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Sommario del 30/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: cristiani del Centrafrica rifiutino violenza e distruzione

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I cristiani del Centrafrica siano artigiani “del rinnovamento umano e spirituale” del loro Paese, superando la “diffidenza”, la “violenza” e l’istinto di “distruzione” che ha caratterizzato negli ultimi tempi quella terra d’Africa. Così il Papa alla Santa Messa nel complesso sportivo Barthélémy Boganda di Bangui, accolto dall'entusiasmo della folla che ha gremito anche l’esterno dello stadio. Hanno partecipato alla celebrazione la presidente di transizione, Catherine Samba Panza, e i membri dell'esecutivo provvisorio. Il servizio di Giada Aquilino

Anche quando “i tempi sono duri”, perché si è ceduto “alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione”, dobbiamo decidere “con coraggio, in un rinnovato impegno missionario, di passare all’‘altra riva’”, cioè tendere verso il Signore, che ci propone la “salvezza” e la “vita eterna”. Questa l’esortazione del Papa ai centrafricani che affollano, con i loro canti, le loro musiche, i loro colori – testimonianza di gioia ma anche di sfogo per le sofferenze vissute – il complesso sportivo Barthélémy Boganda di Bangui, perché prendendo esempio da Gesù risorto, “le prove e le sofferenze” che viviamo – assicura – si possono considerare “occasioni che aprono a un futuro nuovo”:

“Cristiani del Centrafrica, ciascuno di voi è chiamato ad essere, con la perseveranza della sua fede e col suo impegno missionario, artigiano del rinnovamento umano e spirituale del vostro Paese. Sottolineo: artigiano del rinnovamento umano e spirituale del vostro Paese”.

Mons. Nzapalainga: smettiamo di far parlare le armi
È ancora un Centrafrica sconvolto da sanguinose violenze quello che Papa Francesco ha davanti a sé. Lo hanno testimoniato le accorate parole dall’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, che di fronte al Pontefice si è chiesto fino a quando nel suo Paese si faranno “parlare le armi”, si spargerà sangue di “fratelli e sorelle”, non si darà seguito agli accordi per una soluzione della crisi fin qui raggiunti. Quindi ha esortato ad agire concretamente, perché – ha detto il presule – “la pace si costruisce”:

“Devant vous, j’invite tous les centrafricains…
Davanti a voi, invito tutti i centrafricani senza distinzione di etnia e di religione a impegnarsi a costruire insieme un Centrafrica prospero e fraterno”.

Nuovi messaggeri verso i nostri fratelli
Nella ricorrenza liturgica di Sant’Andrea Apostolo, che col fratello Pietro non esitò “un solo istante” a lasciare tutto e seguire Gesù, come riferisce l’odierno Vangelo di Matteo, portato alla celebrazione in piroga per ricordare l'arrivo dei primi missionari evangelizzatori, Francesco sottolinea come il “grido” di quei “messaggeri” che - come sottolineato anche in un tweet - hanno trasmesso la fede oggi risuoni “più che mai”:

“Risuona qui, oggi, in questa terra del Centrafrica; risuona nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie, ovunque viviamo, e ci invita alla perseveranza nell’entusiasmo della missione, una missione che ha bisogno di nuovi messaggeri, ancora più numerosi, ancora più generosi, ancora più gioiosi, ancora più santi. E tutti noi siamo chiamati ad essere, ciascuno, questo messaggero che il nostro fratello, di qualsiasi etnia, religione, cultura, aspetta, spesso senza saperlo”.

Grazie al Signore per la gioia nonostante difficoltà
La Parola, aggiunge, va “proclamata” e “ascoltata”, per comprendere che l’“altra riva”, la vita eterna, “non è un’illusione” o una “fuga dal mondo”: è una “potente realtà” che “ci impegna alla perseveranza nella fede e nell’amore” che – come spiega San Paolo nella prima Lettura ascoltata in tutto lo stadio – conduce alla salvezza e trasforma “già la nostra vita presente e il mondo in cui viviamo”, per amare Dio e amare i fratelli “in un modo nuovo”. Per questo, aggiunge il Pontefice, “rendiamo grazie al Signore per la sua presenza e per la forza che ci dà nel quotidiano” quando sperimentiamo “la sofferenza fisica o morale, una pena, un lutto”, ma anche per i nostri atti di solidarietà e generosità. E non solo:

“Per la gioia e l’amore che fa brillare nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, malgrado, a volte, la miseria, la violenza che ci circonda o la paura del domani; per il coraggio che mette nelle nostre anime di voler creare dei legami di amicizia, di dialogare con chi non è come noi, di perdonare chi ci ha fatto del male, di impegnarci nella costruzione di una società più giusta e fraterna dove nessuno è abbandonato”.

Perché Cristo, prosegue, ci prende “per mano” e ci “conduce a seguirlo”:

“Voglio rendere grazie con voi al Signore di misericordia per tutto quello che vi ha concesso di compiere di bello, di generoso, di coraggioso, nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità, durante gli eventi accaduti nel vostro Paese da molti anni”.

Rompere col demonio
Quindi, una speranza, che nasce proprio dai giorni difficili vissuti dal Paese africano:

“Ogni battezzato deve continuamente rompere con quello che c’è ancora in lui dell’uomo vecchio, dell’uomo peccatore, sempre pronto a risvegliarsi al richiamo del demonio – e quanto agisce nel nostro mondo e in questi tempi di conflitti, di odio e di guerra – per condurlo all’egoismo, a ripiegarsi su sé stesso e alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione, alla vendetta, all’abbandono e allo sfruttamento dei più deboli”.

Giubileo della Misericordia
Che l’Anno giubilare della Misericordia, appena iniziato in Centrafrica, sia l’occasione per chiedere perdono al Signore “per le troppe resistenze e per le lentezze nel rendere testimonianza al Vangelo”:

“Voi, cari Centrafricani, dovete soprattutto guardare verso il futuro e, forti del cammino già percorso, decidere risolutamente di compiere una nuova tappa nella storia cristiana del vostro Paese, di lanciarvi verso nuovi orizzonti, di andare più al largo, in acque profonde”.

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Papa: cristiani e musulmani sono fratelli, basta violenze

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Cristiani e musulmani rimangano uniti come fratelli, perché cessi ogni azione violenta “che sfigura il Volto di Dio”. Papa Francesco ha lasciato questo messaggio di pace, ripetuto anche in un tweet, alla comunità musulmana di Bangui, incontrata nella moschea della capitale centrafricana, penultimo atto della sua visita nel Paese. Il Papa ha auspicato che le prossime elezioni dimostrino una volontà di unità nazionale più forte delle divisioni interne. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“Siamo fratelli”. Una frase rivoluzionaria, considerati i tempi dell’odio instillato dalla paura, dell’ostilità generata dal sospetto. “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli”, afferma Papa Francesco senza ombra di paura e di sospetto. Le sue parole, pronunciate in italiano e tradotte passo passo, risuonano nella moschea di Koudoukou a Bangui. Cinque imam hanno accolto poco prima il Papa scortandolo al podio posizionato ai margini dell’area riservata alla preghiera.

