazionale, in cui anche la Santa Sede è stata determinante. E vuol dire che gli Stati Uniti sono il partner dei Caraibi e questo, in un mondo che cambia, ha una sua notevole importanza.

D. – A livello interno che equilibri sposta questo viaggio?

R. – E’ motivo di plauso per alcuni e di odio per altri, che vedono ancora Cuba come il nemico dei pericolosi “barbudos castristi”. E in un momento di scontro elettorale, le parole lasciano un po’ il tempo che trovano.

D. – Per Cuba, invece, che cosa cambia? Abbiamo visto che verranno riaperti i voli tra Stati Uniti e, appunto, L’Avana; verrà per la prima volta instaurata una fabbrica, in senso capitalista…

R. – Cambia tutto! Arriveranno fiumi di denaro, con quello che ciò significa nel bene e nel male… In breve tempo la revolucion diventerà un pallido ricordo e un dato di fatto. Bisogna anche considerare che i tempi cambiano e bisogna avere, quindi, il coraggio di sotterrare l’ascia di guerra.

D. – In tutto questo, qual è stato il ruolo che Papa Francesco ha avuto nel riavvicinamento fra Stati Uniti e Cuba?

R. – Il Santo Padre ha avuto un ruolo determinante: ha avuto “il” ruolo! Un uomo incredibile, con una capacità di leggere le tematiche. Il suo buon senso ha decisamente avvicinato le parti.

D. – In questo senso l’incontro che ha avuto Papa Francesco con il Patriarca Kirill, che significato ha per Cuba, per i rapporti poi anche storici che Cuba ha avuto con la Russia?

R. – Direi molto importante! E’ un continuo e lento avvicinamento che si fa – diciamo – nelle migliori tradizioni della diplomazia intelligente, giocando di sponda. L’allontanamento politico di Cuba dalla Russia è un fatto fisiologico da quanto non c’è più l’Unione Sovietica. Quelli che vediamo sono i passi di un cammino iniziato tanto tempo fa.

inizio pagina

Adozioni gay: la celebre bocciatura di una ricerca ideologica

◊  

Unioni civili sempre in primo piano in Italia dopo il no dei Cinque Stelle al cosiddetto emendamento Canguro che ha portato ad un rinvio della discussione in Senato al prossimo mercoledì. “L’evidenza è che gli italiani sono contrari alla stepchild adoption” - commenta il Forum delle Famiglie - mentre il Comitato del Family Day rivendica il successo della piazza del 30 gennaio “nonostante gli inesistenti mezzi e la contrarietà di gran parte dei media”. “Inesatta e frettolosa, nei giorni scorsi, la notizia del “sì” unanime della scienza sulle adozioni gay”, spiega al microfono di Paolo Ondarza il neuropsichiatra infantile Giovanni Battista Camerini, docente di master presso le Università di Padova e Sapienza di Roma: 

R. – Le prime ricerche sono state fatte dalla prof.ssa Charlotte Patterson in America, una psicologa lesbica, attivista, appartenente all’American Psychological Association, che ha pubblicato alcune ricerche su figli nati da coppie omo-genitoriali, soprattutto donne. Le ricerche sono state fatte attraverso questionari, compilati dai genitori di questi bambini che erano stati adottati da poco tempo. Le conclusioni di queste ricerche davano risultati incoraggianti, nel senso che non davano nessun segnale di disagio nei bambini adottati da coppie omogenitoriali. Queste ricerche poi sono state fortemente criticate; la stessa autrice ha dovuto ammettere alcuni vizi metodologici, perché era una campionatura raccolta non correttamente: nel senso che le famiglie che avevano compilato questi questionari potevano avere dato certe risposte per fornire un’immagine positiva. E inoltre mancava il gruppo di controllo.

D. – Cosa si intende per “gruppo di controllo”?

R. – Il “gruppo di controllo” significa confrontare una popolazione studiata con un’altra popolazione che non ha invece le stesse caratteristiche. Nella fattispecie, confrontare bambini nati in famiglie di coppie omo-genitoriali con bambini nati invece da coppie eterosessuali.

D. – E questa ricerca della prof.ssa Patterson che lei cita è quella che viene portata come esempio oggi da chi sostiene che non ci sono problemi per un bambino a crescere in una coppia omo-genitoriale?

