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Sommario del 13/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



L'abbraccio di Francesco e Kirill: l'unità si costruisce nel cammino

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Un incontro storico, tra fratelli. E’ quello che ieri ha visto l’abbraccio tra Papa Francesco e Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, all’aeroporto José Martì dell’Avana, a Cuba. Un momento intenso, due ore di colloquio privato, lo scambio dei doni (il Papa dona un reliquiario con una reliquia di San Cirillo e un calice, il Patriarca dona una copia, più piccola dell'originale, della Madonna di Kazan) e poi la firma della Dichiarazione comune. "L'unità si costruisce caminando insieme", aveva detto Francesco prima dell'appuntamento. Al termine dell'incontro la partenza del volo papale per il Messico. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Sono entrati insieme, si sono seduti l’uno accanto all’altro per la firma della Dichiarazione comune, al termine dell’incontro privato, un momento davvero emozionante, in cui Francesco e Kirill si sono abbracciati nuovamente, così come fatto all’inizio. Due ore di colloquio riassunte nei brevi interventi a braccio del Papa e del Patriarca, in cui entrambi hanno ribadito la forte fraternità delle due Chiese:

Hablamos como hermanos, tenemos el mismo bautismo, somos obispos...
“Abbiamo parlato come fratelli – ha detto il Papa - abbiamo lo stesso Battesimo, siamo Vescovi, abbiamo parlato delle nostre Chiese, ci siamo trovati d'accordo che l’unità si costruisce nel cammino, abbiamo parlato chiaramente senza mezze parole”. “Vi confesso – ha quindi detto il Papa - che ho sentito la consolazione nello Spirito di questo dialogo”. Francesco ha quindi ringraziato Kirill per "l’umiltà fraterna e per il forte desiderio di unità”, sottolineando che nel colloquio sono venute fuori una serie di iniziative “a suo giudizio fattibili e realizzabili”. E ha poi ringraziato fortemente il popolo cubano e il suo Presidente Raul Castro, presente in aeroporto, per la sua disponibilità:

... si sigue así, Cuba será la capital de la unidad...
“...se continua così – ha aggiunto – Cuba sarà capitale dell’unità”.

Un’unità tra le due Chiese richiamata da Kirill, che ha parlato di “discussione fraterna con piena comprensione e responsabilità per le due Chiese e per il futuro del cristianesimo”. “Una discussione ricca di contenuti - ha precisato - che ha permesso di comprendere e sentire le reciproche posizioni”. Le due Chiese, ha quindi concluso Kirill, “potranno lavorare assieme affinché non ci sia più una guerra, affinché ovunque la vita umana sia rispettata, perché si rafforzino le fondamenta della morale della famiglia e della persona”. Si è così concluso un appuntamento storico che Francesco aveva definito come volontà di Dio, definendo più volte Kirill ‘fratello’, parole alle quali il Patriarca aveva risposto con grande slancio: “Nonostante le difficoltà – aveva detto prima che iniziasse il colloquio – c’è la possibilità di incontrarci e questo è bello”.

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Papa Francesco: con Kirill una conversazione tra fratelli

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"E’ stata una conversazione di fratelli": così il Papa ha commentato l’incontro all’Avana con il Patriarca di Mosca Kirill, parlando con i giornalisti durante il volo verso il Messico. Ascoltiamo la voce di Papa Francesco nel servizio di Massimiliano Menichetti: 

“Io mi sono sentito davanti a un fratello e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese e sulla situazione del mondo, delle guerre, dell’ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso … Io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore”.

Il Papa ha ribadito la libertà dell’incontro lodando la capacità dei due traduttori e spiegando che si è trattato di un colloquio a “sei occhi” perché presenti anche il metropolita Hilarion e  il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Francesco ha spiegato che si è parlato di un programma di “possibili attività in comune” perché - ha detto - “l’unità si fa camminando”:

“Una volta io ho detto che se l’unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto ... verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l’unità. L’unità si fa camminando, camminando: che almeno il Signore, quando verrà, ci trovi camminando”.

Centrale la Dichiarazione congiunta firmata dopo l’incontro. Il Papa ne ha spiegato il senso:

“Ci saranno tante interpretazioni, eh?: tante. Ma non è una dichiarazione sociologica, è una dichiarazione pastorale, incluso quando si parla del secolarismo e di cose chiare, della manipolazione biogenetica e di tutte queste cose. Ma è ‘pastorale’: due vescovi che si sono incontrati con preoccupazione pastorale. E io sono rimasto felice”.

Sentito il ringraziamento per il presidente Castro, per l’accoglienza e la disponibilità ricevuta: 

“Avevo parlato con lui di questo incontro, l’altra volta, ed era disposto a fare tutto e abbiamo visto che ha preparato tutto per questo”.

Poi l’augurio di buon lavoro ai giornalisti del seguito papale, preparandosi - come ha detto - ai “23 km di papamobile” a Città del Messico.

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Cattolici e ortodossi uniti di fronte alle sfide del mondo

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Il testo della Dichiarazione comune firmata all’Avana da Papa Francesco e il Patriarca Kirill conta 5 pagine divise in 30 punti. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Da cuore a cuore
Un testo semplice e forte: “Con gioia – affermano Francesco e Kirill - ci siamo ritrovati come fratelli nella fede cristiana che si incontrano per «parlare a viva voce» (2 Gv 12), da cuore a cuore”. “Incontrandoci lontano dalle antiche contese del ‘Vecchio Mondo’, sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, con dolcezza e rispetto, a rendere conto al mondo della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15)”.

Rispondere insieme alle sfide del mondo contemporaneo
Il testo deplora “la perdita dell’unità, conseguenza della debolezza umana e del peccato”, e nella consapevolezza “della permanenza di numerosi ostacoli” si augura che questo incontro “possa contribuire al ristabilimento” dell’unità voluta da Dio. Lo scopo è rispondere “insieme alle sfide del mondo contemporaneo. Ortodossi e cattolici devono imparare a dare una concorde testimonianza alla verità in ambiti in cui questo è possibile e necessario”.

Porre fine a persecuzione cristiani e a guerre in Siria e Iraq
“Il nostro sguardo – affermano Francesco e Kirill - si rivolge in primo luogo verso le regioni del mondo dove i cristiani sono vittime di persecuzione”, testimoni di unità nella sofferenza e nel martirio. “In molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa i nostri fratelli e sorelle in Cristo vengono sterminati per famiglie, villaggi e città intere. Le loro chiese sono devastate e saccheggiate barbaramente, i loro oggetti sacri profanati, i loro monumenti distrutti. In Siria, in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente, constatiamo con dolore l’esodo massiccio dei cristiani” e di altre comunità religiose. “Chiediamo alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente” e “porre fine alla violenza e al terrorismo”, assicurando nello stesso tempo “un aiuto umanitario su larga scala alle popolazioni martoriate e ai tanti rifugiati nei Paesi confinanti”. Si lancia un appello per la liberazione delle persone rapite.

Dialogo interreligioso indispensabile
“In quest’epoca inquietante – afferma la Dichiarazione - il dialogo interreligioso è indispensabile” e “i leader religiosi hanno la responsabilità particolare di educare i loro fedeli” a rispettare le altre fedi: “Sono assolutamente inaccettabili i tentativi di giustificare azioni criminali con slogan religiosi. Nessun crimine può essere commesso in nome di Dio”.

Libertà religiosa sempre più minacciata
Si esprime poi la preoccupazione “per la situazione in tanti Paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse”. Si afferma “che la trasformazione di alcuni Paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica”. In questo senso, Francesco e Kirill invitano a rimanere vigili contro un’integrazione europea “che non sarebbe rispettosa delle identità religiose” nella convinzione “che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane”.

Solidarietà con i poveri e i migranti
C’è quindi l’appello a non rimanere indifferenti “alla sorte di milioni di migranti e di rifugiati che bussano alla porta dei Paesi ricchi. Il consumo sfrenato, come si vede in alcuni Paesi più sviluppati, sta esaurendo gradualmente le risorse del nostro pianeta. La crescente disuguaglianza nella distribuzione dei beni terreni aumenta il sentimento d’ingiustizia nei confronti del sistema di relazioni internazionali”. “Le Chiese cristiane sono chiamate a difendere le esigenze della giustizia, il rispetto per le tradizioni dei popoli e un’autentica solidarietà con tutti coloro che soffrono”.

Famiglia, vita, eutanasia
Si esprime poi la preoccupazione per la crisi della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna: “Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità … viene estromesso dalla coscienza pubblica”. Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10)”. Preoccupazione anche per lo sviluppo dell’eutanasia e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita”. Francesco e Kirill si rivolgono quindi ai giovani cristiani perché non abbiano paura di “andare controcorrente, difendendo la verità di Dio”.