Insieme diciamo no all’odio
In duecento ascoltano parole che nei tempi della paura e del sospetto davvero pochi hanno il coraggio di pronunciare, perlopiù in una città che da troppi anni ha per legge quella della violenza fondata – dice schietto Francesco - su “motivi propriamente religiosi”. Invece no, “chi dice di credere in Dio – ribadisce – dev’essere anche un uomo o una donna di pace”:

“Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali (…) Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune. Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio. Dio è pace, Dio salam”.

Grazie ai costruttori di pace
Francesco sa e ricorda a tutti che “cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni” e che dunque un tale patrimonio di concordia non deve essere sperperato. Il Papa ha parole di grande apprezzamento per chi, tra i leader di entrambi le fedi, si è speso “per ristabilire – dice – l’armonia e la fraternità tra tutti”:

“Vorrei assicurare loro la mia gratitudine e la mia stima. E possiamo anche ricordare i tanti gesti di solidarietà che cristiani e musulmani hanno avuto nei riguardi di loro compatrioti di un’altra confessione religiosa, accogliendoli e difendendoli nel corso di questa ultima crisi, nel vostro Paese, ma anche in altre parti del mondo”.

Elezioni, momento di unità
Lo sguardo di Francesco si sposta concretamente sul passaggio istituzionale – le prossime elezioni presidenziali – una luce di democrazia in fondo al tunnel del conflitto che ha insanguinato la Repubblica Centrafricana. Che queste “consultazioni nazionali – auspica – diano al Paese dei responsabili che sappiano unire i centrafricani, e diventino così simboli dell’unità della nazione piuttosto che i rappresentanti di una fazione”:

“Vi incoraggio vivamente a fare del vostro Paese una casa accogliente per tutti i suoi figli, senza distinzione di etnia, di appartenenza politica o di confessione religiosa. La Repubblica Centrafricana, situata nel cuore dell’Africa, grazie alla collaborazione di tutti i suoi figli, potrà allora dare un impulso in questo senso a tutto il continente. Essa potrà influenzarlo positivamente e aiutare a spegnere i focolai di tensione che vi sono presenti e che impediscono agli Africani di beneficiare di quello sviluppo che meritano e al quale hanno diritto”.

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Centrafrica. I vescovi: il coraggio del Papa ci ha confortato

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Al Papa diciamo sinceramente “grazie”: la sua determinazione e il suo coraggio “ci hanno confortato”. Con queste parole, il vicepresidente dei vescovi del Centrafrica, mons. Nestor Nongo Aziagbia, commenta la visita di Francesco nel suo Paese. L’intervista è dell’inviata Romilda Ferrauto

R. – Le Pape s'est présenté comme pèlerin de la paix…
Il Papa è venuto come pellegrino della pace per la Repubblica Centrafricana. E credo che tutti i centrafricani venuti ad accogliere il Papa siano giunti proprio come pellegrini della pace. Molte delle persone che sono venute dall’est del Paese e dal sud del Paese sono venute a piedi, camminando per diversi giorni… Hanno camminato fino a 150 chilometri a piedi per essere presenti all’incontro con il Papa. Il messaggio di pace lanciato dal Papa alla popolazione centrafricana è stato accolto con entusiasmo e credo germoglierà e porterà frutti di pace, di riconciliazione, di perdono al popolo centrafricano.

D. – La folla ha avuto coraggio e ha superato la paura delle misure di sicurezza. Ne è rimasto sorpreso?

R. – No, parce que la population centrafricaine attendait de long date…
No, perché la popolazione centrafricana attendeva da lungo tempo questa visita. La paura del popolo riguardava i tentativi dell’ultimo minuto per impedire al Papa di venire, ma il suo coraggio e la sua determinazione ci hanno confortato. E noi gli diciamo sinceramente: “Grazie!”.

D. – Quindi, i centrafricani sono pronti ad accogliere questo appello al perdono, ma anche all’amore dei nemici e all’interruzione della spirale di violenza?

R. – Les centrafricains sont prêts à entendre ce message…
I centrafricani sono pronti ad ascoltare questo messaggio. E penso che le attese del popolo centrafricano proseguano al di là del messaggio del Papa che ci ha rivolto. Bisogna d’ora in poi creare le condizioni perché questa pace diventi una realtà per il popolo africano.

D. – C’è qualcosa che vuole aggiungere?

R. – Nous disons sincèrement merci au Saint Père...
Noi diciamo sinceramente grazie al Santo Padre per questa sua sollecitudine fraterna e pastorale.

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Il Papa apre Porta Santa a Bangui: misericordia vince odio e vendetta

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Non a Roma ma a Bangui, in una delle tante periferie del mondo e con alcuni giorni di anticipo rispetto alla Chiesa universale, Papa Francesco ha inaugurato, nella Repubblica Centrafricana, il Giubileo della Misericordia. Il Santo Padre ha aperto la Porta Santa e poi è entrato per primo nella Cattedrale di Bangui, dove ha celebrato la Messa. Nel corso della liturgia, il Pontefice ha scambiato il segno della pace con l’imam di Bangui e il rappresentante locale degli evangelici. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

“Bangui diviene la capitale la spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore”. 

Con queste parole Papa Francesco ha aperto la Porta Santa nella cattedrale di Bangui. Il Pontefice ha chiesto amore e pace anche nella lingua locale. 

Dio guarisce l'uomo
Ha “il sapore dell’amore” l’apertura della Porta Santa nella Repubblica Centrafricana, cuore dell’Africa afflitto da una sanguinosa guerra civile, non di religione, alimentata da odio e da violenze. E’ un popolo, quello abbracciato dal Papa, lacerato da una disperazione che ad alcuni non concede “nemmeno la forza di agire”. Quello che resta - afferma il Papa - è solo l’attesa di un’elemosina nella speranza di ricevere cibo, giustizia e bontà. Ma la forza e la potenza di Dio – ricorda il Santo Padre - “guariscono l’uomo, lo fanno rialzare e lo rendono capace di cominciare una nuova vita passando all’altra riva”: 

“Dobbiamo perciò essere consapevoli che questo passaggio all’altra riva non si può fare se non con Lui, liberandoci dalle concezioni della famiglia e del sangue che dividono, per costruire una Chiesa-Famiglia di Dio, aperta a tutti, che si prende cura di coloro che hanno più bisogno”.

Siate testimoni dell'infinita misericordia del Padre
Per costruire questa Chiesa le fondamenta – osserva Francesco – sono la prossimità e lo spirito di comunione: 

“Non è prima di tutto una questione di mezzi finanziari; basta in realtà condividere la vita del popolo di Dio, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15), essendo testimoni dell’infinita misericordia di Dio”.

