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Sommario del 15/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Ecatepec: no a vanità, orgoglio e attaccamento alla ricchezza

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No a vanità, attaccamento alla ricchezza, orgoglio. Durante la  Messa  nell'area del Centro studi di Ecatepec, davanti a centinaia di migliaia di persone, nella prima domenica di Quaresima il Papa torna a parlare delle “tre tentazioni che cercano di degradarci”. E all’Angelus ricorda che questa terra non deve più “piangere uomini e donne, giovani e bambini che finiscono distrutti nelle mani dei trafficanti della morte”. In un tweet, Francesco scrive: “Guardarti semplicemente,  Madre, tenendo aperto solo lo sguardo; guardarti tutta senza dirti nulla...". Dal Messico il servizio del nostro inviato Alessandro Guarasci: 

In 300 mila circa hanno accolto il Papa a Ecatepec. Un entusiasmo che è andato oltre ogni altra previsione. La gente è arrivata nella notte per occupare i posti più vicini al Pontefice. Davanti all’altare un tappeto di fiori e accanto una riproduzione dell’icona della Madonna di Guadalupe. Nell’omelia, il Papa parla della conversione che deve avvenire durante la Quaresima, dunque no a una società per pochi:

"Cuántas veces experimentamos en nuestra propia carne ...
“Quante volte sperimentiamo nella nostra carne, o nella nostra famiglia, in quella dei nostri amici o vicini, il dolore che nasce dal non sentire riconosciuta quella dignità che tutti portiamo dentro. Quante volte abbiamo dovuto piangere e pentirci, perché ci siamo resi conto di non aver riconosciuto tale dignità negli altri. Quante volte – e lo dico con dolore – siamo ciechi e insensibili davanti al mancato riconoscimento della dignità propria e altrui”.

Le tre tentazioni
Le tre tentazioni che ha sofferto Cristo cercano di rovinare la verità alla quale siamo chiamati: l'attaccamento alla ricchezza, “impossessandoci di beni che sono stati dati per tutti, utilizzandoli solo per me o per “i miei”; la vanità, ovvero “quella ricerca di prestigio basata sulla squalifica continua e costante di quelli che ‘non sono nessuno’”; l’orgoglio, “ossia il porsi su un piano di superiorità di qualunque tipo, sentendo che non si condivide la ‘vita dei comuni mortali’”. Francesco, quindi sottolinea, che col demonio non si dialoga, abbiamo scelto Cristo. Il Papa si chiede:

“Fino a che punto siamo consapevoli di queste tentazioni nella nostra persona, in noi stessi? Fino a che punto ci siamo abituati a uno stile di vita che pensa che nella ricchezza, nella vanità e nell’orgoglio stanno la fonte e la forza della vita?”.

Ed ancora:

“Fino a che punto crediamo che il prenderci cura dell’altro, il nostro preoccuparci e occuparci per il pane, il buon nome e la dignità degli altri sono fonti di gioia e di speranza?”. 

No a uomini, donne e bambini vittime dei trafficanti di morte
All’angelus il Papa riprende alcuni temi fondamentali per uno sviluppo pieno di questa terra: “Desidero invitarvi nuovamente oggi a stare in prima linea, ad essere intraprendenti in tutte le iniziative che possano aiutare a fare di questa benedetta terra messicana una terra di opportunità – dice il Pontefice - Dove non ci sia bisogno di emigrare per sognare; dove non ci sia bisogno di essere sfruttato per lavorare; dove non ci sia bisogno di fare della disperazione e della povertà di molti l’opportunismo di pochi”. Un netto no poi alla violenza:

“Una tierra que no tenga que llorar a hombres y mujeres, a jóvenes y niños...
Una terra che non debba piangere uomini e donne, giovani e bambini che finiscono distrutti nelle mani dei trafficanti della morte. Questa terra ha il sapore della Guadalupana, colei che sempre Madre ci ha preceduto nell’amore”.

Fuori programma con le suore di clausura
Una giornata densissima, con diversi fuori programma, come quando Francesco nel tragitto dalla nunziatura all’eliporto di Città del Messico è sceso dalla papamobile per salutare un gruppo di suore di clausura che lo aspettavano davanti a loro convento.

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L'abbraccio del Papa ai bimbi malati di cancro: è la medicina dell'affetto

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Sentirsi curati, essere amati ed accompagnati. Sono queste le medicine più importanti indicate dal Papa nel discorso rivolto ai piccoli pazienti, alle loro famiglie e al personale dell’Ospedale pediatrico Federico Gómez di Città del Messico, una preziosa struttura che ogni anno cura molti bambini, affetti da tumori e da malformazioni congenite. Molto importante – ha detto il santo Padre – è anche una insostituibile cura che ha definito “affettoterapia”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il rintocco della campana, suonata da due bambini guariti dal cancro proprio per suggellare la loro vittoria contro la malattia, e il canto dell’Ave Maria intonata da una giovane paziente sono alcuni dei suoni che hanno scandito l’incontro di Papa Francesco con 36 bambini e la visita nel reparto oncologico. L’emozione scolpita negli occhi, nei sorrisi e nei volti dei bambini si è riflessa nello sguardo amorevole di Papa Francesco, colmo di gratitudine:

“Gracias por el cariño que tienen en recibirme...
Grazie per l’affetto che avete nell’accogliermi; grazie – ha detto il Santo Padre - perché vedo l’affetto con cui siete curati e accompagnati. Grazie per lo sforzo di tanti che stanno facendo del loro meglio perché possiate riprendervi presto. E’ così importante sentirsi curati e accompagnati, sentirsi amati e sapere che state cercando il modo migliore di curarci; per tutte queste persone dico: grazie”.

Alla gratitudine – ha detto poi il Pontefice - si aggiunge  il desiderio di benedire:

“Quiero bendecirlos...
Desidero benedirvi. Voglio chiedere a Dio che vi benedica, accompagni voi e i vostri familiari, tutte le persone che lavorano in questa casa e fanno in modo che quei sorrisi continuino a crescere ogni giorno. Tutte le persone che non solo con medicinali bensì con la ‘affettoterapia’ aiutano perché questo tempo sia vissuto con più gioia”.

Papa Francesco ha infine chiesto ai bambini di chiudere gli occhi e aprire i loro cuori alla Vergine di Guadalupe:

“Tenemos a nuestra Madre...
Abbiamo la nostra Madre: chiediamole di offrirci al suo Figlio Gesù. Chiudiamo gli occhi e domandiamole quello che il nostro cuore oggi desidera”.