No a proselitismo e uniatismo
La Dichiarazione auspica che l’incontro “possa anche contribuire alla riconciliazione, là dove esistono tensioni tra greco-cattolici e ortodossi”. Si esclude ogni forma di proselitismo. “Oggi è chiaro – si afferma - che il metodo dell’uniatismo del passato, inteso come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che permette di ristabilire l’unità. Tuttavia – si sottolinea - le comunità ecclesiali apparse in queste circostanze storiche hanno il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli, cercando nello stesso tempo di vivere in pace con i loro vicini. Ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili”.

Pace in Ucraina
Si lancia quindi un appello per la fine delle violenze in Ucraina che hanno già causato “molte vittime” gettando la società “in una grave crisi economica ed umanitaria”. Si auspica che “lo scisma tra i fedeli ortodossi in Ucraina possa essere superato sulla base delle norme canoniche esistenti”.

Fratelli non concorrenti
“Non siamo concorrenti ma fratelli – concludono Francesco e Kirill - e da questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche e verso il mondo esterno. Esortiamo i cattolici e gli ortodossi di tutti i paesi ad imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore”. 

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Enzo Bianchi: l'ecumenismo ora non sarà più come prima

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Sull’incontro storico a Cuba tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, Antonella Palermo ha intervistato Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità ecumenica di Bose: 

R. – E’ un evento che dà grande gioia a tutti i cristiani e – certo – in particolar modo ai cattolici e agli ortodossi russi, perché è un evento che si aspettava da 50 anni. E poi di colpo, in questi ultimi tempi, si è intravista la possibilità. L’incontro è avvenuto in un luogo anonimo, in un aeroporto, senza la folla che poteva applaudire il Papa e il Patriarca. Così l’incontro è avvenuto e questo è il miracolo! Dovuto, però, e questo dobbiamo dirlo, da un lato, alla testardaggine santa di Papa Francesco, che nell’ecumenismo avanza non semplicemente dicendo “quando lo Spirito vorrà” o “come lo Spirito vorrà”; ma facendosi completamente docile allo Spirito Santo e con audacia facendo gesti e dicendo parole che sembravano impossibili solo qualche anno fa. E poi è stato possibile anche grazie al Patriarca, il quale – lo conosciamo bene, io tra l’altro lo conosco personalmente perché è venuto a Bose ai nostri convegni – è stato sempre uomo ecumenico, che ha lavorato molto per la comunione e per lo scambio della Chiesa ortodossa con le Chiese europee. E’ stato possibile l’impossibile! L’ecumenismo non sarà più come prima fra le due Chiese.

D. – Il Papa ci ha tenuto a sottolineare più volte nel viaggio dall'Avana al Messico, che la Dichiarazione congiunta che è stata firmata, è una Dichiarazione pastorale e non sociologica…

R. – Il  Papa ha fatto molto bene, perché anche dei commentatori cattolici italiani – abituati a destreggiarsi su politica nascosta e diplomazia nascosta – hanno letto questo evento a livello della politica, con delle regie nascoste, e a livello eventualmente della diplomazia. No! Io credo che il Papa – e lo conosciamo ormai –  non è uomo che segue le leggi della politica o che si piega alle strade tortuose della diplomazia: è un uomo evangelico, “sì sì, no no”. Lui si è fatto semplice, ha voluto dare la mano e dire: “Siamo fratelli, dobbiamo incontrarci”. E ha detto a Kirill: “Dove vuoi, quando vuoi, come vuoi”… E così è stato possibile. Troppi interpreti vedevano questo incontro come una santa alleanza contro la società moderna o addirittura come il frutto di una grande mano nascosta che avrebbe portato a questo incontro. No! E’ il Vangelo e due uomini che sono obbedienti al Vangelo. Nient’altro.

D. – Come inciderà questo incontro e questa Dichiarazione congiunta sui lavori del prossimo Sinodo Panortodosso?

R. – Sarebbe straordinario se il Papa – umile com’è e capace anche di umiliarsi – quando saranno riuniti in Sinodo a Creta, la prossima estate, mandasse un messaggio e dicesse: “Io vorrei venire a salutarvi, se voi volete… Sono un vostro fratello vescovo, sono il vescovo di Roma, vengo a darvi un saluto e vado via…”. Sarebbe un gesto certamente ardito, ma profetico. Questi gesti si possono fare. L’andata del Papa a Mosca la vedo più difficile, per ora.

D. – Secondo lei, Kirill ce l’ha questa disposizione a venire eventualmente in Vaticano?

R. – Io penso di sì. Non subito, ma penso che una visita la farà… non ci sono problemi a questo punto.

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Il Messico accoglie il Papa: affido il viaggio alla Vergine Maria

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Un vero bagno di folla per l’arrivo di Francesco a Città del Messico. Il Papa è atterrato questa notte nella capitale messicana accolto dalle autorità locali, dai vertici della conferenza episcopale e soprattutto da migliaia di persone. In un tweet, il Papa ha scritto: “In Messico guarderò gli occhi della Vergine Maria, la supplicherò di continuare a guardarci con misericordia. A Lei affido il mio viaggio”. Il servizio del nostro inviato, Alessandro Guarasci

Il Papa incontra il Messico e subito tocca con mano il calore di questo Paese. All’aeroporto una cerimonia informale, ma con migliaia di persone, canti, balli. Il Papa parla con un gruppo di bambini, saluta, benedice, riceve un sombrero da un "mariachi".  Breve colloquio col presidente della Repubblica Peña Nieto e poi verso la nunziatura, dove il Papa alloggerà dopo ogni spostamento in Messico da oggi al 17, quando tornerà in Vaticano. Nessun discorso ufficiale, anche perché oggi alle 17 il Papa incontrerà il mondo politico, la società civile e il corpo diplomatico al Palazzo Nazionale di Città del Messico.

Tre quarti d’ora circa in papamobile per 19 chilometri, tra due ali di folla che hanno acclamato Francesco. Il percorso illuminato da migliaia di cellulari e torce elettrice. Anche attraverso questi gesti si legge la religiosità popolare e profonda di questa gente. Impeccabile il servizio d’ordine, che ha coinvolto anche i quasi 160 mila volontari chiamati a dare il loro apporto dall’organizzazione. Circa venti mila i poliziotti che vigilano sulla sicurezza del Pontefice, anche se non sembrano esserci particolari preoccupazioni. I preparativi della città sono iniziati da almeno una settimana per accogliere al meglio il Papa. Rinnovati tutti i grandi viali che solcano i quartieri.

Molti giornali in questi giorni hanno messo l’accento sugli aspetti politico-sociali di questo Paese, caratterizzato da una povertà che colpisce quasi la metà della popolazione. Lo si capisce anche girando per questa megalopoli di più di 21milioni di abitanti, fatta da palazzi sontuosi ma anche da enormi distese di casupole. Ma in realtà il Papa viene in primo luogo per pregare di fronte all’immagine  della Nostra Signora di Guadalupe, quel mistero, come ha detto, per il quale non ci sono spiegazioni umane. L’icona è in uno dei santuari più visitati dell’America Latina, meta di pellegrinaggi da tutto il continente. Ma il Papa è venuto anche per invitare la Chiesa locale a rinnovarsi, ad uscire per  rafforzare l’opera di evangelizzazione. E in queste ore è caccia agli ultimi biglietti disponibili per le celebrazioni. Circa un milione e 100 mila i biglietti stampati, ma anche chi non potrà essere ai tanti eventi spera ancora di poter vedere da vicino il Papa.

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Lombardi: Papa in sintonia col popolo messicano attraverso Maria

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Dopo lo storico incontro con Kirill all'Avana, il Papa ha iniziato la sua visita in Messico con una prova di straordinaria accoglienza da parte della popolazione della capitale. Il nostro inviato Alessandro Guarasci ne ha parlato con il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi

R. – Uno poteva pensare che l’incontro con Kirill oscurasse il viaggio in Messico, cioè che la gente si dimenticasse del Messico perché c’era Kirill. E invece, è una premessa, vorrei dire, un inizio che ha attirato l’attenzione mondiale su questo viaggio del Papa e che ora speriamo bene che continui. Tra l’altro, io facevo una riflessione: l’incontro con Kirill è un momento storico dell’ecumenismo; tuttavia, era un incontro con una persona. Il Papa arriva a Città del Messico e incontra 20 milioni di persone di una città e poi incontrerà gli altri nei giorni a seguire. Quindi, la dimensione popolare, la dimensione pastorale in cui il Papa è carismatico, estremamente efficace e atteso e desiderato, è qualcosa che si realizza adesso, con il viaggio in Messico. Tra l’altro, in Messico c’è questo grandissimo desiderio del Papa anche dell’incontro con la Vergine, con la Madonna di Guadalupe, che è al cuore della sua pietà mariana e che quindi caratterizzerà un po’ questo viaggio: dal punto di vista spirituale è la Madre del popolo messicano e giustamente del popolo del continente americano intero, però in particolare del popolo messicano. E quindi il Papa entra in sintonia con questo popolo anche attraverso e sotto lo sguardo della Madre.

D. – Lei lo ha detto: in questi giorni si parla molto sui giornali anche degli aspetti sociali, economici e politici del Messico. Però, il centro di questo viaggio è Nostra Signora di Guadalupe. Che cosa potrà dire il Papa ai messicani su questo?