Il Signore avrà l'ultima parola
L’amore per i nemici – afferma Papa Francesco – “premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine”. Il Signore è amore e i cristiani – aggiunge – “sono chiamati a dare testimonianza di questo Dio” soprattutto dove regnano violenza, odio, ingiustizia e persecuzione. “La potenza dell’amore non arretra davanti a nulla”. Il Signore è più forte di tutto e anche quando le forze del male si scatenano – spiega il Santo Padre –  “Dio avrà l’ultima parola”. “E questa parola sarà d’amore”. Quindi si rivolge a quanti alimentano guerre e violenze: 

“A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace”.

Si incarni il cuore di Dio
Il Pontefice si rivolge infine ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai laici impegnati ad annunciare il Vangelo nella Repubblica Centrafricana. In questo Paese dal nome così suggestivo, chiamato a scoprire “il Signore come vero Centro di tutto ciò che è buono”, la vocazione – conclude - è di incarnare “il cuore di Dio”.

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Papa a giovani: siate coraggiosi nel perdono, nell'amore e nella pace

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Conclusa la Messa nella Cattedrale di Bangui, Papa Francesco ha dato avvio alla Veglia di Preghiera dei giovani dedicata alla Misericordia. Dopo il suo discorso, tutto a braccio, incentrato sulla forza del perdono per diventare costruttori di pace, il Pontefice ha amministrato il Sacramento della Riconciliazione ad alcuni giovani. L’intervento del Papa è stato preceduto dalla testimonianza di un ragazzo che ha parlato della volontà della gioventù centrafricana di superare le divisioni per un futuro di pace e prosperità. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Misericordia è l’amore di un Padre che sempre perdona. E così, con un gesto che parla più di tante parole, Papa Francesco ha confessato alcuni giovani centrafricani, quando ormai il sole era già tramontato. Un momento fortemente simbolico che ha dato l’avvio alla Veglia di preghiera dei ragazzi centrafricani, giovani di una comunità ferita dalla violenza che cerca e chiede perdono. Proprio sul perdono e il coraggio di amare e edificare la pace si è incentrato il discorso del Papa in questo momento di preghiera dedicato alla Misericordia. Come già nell’incontro con i giovani del Kenya e dell’Uganda, Francesco ha messo da parte il testo preparato per parlare a braccio dialogando con i ragazzi presenti.

Abbiate il coraggio di lottare per il bene
Il Papa ha svolto la sua riflessione partendo dall’immagine dell’albero di banane, scelta dai ragazzi centrafricani come loro simbolo, una pianta forte e resistente, “simbolo di vita”:

“E’ necessario resistere, avere il coraggio della resistenza, della lotta per il bene! Chi fugge non ha il coraggio di dare vita”.

“Ma come si fa per resistere?”, si è domandato Francesco. Innanzitutto, ha detto, bisogna pregare, perché “la preghiera vince il male” e “avvicina a Dio”. Secondo, ha proseguito, bisogna “lavorare per la pace”. E la pace, ha soggiunto, “non è un documento che si firma e rimane lì: la pace si fa tutti i giorni!”.

Niente odio, molto perdono per far vincere l’amore
“La pace – è stata la sua esortazione – è un lavoro artigianale, si fa con le mani! Si fa con la propria vita”. Ma come dunque un giovane centrafricano può diventare artigiano di pace?”:

“Primo: non odiare mai. E se uno ti fa il male, cerca di perdonare. Niente odio! Molto perdono! Lo diciamo insieme: niente odio, molto perdono? E se tu non hai odio nel tuo cuore, se tu perdoni, sarai un vincitore. Perché sarai vincitore della battaglia più difficile della vita, vincitore nell’amore. E attraverso l’amore viene la pace”.

Francesco ha ribadito che “soltanto si vince sulla strada dell’amore” che può portare fino a perdonare il nemico, quello che “ci ha fatto del male”. L’amore, ha ribadito, mai ci farà sconfitti. “Fuggire, andarsene lontano – ha ripreso – non è una soluzione”.

Fidatevi di Dio, siate artigiani di pace
Voi, ha detto ancora, “dovete essere coraggiosi”, “coraggiosi nel perdono, coraggiosi nell’amore” e “nel fare la pace”. Quindi, Francesco ha messo l’accento sul significato dell’apertura della Porta Santa della Cattedrale di Bangui:

“Oggi abbiamo aperto questa Porta. Questo significa la ‘Porta della Misericordia di Dio’. Fidatevi di Dio! Perché Lui è misericordioso, Lui è amore, Lui è capace di darci la pace. E’ per questo vi ho detto all’inizio di pregare: è necessario pregare per resistere, per amare, per non odiare, per essere artigiano di pace”.

Il Papa ha dunque concluso il suo discorso incoraggiando i giovani ad avere il cuore disposto a pregare, a resistere, a lottare per la pace e per la riconciliazione.

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Papa: troppa sofferenza per il Centrafrica, cristiani siano uniti

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Il popolo centrafricano soffre da troppo tempo, per questo annunciare uniti il Vangelo è ancora più urgente: così il Papa durante l’incontro con le comunità evangeliche di Bangui. Il servizio di Sergio Centofanti

In Centrafrica c’è spirito di reciproco rispetto e collaborazione tra le varie confessioni cristiane e il Papa esprime il suo apprezzamento perché “la divisione dei cristiani è uno scandalo” – afferma – ed è uno scandalo soprattutto “davanti a tanto odio e tanta violenza che lacerano l’umanità”. L’incoraggiamento del Pontefice è a proseguire su questa strada dell’unità in nome del comune Battesimo:

“Da troppo tempo il vostro popolo è segnato dalle prove e dalla violenza che causano tante sofferenze. Ciò rende l’annuncio evangelico ancora più necessario e urgente. Perché è la carne di Cristo stesso che soffre nelle sue membra predilette: i poveri del suo popolo, i malati, gli anziani e gli abbandonati, i bambini che non hanno più i genitori o che sono lasciati a sé stessi, senza guida e senza educazione. Sono anche tutti coloro che la violenza e l’odio hanno ferito nell’anima o nel corpo; coloro che la guerra ha privato di tutto, del lavoro, della casa, delle persone care”.

Dio – ha proseguito il Papa - non fa differenze tra coloro che soffrono:

“Ho spesso chiamato questo l’ecumenismo del sangue. Tutte le nostre comunità soffrono indistintamente per l’ingiustizia e l’odio cieco che il demonio scatena; e vorrei in questa circostanza esprimere la mia vicinanza e la mia sollecitudine verso il Pastore Nicolas, la cui casa è stata recentemente saccheggiata e incendiata, come pure la sede della sua comunità”.