R. – È essenzialmente questa. Devo dire che, successivamente, è stata fatta un’altra ricerca da un ricercatore dell’Università del Texas, Mark Regnerus, il quale ha preso in esame ragazzi già cresciuti in famiglie omo-genitoriali: cioè di età superiore. Una ricerca fatta metodologicamente su basi diverse, quindi con ragazzi più grandi e con il gruppo di controllo. I risultati in questo caso erano radicalmente diversi: c’era un tasso di comportamenti autolesivi molto superiore, un’incidenza di problematiche psichiatriche, anche gravi, nettamente superiori rispetto al gruppo di controllo.

D. – Va detto, per completezza di informazioni, che anche questo studio che lei cita, firmato da Regnerus, è contestato da chi sostiene la bontà dell’adozione per le coppie omosessuali…

R. – È stato contestato duramente dalla lobby gay americana, che ha chiesto addirittura il licenziamento di questo studioso. Al punto che il “New York Times” ha pensato di incaricare un gruppo di esperti metodologi, un gruppo di saggi, per valutare se questa ricerca fosse stata fatta correttamente dal punto di vista metodologico. Il gruppo di saggi ha concluso che questa ricerca è stata fatta in maniera metodologicamente assolutamente appropriata.

D. – I due studi che lei cita rappresentano un po’ quella che è la complessità della ricerca attorno a questi temi: quindi si può concludere che non c’è una parola definitiva al riguardo?

R. – Non c’è assolutamente. Quello che io dico non è per dire che abbia ragione l’uno o l’altro. Dico solo che la comunità scientifica non ha portato alcun dato certo a favore della beneficità di questa pratica; nessun dato certo nemmeno a favore della sua dannosità. Dico solo che non si può assolutamente affermare che la comunità scientifica sia concorde sul fatto che i figli, nati da adozioni omo-genitoriali, abbiano uno sviluppo assolutamente adeguato, e che gli indicatori di benessere siano assolutamente sovrapponibili ad altri tipi di adozione. Occorre dire anche un’altra cosa: ci sono alcuni elementi che non sono facilmente misurabili attraverso questionari. Per esempio, c’è da chiedersi – e questo è il grande punto interrogativo – quali possono essere le conseguenze di una desessualizzazione della funzione paterna: una funzione paterna che viene esercitata indipendentemente dall’appartenenza ad un genere definito e riconoscibile; e quali sono gli effetti che questa desessualizzazione della funzione paterna può avere sui processi di identificazione e sul sentimento di identità. Questi sono aspetti legati alla psicologia del profondo, difficilmente misurabili attraverso questionari, sui quali occorre porsi legittimamente degli interrogativi.

D. – Quando, secondo lei - e se mai sarà possibile - la scienza riuscirà a dare delle risposte?

R. – Ci vorrebbero intanto grandi numeri, lavori su ampia scala con gruppi di controllo, e soggetti seguiti soprattutto per anni, perché gli effetti di determinati percorsi di sviluppo si vedono nella tarda adolescenza, nella prima età adulta. È difficile registrarli in bambini che sono stati adottati soltanto da poco tempo. Sono effetti che si possono vedere a distanza di tempo. 

inizio pagina

Cinema. A Berlino la Lampedusa dei migranti in "Fuocoammare"

◊  

Esce oggi nei cinema, dopo la presentazione in concorso alla 66.ma Berlinale, “Fuocoammare”, documentario firmato dal regista Leone d'Oro, Gianfranco Rosi, che per un anno si è trasferito a Lampedusa per realizzare un film toccante e rigoroso sull'isola, terra di approdo dall'umanità in fuga da guerra e povertà. Il servizio di Miriam Mauti

“Your position!”

“……”

“Ok, so, save your battery. I will call you back!”.