R. – Il Papa, come ha già anticipato un poco nelle risposte che ha dato, nei messaggi che ha dato in preparazione a questo viaggio, viene non per portare delle soluzioni già confezionate, ma viene per mettersi in ascolto, per mettersi in sintonia con un popolo che egli desidera anche incoraggiare e ispirare, perché egli è un maestro di fede e quindi una persona che incoraggia a vivere l’impegno cristiano attraverso cui, poi, evidentemente si cercano anche le soluzioni di tutti i problemi della vita personale e della società in una chiave di grande promozione della dignità umana, vista nella sua dimensione non solo materiale ma anche spirituale. Ecco, in questo evidentemente anche tutta la dimensione della spiritualità, della religiosità popolare, come può essere quella che si sviluppa intorno alla Vergine di Guadalupe, ha una grande importanza. Il Papa invita ad arricchire le dimensioni dei rapporti tra le persone: rapporti di amore, rapporti di tenerezza, rapporti di sensibilità … queste sono cose fondamentali e spesso i problemi, anche sociali, sono così gravi perché mancano queste dimensioni. E allora il Papa, anche appoggiandosi alla figura della Vergine e alla intensità dell’amore del popolo per la Vergine, che lo aiuta a incontrare Gesù con una dimensione, però, profondamente umana, totale della persona, certamente aiuterà i messicani a mobilitarsi spiritualmente e umanamente per cercare di creare le premesse per un futuro migliore andando ad affrontare con coraggio e con fiducia le tensioni, le gravi situazioni di ingiustizia, di sofferenza e di conflitto che possono esserci anche nella loro società.

D. – Circa la metà della popolazione messicana vive in stato di povertà. La Dottrina sociale della Chiesa saprà in qualche modo, secondo lei, fecondare questa terra?

R. – Certamente. Però, la Dottrina sociale della Chiesa è efficace in tanto in quanto nasce da un cuore convertito nella fede. Per questo il Papa dice che viene come “messaggero di misericordia e di pace”. Una pace che nasce dall’esperienza della misericordia, che nasce dall’esperienza dell’amore di Dio per noi e dell’amore vicendevole. Più di metà dei messicani sono giovani: questa è una cosa che il Papa dice. E questo dà una possibilità di pensare al futuro. Il Papa parla a un Paese che ha dei problemi grandissimi, però è anche giovane e quindi se imposta bene la crescita delle sue nuove risorse umane può avere un futuro diverso e migliore di quello che ha. Quindi, noi ci auguriamo che il Papa possa vivere questo incontro con i messicani in una chiave di gioia – certamente saranno tutti molto contenti di incontrarlo – ma anche di impegno, di speranza e di responsabilità animato con tenerezza e con intensità da una grande spiritualità.

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Carriquiry: la Madonna di Guadalupe, faro della fede dei messicani

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La visita in Messico sarà caratterizzata dal tradizionale affetto dei messicani. Sono più di 100 milioni i cattolici in Messico. Un’evangelizzazione avvenuta ad opera dei missionari che seguivano gli esploratori spagnoli. Oggi il Paese è diviso in 93 fra diocesi e arcidiocesi. Ma ad attendere il Papa è tutto il popolo messicano, come dice, al microfono del nostro inviato Alessandro Guarasci, il segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina Guzmán Carriquiry Lecour

R. – Ogni viaggio di un Pontefice in Messico è veramente un evento straordinario! E’ difficile trovare una tale accoglienza popolare come quella messicana.

D.  – Da dove nasce questa religiosità popolare?

R. – Alle origini, alle fondamenta del nuovo mondo americano c’è la nuova visitazione della Madonna, della Nuestra Señora de Guadalupe. Io ricordo come San Giovanni Paolo II, prima del suo primo viaggio in Messico, pregasse la Madonna di Guadalupe, perché gli aprisse il cuore dei suoi figli.  La religiosità popolare in Messico non è un folklore più o meno residuale sotto l’impatto della modernizzazione o della secolarizzazione, è la modalità di inculturazione del mistero cristiano nella storia, nella cultura e nella vita di questo popolo. Dunque, il Papa andrà a visitare e ad abbracciare nella carità il popolo del Messico, incontrerà le autorità, ma c’è poi una visita che è fondamentale: la visita a Nuestra Señora de Guadalupe, nel suo santuario.

D. – Quali sono attualmente le urgenze della Chiesa messicana?

R. – Questa tradizione cattolica così radicata nello strato culturale del Messico e questa religiosità popolare hanno un grande bisogno di essere coltivate, di essere attualizzate, di essere rivitalizzate, di essere molto più radicate nel cuore e nella vita delle persone, delle famiglie e del popolo. Non bisogna riposarsi sui guadagni  di un patrimonio che corre, a volte, il rischio di disperdersi sotto l’impatto della secolarizzazione. La Chiesa del Messico deve saper affrontare con più coraggio tutti i grandi problemi che si pongono in questo grande Paese: ci sono grandi accumuli e concentrazioni di ricchezza ed aree ancora molto arretrate, di esclusione, di povertà estrema. Alcune zone sono sempre più sfruttate e le zone più povere sono quelle a maggioranza indigena. Il Messico sta vivendo – ormai da anni – il dramma della violenza, che ha fatto decine di migliaia di vittime e il narcotraffico è un moltiplicatore impressionante di questa violenza…

D. – Quali sono attualmente i rapporti tra le istituzioni messicane e la Chiesa? Sappiamo che per tanti anni c’è stata molta – a dir poco - diffidenza…

R. – Molta diffidenza, a dir poco… Si sono fatti molti progressi nella Costituzione e nella legislazione messicana per aprire alla libertà religiosa, che – tempo addietro – era praticamente oscurata, negata. Il Paese vive ancora il divario tra un popolo composto dall’80 per cento di battezzati, dal 100 per 100 di “guadalupani”  e le élite di accademici, militari, in parte politiche ed editoriali molto secolarizzate.

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Telegramma del Papa a Castro: grazie per accoglienza e ospitalità

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Durante il volo da Cuba al Messico, il Papa ha inviato un telegramma al presidente cubano Raul Castro ringraziandolo per la “generosa ospitalità” durante la “breve sosta” sull’isola caraibica che ha reso “possibile l’incontro con il Patriarca Kirill di Mosca e tutte le Russie”. Francesco auspica buoni frutti e ricorda anche “l’affettuoso e caloroso” benvenuto ricevuto lo scorso settembre. Il Pontefice ribadisce poi la centralità dell’incontro e del dialogo per il raggiungimento della pace, della riconciliazione e la coesistenza di tutte le persone. Nel fraterno saluto Francesco assicura infine preghiere per l’"amata" nazione cubana e tutto il suo popolo.

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Tweet del Papa: incontro con Kirill, giorno di grazia

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“Oggi è un giorno di grazia. L'incontro con il Patriarca Kirill è un dono di Dio. Pregate per noi”. E’ il tweet pubblicato ieri da Papa Francesco sull’account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Mons. Jurkovič nuovo osservatore all’Onu di Ginevra, succede a mons. Tomasi

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Il Papa ha nominato Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra ed Osservatore Permanente presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (O.M.C.) mons. Ivan Jurkovič, arcivescovo titolare di Corbavia, finora nunzio apostolico nella Federazione Russa e in Uzbekistan. Succede a mons. Silvano Maria Tomasi che lascia l’incarico per sopraggiunti limiti d’età. Mons. Tomasi rivestiva il ruolo di Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra dal 2003.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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In Polonia, Francesco ha nominato vescovo ausiliare di Wrocław il rev.do padre Jacek Kiciński, C.M.F., dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria (Clarettiani), attualmente vicario episcopale per i Religiosi e Professore nella Pontificia Facoltà di Teologia di Wrocław, assegnandogli la sede titolare di Margo.

Il Santo Padre ha nominato nunzio apostolico in Lesotho e in Namibia mons. Peter Bryan Wells, arcivescovo titolare di Marcianopoli, nunzio apostolico in Sud Africa e in Botswana.