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Papa: pensiamo ai problemi degli amici e affidiamoli a Maria

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Se abbiamo un problema, affidiamolo a Maria e facciamo così anche con i problemi dei nostri amici. E’ il messaggio che Papa Francesco ha consegnato, parlando a braccio, alle persone – tantissimi i giovani – che si sono radunate davanti alla nunziatura a Città del Messico, la notte prima della grande Messa nella prima Domenica di Quaresima. Il Pontefice ha dialogato con alcuni di loro e ha chiesto di pregare in silenzio per quanti soffrono. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Bueno, ¿están muy cansados? (Responden: ¡No!)…”
Un dialogo da cuore a cuore tra il Papa e i fedeli che quasi non vogliono lasciarlo andare a dormire. Francesco  non si sottrae a parlare con loro, gli chiede se non siano stanchi e, simpaticamente, li sfida allora a “continuare fino alle 4 del mattino”. Poi, dopo aver pregato assieme la Vergine Maria - proprio nel giorno della sua toccante visita al Santuario di Guadalupe – offre una profonda meditazione sull’affidamento a Maria:

“Cada uno de ustedes tiene algún…”
“Ognuno di voi ha un problema nel cuore o molti, però non diteli, pensateli, e ora li offriremo alla Vergine perché se ne occupi Lei e li risolva”. La Vergine, soggiunge, “è mamma, è buona, è madre, alcuni dicono non è suocera”. Francesco chiede però di fare un passo ulteriore: non solo affidare a Maria i propri problemi, ma pure quelli degli amici. A volte conosciamo i loro problemi, ha detto, “non perché siamo degli indovini, ma perché siamo dei chiacchieroni”. Invece, è il suo invito, bisogna pensare ai loro problemi in silenzio. Non solo. “Pensate – è la sua esortazione – a qualcuno che non conoscete e che deve avere un grande problema, dategli il nome che volete” e affidatelo a Maria.

“…les agradezco mucho la compañia…”
“Vi ringrazio molto per la compagnia che mi fate qui – ha concluso – ora comincia a farsi freddo, bisogna andare a dormire. Grazie, riposate e pregate per me e che Dio vi benedica”.

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Gesuiti messicani donano al Papa le reliquie del martire Miguel Pro

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Papa Francesco ha avuto ieri un incontro fuori programma con sei membri della comunità gesuita messicana. L’incontro è avvenuto presso la Nunziatura Apostolica a Città del Messico. Il Pontefice e i suoi confratelli, ha dichiarato il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi, hanno avuto un breve colloquio, dopo la visita all’ospedale pediatrico. Durante il colloquio, i gesuiti hanno donato al Papa le reliquie del Beato martire Miguel Augustin Pro, gesuita di Guadalupe, ucciso nel 1927 durante le persecuzioni anticattoliche perpetrate dal regime anticlericale di Plutarco Elías Calles.

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Padre Lombardi: il Papa e il dono di esprimere la tenerezza

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Al termine dell'intensa giornata di ieri del Papa, da Città del Messico alla vicina Ecatepac, Alessandro Guarasci ha raccolto il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi: 

R. – Quello che io ho trovato particolarmente ben organizzato è stata l’accoglienza lungo la strada. Dall’eliporto per arrivare alla Messa c’erano tantissime persone. Io credo anche più che sul luogo della Messa. Quindi un’accoglienza estremamente festosa e anche ben preparata: c’erano canti, c’erano gruppi che avevano dei cartoni su cui avevano disegnato le bandiere del Messico, i colori vaticani e così via, tutto insieme in un modo coreografico. E’ stato un itinerario di 9 km veramente molto piacevole ed entusiasmante. Faceva anche impressione al Papa, credo, arrivare con l’elicottero su questa distesa sterminata di case senza interruzioni. A questa grande umanità, a questo grande popolo che vive nelle megalopoli, come gli si annuncia la fede oggi? Come si fa una pastorale in situazioni di questo genere? Sono problemi grandissimi, evidentemente, che il Papa anche personalmente conosce, perché è stato vescovo di una grandissima città come Buenos Aires, grande come Città del Messico.

D. – Dal punto di vista dei contenuti, c’è stato un forte richiamo alla centralità del messaggio cristiano…

R. – Questa era la Messa della prima Domenica di Quaresima e quindi il Papa, come è solito, nella sua omelia è molto fedele ai testi. Quindi è andato veramente un po’ al cuore del messaggio cristiano, che ci è presentato nella prima Domenica di Quaresima come un messaggio di conversione. Le tentazioni di Cristo sono veramente una porta attraverso cui entrare nel discernimento, nell’esame di coscienza propria e della società che ci sta attorno. La tentazione dell’avere, la tentazione della vanità, la tentazione del potere e del volere imporsi sugli altri sono talmente fondamentali e radicali che valgono sempre.

D. – Passando alla visita all’ospedale, lei che cosa ha percepito oltre a quello che si è visto ufficialmente tramite la tv?

R. – Questo grande desiderio del Papa e questa grande capacità del Papa di dimostrare, di portare vicino l’amore del Signore attraverso l’amore vissuto nella vita cristiana da parte di chi riceve l’amore e lo comunica agli altri. Quindi, il Papa ha un dono, certamente, di manifestare vicinanza e tenerezza anche con una certa fisicità, di accarezzare, abbracciare, toccare. L’incontro con un grande affetto, con un amore generoso e tenero, come il Papa riesce a manifestare, è naturalmente di grande conforto.  

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Il Chiapas attende il Papa. Padre Rigoni: indios e migranti sono "scarti"

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Oggi il Papa si trasferisce nel Chiapas, lo Stato più meridionale e più povero del Messico. A San Cristóbal de Las Casas celebrerà la Messa con le comunità indigene, discendenti in gran parte dagli antichi Maya. Una terra che lotta per la sopravvivenza, che oggi assiste al fenomeno dell’emigrazione delle popolazioni centramericane. Il padre scalabriniano Florenzo Rigoni assiste da 20 anni i migranti che cercano di raggiungere gli Stati Uniti. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – Il Messico è stato il 'cimitero senza croci' del migrante. Per interessi che si sono sovrapposti ha costruito una vera e propria frontiera che io ho chiamato già da anni “frontiera verticale”. La frontiera che ti divide, lungo il cammino si è trasformata in un’altra frontiera: più che per il governo messicano che fa i suoi controlli, a causa della criminalità organizzata. Così, il migrante, come dice il Papa, è diventato uno scarto, un invisibile, un nessuno.

D. – Padre Rigoni, quanto è frequente il fenomeno del contrabbando con i migranti e per i migranti?

R. – All’inizio era quello che chiamavano i “coyotes” o i contrabbandieri che il migrante contattava. Oggi, ormai, questo grande contrabbando è in mano alla criminalità organizzata che ne ha fatto un altro business: trasportano anche fino a 180 migranti in doppi fondi dei camion, in condizioni disumane. Qui si ripete quella che io chiamo la “Shoah delle migrazioni”: i campi nazisti; i treni della morte… Il treno merci che passa dal Sud verso il Nord lo chiamano la “bestia”, la “ghigliottina”.