I messaggi d'aiuto, le immagini dei trasbordi in mare, quelle dei corpi delle vittime. C'è anche questo in “Fuocoammare”, il film - amatissimo dalla stampa internazionale al Festival di Berlino - con il quale Gianfranco Rosi, già vincitore del Leone d'Oro a Venezia con “Sacro Gra”, ci racconta Lampedusa. Rosi affronta la questione scegliendo un punto di vista privilegiato: l'isola appunto, dove si è trasferito per un anno. Con la scommessa di raccontarla in tutte le sue vite, come ci spiega:

“La difficoltà era esattamente questa: rompere i codici, rompere il conosciuto. E soprattutto il motivo per cui Lampedusa è diventata conosciuta in questi ultimi dieci anni, probabilmente, anche se a Lampedusa tutto questo va avanti da forse più di vent’anni… Quindi, la cosa più difficile è stata proprio vivere nel posto per un anno, farmi accettare come uno che stava raccontando l’isola, però che voleva raccontarla non soltanto dal punto di vista dei migranti, ma anche della sua identità”.

E così, accanto ai volti dei migranti, ci sono quelli del piccolo Samuele, figlio di pescatori, alle prese con la quotidianità di un bambino, tra scuola e giochi tra gli alberi. C'è la radio locale, c'è il medico, Pietro Bartòlo, figura straordinaria, diviso tra la routine di medico della Asl e i recuperi in mare, il cui racconto emozionante non lascia lo spettatore neanche dopo la visione del film, come spiega ancora Gianfranco Rosi:

“Le sue parole ci portano poi piano piano a confrontarci con quello che poi è il momento più duro del film: io credo che sia una specie di Caronte, qualcuno che ci accompagna nel momento più duro del film”.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Usa con il Papa: la fede è più forte delle barriere

◊  

“Il mondo è così spesso diviso dalla cultura, dalle condizioni economiche, dalla politica e dalle barriere” ma “il messaggio del Papa è che la nostra fede, preghiera e amore per Gesù sono più grandi di ciò che può dividerci”. È quanto afferma il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), mons. Joseph Edward Kurtz, sulla visita che il Santo Padre ha compiuto a Ciudad Juárez, al confine tra Messico e Stati Uniti, drammatico crocevia dell’ondata ondata migratoria che coinvolge l’intero continente.

Una sola Chiesa
Il presule, che ieri si trovava tra le centinaia di fedeli statunitensi che hanno seguito la celebrazione del Papa da El Paso, lungo la linea di confine tra i due Paesi, ha invitato i fedeli a pregare insieme come “una sola Chiesa”. Il Papa sottolinea mons. Kurtz, “ci sta chiedendo di vedere i nostri fratelli e le nostre sorelle, a nord e a sud, come compagni nel pellegrinaggio verso Cristo. Abbiamo sentito questa profonda unità e questo senso di solidarietà in modo speciale quando il Papa ha pregato al confine per quanti vi sono morti”.

Ogni Chiesa locale porta una sua preziosa eredità culturale
Per il presidente dei vescovi statunitensi, “ognuna delle nostre Chiese locali porta una preziosa eredità culturale” che Papa Francesco ha descritto come ‘risorse che meritano di essere condivise’. In questo senso, afferma,  “la visita è per noi un’altra opportunità per imparare e condividere questa diversità, mentre allo stesso tempo ci viene ricordato che siamo una sola Chiesa in America. La nostra fede ci riunisce nell’unico corpo di Cristo, sotto la protezione materna di Nostra Signora di Guadalupe”.

Due vescovi statunitensi in Messico per la visita del Papa
Per la visita del Papa in Messico, la Conferenza episcopale statunitense ha inviato come propri rappresentanti due vescovi che guidano altrettante diocesi alla frontiera con il Paese latino-americano: mons. Daniel E. Flores, vescovo di Brownsville, in Texas e mons. Oscar Cantù vescovo di Las Cruces, in New Mexico. (L.Z.)

inizio pagina

Chiesa di Terra Santa: disumana la condizione dei palestinesi a Gaza

◊  

La condizione attualmente vissuta dai palestinesi in Terra Santa è resa “disumana” dalle iniziative dei “coloni che occupano, giorno dopo giorno, la terra palestinese”, dalla povertà sofferta da un milione e mezzo di abitanti assediati nella Striscia di Gaza, dalla demolizione sistematica di case e dalle umiliazioni subite dai militari israeliani ai check point. E' questo il quadro a tinte fosche delineato dall'ultimo rapporto prodotto dalla Commissione “Giustizia e Pace” – organismo collegato ai vescovi ordinari cattolici di Terra Santa - sulla base dei dati studiati nell'ultima riunione ordinaria, avvenuta all'inizio di febbraio.