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Gioia per "Nuovi Orizzonti" dopo l'approvazione definitiva degli Statuti

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L’Associazione internazionale “Nuovi Orizzonti” fondata da Chiara Amirante ha ottenuto l’approvazione definitiva dei propri Statuti. Il decreto è arrivato nei giorni scorsi da parte del Pontificio Consiglio per i Laici ed è stato accolto con grande gioia da tutta la famiglia di “Nuovi Orizzonti” diffusa in pochi anni in diverse parti del mondo con 207 Centri di accoglienza e di formazione, quasi 900 Equipe di servizio a favore dei più emarginati, 5 Cittadelle Cielo e oltre 450 mila Cavalieri della luce impegnati a vivere con radicalità il Vangelo. Sentiamo la stessa Chiara Amirante intervistata da Adriana Masotti

R. – Bè … abbiamo avuto un sigillo da parte della Chiesa, quindi per noi da parte del Cielo, e questo ci riempie di gioia. Un sigillo che ci conferma che è un nuovo carisma, suscitato dallo Spirito Santo per noi e per tutta la Chiesa; un sigillo su ciò che “Nuovi Orizzonti” vuole essere e deve essere nel disegno di Dio. Ecco, noi siamo nati proprio con questa vocazione specifica di essere testimoni della gioia del Cristo risorto con una particolare attenzione al mistero della discesa negli Inferi, cioè quell’ “amatevi come io vi ho amato” che si concretizza proprio non semplicemente nell’andare incontro al povero, ma proprio nel farsi carico del grido, delle ferite, della morte, della disperazione dei nostri fratelli in situazioni di disagio. Ecco, questo voler essere testimoni, iniziato con l’andare nelle strade in cerca di tanti fratelli del popolo della notte, si è poi concretizzato in 207 centri tra Centri di accoglienza, Centri di evangelizzazione, famiglie aperte all’accoglienza, più di 450 mila Cavalieri della luce che si impegnano a essere testimoni della gioia di Cristo risorto, provando, impegnandosi a vivere il Vangelo alla lettera e a portare questa rivoluzione dell’amore nel mondo … E ancora nelle Cittadelle Cielo, nelle circa mille équipe di servizi impegnati un po’ su tutti i campi: nelle carceri, negli ospedali …

D. – Ecco, sono tante le opere nella Chiesa che si occupano di poveri, di tossicodipendenti ecc… ma qual è la caratteristica peculiare di questo carisma?

R. – Uso proprio una frase che definisce, negli Statuti, il carisma specifico, e che dice che "tutti i membri dell’Associazione “Nuovi Orizzonti” si impegnano a testimoniare la gioia, con una particolare attenzione al mistero della discesa agli Inferi di Gesù e alla sua Resurrezione". Che cosa vuol dire concretamente questo? Che proprio il cuore della vocazione specifica di questa famiglia è questa attenzione a quella che è una povertà specifica del nostro tempo, quel grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, che si ripete in tanti piccoli che per aver percorso strade che le seduzioni del mondo, con tanta prepotenza, ci propongono, si ritrovano a vivere in questo baratro di separazione dal Padre, che porta a una solitudine profonda … Quindi, tutto quello che si fa non è tanto per fare delle opere sociali ma proprio per essere attenti al più povero dei poveri che non è chi ha perso la casa, chi ha perso il lavoro o chi ha perso la salute, ma è chi ha perso Dio.

D. – Che cosa significa, per un fondatore – nel suo caso una fondatrice – arrivare al “sì” definitivo della Chiesa, al riconoscimento, quindi, della Chiesa verso la propria Opera?

R. – Io, appena arrivata l’approvazione definitiva, scherzando dicevo ai miei: “Bè, ora lascia, Signore, che la tua serva venga a te”.... per quel senso di serenità di poter dire: adesso la via è tracciata, la Chiesa ha dato il suo sigillo che questa è la via da percorrere, e quindi posso essere tranquilla che se andiamo per questa strada siamo fedeli a quanto il Signore ci chiede. Quindi, per me c’è questo doppio sentimento: una grande gratitudine, una grande commozione, anche tranquillità; dall’altra, un crescente senso di responsabilità proprio perché so che questa è la strada e ho la responsabilità di far sì che la percorriamo e la percorriamo rispondendo veramente con radicalità a quanto attraverso questo carisma Dio ci chiede …

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Sulla via dell'unità: in prima pagina un editoriale del direttore sull'incontro fra Francesco e Cirillo.

Un sorriso contro secoli di divisione - Lo storico incontro sulla stampa internazionale.

Un articolo di Marcello Figueroa "I tempi di Dio" sull'incontro di Francesco con Cirillo.

Silvina Perez sulle «Patronas» messicane, donne che aiutano i migranti in viaggio verso gli Stati Uniti.

Un voto per sconfiggere la paura  - Alicia Lopes Araújo sulle presidenziali e legislative nella Repubblica Centrafricana.

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Oggi in Primo Piano



Siria: Ankara e Riad pronte a operazioni di terra contro Is

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Si fa più concreta l’ipotesi di un intervento di terra in Siria da parte di Arabia Saudita e Turchia contro il sedicente Stato islamico, conflitto che non rientra nei termini dell’accordo sul cessate il fuoco – che partirà il 19 febbraio prossimo - raggiunto giovedì scorso a Monaco di Baviera. Sempre da Monaco, il premier francese Manuel Valls ha chiesto a Mosca di cessare i bombardamenti contro la popolazione. “Combatteremo fino alla vittoria – è stato il commento del Presidente siriano Bashar al-Assad – riconquisterò il Paese anche se ci vorrà molto tempo”. Quale sarà il suo ruolo, d’ora in poi, nella crisi siriana? Roberta Barbi lo ha domandato ad Alberto Negri, esperto dell’area mediorientale per “Il Sole 24 Ore”: 

R. – L’accordo di Monaco è un accordo fragile: è un accordo che è intercorso tra gli Stati Uniti e la Russia, e che stabilisce una sorta di cooperazione, anche politica, tra Washington e Mosca. Però bisogna vedere cosa faranno le fazioni in campo. Innanzitutto l’accordo non riguarda lo Stato islamico - il Califfato - e neppure Jabhat Al-Nusra; quindi, questo non significa affatto la fine dei bombardamenti ad Aleppo, intorno a quell’area. E poi c’è l’altro aspetto politico importante: le fazioni filo-saudite per il momento non hanno ancora accettato questa intesa. È evidente che l’accordo, prima che entri in vigore dovrà passare una settimana, e questa non sarà una settimana di pace: sarà già tanto se in qualche modo arriveranno aiuti umanitari nelle aree dove la popolazione sta soffrendo di più.

D. – Il ruolo di Assad è quindi più che mai centrale. Proprio dalla Conferenza di Monaco, in cui è stata siglata l’intesa, il ministro degli Esteri saudita ha affermato che rimuovere il Presidente siriano è obiettivo primario di Riyad, e che la lotta contro lo Stato islamico deve passare per forza attraverso la sua uscita di scena…

R. – Non riguarda solo i sauditi. Riguarda anche un altro attore e protagonista importante di questa guerra e di questa crisi: la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. I turchi in pratica hanno visto frustrati tutti i loro obiettivi: loro pensavano di poter instaurare una sorta di zona di sicurezza, accompagnata anche da una “no-fly zone” (una zona di non sorvolo), ma gli Stati Uniti non gliel’hanno mai concesso; tanto più che adesso significherebbe andare a contatto stretto con i russi e con l’esercito di Assad. Non solo, ma la Turchia si è trovata alle porte di casa i curdi siriani, sostenuti da Assad e da Mosca, ma anche dall’America, che sono più forti che mai: cioè sono davanti a un’opportunità forse storica della loro vicenda. Assad non può essere buttato via dall’oggi all’indomani. Oltretutto i russi sono stati anche abbastanza chiari: il ruolo di Assad è ancora importante in quella che viene chiamata la “transizione”, una transizione che non si vede ancora, ma che fa prevedere che perlomeno un altro anno, anno e mezzo, Bashar al-Assad resta dov’è.

D. – Allo stato attuale, qual è verosimilmente il futuro politico del Presidente siriano?

R. – Secondo me il futuro politico è ancora abbastanza lungo, per quelli che sono i tempi mediorientali; nel senso che appunto c’è ancora tutto da vedere se durerà questo cessate-il-fuoco, se s’instaurerà quest’ultimo, e quanto durerà. Poi ci sono i negoziati di Ginevra, dove comunque è parte delle trattative, insieme ad altre fazioni. Oltretutto una certa parte delle stesse fazioni non erano ancora state invitate nella prima tornata di colloqui da Staffan de Mistura: per esempio i curdi siriani. Fare i negoziati senza questi ultimi appare abbastanza improbabile. Quindi c’è ancora da definire tutto il quadro delle fazioni che si siederanno al tavolo; e poi c’è da delineare quale può essere il futuro del Paese. Se, naturalmente, l’Arabia Saudita e la Turchia continueranno a insistere per l’uscita di scena di Assad, allora forse potrebbe esserci anche un negoziato su questo. Ma questo negoziato non porta di certo alla fine di Bashar Al-Assad quest’anno.