D. – Quanto è frequente lo sfruttamento lavorativo degli immigrati in Messico?

R. – Questo è un fenomeno che non riguarda solo i migranti. In alcune parti, come il Chiapas, Oaxaca, Guerrero – i tre grandi Stati della povertà – i diritti umani e i diritti del lavoro non sono rispettati. D’altra parte, il migrante sa di non avere carte in mano: le donne, da alcuni anni hanno inventato, una nuova espressione: “Non ho documenti, non ho soldi, ma ho una body card. Invece che la credit card, il mio corpo lo uso come baratto”.

D. – Padre Rigoni, lei sicuramente avrà molti contatti anche con gli indigeni. Cominciano a migliorare le loro condizioni di vita?

R. – Dovrei dirti di no. Sono d’accordo sul fatto che il Papa vada a San Cristóbal e dia importanza alla comunità indigena che io considero migrante da anni, perché l’abbiamo cancellata dalla nostra memoria. Permettiamo loro un po’ di folclore, un po’ di artigianato, ma niente di più. Però c’è qualcuno che lo sente vicino. Quindi, questo sarà un messaggio molto forte, perché la frase che usa spesso il Papa, “gli scarti”, è qualcosa di molto serio.

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Jurkovič: incontro tra Francesco e Kirill, simbolo per il nuovo millennio

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Una conversazione “tra fratelli”, per una unità che “si fa camminando”. Queste le parole di Papa Francesco, subito dopo l’incontro all’aeroporto dell’Avana con il Patriarca ortodosso russo Kirill. Nella Dichiarazione comune, firmata al termine del colloquio, il Pontefice e il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia hanno posto l’accento su alcuni temi di particolare importanza in “un periodo di cambiamento epocale” per la civiltà umana: hanno ricordato, tra l’altro, le persecuzioni dei cristiani in Merio Oriente e non solo, la violenza e il terrorismo, la crisi della famiglia in molti Paesi. La riflessione del nunzio apostolico presso la Federazione Russa, l’arcivescovo Ivan Jurkovič, parte proprio dalla voce in difesa dei cristiani perseguitati. L’intervista è di Giada Aquilino

R. – Questo mi sembra che sia il contenuto più profondo di tutto l’incontro, che è un evento già di per sé straordinario, atteso, desiderato, ma anche un incontro di emergenza. La comunità cristiana è cioè sempre responsabile per coloro che soffrono e addirittura ha l’obbligo solenne di ricordare anche quanti sono morti.

D. – C’è quindi un “ecumenismo del sangue”, come lo ha definito Papa Francesco...

R. – Il Papa ha spiegato anche che nessun persecutore dei cristiani chiede a quale confessione appartengano. Vuol dire che quelli che odiano il cristianesimo ci considerano già uniti.

D. – Dove porta l’appello congiunto alla comunità internazionale, per porre fine a violenze e terrorismo, a lavorare per ristabilire la pace in Medio Oriente, ma anche l’appello alle parti a partecipare al tavolo dei negoziati?

R. – Le complicazioni della vita internazionale negli ultimi anni sono state uno choc. Nessuno si aspettava che la vita internazionale, le relazioni internazionali potessero deteriorarsi così rapidamente e senza trovare risposte efficaci. Tutto quello che si riesce a fare, forse, è rimandare un po’, ma le soluzioni non ci sono. Si tratta, indubbiamente, di due personalità visibilissime nel mondo – il Papa e il Patriarca Kirill - e l’effetto che avrà la loro Dichiarazione va al di fuori delle formulazioni verbali. Si tratta, cioè, di un simbolo: esiste una vera, serena solidarietà tra i cristiani, costruttiva, non vendicativa, non aggressiva, con una preoccupazione che deve essere ascoltata e che deve essere seguita forse anche dall’azione della comunità internazionale. Quello che mi sembra importante è che questo valore simbolico che si sente pure nel popolo è enorme. La fotografia che è venuta fuori all’aeroporto dell’Avana rimane quasi un simbolo per il nuovo millennio: si tratta, cioè, di una nuova maturità anche della comunità dei credenti cristiani, maturità che porta questa diretta responsabilità per il destino del mondo.

D. – Emerge poi una forte preoccupazione per la crisi della famiglia, quindi famiglia intesa come costruita sul matrimonio, come atto di amore di un uomo e una donna di fronte ad altre forme di convivenza che – si dice – vengono poi poste sullo stesso piano…

R. – La Chiesa ortodossa russa, la tradizione ortodossa, si sente forte, anche se soffre gli stessi travagli che soffre la società moderna, specialmente l’instabilità del vincolo matrimoniale e tante altre cose legate alla morale familiare. Ma la cosa interessante è che il mondo orientale ha preservato questa solidità di fronte alla legge di Dio. Anche, quindi, se non si sa interpretare, anche se forse non si segue con la stessa disciplina, rimane questo rispetto verso il sacro, mentre l’Europa lo ha perso radicalmente. Gli ortodossi, da quello che ho sentito in questi giorni, hanno ripetuto che sono venuti come “un pronto soccorso” per la Chiesa cattolica, che si trova in un ambiente molto scristianizzato, dove i valori eterni sono così fragili. Io penso che un po’ di verità ci sia in questo, anche se non si deve semplificare niente: tutti viviamo in una trasformazione della società, che dovremo affrontare serenamente anzitutto con la vita cristiana.

D. – Cosa unisce le due comunità, a proposito dei fondamenti dell’esistenza umana? Si fa riferimento al “diritto inalienabile alla vita” di fronte ad aborto, eutanasia, manipolazione attraverso le tecniche di procreazione…

R. – Penso a quello che è sempre stato il senso comune, il senso cristiano: uno sguardo sereno agli istituti tradizionali così importanti come la famiglia. Come a dire: quando ci guardiamo negli occhi – anche se le Chiese sono strutturate, hanno un capo, un responsabile, dei vescovi – mi sembra ci sia una concordia totale, non tanto nel senso dei dettagli, ma nel non toccare quello che è il fondamento antropologico della famiglia cristiana, quello che era poi anche la famiglia tradizionale. Tutto il territorio asiatico-europeo è basato sullo stesso concetto della famiglia, che adesso è messo in grave pericolo per le nuove proposte con le quali, per una piccola minoranza di persone, si cerca di cambiare il concetto globale di una cosa così preziosa, così storica.