Ed è in questo contesto difficile – sottolinea il Papa – che i cristiani sono chiamati a manifestare a tutti la tenerezza, la compassione e la misericordia di Dio:

“Tale comune sofferenza e tale comune missione sono un’occasione provvidenziale per farci progredire insieme sulla via dell’unità; e ne sono anche un mezzo spirituale indispensabile. Come il Padre rifiuterebbe la grazia dell’unità, benché ancora imperfetta, ai suoi figli che soffrono insieme e che, in diverse circostanze, si dedicano insieme al servizio dei fratelli?”.

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Il Papa visita l'ospedale pediatrico di Bangui

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Prima di arrivare nella cattedrale per l’apertura della Porta Santa, il Papa ieri pomeriggio ha fatto una breve sosta in un ospedale pediatrico di Bangui e ha portato in dono per i piccoli malati alcuni scatoloni di medicine messe a disposizione dall'ospedale "Bambin Gesu'" di Roma. Lo ha reso noto padre Federico Lombardi, citato dalle agenzie Ansa e Agi. La sosta non era prevista nel programma ufficiale.

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Don Mathieu Bondobo: centrafricani hanno sentito il Papa molto vicino

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Papa Francesco ha lasciato un messaggio molto forte a un Centrafrica ancora ferito dalle violenze. Ma quali sono le parole chiave che hanno toccato il popolo centrafricano? Sergio Centofanti lo ha chiesto a don Mathieu Bondobo, rettore della Cattedrale di Bangui, che ha tradotto tutti i discorsi del Pontefice in lingua sango: 

R. – Due parole molto importanti: la pace e la misericordia. Il Santo Padre ha insistito tantissime volte su queste due cose, perché per arrivare alla pace bisogna passare attraverso la misericordia. Ma ce n’è anche una terza: la giustizia. Queste sono le parole chiave che rimangono.

D. – Quali sono stati i momenti più significativi di questa visita del Papa in Centrafrica?

R. – Diciamo praticamente tutto il viaggio! La grande celebrazione eucaristica nello stadio; ma non bisogna dimenticare l’appuntamento di questa mattina alla Moschea centrale. Quello è stato un momento veramente bello! Una grande gioia! Lì si è visto che è tutto un popolo che ha accolto il Santo Padre: non solo i cristiani, ma tutto un popolo. E poi l’apertura della Porta Santa, ieri alla cattedrale. Questo è anche un evento storico molto forte e anche molto bello per tutti noi centrafricani.

D. – La gente del Centrafrica cosa ha provato per questo viaggio?

R. – La gente del Centrafrica ha sentito un Papa molto vicino, un Papa che conosce la sua storia, un Papa che lo vuole aiutare. Ora c’è un nuovo inizio per noi. E’ una nuova pagina che stiamo scrivendo con Dio, come ci ha detto il Santo Padre.

D. – Ora il popolo del Centrafrica ha più speranza?

R. – Questa speranza comincia già a realizzarsi. La speranza non è solo un qualcosa da aspettare: stiamo vivendo già i frutti di questa speranza in questo viaggio.

D. – Il Papa ha parlato del coraggio del perdono. Don Mathieu, tu hai avuto un fratello ucciso in questa guerra civile…

R. – Diciamo che queste sono delle cose difficili a livello umano…. La situazione che stiamo vivendo umanamente è molto difficile ed è molto difficile per uno che ha perso il fratello, che ha perso la propria casa, che ha perso il proprio lavoro, perdonare il proprio nemico. Umanamente è una cosa molto difficile! Ma bisogna vedere questo anche alla luce della fede: nostro Signore dalla Croce ha dato il perdono. Il Papa anche lo ha detto: è nella sofferenza, è nei momenti difficili, nella violenza che noi cristiani dobbiamo dare testimonianza della nostra fede. Perché Dio è con noi e con Lui possiamo passare all’altra riva.

D. – E tu, don Mathieu, hai perdonato...

R. – Ho perdonato … ho perdonato…

D. – I centrafricani avranno il coraggio di perdonare?

R. – Siamo nell’Anno Giubilare: l’Anno Santo è iniziato. Il cammino del perdono è cominciato ieri. Dico solo questo: dopo la celebrazione con il Santo Padre, noi sacerdoti siamo rimasti a confessare tutta la notte. C’era una fila lunga di persone che venivano a confessarsi… E questo è un gesto concreto del perdono che è già iniziato.

D. – Don Mathieu, tu hai tradotto tutte le parole del Papa in sango. E’ stato difficile?

R. – Non è stato difficile. Per me è stato un piacere e ancora più che un piacere è stata una grazia per me tradurre le parole del Santo Padre al mio popolo. Ho cercato, con l’aiuto di Dio, di dare il mio meglio, affinché queste parole potessero raggiungere ogni centrafricano ovunque si trovasse.

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Papa a Bartolomeo I: nessun ostacolo a comunione eucaristica

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Nell’odierna festa di Sant’Andrea, Patrono della Chiesa ortodossa, il Papa al termine della Messa celebrata nel campo sportivo di Bangui ha rivolto un augurio speciale al Patriarca ecumenico Bartolomeo, al quale ha inviato anche un messaggio, che è stato letto stamani nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Fanar dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che ha ha guidato una delegazione della Santa Sede nell’ambito del tradizionale scambio di visite per le rispettive feste dei Santi Patroni, Pietro e Paolo il 29 giugno a Roma e Andrea il 30 novembre ad Istanbul. Il servizio di Roberta Gisotti 

“Da qui dal cuore dell’Africa, vorrei rivolgermi al mio carissimo fratello Bartolomeo Patriarca ecumenico. Gli faccio gli auguri di felicità, di fraternità, e chiedo al Signore che benedica le nostre Chiese sorelle”

Francesco esprime poi – nel messaggio autografo – “fraterno affetto e vicinanza spirituale” all’arcivescovo di Costantinopoli, in “profonda comunione di fede e di carità”.

 “Il mondo oggi ha grande bisogno di riconciliazione – scrive Francesco – specie alla luce di cosi tanto sangue versato nei recenti attacchi terroristici. Possiamo noi accompagnare le vittime con la nostra preghiera e rinnovare il nostro impegno per una pace duratura promuovendo il dialogo tra fedi religiose”, poiché “l’indifferenza e la mutua ignoranza possono solo portare sfiducia e sfortunatamente anche conflitti”.

“Per progredire il nostro cammino verso la piena comunione”, osserva Francesco, “dobbiamo continuare a trarre ispirazione dal gesto di riconciliazione e di pace” di Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, che 50 anni fa il 7 dicembre del 1965 firmarono la Dichiarazione comune Cattolica-Ortodossa, con la quale si cancellavano le scomuniche del 1054.