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Ordine di Malta: oltre 500 vite salvate nella missione nell'Egeo

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“E liberali dal Mare”: è la campagna avviata dal Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta per sensibilizzare sul destino in mare di tanti migranti e per sostenere la nuova missione di soccorso del Cisom nell’Egeo. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Sono ormai due mesi che ha preso il via la nuova missione umanitaria dell’Ordine di Malta nel Mar Egeo. Il team del Cisom, il Corpo italiano di soccorso dello Smom, a bordo del Responder, nave dell’organizzazione umanitaria Moas (Migrant Offshore Aid Station), finora ha tratto in salvo 529 persone, di cui 59 bambini, tutti assistiti dalle squadre sanitarie, composte da medico e infermiere. “Mi sento in dovere di far sentire a casa, per quanto possibile, chiunque lo chieda, non importa quanti, come e da dove: noi ci siamo”. Questo lo spirito di missione di Giada Bellanca, medico del Cisom, impegnata nello scenario dell’Egeo dopo aver trascorso molto tempo in quello dello Stretto di Sicilia:

D. - Lavorare in Egeo significa lavorare in un ambiente geograficamente diverso dalle nostre abitudini, perché l’Egeo è un mare piccolo, chiuso, le distanze geografiche tra i confini turchi e i confini greci sono minimi, soltanto poche miglia; parliamo di una costellazione di 400 tra isole e isolette abitate e nella maggior parte disabitate; parliamo di un mare dove il cambiamento climatico e le correnti sono repentine; parliamo di un flusso migratorio fatto con gommoni piccolissimi, con una media di 40-50-60 persone a bordo, e un gommone del genere anche con un mare 2 o un mare 3 rischia il naufragio. La cosa peggiore per questi gruppi che fuggono con la speranza di arrivare a breve, perché vedono l’altra costa e quindi c’è l’illusione, è il non rendersi conto del vero pericolo che sono gli scogli a fior d’acqua vicino le isole, là tutta la zona è a basso fondale. Il rischio è enorme, perché a squarciare un tubolare di un gommoncino fatto di nulla non ci vuole niente! E la maggioranza non sa nuotare. Per noi tutto questo è uno stress psicologico perché, se per alcuni aspetti la vicinanza alle coste può essere un pro enorme per l’arrivo dei migranti, minore è la distanza, minore devono essere i tempi di salvataggio, tutto deve essere fatto nell’arco di pochissime ore e, a volte, anche soltanto nell’arco di mezz’ora. Quindi, noi dobbiamo essere sempre pronti e avere mille occhi, perché si parla di 400 isolette e l’assetto navale è minimo.

D. – Per voi, che avete operato in tutti e due gli scenari, è cambiata la tipologia del migrante che incontrate?

R. – I flussi migratori lì sono diversi rispetto a quelli del Mediterraneo, in quanto non abbiamo il flusso centrafricano, il flusso nordafricano e il flusso del Corno d’Africa, quindi di tutta quella parte che va dalla Somalia all’Eritrea e all’Etiopia. Statisticamente il flusso dell’Egeo è un flusso di siriani. Abbiamo poi un 20 per cento proveniente da altri Stati, a me sono capitati anche iracheni, afghani, anche curdi, che fanno parte di questo flusso migratorio che sta cambiando: cambia la storia e cambia il flusso migratorio.

L’organizzazione umanitaria Moas è stata fondata da Christopher e Regina Catrambone, due imprenditori italo-americani che vivono a Malta. Dal primo intervento a soccorso dei migranti, nel 2014, sono state migliaia le persone salvate. Dopo aver equipaggiato la Phoenix, un vascello di 40 metri dotato di gommoni e droni per il rilevamento delle persone in mare, dal dicembre scorso il Moas opera nell’Egeo a bordo del Responder, nave di 51 metri con due imbarcazioni di salvataggio ad alta velocità, dedicate a Aylan e Galip Kurdi, i due fratellini siriani morti nell’Egeo. E’ Regina a raccontare il perché di una scelta che ha messo in discussione tutta la loro vita, fatta di agio e lusso:

R. – Christopher e Regina sono scattati! Abbiamo voluto abbattere il muro dell’indifferenza e usare i nostri beni al servizio degli altri. Così abbiamo acquistato questa imbarcazione e ci siamo messi in mare, perché era in quel momento che il nostro fratello, il nostro prossimo, stava morendo; perché era in quel momento che lui aveva bisogno di essere tirato fuori dall’acqua, cambiato, vestito, sfamato. Un  grande motore è stato anche l’appello di Papa Francesco di usare i propri talenti al servizio dell’altro.

D. – Quale è stata la molla che vi ha spinti? Ci sarà stato un evento nella vostra vita…

R. – Sì. Noi stavamo attraversando il mare da Lampedusa alla Tunisia e ci siamo accorti che quella era la stessa rotta che facevano i migranti, però dalla Tunisia a Lampedusa. Noi eravamo in vacanza, e non c’è nulla di male ad andare in vacanza, ma se per noi quello era un mare di felicità, un mare dove spendevano il nostro tempo per rilassarci, per altri era, invece, la tomba alla porta dell’Europa. Quindi come cambiare sguardo? Come riuscire a cambiare questo? Mettendosi in gioco! Segni tangibili non solo di misericordia e di carità, ma anche di giustizia, perché nessuno deve morire in mare, in maniera così disperata. Noi dobbiamo aiutarli, adesso!

D. – Ci vuole un patrimonio per riuscire ad affrontare questa cosa. Che cosa cambia nella vita di una persona che fino a quel momento era un privilegiato, ed è tuttora un privilegiato?

R. – Cambia che noi siamo molto più ricchi adesso che non abbiamo più quella disponibilità. Siamo più ricchi perché siamo riusciti veramente ad aiutare, e non solamente Christopher ed io, ma tutte le persone del team Moas, oltre 12 mila persone! E questo ci rende umani, ci rende felici. Oggigiorno c’è una mancanza di empatia verso gli altri e non ne capisco il perché. Queste persone non sono numeri, non sono statistiche, ma sono persone che muoiono e spesso vengono dimenticate non devono morire e non devono essere dimenticate! Siamo molto più felici adesso, devo dire…

Due giorni fa la Nato ha annunciato l’intenzione di varare una missione per affrontare la questione migranti e smantellare le reti di trafficanti. Per Mauro Casinghini, direttore nazionale del Cisom, l’augurio è che possa funzionare e ridurre soprattutto le morti nell’Egeo:

R. – Certamente se la decisione è alla base di un contrasto concreto al traffico umano, l’iniziativa della Nato è sicuramente è una iniziativa necessaria. Ovviamente ne dobbiamo conoscere i confini e le regole. La cosa che personalmente devo dire un po’ mi preoccupa, è la riconsegna degli eventuali migranti soccorsi sul suolo turco. Occorre ricordare che l’Europa, per cose molto similari, ha addirittura condannato l’Italia, parlo del Consiglio d’Europa. Per cui da questo punto di vista dobbiamo capire in quale cornice si inserisce questo intervento, anche dal punto di vista del soccorso.

D. – Il rischio che potrebbe apparire è quello dei respingimenti?

R. – Bè sì! Devo dire che le regole d’ingaggio del Patto Atlantico sono differenti da quelle che dell’intervento di uno Stato membro nell’ambito di un soccorso. Però, sicuramente, si potrebbe configurare un problema di questo tipo: cioè persone che scappano dalla Siria attraverso la Turchia – faccio ovviamente l’esempio dei siriani – che vengono riportate sul suolo turco e questo naturalmente potrebbe creare anche un problema alla Turchia, perché poi di fatto dovrebbe avere il modo di sistemare questi grossi flussi di siriani che la popolano.

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Giornata nazionale del Farmaco: si può donare anche on-line

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Oggi è la Giornata Nazionale di Raccolta del Farmaco. All’evento, giunto al suo 15.mo anno, partecipano 3.700 farmacie di 1.200 comuni italiani e grazie all’impegno di 14mila volontari. Da quest’anno si possono donare i farmaci di automedicazione ai più poveri anche da casa, usando l’applicazione “DoLine”, creata dal Banco Farmaceutico in collaborazione con la Fondazione Telecom Italia. Natalia La Terza ha chiesto al presidente del Banco Farmaceutico, Paolo Gradnik, di illustrare la giornata di oggi: 

R. – Sabato 13 febbraio, in oltre 3.700 farmacie italiane, sarà possibile trovare dei volontari del Banco farmaceutico che inviteranno la popolazione ad acquistare un farmaco di automedicazione – i farmaci senza ricetta – per dare un aiuto concreto a chi è in condizione di povertà e non può permettersi di curarsi.

D. – Chi partecipa alla Giornata nazionale di raccolta del farmaco?

R. – Farmacie distribuite su tutto il territorio nazionale. Ovviamente sono farmacie che hanno una particolare sensibilità al sociale perché, non soltanto si prestano a consigliare il cittadino sul farmaco più utile, ma supportano anche il Banco farmaceutico - loro stesse - con una donazione che consente di organizzare questa iniziativa.

D. – Qual è la situazione attuale della richiesta di farmaci?

R. – Le richieste sono in aumento. Questo è uno dei tanti sintomi di una situazione economica disagiata: in Italia sono oltre quattro milioni le persone in condizione di povertà assoluta. E purtroppo queste famiglie hanno a disposizione ogni anno meno di un quarto dei soldi che una famiglia media spende per acquistare farmaci.

D. – La fascia d’età che più trae beneficio dalla raccolta dei farmaci è quella degli adulti tra i 18 e i 64 anni: cosa ci dice questo dato?