D. – Si dice “no” al proselitismo. Poi c’è la pagina delle tensioni tra greco-cattolici e ortodossi, che quindi non si negano…

R. – Dichiarazioni del genere sono dichiarazioni che costituiscono un messaggio per la comunità, ma le difficoltà si comprendono meglio, più adeguatamente, quando si sta in loco. Per noi è un appello a stare attenti a quello che succede in loco. Spesso infatti ci sono interpretazioni che modificano la verità. Non bisogna quindi entrare in affermazioni polemiche, ma cercare di uscire da questa situazione non facile con questo nuovo sguardo, questo nuovo ottimismo, anche con una nuova volontà di superare le posizioni sia da una parte sia dall’altra. Cosa meglio di un incontro così poteva essere di sprone ad un nuovo inizio di qualcosa di positivo?

D. – “L’unità si fa camminando”, ha detto Papa Francesco con Kirill. Il prossimo passo quale sarà?

R. – Indubbiamente, è promettente. Qualcuno ha già detto che forse con questo si apre un dialogo più sereno con tutta l’ortodossia, anche se alcune Chiese ortodosse faticano nel comunicare con Roma, ma non tutte. E questo sarebbe il primo passo: superare questa divisione radicalmente. Che poi non è una divisione di principio ma piuttosto di tradizioni. Questo è stato completamente superato dall’evento di Cuba. Io penso: normalizzare, non fare cioè di un evento così normale, come quello di un incontro tra due fratelli, un evento straordinario. Questo è un evento familiare, questo è un evento anche relativamente frequente, se parliamo di un “fratello”, di una cosa così normale, così umana e così necessaria.

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Dal Messico i tweet del Papa sulla Quaresima e la misericordia

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“La Quaresima è tempo per regolare i sensi, aprire gli occhi di fronte a tante ingiustizie, aprire il cuore al fratello che soffre”. E’ il tweet pubblicato da Papa Francesco ieri sul suo account @Pontifex in occasione della prima Domenica di Quaresima. Il Pontefice nel corso della giornata ha poi pubblicato altri due tweet: “Gesù ci aiuta sempre a superare le tentazioni della ricchezza, la vanità e l'orgoglio che cercano di rovinare la verità”; “Gesù ci sta aspettando e vuole guarire il nostro cuore da tutto ciò che lo degrada. E' il Dio che ha un nome: misericordia”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "In silenzio davanti alla Morenita".

Obama e Putin cercano un'intesa per raggiungere una tregua stabile in Siria.

Rapporto dell'Onu sulle vittime civili nel conflito afghano.

Violenza senza tregua a Gerusalemme.

Varata la liste dei ministri del governo libico.

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Oggi in Primo Piano



Obama chiede a Putin più collaborazione sulla crisi siriana

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Nel Nord della Siria, per il terzo giorno consecutivo l'artiglieria turca sta bombardando postazioni curde. E intanto comincia "la più grande esercitazione militare" guidata dall'Arabia Saudita. Sembra la prova generale prima del possibile intervento in Siria contro l’Is e a fianco della Turchia. Delle prospettive di intervento, Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss: 

R. – Occorre sottolineare come l’Arabia Saudita abbia dato prova di capacità militari quantomeno discutibili nel corso di una campagna in Yemen, nella quale ancora non è riuscita ad avere ragione dei ribelli sciiti houthi. E quindi sulla reale forza militare di Riad sussistono molto incertezze…

D. – Riad ha più volte ribadito la disponibilità ad inviare truppe di terra per combattere l’Is in Siria. Ha detto: “Siamo pronti, ma sono gli Stati Uniti che guidano la coalizione e decidono i tempi”…

R. – Io non credo che gli Stati Uniti siano favorevoli all’utilizzo della forza da parte dei sauditi e dei turchi nel modo in cui si sta per configurare. In modo particolare, pare che i turchi intendano condurre delle operazioni soprattutto contro i curdi del Rojava e contro i regolari siriani del regime di Assad e non piuttosto contro lo Stato Islamico come gli americani vorrebbero. Il problema è che sulle reali finalità dell’azione turca sussistono molti dubbi. Ed è anche un po’ strano che i sauditi intendano concorrere ad una azione militare di questo tipo, considerato che in realtà la Turchia e l’Arabia Saudita sono stati, in questi anni, dei rivali nel mondo sunnita. Anche le scelte che i turchi stanno facendo nella coalizione delle loro prime basi militari all’estero sono alquanto eloquenti: la prima sarà fatta in Qatar; la seconda – pare – in Somalia… Se noi vediamo che cosa c’è tra il Qatar e la Somalia, c’è proprio la Penisola Arabica e quindi proprio l’Arabia Saudita che viene stretta in una morsa. Non comprendo onestamente le ragioni della scelta fatta dai sauditi in questo caso.

D. – L’intervento dell’Arabia Saudita non lascerebbe indifferente l’Iran. E’ così?

R. – Non credo che sia un problema straordinario, anche perché l’intervento saudita nel conflitto con forze aeree in realtà non è un fattore che è in grado di cambiare significativamente l’equazione sul terreno. Le forze militari saudite – come spiegavo in precedenza – in realtà sono di dubbia efficacia e non sarà qualche aereo a fare la differenza, soprattutto tenendo presente il fatto che in Siria c’è un contingente aereo russo che ha al seguito delle potenti armi antiaeree: per cui bisogna veramente vedere in che modo si muoveranno turchi e sauditi nelle prossime ore. Mi è parso di capire che oggi c’è molta volontà di buttare dell’acqua sul fuoco e di evitare che i giochi sfuggano di mano. Probabilmente a questo risultato ha concorso anche la telefonata di ieri tra il presidente Usa Obama e il presidente russo Putin. C’è grande consapevolezza che, se non si è molto attenti, si rischia di precipitare in un conflitto militare aperto tra la Russia e la Turchia, che ovviamente avrebbe delle ripercussioni regionali straordinarie e credo anche sulla sicurezza europea, per niente trascurabili.

D. – Obama però chiede a Putin di fermare i raid aerei…

R. – Questo non lo sappiamo… Noi non conosciamo veramente il contenuto della comunicazione che ha avuto luogo ieri tra il presidente Obama e il presidente Putin e che cosa in cambio abbia eventualmente prospettato Obama per un’azione di maggior moderazione in Siria. Io sospetto che una delle richieste – se ce ne è stata qualcuna – possa essere stata quella di convincere il presidente siriano Assad a moderare il tono e la sostanza di alcune sue dichiarazioni: non è un mistero per nessuno che, nel momento in cui Assad ha dichiarato – un paio di giorni fa – di volersi riprendere la Siria per intero, chiaramente alcune reazioni questa dichiarazione molto avventata l’ha determinate. La Russia non condivide questo obiettivo di Assad.