Anche se da allora non tutte le differenze tra le due Chiese sono state annullate, osserva Francesco, “avendo ripristinato relazioni di amore e fraternità, in uno spirito di reciproca fiducia, rispetto e carità, non ci sono più impedimenti alla comunione eucaristica, che non può arrivare che attraverso la preghiera, la purificazione dei cuori, il dialogo e l’affermazione della verità”.

Francesco complimenta Bartolomeo, “testimone esemplare per i cattolici” per la sua particolare “sensibilità”, “consapevolezza” e “fervente impegno” per la salvaguardia del Creato, indicando quale “segno di speranza” la celebrazione comune della Giornata di preghiera per la cura del Creato, il primo settembre, seguendo la lunga esperienza del Patriarcato ecumenico.

Preghiere, il Papa chiede infine a Bartolomeo e a tutti i fedeli ortodossi per il Giubileo straordinario della Misericordia, assicurando a sua volta le preghiere per gli eventi che saranno celebrati quest’anno nella Chiesa ortodossa, specie per il Grande Sinodo Panortodosso.

 

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Nomine episcopali di Francesco in Croazia, Uganda e Colombia

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Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Ordinariato Militare per la Croazia, presentata da Mons. Juraj Jezerinac, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo Ordinario Militare per la Croazia, il Rev.do Mons. Jure Bogdan, del clero dell’arcidiocesi di Split-Makarska, finora Rettore del Pontificio Collegio Croato di San Girolamo a Roma.

In Uganda, il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Hoima il Rev.do Vincent Kirabo, Docente al St. Mary’s National Major Seminary Ggaba, a Kampala.

In Colombia, il Papa ha trasferito Mons. Luis Alberto Cortés Rendón, finora Vescovo di Vélez, all’ufficio di Vescovo Ausiliare di Pereira, assegnandogli la sede titolare di Fidoloma.

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Processo in Vaticano rinviato al 7 dicembre

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E’ stata rinviata al 7 dicembre alle 9.30 l’udienza in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati nei confronti di mons. Angel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio e i giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi. Questa mattina, davanti agli imputati tutti presenti, è stata accolta la richiesta di rinvio del legale della Chaouqui, l’avvocato Laura Sgrò nominata il 27 dicembre difensore di fiducia, come precisa una nota della Sala Stampa Vaticana. Sono stati invocati i termini a difesa per studiare gli atti della causa. Oggi era previsto l'interrogatorio di mons. Lucio Vallejo Balda e successivamente della stessa Chaouqui la quale, conversando con i giornalisti, ha respinto ogni accusa ribadendo “che non ci sono prove nei suoi confronti”. La difesa di Francesca Immacolata Chaouqui avrà tempo fino al 5 dicembre per depositare eventuali atti o richieste di testimoni. 

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Don Serretti: Misericordia lega in modo speciale Wojtyla e Bergoglio

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“Occorre che la Chiesa del nostro tempo prenda più profonda e particolare coscienza della necessità di render testimonianza alla misericordia di Dio”. E’ uno dei passaggi chiave dell’Enciclica Dives in Misericordia, che San Giovanni Paolo II firmava il 30 novembre di 35 anni fa. Su questo documento particolarmente attuale e su quanto la misericordia leghi Karol Wojtyla e Jorge Mario Bergoglio, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo don Massimo Serretti, docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense: 

R. – Il titolo stesso della Dives in Misericordia richiama il passaggio della Lettera di San Paolo agli Efesini in cui si parla di "Dio ricco di misericordia". Nel linguaggio di San Paolo Dio sta a significare il Padre, quindi il riferimento è al Padre. Infatti, il Padre è particolarmente legato con il mistero di questa virtù della Misericordia, perché il Padre è colui che dà la vita per definizione. E quindi nella vita, nel dar la vita, si dimostra il suo amore: l’amore e il dare la vita sono il cuore della Misericordia. Il punto che muove Giovanni Paolo II è la visione della dignità dell’uomo, quindi è una visione positiva a cui si associa poi per contrasto la visione del fatto che questa dignità è attentata, minacciata e quindi c’è una miseria, perché quando si parla di Misericordia c’è sempre di mezzo la miseria. Lui parla di una dignità sciupata, di una dignità perduta e quindi questo documento doveva servire ed è servito per invitare tutta la Chiesa in maniera rinnovata a portare la Misericordia, non la Misericordia propria, ma la Misericordia di un altro. Questo è il paradosso cristiano: il cristiano porta la Misericordia di un altro perché la propria non sarebbe sufficiente, infatti il cuore della miseria dell’uomo è il peccato. L’uomo stesso non può rispondere, non può sanare questa miseria dell’altro uomo. Per questo, l’invito di Giovanni Paolo II è a portare a tutti la Misericordia di Dio.

D. – “Misericordiosi come il Padre” è anche il motto del Giubileo. Come l’Enciclica di Giovanni Paolo II Dives in misericordia si lega con il Giubileo voluto da Papa Francesco che sta per iniziare?

R. – Il legame lo pone Papa Francesco stesso nella sua bolla di indizione, Misericordiae vultus, quando si rifa in maniera esplicita a questa Enciclica di San Giovanni Paolo II e la presenta come un testo, un insegnamento fondamentale. Riporta un’espressione di Giovanni Paolo II dove lui dice che questa testimonianza della Misericordia è dettata dall’amore verso l’uomo, verso tutto ciò che è umano. E questa profonda compassione, questo profondo senso e necessità di sanare e sollevare l’umanità che cade, questo è un tratto che lega chiaramente questa enciclica all’Anno della Misericordia.

D. – Si può dire che la Misericordia è un anello che lega in modo speciale le figure e i Pontificati di Giovanni Paolo II e Francesco?

R. – Sicuramente. Passando attraverso Benedetto XVI, questi ultimi Pontefici che noi abbiamo conosciuto sono campioni da questo punto di vista della carità e della Misericordia. Di fronte, cioè, ad un mondo che diventa sempre più spietato, in cui non c’è più capacità di perdono, non c’è più capacità di accoglienza profonda dell’altro, questi uomini con sensibilità diverse ma con modalità che in realtà sono molto affini  - se si va a vedere la biografia, anche il tratto nascosto di questi Pontefici - ci si accorge che l’azione del raccogliere l’uomo nel suo punto di massima caduta, questa è un’azione che contraddistingue il Ministero di Pietro sicuramente in maniera particolare, distintiva, in questi ultimi Pontificati che abbiamo conosciuto.