R. – Ci dice che in realtà la povertà, la povertà farmaceutica in particolare, sta colpendo sempre più italiani. È comune che ci siano problemi economici anche di fronte a un ticket da pagare e - questo è il dato ancora più preoccupante - le statistiche ufficiali ci dicono addirittura che il quattro per cento della popolazione italiana rinuncia a curarsi per motivi economici.

D. – Cos’è l’applicazione “DoLine”?

R. – Quest’anno la novità è che anche chi non riuscirà a recarsi in farmacia il 13 febbraio, potrà ugualmente partecipare all’iniziativa scaricando l’applicazione “DoLine” sul telefonino o sul tablet e, in questo modo, donare da casa o da qualunque luogo un farmaco di automedicazione per aiutare chi è in povertà sanitaria.

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Card. Sistach: Stato laico non escluda la religione

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Una riflessione attenta sul tema della laicità e sui rapporti tra religione e Stato. E’ questo il filo conduttore del volume “Stato laico e società multi-religiosa” scritto dal cardinale Lluìs Martìnez Sistach, arcivescovo emerito di Barcellona ed edito dalla Libreria Editrice Vaticana, presentato ieri nella Sala Marconi della nostra emittente. Ascoltiamo l’autore al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Uno Stato laico è democratico, aperto e positivo; ma la società è anche religiosa e sono le persone che fanno la società: le persone sono credenti e non credenti, vivono nella società e nella convivenza sociale: devono vivere tutto e quindi anche la fede che hanno. Allora la società deve includere tutte queste cose: non può quindi essere laica nel senso di togliere tutta la presenza religiosa, così come il ruolo pubblico della religione nella società.

D. – Il dibattito è molto attuale: in Spagna, come in Italia e in altri Paesi europei. Perché è così fondamentale parlarne?

R. – Perché la religione fa bene alle persone! La persona ha una dimensione trascendente e senza Dio la vita non ha senso. Tutte le religioni buone fanno cose buone per le persone e aiutano anche molto per il bene comune della società. Che sarebbe – ad esempio – di una città come Roma, come Barcellona senza la presenza delle parrocchie, dei cattolici, delle congregazioni religiose che operano nel campo della spiritualità, nel campo dell’insegnamento, nell’assistenza agli anziani o nel campo della salute, nel campo della povertà e dell’emarginazione? Certamente noi cattolici – soprattutto in Occidente – abbiamo una presenza molto forte e proprio per questo credo sia importante vedere questo aspetto positivo della religione.

D. – Lei parla di una società multireligiosa. In che modo andare incontro l’uno all’altro?

R.  – Una società multireligiosa nel senso che ci sono persone che hanno diverse religioni, che hanno una posizione pubblica: nella società abitano insieme persone che professano diverse religioni e quindi è necessario avere un dialogo interreligioso. Il Papa lo dice e lo chiede molto. Sono tante le cose su cui possiamo lavorare per il bene della società: penso, in questo momento, anche all’ecologia. Il Papa, nell’Enciclica Laudato si’ ci ha indicato come le persone delle diverse religioni, insieme, possano lavorare affinché tutti i problemi ecologici trovino una soluzione, soprattutto oggi che rappresenta un problema gravissimo anzitutto nelle grandi città.

Tra le pagine del volume viene ripercorsa la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa e sulla chiarezza del distinguere sempre l’aspetto spirituale da quello temporale. Ascoltiamo il commento di Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale Italiana:

R. – La laicità ha un fondamento cristiano, è cioè impostata sul dualismo “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La distinzione tra le due sfere è enunciata anche dal Concilio Vaticano II con chiarezza; nella “Gaudium et Spes” si precisa la distinzione tra sfera politica e sfera religiosa. Ma non sono, però, antagonisti. L’Accordo di revisione del Concordato italiano lo segnala, dicendo che “cooperano Stato e Chiesa, per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”. D’altra parte la laicità se letta come una neutralità che non prende in considerazione l’elemento religioso, diventa una non neutralità.

D. – Spesso ci sono polemiche riguardo ai simboli cristiani in luoghi pubblici, come il Crocifisso nelle scuole o negli ospedali… Perché è, invece, importante ribadire questa presenza cattolica anche nei luoghi pubblici?

R. – Ricordo, per quella che è l’idea di laicità quale vista nel nostro Paese, la sentenza della Corte Costituzionale che prende in considerazione l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e lo considera l’espressione di un servizio per la società, in una società pluralista e quindi garantendo la libertà delle persone. Anche perché la nostra società, per il credente e per il non credente, è intrisa di questi valori: non si comprenderebbe né la storia, né l’arte, né la letteratura se non si avesse attenzione per questi valori, che sono valori vivi e che non possono perciò essere occultati. 

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella prima Domenica di Quaresima la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù è tentato dal diavolo nel deserto. Per quaranta giorni il Signore non mangiò nulla, poi ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose:

«Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di Don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma, che da oggi ci accompagnerà con le meditazioni sul Vangelo domenicale: 

"La Quaresima di quest’anno giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la Misericordia di Dio.” Questa esortazione di Papa Francesco illumina questo tempo benedetto e ci orienta ad accogliere il Vangelo delle Tentazioni, prima tappa domenicale verso la Pasqua. Celebrare e sperimentare la Misericordia: due doni che il Padre offre a tutti i cristiani che accolgono il suo invito al combattimento spirituale contro il principe di questo mondo. Gesù Cristo è guidato dallo Spirito su quel campo di battaglia che aveva visto sconfitti i nostri padri e ottiene per noi la vittoria sul diavolo. Impariamo ad usare le sue stesse armi luminose: la docilità al volere del Padre, il digiuno che prepara il digiuno dal peccato per nutrirci della sua Parola, la preghiera fiduciosa e incessante per vivere senza mormorazioni gli eventi talvolta dolorosi della nostra quotidianità. A queste il Signore associa l’elemosina per amare il prossimo e smascherare il falso dio denaro, l’umiltà per rialzarsi dopo ogni caduta ed essere corroborati dal Sacramento del Perdono. Così la sua tenerezza si farà carne in noi peccatori, si farà festa, e saremo gradualmente trasformati in Lui, misericordiosi come il Padre. Lasciamoci rallegrare da questa promessa, percorriamo il cammino verso la Risurrezione con tutta la Chiesa, anche il più debole e il più lontano guardi a Cristo Signore, che vede il compimento della giustizia della Legge nella salvezza di ogni persona umana e nel rispetto della sua dignità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Congo-Brazzaville: appello di pace dei vescovi

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È un messaggio di “pace, gioia e speranza” quello diffuso dalla Conferenza episcopale del Congo (Cec) al termine della sua 44.ma Assemblea plenaria, svoltasi dall'1 al 7 febbraio a Brazzaville. Incentrato sul tema della misericordia, in concomitanza del Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco, il documento episcopale esorta il Paese ad esercitare “il perdono, la compassione, il servizio e l’accoglienza reciproca” per il bene di tutti.

Vero sviluppo attraverso pace e giustizia. No a corruzione e impunità
In primo luogo, quindi, i vescovi invitano i fedeli a “intraprendere iniziative per la pace e la giustizia in Congo, sempre più colpito da povertà, miseria, pessimismo, ingiustizia, antivalori come l’impunità, la corruzione, l’inciviltà, la frode, la concussione, la prostituzione”. “Il Congo ha bisogno di pace – sottolinea la Cec – e tocca a noi costruirla, evitando ogni atto di violenza e di conflitto che conduca alla guerra, nemica del progresso e dell’uomo”. E ancora, i vescovi ricordando che “lo sviluppo del Congo passa attraverso la cultura della pace e della giustizia, senza le quali non si può fare nulla”

Praticare la misericordia attraverso condivisione e solidarietà
Poi, il documento si sofferma sul legame tra amore e misericordia, sottolineando l’importanza “della comunione, della condivisione, dello scambio e della solidarietà”. Per questo, i presuli esortano i fedeli a mettere in pratica le opere di misericordia corporali e spirituali, soprattutto “nella società attuale, marcata dalla globalizzazione dell’indifferenza, dall’odio e dalla violenza”. Tutti fattori contrari alla misericordia che invece “va al di là delle differenze, delle etnie, degli schieramenti politici, delle religioni”. Di qui, l’ulteriore richiamo dei presuli al perdono reciproco, da praticare attraverso il sacramento della riconciliazione che “libera, dona la gioia, fa rinascere la speranza”.

Necessario tutelare la famiglia e salvaguardare il Creato
La Chiesa del Congo, quindi, guarda alla misericordia nella famiglia, ricordando che è all’interno di tale “cellula basilare della società e della Chiesa” che si apprendono “il dialogo, il perdono, la riconciliazione, l’amore, la pazienza verso l’altro” ed è in essa che la vita dell’uomo trova “punti di riferimento”. Altrettanto impegno viene richiesto per l’attuazione della misericordia in ambito ecologico: “L’uomo distrugge il Creato invece di costruirlo, disobbedendo così alla volontà divina”, notano i presuli, lanciando l’allarme: “Il pianeta è in pericolo; è tempo di fermarsi per proteggere la terra, bene prezioso donato da Dio”. Di qui, il richiamo ad “una conversione ecologica e ad un’ecologia umana”, la stessa invocata da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune”.