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Libia: varato governo di unificazione, attesa per la ratifica

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Il Consiglio di presidenza della Libia ha completato la lista dei ministri del nuovo governo di unità nazionale. L’esecutivo sarà guidato da Fajez al Sarray e comprenderà 13 ministri e 5 segretari di Stato. Escluso il generale Khalifa Haftar, uomo forte del fronte antifondamentalista, al quale, in un primo momento era stato assegnato il dicastero della Difesa. Il nuovo governo dovrà essere ora approvato dai parlamenti di Tripoli e di Tobruk. Sulle possibilità che questo governo di unificazione vada in porto, Giancarlo La Vella ha intervistato Arturo Varvelli, esperto di Libia dell’Istituto di Politica Internazionale (Ispi): 

R. – E’ molto difficile dirlo. Diciamo che scommettendo su ulteriori frizioni non si è mai sbagliato, fino adesso. Se guardiamo ancora a quale fosse il nodo politico del fatto  che il governo fosse rigettato un mese fa, era essenzialmente quello non tanto del numero dei ministri - che era la scusa dietro la quale si era nascosto il parlamento di Tobruk - ma era la presenta di Haftar all’interno del governo come responsabile militare. Se noi guardiamo a tale questione, a questo nodo politico, naturalmente non ci pare ancora risolto. Spero ovviamente di sbagliarmi e spero che il tentativo, in qualche maniera, vada a buon fine.

D. – Se questo governo dovesse cominciare a lavorare, che è quello che ci si augura, quali le ricadute positive in chiave antiterrorismo?

R. – La Libia è potenzialmente un Paese molto ricco: fino adesso la Banca Centrale libica ha continuato a garantire la presenza di questi due parlamenti, pagando le rispettive amministrazioni, pagando le rispettive milizie. Bisognerebbe porre fino a ciò naturalmente e bisognerebbe cominciare ad essere più selettivi e pagare solamente dietro il vincolo di appartenere e prendere i comandi dalla nuova autorità centrale. Dall’altra parte, naturalmente, questo governo potrebbe essere efficace nel costituire delle forze che affrontino militarmente l’Is e che quindi riconquistino parte del territorio libico, specialmente a Sirte che è sotto controllo delle forze dell’Is, e  potrebbe anche chiamare in soccorso la Comunità internazionale.

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Burundi: escalation di violenza a Bujumbura, vittime

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Escalation di violenza in Burundi: è di almeno 5 morti - tra cui un bambino - e una ventina di feriti il bilancio della nuova ondata di attacchi avvenuti nella notte a Bujumbura, la capitale, dove sono stati avvertiti scoppi e lanci di granate. Per il racconto di una situazione in rapida evoluzione, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente a Bujumbura il giornalista Daniele Bellocchio, che si trovava nei pressi di uno dei luoghi in cui sono avvenuti gli attacchi: 

R. – La situazione qui nel Paese è molto complessa, perché all’apparenza è molto tranquilla: quello che si vede in superficie è una città che funziona, una città poco caotica e anche abbastanza ordinata. Questo quindi stupisce anche molto, anzi è un fattore abbastanza inquietante. Nel sottobosco, in realtà, sembra si stia muovendo, che sia nata, una forte repressione da parte del governo, e poi ci sono anche questi tentativi di destabilizzazione. Il lancio di granate, gli spari notturni stanno avvenendo con parecchia frequenza.

D. – Tra gli obiettivi un albergo, un mercato, la Guardia presidenziale: chi c’è dietro questi attacchi?

R. – Questo è un fattore che non si capisce. Oggi a Bujumbura c’è estrema paura: la gente non si fida di mostrarsi in pubblico, di parlare liberamente, vige un clima di sospetto. Quindi chi ci sia dietro questi attacchi realmente non si sa. Nei giorni scorsi un comunicato della “Red Tabara”, un gruppo di opposizione armata presente in città molto nascosto, clandestino – aveva negato in ogni modo di aver lanciato delle bombe contro i civili. Oggi, dopo gli attacchi che ci sono stati, il governo ha detto di attaccare i terroristi. Quindi c’è anche un rimbalzarsi la palla, un gioco di accuse reciproche tra opposizione e governo su chi sia il mandante di queste stragi. Quello che si suppone, è una delle voci più ricorrenti in città, è che questa in atto in questo momento in Burundi è la “strategia della tensione”, una “strategia del terrore”. Giovedì, venerdì o sabato sono attesi dei mediatori dell’Unione Africana, e quindi questo gioco cruento, crudele, atroce, di provocare delle stragi tra i civili può far attirare maggiormente l’attenzione. Da un lato, potrebbe dimostrare come il governo sia efficace nel reprimere le azioni di terrorismo; dall’altro lato potrebbe, invece, dimostrare come il Paese stia sempre più cadendo in un vortice di violenza, e quindi far sì che possa esserci un intervento di un contingente internazionale.

D. – A fine mese ci sarà anche la visita di Ban-Ki-moon…

R. – Anche di questo si parla molto nella capitale: voci dicono che questa può essere l’ultima possibilità per un’apertura ed un dialogo; allo stesso tempo, l’intenzione comune è che la visita di Ban-Ki-moon non cambierà nulla. Dall’altra ci sono delle minacce di una possibile escalation di violenza. Ma allo stesso tempo, analisti e persone della stampa locale che vogliono rimanere nell’anonimato, dicono però che l’opposizione in questo momento è estremamente debole, e che non esiste un reale gruppo armato in grado di poter dar vita anche ad una forma di guerriglia. E quindi anche questa possibilità estrema viene presa poco in considerazione. Teniamo presente che è molto utile in questo momento il fatto che le campagne siano isolate: così questo clima di terrore, di tensione, di rappresaglia, è vissuto da una fetta marginale della popolazione. Forse il nervo scoperto, che potrebbe permettere un cambiamento delle cose, da molti in città viene visto nella situazione economica. Il clima che si respira in città è abbastanza di psicosi e di paranoia: un clima di sospetto, paura di infiltrati, di delazioni… Si parla tanto di sparizioni, di luoghi dell’orrore in cui vengono fatte torture, ma allo stesso tempo non si sa bene dove potrà "andare a parare" il Paese. Un appoggio dagli altri Stati africani sembra introvabile per l’opposizione, perché ricordiamoci bene che questa violazione della Costituzione la stanno mettendo in pratica tutti i Paesi confinanti: quindi, anche se sulla carta quelli che possono sembrare i nemici di ‘Nkurunziza potrebbero opporsi, in realtà una loro opposizione a questa violazione della Costituzione risulterebbe molto ipocrita, dal momento che sono loro i primi ad attuarla. 