Mancanza di sicurezza per israeliani e palestinesi
Nel dossier, ripreso dall'agenzia Fides, viene documentata nei dettagli una situazione “stagnante e senza vita, senza luce di speranza” sofferta sia dagli israeliani, che hanno bisogno di “sicurezza e tranquillità”, sia dai palestinesi, che attendono “la fine dell'occupazione” e lo sviluppo effettivo di uno Stato indipendente. 

Processo di totale “giudaizzazione” di Gerusalemme
Nel documento, si stigmatizzano anche il progressivo processo di totale “giudaizzazione” della Città Santa, e la lenta espulsione da Gerusalemme dei suoi abitanti palestinesi, colpiti in maniera indiscriminata dall'accusa di terrorismo.

Appello ai leader israeliani e palestinesi
​Il documento contiene un appello ai leader israeliani ad “allargare” la propria visione e il proprio cuore, riconoscendo che “c'è abbastanza spazio nel Paese per tutti noi”. Mentre ai leader palestinesi si chiede di “lasciare che Israele e il mondo ascoltino una voce unica, una voce di pace e di giustizia per due popoli”, uscendo dalle logiche dell'egoismo e della corruzione. (G.V.)

inizio pagina

Elezioni Uganda. I vescovi: “Evitare tendenze dittatoriali”

◊  

Urne aperte oggi, in Uganda per le elezioni presidenziali e parlamentari. Il Presidente Yoweri Museveni, al potere da 30 anni, è dato come favorito. I vescovi ugandesi - riferisce l'agenzia Fides - nella loro lettera pastorale intitolata “Elezioni libere e corrette: la nostra missione comune per consolidare le conquiste democratiche in Uganda”, pubblicata ad agosto, hanno presentato le loro valutazioni e indicazioni su questo importante appuntamento elettorale.

Evitare  tendenze dittatoriali tra i diversi attori politici
I vescovi pur riconoscendo i progressi effettuati negli ultimi anni nel campo del rafforzamento della democrazia, avvertono che le lotte interne ai partiti politici sono spesso sfociate in “crisi politiche maggiori”. Si ricorda che “in Uganda, la violenza che ha caratterizzato i cambiamenti di governo nel 1966, 1971, 1979, 1985 e 1986 trova origine nella cupidigia e nelle tendenze dittatoriali tra i diversi attori politici. Pensiamo che questi sfortunati accadimenti sono ancora presenti nelle menti degli attori politici correnti, eppure questi continuano ad ignorare quella che potrebbe presto diventare una situazione politica esplosiva che deve essere evitata”.

Non ignorare la visione dei gruppi di minoranza
Si sottolinea in particolare che “in diverse occasioni, la visione dei gruppi di minoranza e della più vasta opinione pubblica è stata ignorata. Qui, ancora, la storia ci impartisce lezioni importanti. Cattive elezioni in qualsiasi parte del mondo possono essere la ricetta per una crisi politica. È avvenuto in Uganda negli anni ’80 e dobbiamo lavorare duramente per impedire che accada di nuovo”.

I rischi per la creazione di gruppi paramilitari
L'episcopato lamenta tra l’altro come “l’uso indiscriminato della forza e i divieti preventivi alle attività dell’opposizione hanno creato l’impressione che le forze di polizia promuovano e proteggano l’agenda del partito al potere”. A questo si aggiunge la creazione di gruppi paramilitari, formalmente registrati sotto l’ombrello di una Ong che affiancano la polizia formalmente per “prevenire i delitti”. “Siamo preoccupati, se queste tendenze dovessero continuare, potrebbero provocare violenze durante e dopo le elezioni”.