La misericordia è la sola risposta che disarma il peccato
Il documento, poi, lancia una serie di appelli: agli “operatori apostolici” affinché “compiano gesti che rivelano la misericordia di Dio”, perché “il mondo ha bisogno di testimoni che vivano e insegnino il perdono, la riconciliazione e l’unità”, stando particolarmente attenti ai malati ed ai sofferenti, sull’esempio del Buon Samaritano; ai fedeli laici affinché “vivano la carità fraterna”, mettendo in pratica le opere di misericordia; ai bambini ed ai giovani, “presente e futuro del Paese”, perché “fuggano la violenza, l’odio e la divisione”, sapendo che “la misericordia è la sola risposta che disarma il peccato”. In quest’ottica, i presuli condannano “energicamente i fenomeni di vandalismo e le reti mafiose che destabilizzano la pace sociale”.

Appello ai politici per elezioni giuste e trasparenti
Anche i politici vengono chiamati in causa: a loro, la Cec ricorda che “la misericordia è un atto politico per eccellenza” e che nella gestione della res publica non si deve guardare agli interessi personali, bensì al bene comune, opponendosi “all’oppressione, all’ingiustizia ed allo spirito di dominio”. “Siate artigiani della pace, della riconciliazione, della giustizia e della verità”, chiede ancora la Chiesa del Congo alle autorità politiche, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali programmate per quest’anno. Si tratta di votazioni molto attese dopo che, lo scorso ottobre, un referendum molto contestato dall’opposizione  ha portato all’adozione di un progetto per una nuova Costituzione che permetterà al Presidente Denis Sassu Nguesso di ricandidarsi per la terza volta. Per questo, i vescovi chiedono “elezioni giuste e trasparenti”, con la garanzia che “nessun diritto venga leso”.

Mass-media siano al servizio della verità e favoriscano inclusione sociale
Quanto al futuro Capo di Stato, la Chiesa chiede l’impegno a lavorare per l’unità nazionale e per la giustizia, senza dimenticare le categorie sociali più vulnerabili, come quella dei detenuti in attesa di giudizio. Un ulteriore appello viene lanciato alle forze di sicurezza pubbliche, affinché prestino servizio “come un sacerdozio, ovvero per il bene di tutti”, rispettando “l’uomo nella sua dignità, al fine di rispettare la democrazia”. “La popolazione conta su di voi – ribadiscono i presuli – aiutatela a vincere la paura, compiendo il vostro dovere con responsabilità”. Ai mass-media, invece, la Chiesa ricorda “la missione di essere al servizio della verità”, per “accrescere la comunione tra i congolesi”, “costruire ponti, favorire l’incontro e l’inclusione”.

Essere “misericordiosi come il Padre”
L’ultima, ma non meno importante, categoria sociale chiamata in causa dai vescovi è quella degli “uomini e donne di buona volontà” che vengono esortati a “servire il bene con slancio e zelo, contribuendo così alla normalizzazione dei rapporti tra le persone e l’insieme di realtà che compongono la casa comune”. Infine, sulla scia del motto scelto dal Papa per il Giubileo, ovvero “Misericordiosi come il Padre”, la Cec esorta tutti a “riscoprire l’amore di Dio che perdona e ridona la vita, riconciliandosi gli uni con gli altri, soprattutto con coloro che ci hanno fatto del male, donando ad essi il nostro perdono”. (A cura di Isabella Piro)

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Venezuela: Chiesa denuncia mancanza di farmaci e di cure

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“Negli ultimi mesi si è intensificata in modo sistematico la mancanza di farmaci per tutti i tipi di malattie, ma soprattutto per il diabete, l’epilessia, l’Hiv, le malattie cardiovascolari, che ha già provocato la morte di molte persone, senza avere nessuna risposta dalle agenzie governative": è la denuncia del presidente della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Venezuela, mons. Roberto Lückert León, arcivescovo di Coro, in un documento pubblicato in occasione della Giornata del Malato.

Una recrudescenza delle malattie infettive
Il documento, riferisce l'agenzia Fides, presenta in 16 punti la cruda realtà della situazione sanitaria del Paese e la delusione della popolazione venezuelana. Insieme alla grave crisi della carenza di farmaci, “si osserva una mancanza nella prevenzione, nella sorveglianza e nel controllo sanitario, che ha portato alla recrudescenza di malattie infettive come la malaria (136.402 casi) e la dengue (54.152 casi); l'incapacità di rispondere tempestivamente alle nuove minacce per la salute che vengono da malattie emergenti come la Chikungunya (16.293), Zika (circa 412.962 casi fino al 23 gennaio 2016); la recrudescenza di malattie endemiche come il morbo di Chagas, la sifilide e la gonorrea".

La malnutrizione tra le cause delle malattie
“Allo stesso tempo - prosegue il documento - la crisi dovuta alla carenza di cibo causa altre minacce per la salute della popolazione venezuelana tra cui: la malnutrizione per mancanza di apporto di nutrienti e vitamine, un basso indice glicemico incontrollato provocato dall’assenza di una dieta corretta, causa di una condizione mentale e sociale alterata che genera ansia, paura e angoscia".

La salute non può sottostare a interessi ideologici di gruppi, enti o amministrazioni
Il presidente della Commissione “Giustizia e Pace” chiede quindi "alle autorità del governo e allo Stato in generale, le garanzie necessarie per il corretto funzionamento delle istituzioni sanitarie, in modo di poter avere la fornitura di farmaci e le forniture necessarie per la cura dei pazienti, soprattutto le madri, i bambini e gli anziani. Propone di dare priorità alla questione dei farmaci e del cibo nell'agenda del governo, della politica e delle finanze del Paese, per superare le malattie che fino a poco tempo erano controllate". Infine ribadisce che "la salute è un diritto umano, e non può essere sottomessa agli interessi ideologici di gruppi, enti o amministrazioni". (C.E.)

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Premio Onu ai pescatori di Aceh soccorritori dei migranti

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Un premio delle Nazioni Unite ai pescatori della provincia di Aceh, per aver tratto in salvo a più riprese barconi alla deriva nelle acque territoriali indonesiane, carichi di profughi provenienti da Myanmar e Bangladesh. A lanciare la candidatura per l’edizione 2016 del Nansen Refugee Award, assegnato ogni anno dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Unchr) - riferisce l'agenzia AsiaNews - il gruppo attivista pro diritti umani con base ad Aceh Geutanyoe Foundation.

Nei mari del sud-est asiatico soccorsi migliaia di migranti
Lilianne Fan, direttore internazionale della Geutanyoe Foundation, ha proposto con forza la candidatura dei pescatori di Aceh, che durante il picco dell’emergenza profughi nei mari del Sud-est asiatico (peraltro ancora attuale) hanno soccorso centinaia di persone, salvando loro la vita.
“Se non fossero stati salvati dai pescatori di Aceh - ha affermato l’attivista all’agenzia Antara - le vite di bambini, dei Rohingya dal Myanmar e dei lavoratori migranti dal Bangladesh non si sarebbero potute salvare”.

Centinaia di migranti costretti a navigare senza meta per i respingimenti della Thailandia 
Nel maggio scorso in piena emergenza migranti, i Rohingya - minoranza musulmana che il governo del Myanmar considera irregolare e priva del diritto di cittadinanza - hanno avuto il via libera per entrare ad Aceh e trovare un alloggio temporaneo. Ad acuire la crisi della primavera scorsa la decisione della Thailandia - un vero e proprio crocevia della tratta - di imporre restrizioni sui commercio di vite umane, dopo la scoperta di una fossa comune nei pressi del confine con la Malaysia. La politica dei respingimenti adottata da Bangkok - seguita per qualche tempo anche da Kuala Lumpur e Jakarta - ha portato centinaia di imbarcazioni cariche di migranti a navigare senza una meta definita per i mari delle Andamane. Secondo molti analisti ed esperti la radice del problema migranti nel Sud-est asiatico sta nelle persecuzioni e negli abusi di cui sono vittime i Rohingya in Myanmar. Sino a che non verrà risolta la questione riguardante la minoranza musulmana, che Naypyidaw considera migranti irregolari, il dramma dei moderni boat-people è destinato a continuare.

Premio per il servizio straordinario per rifugiati e sfollati interni
Il Nansen Refugee Award dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati premia ogni anno un gruppo di persone o una organizzazione che presta un “servizio straordinario” a favore dei rifugiato e degli sfollati interni. Esso riconosce il lavoro di assistenza nell’emergenza, la distribuzione di aiuti, oltre che la creazione di programmi di lungo periodo dedicati all’educazione per i bambini nei vari Paesi teatro di crisi umanitarie.