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Afghanistan: 2015, anno record di vittime tra i civili

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Nel 2015 il numero delle vittime civili nel conflitto in Afghanistan è stato il più alto mai registrato ufficialmente: 11mila, di cui oltre 3500 i morti, il 4% in più rispetto all’anno precedente. E' quanto emerge dal Rapporto annuale 2015 dell'Onu sulla Protezione dei civili nei conflitti armati. Una guerra dimenticata quella in Afghanistan e che non sembra vicina a una soluzione, al contrario, nel già complesso rapporto di forza tra le fragili autorità governative e i ben radicati gruppi talebani, sembra inserirsi un nuovo attore: il sedicente Stato Islamico, intento a sfruttare le contrapposizioni interne ai Talebani dopo la morte del loro leader Mullah Omar. Stefano Pesce ha raccolto il commento di Francesca Manenti, analista del Centro Studi Internazionali: 

R. – Il conflitto in Afghanistan, che vede la contrapposizione tra il governo centrale e l’insorgenza talebana, sta portando all’interno del territorio a una situazione sempre più deteriorante, sempre più tragica. Le cifre menzionate dal rapporto delle Nazioni Unite sono il dato più evidente di quella che è una crisi sociale, una vera e propria crisi sociale che ha risvolti anche come crisi umanitaria.

D. – La situazione interna in Afghanistan è una situazione molto delicata: ogni qualvolta si cerchi un confronto tra talebani e forze governative, accade qualcosa che destabilizza tutto il Paese e quindi rompe, ogni volta, i negoziati in corso …

R. – Negli ultimi mesi si è tentato più volte di fare passi in avanti per cercare di portare intorno a un tavolo il governo afghano da una parte, la rappresentanza politica dell’insorgenza talebana dall’altro, con tutta una serie di interlocutori internazionali quali la Cina, gli Stati Uniti, il Pakistan … Purtroppo, però, gli equilibri che attualmente vedono ancora l’insorgenza talebana in netto vantaggio nella sfida alle autorità centrali sta creando grandi difficoltà a qualsiasi tentativo di processo di dialogo.

D. – Per quanto riguarda la corrente talebana, attualmente è in corso una lotta intestina tra i fedeli del defunto mullah Omar e coloro i quali invece supportano l’attuale leader Mansur. Sembra che il sedicente Stato Islamico si stia innestando in questa frattura interna ai talebani: in che modo?

R. – C’era stato già nei mesi precedenti l’annuncio della morte del mullah Omar, l’annuncio della formazione di questa cosiddetta branca “Khorasan” del cosiddetto Stato islamico. Al momento, però, il gruppo rimane piuttosto poco operativo. Si tratta però di un risvolto che ha inevitabilmente poi delle ripercussioni sulle condizioni di sicurezza interna: perché se già il territorio è profondamente scosso dalla lotta tra insorgenza e autorità centrali, possiamo immaginare quanto questo possa ulteriormente aggravarsi se gli scontri avvengono anche all’interno dell’insorgenza talebana stessa. Molte delle vittime civili provocate in questo anno di conflitto sono causate anche da questi scontri intestini all’insorgenza stessa.

D. – Se consideriamo la fascia che, appunto, va dalla Siria all’Afghanistan, parliamo di un’area che sta subendo violenze incredibili: si parla di decine di migliaia di morti e milioni di sfollati, intere generazioni che hanno perso il loro futuro …

R. – Le statistiche e i dati numerici sono sempre la cartina di tornasole di quella che poi è una vera e propria crisi umanitaria, una crisi sociale: il numero delle vittime e il numero degli sfollati vanno a dare l’idea di quanto poi l’aspetto militare di un conflitto sia sempre una parte, ma che ci sia poi inevitabilmente una parte sociale, una parte umana che ogni tanto viene messa da parte. Ed è questa l’importanza di  avere sempre in mente una strategia politica, quando si decide di intervenire o di approcciare una crisi all’interno di un Paese, quale può essere stata – ad esempio – la crisi siriana. Andare a colmare la parte operativa con una strategia di lungo termine e di ampio respiro, potrà sicuramente andare ad arginare quella che al momento sembra essere una vera e propria tragedia umanitaria.

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Galli della Loggia: media parziali e conformisti su Ddl Cirinnà

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“Il dibattito sulle unioni civili. Il fronte unico dei modernisti”, così lo storico Ernesto Galli della Loggia ha denunciato sulle colonne del Corriere della Sera un’informazione in massima parte 'condizionata' nel dibattito in corso in Italia sulle unioni civili e in particoalre sulla cosiddetta "stepchild adoption", prevista nel Ddl Cirinnà, all’esame del Parlamento. Roberta Gisotti lo ha intervistato: 

D. – Che cosa l’ha spinta a pronunciarsi controcorrente?

R. – Quello che a me sembra la realtà dei fatti: una stampa che per vari motivi dà voce soltanto ad uno dei punti di vista presenti nella discussione, cioè il punto di vista che è favorevole alla massima apertura di ogni tipo. Premetto che io sono favorevolissimo ad una regolamentazione delle unioni civili, dei diritti da dare alle coppie di conviventi omosessuali o non omosessuali. Diversissimo il caso, invece, del rapporto con le adozioni. Su questi temi e, in generale, su ogni tema di tipo etico, mi sembra che la stampa italiana - e tutto il sistema dei media - tenda a dare sempre e soltanto voce ad una delle parti, con un atteggiamento anche piuttosto derisorio, quasi a volte – come ho scritto – di dileggio nei confronti invece di chi aderisce del tutto legittimamente ad un punto di vista contrario.

D. – Da cittadini c’è da preoccuparsi che i media abbiano perso il loro ruolo di presentare, senza parteggiare, i termini di un dibattito i cui risultati sono ancora tutti da decidere, se l’ultimo sondaggio, pubblicato proprio dal Corriere della Sera, ieri, parlava di un 54%, ad esempio, contrario alla stepchild adoption. Comunque, insomma, è un dibattito da farsi…

R. – La questione va molto al di là della stepchild adoption, perché è una questione che riguarda in generale tutti gli orientamenti dell’opinione pubblica e, secondo me, in questo modo i giornali fanno anche il proprio danno. Credo, infatti, che una ragione per cui ci sia una sempre minore vendita di giornali, una perdita anche in qualche modo di autorevolezza della stampa e dei media - penso, ad esempio, al declino degli ascolti dei talk show televisivi – sia anche per questa rappresentazione sempre molto partigiana, ai limiti della faziosità, della discussione in atto nel Paese, che invece come lei ben ricordava vede le due parti numericamente fronteggiarsi e spesso – come in questo caso sulla questione della stepchild adoption – prevalere la parte contraria.