 

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Card. Filoni: in aumento quanti non conoscono Cristo

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“Quelli che non conoscono Cristo aumentano di numero. Su 7 miliardi, i cattolici sono 1 miliardo e 254 milioni, il 17,7% della popolazione mondiale. D’altronde, il numero dei battezzati in genere aumenta in molte parti dei territori missionari. L’aumento più forte si registra in Africa. Nel 2005 erano 153 milioni e nel 2013 erano saliti a 206 milioni, +34% di aumento, invece in America +10,5%, in Asia +17,4%”. Sono alcuni dati citati dal card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Cep), nella sua relazione all’apertura della XIX Assemblea plenaria della Congregazione, che si tiene da oggi al 3 dicembre presso l’Auditorium Giovanni Paolo II della Pontificia Università Urbaniana. I lavori dell’Assemblea - riferisce l'agenzia Fides - sono oggi presieduti dal card. Giovanni Battista Re, in quanto il card. Filoni sta accompagnando il Santo Padre nalla sua visita pastorale in Africa. La relazione del cardinale Prefetto è stata letta dal Segretario del Dicastero Missionario. mons. Savio Hon Tai-Fai.

Il ruolo delle Pontificie Opere Missionarie
Proponendo un’ampia panoramica degli ultimi sei anni trascorsi dalla precedente Assemblea plenaria, riguardo alle attività svolte dalla Cep ed alla vita delle Chiese dei territori di missione, il card. Prefetto ha evidenziato tra l’altro la crescita delle circoscrizioni ecclesiastiche affidate alla Cep: da 1.094 nel 2009 alle attuali 1.111. “Per raggiungere gli scopi ad essa assegnati, la Congregazione si avvale delle Pontificie Opere Missionarie (Propagazione della Fede. S. Pietro Apostolo, Santa Infanzia, Unione Missionaria)” ricorda il cardinale, sottolineando che “la validità ancora attuale delle Pom è il fatto che esse lavorano come una grande rete a livello internazionale, nazionale (sono opere poste sotto la responsabilità delle Conferenze Episcopali), diocesano e parrocchiale”.

Le attività degli organismi dipendenti dal Dicastero Missionario
Il Prefetto del Dicastero Missionario ha quindi illustrrato l’attività degli organismi dipendenti dalla Cep in servizio alle missioni: la Pontificia Università Urbaniana, con 4 facoltà e 110 Istituti affiliati di oltre 40 nazioni per circa 12.000 studenti; la Fondazione Domus Urbaniana e Collegio Urbano, che offre ospitalità ai chierici inviati a Roma per frequentare corsi universitari; il Collegio Urbano, che funge come Seminario Maggiore e ospita circa 155 seminaristi provenienti da una trentina di diocesi; la Fondazione Domus Missionalis che si prende cura di 4 Collegi: il Pontificio Collegio di San Pietro Apostolo con 165 sacerdoti-studenti, il Pontificio Collegio di San Paolo Apostolo con 195 sacerdoti-studenti, il Collegio “Mater Ecclesiae” per 120 suore-studentesse e il Collegio San Giuseppe per 24 sacerdoti-professori che partecipano ai programmi semestrali di aggiornamento. Tutti e cinque i Collegi accolgono oltre 650 studenti provenienti da più di 100 nazioni. Infine da ricordare il Centro Internazionale di Animazione Missionaria (Ciam) che promuove numerosi corsi di formazione per la Missio ad Gentes.

Luci ed ombre e priorità nei singoli continenti
Al termine della sua ampia relazione, dopo aver evidenziato alcune “luci ed ombre” dei singoli continenti, il Prefetto del Dicastero Missionario ha indicato le principali priorità. In primo luogo “la prima evangelizzazione nelle aree di missione e l’animazione missionaria nelle Chiese di antica costituzione”, che costituiscono “un binomio inscindibile e vitale”. Desta poi preoccupazione il diffondersi della mentalità consumistica, che “frena l’entusiasmo, addormenta le coscienze, spegne le vocazioni”.

Altro aspetto prioritario: l’impegno per la formazione 
“Oggi nelle giovani Chiese vi sono 344 Seminari maggiori con un totale di 26.836 seminaristi maggiori; e 402 seminari minori con un totale di 48.727 seminaristi minori, accompagnati da 2.122 formatori. La Cep è impegnata ad assicurare, anche attraverso un ingente impegno economico, la preparazione di rettori, direttori spirituali, formatori e docenti”. Riguardo poi all’inculturazione della fede e al dialogo inter-religioso, “la Cep è persuasa del valore di incarnare la fede nelle culture e del dialogo tra le diverse fedi, ma è altrettanto convinta del fatto che occorra vigilare per evitare che venga falsificata o annacquata l’immagine della persona di Gesù e del suo messaggio”.

Rischi per l'evangelizzazione: nazionalismo, tribalismo, castismo e proliferazione delle sètte
“Altra ragione di preoccupazione per l’evangelizzazione sono eccessi abbastanza frequenti di nazionalismo, di tribalismo e castismo – sottolinea il card. Filoni -. Le differenze tra comunità e tribù, invece che essere lette come possibilità di arricchimento, vengono interpretate come ragione di contrapposizione”. Infine un’altra grave sfida è la proliferazione delle sètte, che “prendono piede in tutti i Continenti, raggiungendo le città, ma anche i villaggi sperduti, distruggendo quanto, con fatica e zelo pastorale, è stato seminato dai missionari e successivamente dalle giovani Chiese”. (S.L.) 

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Il Papa invita i poveri all’anteprima del film “Chiamatemi Francesco”

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Verrà proiettato domani nell’Aula Paolo VI in Vaticano il film “Chiamatemi Francesco”, prodotto da Taoduefilm e distribuito da Medusa, che uscirà nelle sale cinematografiche il prossimo 3 Dicembre.

Poveri e senzatetto all’anteprima di “Chiamatemi Francesco”
A questa eccezionale anteprima – informa un comunicato dell’Elemosineria Apostolica – “il Santo Padre ha voluto invitare i poveri, i senzatetto, i profughi, le persone più bisognose insieme ai loro volontari, religiosi e laici, che operano quotidianamente nella carità”. Pertanto, “tutti i 7.000 biglietti disponibili sono stati riservati esclusivamente ai poveri e ai volontari e distribuiti attraverso le parrocchie, le associazioni e le varie realtà caritative della città di Roma e Provincia”.

Al termine della proiezione, una “cena al sacco” per i poveri
Prima della proiezione del film, prosegue la nota, “la Banda Musicale della Guardia Svizzera Pontificia offrirà, come dono a tutti questi ospiti d’onore, l’esecuzione di alcuni brani musicali”. Molte Guardie Svizzere, si ricorda, “svolgono alla sera, nel loro tempo libero, un servizio di volontariato verso i senzatetto”. Seguirà una breve presentazione e un saluto del regista Daniele Luchetti e di alcuni attori protagonisti. “Al termine della proiezione – conclude il comunicato – verrà offerto a tutte le persone bisognose un sacchetto per una cena al sacco, contenente alcuni prodotti donati appositamente per l’occasione da alcuni benefattori”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, Nella capitale spirituale del mondo. Papa Francesco conclude il viaggio in Africa dopo aver aperto la porta santa della cattedrale di Bangui. E durante la visita alla moschea invita cristiani e musulmani a unirsi nel rifiuto di odio e violenza.