Incoraggiamento agli attori politici a lavorare per la pace
​“In conclusione, ribadiamo il fatto che le elezioni sono una grande opportunità e una sfida per il Paese. Incoraggiamo, quindi, tutti gli attori a lavorare per la pace e assicurare che il processo ampli le opzioni democratiche nella nostra giovane nazione. Assicuriamo di seguirvi nella preghiera” conclude il messaggio. (L.M.)

inizio pagina

Vescovi Bolivia: al referendum votare con libertà e responsabilità

◊  

La Conferenza episcopale boliviana ha emesso ieri un comunicato in vista del referendum costituzionale di domenica 21 febbraio, nel quale i cittadini si esprimeranno sulla possibilità di permettere la candidatura per un ulteriore mandato al presidente Evo Morales e alle più alte cariche dello Stato. Nel documento - riferisce l'agenzia Sir - i vescovi invitano tutti a un cosciente e responsabile esercizio di cittadinanza. 

L'episcopato non prende posizione ma invita a votare con libertà
I vescovi fanno notare che il “referendum sarà decisivo per il futuro democratico del Paese” ma non prendono posizione in favore del sì o del no. Ricordano però che “il voto è un diritto da esercitare in modo segreto e personale. Pertanto dobbiamo esprimerlo senza costrizioni o minacce di alcun tipo”. La Conferenza episcopale boliviana “si appella, ancora una volta, alla vocazione democratica del popolo boliviano e incoraggia tutti i cittadini a partecipare a questo processo democratico con libertà, consapevolezza e responsabilità”, dato che queste sono “le condizioni indispensabili per salvaguardare la democrazia, come è già accaduto in altre occasioni”. 

La richiesta di un voto trasparente e conforme alla volontà dei boliviani
I vescovi, infine, chiedono la massima trasparenza e sottolineano: “È fondamentale che tutti collaboriamo per rendere possibile un clima di serenità e pace, rigettando qualsiasi intenzione violenta o manipolazione della volontà dei cittadini”. (R.P.)

inizio pagina

Myanmar. Card. Bo: la pace, priorità del Paese

◊  

“Auspichiamo che il nuovo governo lavori alla riconciliazione nazionale e che la pace ed il cessate-il-fuoco siano una sua priorità”: è quanto afferma il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, in Myanmar, in un’intervista rilasciata ad “Eglise d’Asie”. In particolare, il porporato fa riferimento alle sfide che si trova davanti il partito “Lega nazionale per la democrazia”, guidato da Aung San Suu Kyi, vincitore a larga maggioranza delle legislative svoltesi l’8 novembre scorso.

Promuovere la giustizia attraverso il perdono
“Il nuovo esecutivo – sottolinea il card. Bo – dovrà lavorare anche alla questione della ridistribuzione delle risorse naturali e porre fine al progetto di costruzione di una diga a Myitsone, nello Stato kaichin”, contrastato dall’Esercito per l’indipendenza kachin (Kia). “Se tale progetto non verrà abbandonato – spiega infatti il porporato – allora sarà molto difficile trovare un accordo di pace con il Kia”. Naturalmente, l’arcivescovo di Yangon si dice consapevole del fatto che “la riconciliazione è un processo difficile” e per questo esorta a “fare opera di giustizia così come si fa nella religione”, ovvero “esortando la gente al perdono, anche in relazione al Giubileo straordinario della misericordia” in corso in questi mesi”.

Più attenzione per la minoranza dei rohingya
Altra priorità del nuovo governo, continua il card. Bo, dovrà essere la questione rohingya, gruppo etnico poverissimo di fede musulmana, non riconosciuto come minoranza, sistematicamente discriminato, al quale non è mai stata concessa la cittadinanza. Per esso, il porporato auspica una soluzione specifica: “Una sola legge generale, come quella sulla cittadinanza risalente al 1982, non basta – spiega - Occorre invece valutare i singoli casi, perché ci sono rohingya nati in Myanmar e rohingya arrivati nel Paese più recentemente, provenienti dal Bangladesh”.

Rivedere le leggi su razza e religione
Il card. Bo si sofferma, poi, sulle quattro “Leggi a difesa della razza e della religione” approvate ad agosto 2015 dal Parlamento allora in carica, su pressione di frange buddhiste. Tali normative comprendono misure contro i matrimoni misti, le conversioni religiose e la poligamia e per il controllo delle nascite ed hanno destato molta preoccupazione nella Chiesa cattolica locale. “Occorre emendarle e redigerle in modo più tollerante, affinché siano accettabili anche per i cristiani”, spiega il porporato, che poi auspica che gli impiegati del Ministero per gli Affari religiosi non siano unicamente buddisti. “In un Paese veramente democratico – spiega – il Ministero deve trattare tutte le religioni allo stesso modo”.