D. – C’è addirittura chi parla di lobby nel mondo della stampa e della comunicazione dello spettacolo, per orchestrare una vera strategia di convincimento popolare. Abbiamo avuto anche dei casi di personalità nel mondo della moda, dell’industria, dello spettacolo – ultimo il caso di Renato Zero - insomma, di persone tolte dalle agende dei talk show, boicottate nel lavoro, seriamente, dileggiate sui social…

R. – Non conosco nessun retroscena, quindi la mia è un’impressione totalmente dall’esterno. Io credo che non ci sia nessuna azione sotterranea di alcuna lobby: c’è un grave tasso di conformismo, caratteristica del nostro Paese. Prendiamo l’esempio di questi cantanti al Festival di Sanremo. Io credo che la vera ragione che li ha spinti ad esibirsi a favore, appunto, di una certa parte non sia stato il fatto che essi erano tutti veramente convinti delle buone ragioni di quella parte. E’ stato semplicemente perché hanno avuto l’impressione che quella parte fosse prevalente, che fosse molto popolare schierarsi in un certo modo. Se – faccio un esempio assurdo – in Italia ci fosse un regime nazista, io penso che molti di quei cantanti sarebbero apparsi sullo schermo con un bel distintivo con la svastica, pensando che la maggioranza di coloro cui potessero vendere la loro musica fosse nazista. E’ semplicemente la malattia del conformismo, che in Italia è molto forte, soprattutto nell’ambito dello spettacolo, dei media. Anche perché in genere questo campo dipende molto dalla politica, è molto strettamente connesso alla politica.

D. – Conformismo: malattia che ha colpito anche massima parte dei conduttori, dei giornalisti che si sono appunto avventurati in questo dibattito…

R. – Tutto il mondo che ruota intorno ai media e non solo, anche intorno allo spettacolo che, com’è noto, per molti aspetti dipende economicamente dalle decisioni politiche, dai fondi ministeriali.

D. – E’ pur vero che i media non possono abdicare al loro ruolo deontologico di informare in democrazia su tutte le posizioni….

R. – Sì, a riprova di questo, penso che ci sia anche il fatto che un giornale come il Corriere della Sera abbia pubblicato il mio articolo. La battaglia, quindi, non è assolutamente perduta.

D. – Lei naturalmente non teme ripercussioni…

R. – Su di me? Assolutamente no, lo escludo radicalmente.

D. – Quindi questo è incoraggiante per tutte le persone a non avere paura delle proprie idee…

R. – Assolutamente sì, direi. Mi sembra veramente strano il solo fatto che si pensi che in Italia possa essere pericoloso esprimere le proprie idee. Questo lo escluderei assolutamente. Naturalmente c’è appunto questa cappa di conformismo contro la quale ognuno di noi è chiamato a battersi, a lottare e a levare la propria voce di protesta.

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Nella Chiesa e nel mondo



Papa in Chiapas: due nuovi ostelli della Chiesa per i migranti

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“In occasione della visita del Papa a San Cristóbal de Las Casas, nell'Anno della Misericordia, costruiremo due ostelli per i migranti, dal momento che non si ferma il passaggio di quanti, provenienti da varie parti del sud, soprattutto Honduras, El Salvador e Guatemala, cercano di raggiungere gli Stati Uniti, rischiando la vita”. E’ quanto annuncia mons. Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo di San Cristóbal de Las Casas, dove oggi, Papa Francesco celebrerà la Messa con le comunità indigene del Chiapas.

Non si può rimanere indifferenti davanti alle sofferenze dei migranti
Nel testo del comunicato, ripreso dall'agenzia Fides, il vescovo sottolinea che i migranti “sono soggetti a estorsioni, rapine, stupri, inganni, sequestri e ogni tipo di abuso”, di fronte a questo “non possiamo rimanere indifferenti e la nostra pastorale dell'immigrazione ha aumentato i suoi servizi”. Nella nostra diocesi, prosegue mons. Arizmendi Esquivel, abbiamo tre ostelli per i migranti: a Palenque, Comitan e San Cristobal. “Tuttavia abbiamo urgente bisogno di costruirne altri due, a Frontera Comalapa e a Salto de Agua, perché in questi luoghi arrivano e passano centinaia di loro, e vogliamo offrire un posto dove riposare, mangiare, lavarsi, lavare i vestiti, dormire e quindi continuare la strada. In diversi casi offriamo assistenza legale e un sostegno economico”.

L'iniziativa ha ricevuto il plauso del Papa
Nella diocesi è stata fatta una colletta per costruire i due nuovi ostelli, ed il ricavato verrà consegnato al Papa durante la Messa che celebrerà oggi a San Cristobal. “Il Papa non porterà a Roma queste offerte – spiega il vescovo -, che presentiamo come offerta della comunità per i poveri, in questo caso per i migranti. Il Papa ha trovato molto bella l’iniziativa in questo Anno della Misericordia, perché ciò che desidera promuovere è l’essere misericordiosi, soprattutto con coloro che soffrono, come i migranti”. (S.L.)

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Siria: distrutti due ospedali da raid aerei governativi e russi

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Due ospedali sono stati colpiti nel nord della Siria da raid aerei governativi e russi. Un ospedale supportato da Medici Senza Frontiere (Msf) nella provincia di Idlib, nel nord della Siria, è stato distrutto in un attacco questa mattina. L’ospedale è stato colpito quattro volte in due serie di almeno due attacchi a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro e 10 membri dello staff sarebbero rimasti sotto le macerie..

40mila persone senza accesso ai servizi sanitari
“Sembra essere un attacco deliberato contro la struttura sanitaria e lo condanniamo con la maggior forza possibile” ha detto Massimiliano Rebaudengo, capo missione di Msf. “La distruzione di questo ospedale lascia una popolazione di circa 40.000 persone senza accesso ai servizi sanitari in una zona in pieno conflitto.” L’ospedale da 30 posti letto contava uno staff di 54 persone, due sale operatorie, un ambulatorio e un pronto soccorso. Msf sta supportando l’ospedale da settembre 2015 e ne ha coperto tutti i bisogni comprese le forniture mediche e i costi di gestione. 

Colpito un altro ospedale ad Azaz: 10 i morti
E' di almeno 10 civili morti il bilancio di raid sulla zona di Azaz, nel nord della Siria al confine con la Turchia. Secondo quanto riferito dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, tra le vittime si contano due donne (una incinta) e tre minorenni. I bombardamenti hanno colpito un ospedale ad Azaz e il vicino villaggio di Kalyibrin. La città di Azaz è martellata da giorni da bombardamenti. Il premier Ahmet Davutoglu ha detto che un missile balistico russo ha colpito la localita'. Ma la zona è 'martellata' da 48 ore anche dalle forze armate turche. Per Ankara, come ha ripetuto il premier Ahmet Davutoglu, è  impedire ai curdi di conquistarla. (R.P.)