I pescatori di Aceh, esempio di aiuto umanitario in situazioni di crisi
Secondo Lilianne Fan, la cui associazione promuove programmi mirati per i rifugiati e ne favorisce l’integrazione, i pescatori di Aceh sono un esempio di aiuto umanitario in situazioni di crisi, avendo salvato centinaia di vite senza fare distinzioni di natura etnica, razziale o confessionale. Ad oggi nella provincia occidentale indonesiana vivono circa 350 rifugiati, con un calo sensibile rispetto agli oltre 1000 del periodo di maggiore crisi. Essi hanno trovato un riparo nelle tende approntate nei campo profughi di Kuala Langsa, nella cittadina di Langsa e nei campi di Bayeun (East Aceh) e  Blang Ado (North Aceh). (R.P.)

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Chiesa Filippine: plauso per legge contro dinastie politiche

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Soddisfazione: è quanto esprime la Chiesa cattolica delle Filippine per la promulgazione della legge che mira ad impedire le dinastie politiche, in vista delle elezioni presidenziali e legislative in programma il 9 maggio prossimo. Siglata il 19 gennaio scorso dal presidente uscente Benigno Aquino III, la normativa proibisce ai giovani, con un parente già eletto a livello nazionale o locale, di candidarsi per un seggio all’interno delle Assemblee municipali incaricate delle politiche giovanili.

Dinastie politiche a vantaggio delle famiglie più abbienti
È proprio all’interno di tali organismi, infatti, che si riscontrano numerosi casi di dinastie politiche, soprattutto di famiglie abbienti che possono sostenere i costi della campagna elettorale. Non solo: nonostante la Costituzione nazionale proibisca sin dal 1998 casi simili, di fatto accade spesso che membri di una stessa famiglia si succedono nei medesimi incarichi: basti pensare che l’attuale Capo dello Stato è il figlio della presidente Cory Aquino, a sua volta vedova del senatore Benigno Aquino.

Appello vescovi: campagna elettorale sia esente da violenze
La nuova legge rappresenta “una buona decisione” afferma padre Conegundo Garganta, segretario generale della Commissione episcopale per la gioventù, cui fa eco Henrietta de Villa, presidente del Consiglio pastorale delle parrocchie per un voto responsabile (Ppcrv) che sottolinea: “Si tratta dell’unica normativa che colpisce il male alla radice; per questo vigileremo sulla sua applicazione effettiva”. Dall’organismo arriva anche un appello ai candidati affinché diano prova di dignità: “Mostratevi degni del vostro essere persone umane, create ad immagine e somiglianza di Dio – è l’invito – Fatevi ogni giorno un esame di coscienza”, così da realizzare “una campagna elettorale esente da violenze e rispettosa dell’ambiente”.

Formata una coalizione interreligiosa di vigilanza elettorale
Già nei giorni scorsi, la Conferenza episcopale filippina aveva invocato, in una nota, elezioni giuste: “Rifiutiamo i candidati disonesti, furbi, egoisti ed indifferenti nei confronti dei poveri”, affermavano i vescovi sottolineando come, in alcuni casi, “l’astensionismo possa essere una scelta politica cristiana valida” perché in mancanza di candidati appropriati “votare il male minore equivale a votare male”. Dai presuli è arrivato anche l’invito alle autorità per un rispetto “scrupoloso” di quanto stabilito dalle legge elettorale. Il 10 febbraio, inoltre, mons. Broderick Pabillo, presidente della Commissione episcopale per i laici, ha annunciato la formazione di una coalizione interreligiosa per vigilare “sull’onestà e la trasparenza delle elezioni”.

Card. Tagle: no a politici che fanno opere di carità solo a scopo elettorale
​Denominato “Fede e coalizione” (dove fede, in inglese “Faith”, è l’acronimo di Fairness, Accuracy, Integrity, Transparency and Honesty in Elections, ovvero equità, accuratezza, integrità ed onestà nelle elezioni) il gruppo riunisce responsabili cattolici, protestanti, evangelici e musulmani e seguirà il lavoro della Commissione elettorale. Sempre il 10 febbraio, nella Santa Messa del Mercoledì delle Ceneri, il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle, ha criticato quei politici che fanno opere di carità a scopo auto promozionale, solo per ricavarne vantaggi personali. (I.P.)

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Vescovi Canada: Messaggio di Quaresima sul fine vita

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“Io ti ho posto davanti la vita e la morte”. E’ significativamente tratto da questo passaggio del Deuteronomio, prima lettura del giovedì dopo le Ceneri, il titolo del messaggio di Quaresima della Conferenza episcopale canadese (Cecc). Il documento, firmato dal presidente della Cecc, mons. Douglas Crosby, è infatti dedicato al tema del suicidio assistito, sul quale i vescovi canadesi sono intervenuti a più riprese in questi mesi, dopo la sentenza della Corte Suprema che il 6 febbraio 2015 ha dichiarato incostituzionale la legge che lo vieta, dando un anno di tempo al Parlamento di Ottawa per approvare una nuova normativa.

La sentenza della Corte Suprema del Canada un invito a scegliere la morte
Una sentenza che di fatto “invita i canadesi a scegliere la morte”, rimarca il messaggio dei vescovi che invita i fedeli “ad interrogarsi seriamente nel tempo di Quaresima su questa fase decisiva e cruciale per il Paese”. “Come dice San Paolo – si legge - nessuno vive per sé e nessuno muore per sé” e la missione dei cristiani  “è di difendere e proteggere la vita dal concepimento alla morte naturale”. Il testo richiama quindi le parole di Papa Francesco nel XXIV Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato celebrata l’11 febbraio , che ci ricordano come nelle situazioni di sofferenza “la fede in Dio è, da una parte, messa alla prova, ma nello stesso tempo rivela tutta la sua potenzialità positiva,  perché offre una chiave con cui possiamo scoprire il senso più profondo di ciò che stiamo vivendo”.

Scegliere le cure palliative e non l’eutanasia
Alla luce di ciò, affermano i vescovi canadesi, i cristiani in Canada hanno davanti a sé una scelta semplice: “preferire le cure palliative, o l’aiuto al suicidio e l’eutanasia” e quindi  l’abbandono delle persone vulnerabili, anziane, disabili, morenti e depresse al loro destino. Di qui l’esortazione ad invocare lo Spirito Santo “per convincere i cuori e le coscienze” dei rappresentanti politici e degli operatori sanitari, “perché le vite di tutte le persone vulnerabili siano protette dal concepimento fino alla morte naturale”. Il messaggio esorta poi i fedeli ad informarsi sull’impatto “nefasto” che avrebbe sulla società canadese la legalizzazione del suicidio assistito, a condividere con le proprie famiglie, amici e comunità le informazioni della Campagna della Chiesa canadese per le cure palliative e a sottoscrivere la recente Dichiarazione ecumenica contro l’eutanasia e il suicidio assistito. 

Essere testimoni e collaboratori della misericordia salvifica di Dio
“Vivere nella pienezza – sottolinea ancora il testo - è scegliere di mostrarsi misericordiosi e attenti ai bisogni degli altri; pregare e prendersi cura dei malati, delle persone sofferenti e morenti; accompagnare e confortare ogni nostro fratello e sorella finché la morte non ci separi. Scegliendo di essere testimoni e collaboratori della misericordia salvifica di Dio – conclude il messaggio -  scegliamo, come chiede Papa Francesco, di lasciarci rigenerare per vincere l’indifferenza che impedisce la solidarietà, e di uscire dalla falsa neutralità che impedisce la condivisione”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Regno Unito: Messaggio dei vescovi per San Valentino

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“Dio ha un progetto d’amore per ciascuno di noi e c’è sempre un motivo per essere pieni di speranza”: sono le parole di mons. Mark O'Toole, vescovo di Plymouth e coordinatore della Missione cattolica in Inghilterra e Galles, in vista della memoria liturgica di San Valentino, patrono degli innamorati, che ricorre domani, 14 febbraio.

Chi è solo, non è abbandonato: Dio ama tutti
Per l’occasione, infatti, la Chiesa inglese ha diffuso una preghiera destinata a chi non ha ancora trovato “la propria anima gemella”. “Il giorno di San Valentino – spiega il presule - può essere difficile per coloro che non hanno ancora incontrato il marito o la moglie ideale”. Ad essi, la preghiera serve a ricordare che “non sono soli, ma sono amati da Dio che è pieno di tenerezza, misericordia e compassione”. Nell’orazione, si prega il Signore affinché “apra il cuore delle persone e le aiuti a riconoscere la loro anima gemella, rimuovendo gli ostacoli che impediscono la felicità, affinché ciascuno trovi un nuovo senso di interezza, gioia e pace”.

Chiesa, luogo in cui si sperimenta fraternità cristiana
Al contempo, si invoca Dio perché “doni la grazia di accettare un altro progetto di vita” alle persone non sposate, suggerendo di recitare questa preghiera per nove giorni, facendo così una Novena. Mons. O’Toole invita, infine, le persone sole a frequentare la Chiesa, perché è proprio nella comunità ecclesiale che “si sperimenta la fraternità cristiana”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 44

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.