Sotto l'editoriale del direttore, "Sulla strada della pace"

Ampio spazio è dedicato ai discorsi e alle omelie del Papa durante il suo viaggio, in una foliazione per l'occasione estesa a dodici pagine

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Oggi in Primo Piano



Parigi, aperta Cop21. Obiettivo: ridurre i gas inquinanti

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Si è aperta oggi a Le Bourget, nel nord Parigi Cop21, la Conferenza Onu sul clima. Centocinquanta tra capi di Stato e di governo saranno impegnati in due settimane di negoziati, con l’obiettivo giungere a un accordo vincolante sulle emissioni inquinanti, di fissare dei vincoli sui combustibili fossili e determinare le regole attraverso cui i Paesi più ricchi dovranno sostenere, con 100 miliardi di dollari, gli sforzi dei Paesi in via di sviluppo. Da Parigi, il servizio di Francesca Pierantozzi

Lasciare alle generazioni future un pianeta libero dal terrore e preservato dalle catastrofi naturali. In una Parigi a lutto per le stragi del terrorismo, si è aperta la 21.ma Conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Questa mattina il presidente francese Hollande, accanto al segretario Genarle dell’Onu, Ban Ki-moon, ha accolto i 150 capi di Stato. E’ stato Hollande ad aprire i lavori; le sue prime parole sono state un ringraziamento per il sostegno ricevuto dopo gli attacchi del 13 novembre e poi un monito a raggiungere un accordo che sia il più ambizioso possibile. Dopo il presidente francese, è toccato a Ban Ki-moon ricordare l’obiettivo da raggiungere, ovvero contenere sotto i due gradi l’aumento delle temperature del pianeta. "Un accordo sul clima - ha detto il segretario dell’Onu -servirà anche a garantire la pace e la sicurezza internazionale. Il futuro nel mondo - ha concluso rivolgendosi ai leader del pianeta - è nelle vostre mani". Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che presiede la Conferenza di Parigi, ha invitato a puntare a un accordo universale e ambizioso, ma soprattutto giuridicamente vincolante. Poi, è toccato a Barack Obama. Il presidente statunitense ha riconosciuto la responsabilità degli Stati Uniti come Paese inquinatore. Obama ha riaffermato l’obiettivo degli Usa: ridurre l’emissione dei gas a effetto serra del 26-28% entro i prossimi dieci anni. Ha citato Martin Luther King: "Non è mai troppo tardi", ha detto, precisando che per quel che riguarda i cambiamenti climatici è quasi troppo tardi, ma forse siamo ancora in tempo per invertire la tendenza.

Sulle sfide di Cop21, Elvira Ragosta ha intervistato Carlo Andrea Bollino, docente di Economia dell’energia alla Luiss di Roma: 

R. – Noi economisti siamo scettici sulla possibilità di raggiungere un accordo forte e importante, perché le posizioni rimangono distanti. Noi Paesi industrializzati abbiamo una visione di protezione del clima dalla nostra posizione di comodità e di benessere. I Paesi emergenti desiderano continuare svilupparsi e per il loro sviluppo c’è bisogno di consumare energia e quindi di entrare in conflitto con le problematiche di protezione ambientali. Queste due posizioni sono ancora distanti, occorre dirlo.

D. – I Paesi si sono già impegnati nella riduzione delle emissioni ma nello specifico cosa si deciderà a Parigi?

R. – Si dovrebbe decidere finalmente di arrivare a un accordo vincolante. Così fu il protocollo di Kyoto. Tuttavia, la nuova politica europea per il 2030 ha diluito la forza dell’impegno vincolante che devono prendere i Paesi europei e siccome i Paesi europei sono comunque – anche se solo il 10% delle emissioni mondiali – un gruppo importante non vorrei che dessero il cattivo esempio: cioè di parlare e parlare di un accordo globale senza darne gli specifici dettagli, quelli che poi rendono operativa la politica.

D. – I cambiamenti climatici producono anche disastri ecologici. Quanto pesano questi sui Paesi più poveri, sull’economia dei Paesi più poveri?

R. – Dal punto di vista morale moltissimo, perché lì ci sono popolazioni che aspirano a dignità, a essere tratte fuori dalla povertà. Del resto, l’ha detto anche il Santo Padre, tutti siamo stati colpiti dalle sue parole. Ma se dovessi fare ancora una volta l’economista scettico direi che quanto è più povero un Paese, tanto meno ha da perdere. Quindi, purtroppo la sensibilità mondiale verso le problematiche di questi Paesi è limitata.

D. – Quanto peserà sulla Conferenza Onu sul clima di Parigi l’Enciclica "Laudato si’" che Papa Francesco ha dedicato all’ambiente?

R.  – Da cristiano spero moltissimo, perché ha scosso le coscienze: dal punto di vista della "real politik", cioè della capacità dei capi di Stato di tenerne conto, ci sarà sicuramente un impatto. Il punto fondamentale è il messaggio etico: cioè, non è possibile non tenere conto del fatto che l’ambiente è il mondo in cui viviamo e questo dobbiamo rispettare. A questo penso che qualsiasi politico dovrà inchinarsi e questo sarà un merito di Papa Francesco per l’umanità.

D. – Quali sono i Paesi più inquinanti al mondo oggi?

R.  – In termini di dimensioni, Cina e Stati Uniti sono le due grandi potenze industriali che hanno la maggiore quantità di emissioni.

D. – Poi, c’è il tema dei combustibili fossili che gli esperti vorrebbero restassero sotto terra per evitare appunto di andare oltre il tetto di emissione. Che cosa si prevede sulle decisioni che si prenderanno in questa conferenza?

R. – Ci sono due modi per limitare l’apporto nocivo all’ambiente derivante dalle emissioni dei fossili. Uno è di sostituirli con fonti rinnovabili. L’altro è quello di effettuare risparmio energetico e innovazione tecnologica in maniera tale di utilizzarne di meno per soddisfare più bisogni. Noi in Europa abbiamo già fatto la nostra parte, dando il segnale con l’energia eolica e l’energia fotovoltaica. Penso che una partita importante la potranno giocare alcuni Paesi emergenti, penso alla Cina e all’India, e paradossalmente anche alcuni dei Paesi produttori di petrolio. Già in Arabia Saudita si studia l’apporto delle fonti rinnovabili, nel loro caso per avere più petrolio da esportare, ma è comunque un beneficio perché significa avere maggiore produzione di energia rinnovabile anche sul suolo e territorio dei Paesi produttori di petrolio e questa non può che essere una diversificazione tecnologia interessante per il mondo intero.