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Siria. Vicario di Aleppo: i civili muoiono sotto le bombe

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“Ad Aleppo da qualche giorno siamo sotto continui bombardamenti sui civili, che causano morti, feriti e distruzione”. La scorsa notte “nei nostri quartieri abbiamo avuto quattro morti e più di 15 feriti, oltre a case ed edifici danneggiati”. E dietro gli attacchi mirati vi sono i cosiddetti gruppi “di opposizione moderata”. È un grido d’appello disperato quello lanciato dal vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, che in un messaggio inviato all'agenzia AsiaNews punta il dito sul fronte difeso - e sostenuto - dall’Occidente, assieme a Turchia e Arabia Saudita. “Questi bombardamenti - racconta il prelato - provengono dal cosiddetto fronte ‘moderato’, e come tale difeso, protetto e armato. In realtà non differiscono in nulla dagli altri jihadisti (Stato Islamico e al Nusra) se non per il nome solamente”. 

Dietro al conflitto in Siria i 'terroristi stranieri'
Il vicario apostolico di Aleppo, che già nei giorni scorsi aveva spiegato come siano “i terroristi stranieri” e non i siriani a voler continuare il conflitto, racconta che “i jihadisti stranieri avrebbero ricevuto il disco verde per intensificare i bombardamenti sui civili”. Per il prelato dietro questa escalation vi sarebbe (forse) la volontà di “far fallire i negoziati di pace” e “far intervenire le forze regionali - da settimane Arabia Saudita e Turchia premono per l’invio di truppe di terra - sul terreno”. “Dietro questa strategia - si chiede il prelato - vi è forse la volontà di impedire all’esercito regolare di avanzare e liberare la regione dal terrorismo e dai jihadisti?”. 

Appello per la fine dei bombardamenti
Mons. Georges Abou Khazen lancia un appello “per la fine di questi bombardamenti” e incoraggia al contempo le parti “a sedere al tavolo delle trattative”, perché i siriani “possano risolvere attraverso il dialogo i problemi fra loro”. (D.S.)

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Malawi: si acuisce il dramma della carestia

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“A febbraio la stagione delle piogge dovrebbe essere nel suo massimo splendore. Ma non quest’anno, a causa del sole impietoso che sta letteralmente bruciando il raccolto” scrive all’agenzia Fides padre Piergiorgio Gamba, missionario monfortano, che porta una nuova testimonianza sulla severa carestia che colpisce il Malawi, dove 2,8 milioni di abitanti sono a rischio alimentare. La ripresa delle piogge ad inizio febbraio non è bastata a permettere alle colture di fiorire ed ora è tornato il sole implacabile.

Nei mercati non si trovano neppure le zucche
“La gente sopravviveva negli ultimi mesi in attesa del raccolto mangiando le zucche che come una pianta endemica infestava i campi di grano. Si vendevano a sacchi interi e a un prezzo irrisorio” racconta il missionario. “Ma quest’anno nemmeno una ha raggiunto il mercato. Non sono nate e cresciute, non ci sono mai state in questa stagione”.

Lunghe code di fronte ai depositi di grano quasi sempre vuoti
Per sopravvivere la gente fa la fila di fronte ai depositi di grano del governo (Admarc) “quasi sempre vuoti” sottolinea padre Gamba. “Nel Paese circola una vignetta nella quale si vedono le file delle persone all’esterno dei depositi di grano che passano lunghe notti, nella speranza di ottenere un po’ di cibo. Qualcuno chiede ‘è una veglia?’. ‘No, è il peggiore dei modi di acquistare il grano’ risponde un altro”.

Le conseguenze della carestia sulle famiglie
Padre Gamba conclude descrivendo le condizioni limite che si sono venute a creare nelle lunghe attese di fronte ai depositi: “Gli studenti non vanno a scuola perché i genitori li lasciano a fare la fila di fronte ai magazzini dell’Admarc. E si sono create situazioni nelle quali ai ragazzi hanno rubato i soldi, mentre nel buio della notte alcune donne sono state violentate”. L’unica nota positiva è l’attesa per i Grammy Award di domani, ai quali partecipa la Zomba Prison Band, formata da detenuti dell’omonimo carcere malawiano. (L.M.)

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Vescovi africani rilanciano lotta a povertà e disuguaglianze

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Lotta alla povertà ed alle disuguaglianze, accompagnata dalla promozione della giustizia sociale: questo l’impegno congiunto preso dall’Amecea (Associazione delle Conferenze episcopale dell’Africa Orientale) e dalle Caritas regionali, al termine di un incontro svoltosi a Nairobi, in Kenya, dal 6 all’8 febbraio scorsi. Alla riunione hanno preso parte i direttori nazionali della Caritas ed i segretari generali delle Commissioni episcopali Giustizia e pace.

Giustizia sociale e pace interiore sono inseparabili
Nel comunicato finale diffuso al temine dei lavori, Amecea e Caritas si richiamano alle direttive di Papa Francesco che, nel suo Pontificato, ha più volte esortato le organizzazioni cattoliche a “darsi la mano per creare una maggiore sinergia, con l’obiettivo di servire il popolo di Dio nel modo migliore”. Il tutto tenendo sempre presente lo spirito di San Francesco di Assisi nel quale “si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore”. (LS n.10)

Forte denuncia della tratta di esseri umani
Di qui, l’impegno dei due organismi africani a rafforzare la collaborazione reciproca anche attraverso un maggiore scambio di informazioni e di esperienze e ulteriori partenariati con altre strutture della Chiesa cattolica impegnate nel settore sociale. Al centro della nota, poi, il dramma della tratta delle persone e della migrazione: in quest’ambito, Amecea e Caritas si impegnano ad affrontare “le cause profonde e i bisogni delle persone che sono colpite” da grave fenomeno che Papa Francesco ha definito “crimine di lesa umanità”. In quest’ottica, viene quindi lanciato un appello affinché le vittime del traffico di esseri umani vengano trattate con dignità; al contempo, si invitano i migranti a riconoscere le leggi dei Paesi di accoglienza.

La nota dolente dello sfruttamento minerario da parte di industrie straniere
La nota episcopale, poi, affronta la complessa questione dello sfruttamento delle industrie estrattive africane da parte di società minerarie straniere, sottolineando come le popolazioni dell’Africa non ricavino alcun beneficio da tali attività. Per questo, Amecea e Caritas si dicono determinate a denunciare, a voce alta, “gli effetti negativi” provocati dall’attività estrattiva e l’ingiustizia economica subita dagli africani. I partecipanti all’incontro, inoltre, ribadiscono l’impegno per il bene comune di tutti, nessuno escluso, e affermano la necessità di concentrare gli sforzi su una formazione degli africani che guardi alla Dottrina sociale della Chiesa.

Particolare attenzione ai giovani
​“Riconosciamo – si legge ancora nel testo – la ricomparsa di situazioni di urgenza nella nostra regione” e per questo si afferma la volontà congiunta di istituire fondi di solidarietà destinati a rispondere, in modo efficace, alle emergenze più gravi che si presentano nella regione. Il comunicato si conclude con un richiamo alla promozione della giustizia sociale “con particolare attenzione alla questioni economiche che interessano i giovani”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 46

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.