Maggiore libertà per la Chiesa cattolica nel settore educativo
Per la Chiesa cattolica, poi, l’arcivescovo di Yangon auspica “maggiore libertà nell’opera di evangelizzazione” e maggiori sforzi per un sistema educativo “decentralizzato” che permetta anche ai cattolici di gestire, ufficialmente, le proprie scuole, così come di costruirne delle nuove e di ottenere la restituzione degli istituti educativi nazionalizzati dopo il colpo di Stato del 1962. Uguale trattamento in quest’ambito viene auspicato per tutte le religioni. “Sono certo – afferma il porporato – che le nostre proposte ed i nostri consigli saranno ascoltati” dal nuovo governo, che ha manifestato la volontà di prestare attenzione “ai diversi rappresentanti religiosi del Paese”.

Auspicato l’avvio di relazioni diplomatiche tra Myanmar e Santa Sede
Infine, il card. Bo esprime il desiderio che il Myanmar stabilisca relazioni diplomatiche con la Santa Sede: “Aung San Suu Kyi sostiene questa idea ed io ne sono felice”, conclude l’arcivescovo di Yangon, ricordando che la donna ha incontrato Papa Francesco in Vaticano nell’ottobre 2013. In quell’occasione, il Pontefice aveva incoraggiato ed apprezzato il contributo “per la democrazia e la pace” offerto da Aung San Suu Kyi al Myanmar, esprimendo grande sintonia con la sua figura, soprattutto su temi portanti del Pontificato, come la cultura dell’incontro ed il dialogo interreligioso. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Vescovi Sudafrica: su casi di abusi, massima trasparenza

◊  

“Apertura e trasparenza sono l’unico modo con cui il male degli abusi possono essere affrontati e trattati”: lo scrive la Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) in una nota diffusa in occasione dell’uscita, nelle sale cinematografiche, del film “Il caso Spotlight”. La pellicola narra l’indagine giornalistica portata avanti, primi anni del 2000, dalla testata statunitense “Boston Globe” sui casi di abusi perpetrati nella Chiesa Usa. Si è trattato di “un periodo buio e vergognoso nella storia della Chiesa cattolica”, scrivono i presuli sudafricani, “uno scandalo mondiale”.

Abusi, crimini efferati da portare sempre alla luce
Esprimendo, poi, vicinanza alle “vittime di abusi sessuali da parte del clero”, la Sacbc sottolinea che “la Chiesa continua a cercare il perdono per il danno che tale reato sui minori ha causato”. “La Chiesa – continua la nota – riconosce il ruolo che i giornalisti e le vittime hanno avuto nel portare alla scoperta di sacerdoti pedofili”. “Alcune vittime – prosegue – hanno sofferto ancora di più quando la famiglia, la società, le autorità ed i responsabili della Chiesa non hanno creduto alla loro storia”. “L'abuso sessuale deve essere portato alla luce – sottolineano i vescovi sudafricani – perché si tratta di un crimine efferato”.

Chiesa impegnata nella tutela dei bambini
Di qui, il richiamo della Sacbc al fatto che “la Chiesa cattolica si impegna ad assumersi la responsabilità per le sue mancanze ed a riformarsi in modo da affrontare atti vergognosi e tenuti nascosti” perché “la Chiesa è impegnata innanzitutto nella protezione dei bambini”. Per questo, la Conferenza episcopale sudafricana ricorda di aver creato un’apposita Commissione professionale che “ha elaborato protocolli rigorosi per garantire che tutte le accuse di abusi vengano trattate in modo responsabile, trasparente e nel pieno rispetto del diritto civile”.

Valutare attentamente le vocazioni al sacerdozio
​In quest’ottica, i presuli esortano a valutare in modo attento e completo le vocazioni al sacerdozio. “Il film ‘Spotlight’ – conclude la nota – ci ricorda che dobbiamo rimanere vigili e fare tutto il possibile per proteggere i bambini. Qualsiasi denuncia di abuso dovrà avere seguito immediato presso la Chiesa, in conformità con le leggi locali ed i protocolli stabiliti”. (I.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 49

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.