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In marcia per il clima: COP21 è sfida per il futuro

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“La COP21 non è solo un incontro sull'ambiente ma un summit che può garantire la pace tra i popoli del pianeta. Cambiamento climatico, infatti, non significa solo scioglimento dei ghiacciai, ma vuol dire anche, che se non si interviene subito, nel 2030 ci saranno 100 milioni di poveri in più. A Parigi, politica e istituzioni sono chiamate a una sfida decisiva”. Questo il commento della presidente della Camera, Laura Boldrini, che ieri pomeriggio a Roma ha partecipato alla Marcia per il clima, che si è svolta contemporaneamente in 150 nazioni nel mondo in occasione del vertice sul clima di Parigi che ha aperto oggi i lavori. Il servizio di Marina Tomarro

Il rischio dell’aumento della temperatura globale, l’uso sconsiderato dei combustibili fossili tra le cause principali dell’inquinamento e quindi la necessità di passare a un uso esclusivo di energie rinnovabili entro il 2050. Sono solo alcuni dei motivi della marcia globale per il clima. Ascoltiamo Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia:

R. – In passato, troppe volte abbiamo fatto sfuggire occasioni importanti come nei precedenti summit. Adesso, invece, a Parigi sembra che ci sia una volontà effettiva di giungere a un accordo globale e dobbiamo farlo necessariamente, perché ormai il pericolo dei cambiamenti climatici è sotto gli occhi di tutti: lo stiamo vivendo non soltanto dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico e anche dal punto di vista delle tantissime vite umane che ogni anno si perdono a causa di questi sconvolgimenti.

D. – Quali sono le richieste più urgenti?

R. – Noi dobbiamo giungere a un accordo che valga per tutti i Paesi, che parta da subito e che quindi non rinvii di continuo le azioni concrete da prendere in considerazione. E lo dobbiamo fare su alcuni temi fondamentali. Innanzitutto, dobbiamo avere un piano di uscita, almeno entro il 2050, dalle fonti fossili. Dobbiamo poi avere un piano per quanto riguarda lo sviluppo delle energie rinnovabili e il risparmio energetico, che è fondamentale. Attraverso questi due passaggi, noi riusciremo a evitare che la temperatura del pianeta si innalzi di due gradi, perché quella sarebbe veramente una catastrofe per tutti.

E migliaia i cittadini e le associazioni che hanno deciso di scendere in piazza e far sentire la loro preoccupazione per la salute precaria del pianeta. Ascoltiamo alcuni commenti:

R – Noi siamo qui per testimoniare che è necessario un patto vincolante per la riduzione dei gas serra, perché se non salviamo il pianeta, non si salva nessuno.

R. – Perché dobbiamo impegnarci per non far andare a rotoli questo pianeta. Alcuni di noi vengono dalla Basilicata, una terra che in quanto a devastazioni ambientali ha già dato tanto finora. Vorremmo che per il futuro le cose cambiassero. Continuare, infatti, perseverare con lo sfruttamento delle fonti fossili, non è il futuro, assolutamente no.

R. – "Greenpeace Italia" è qui, perché oggi è una giornata fondamentale, che si inserisce in due giorni di mobilitazione globale. Oggi marciamo per noi, marciamo per fare arrivare un messaggio ai leader riuniti a Parigi, marciamo anche per tutti i cittadini francesi che per motivi di sicurezza hanno visto la loro manifestazione cancellata.

D. – In che modo si può educare proprio alla salvaguardia dell’ambiente?

R. – Con l’informazione fin dall’inizio, fin dalle scuole, e con l’esempio, direi.

R. – Noi della Focsiv, la Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario, partecipiamo alla manifestazione perché stiamo facendo il pellegrinaggio – anzi, l’abbiamo terminato – da Roma a Parigi. Siamo qui perché siamo ispirati dalle parole di Papa Francesco. Prendendo quindi spunto da lui, abbiamo fatto questo pellegrinaggio: “Una Terra, una famiglia umana”. La famiglia umana ha un’unica grande casa ed è giunta l’ora che tutti noi si sia consapevoli di questo e si incominci veramente con comportamenti di cura e non di depredazione della natura. I primi a rimetterci poi, tra l’altro, siamo noi e di noi i più poveri.

R. – Noi rappresentiamo una ong, il "Cies Onlus", il Centro informazione ed educazione allo sviluppo, da sempre impegnata per sensibilizzare sui rapporti tra il Nord e il Sud del mondo. Ci siamo impegnati a sensibilizzare soprattutto il mondo della scuola, ma in generale la società civile, su come i problemi legati al cambiamento climatico e anche all’emigrazione siano in definitiva dei problemi di giustizia ambientale.

D. – Cosa vi aspettate dalla Conferenza climatica di Parigi?

R. – Speriamo in un risultato che sia veramente significativo. Speriamo che la comunicazione che viene da questa piazza, da tante altre piazze, venga ascoltata.

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Israele sospende contatti con Ue, scontro su prodotti Territori

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Israele sospende i contatti diplomatici con le istituzioni Ue e rivede il loro coinvolgimento per quanto riguarda il processo di pace con i palestinesi. La misura è stata formalizzata ieri dal premier israeliano, Benyamin Netanyahu, a quasi tre settimane dalla decisione di Bruxelles di dare avvio alle etichettature dei prodotti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e sulle Alture del Golan. Congelato anche un incontro su progetti di sviluppo dell'area della Cisgiordania sotto controllo amministrativo e militare israeliano. Marco Guerra ne ha parlato con Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze: 

R. - La decisione è dovuta anche ad una reazione - per certi versi - futile, perché il processo di pace da cui l’Unione Europea ora sarebbe esclusa è assolutamente fermo - per non dire morto - e quindi la cosa non ha alcuna rilevanza. Semmai è una reazione politica di ripicca e di rivalsa, che non ha alcun effetto determinato, perché i singoli Paesi mantengono normalissime relazioni con Israele. Da un punto di vista politico il gesto più importante non è stato notato: all’indomani dell’annuncio dell’Unione Europea sull’etichettatura, il presidente della Repubblica Rivlin, che doveva compiere il 2 dicembre una visita al Parlamento Europeo, l’ha annullata. Nella riunione di gabinetto di ieri, Netanyahu, oltre ad annunciare questa misura contro l’Unione Europea, ha rievocato in toni assolutamente positivi la data del 29 novembre 1947, quando l’Assemblea dell’Onu decise la spartizione della Palestina e quindi diede l’avvio al processo che portò alla nascita di uno Stato Ebraico in terra di Israele. Lo ha ricordato in termini molto positivi, ma ha dimenticato che quella stessa mozione creava uno Stato arabo palestinese e addirittura una enclave internazionale per Gerusalemme.

D. – Molti commentatori dicono che è un momento complesso per il governo israeliano…

R. – Stanno perdendo il contatto con la realtà internazionale: Israele è sempre più isolato, anche se ancora i maggiori attori non glielo hanno ufficialmente comunicato. Da un punto di vista interno, il governo è estremamente coerente, perché è tirato interamente a destra dalla componente di Bennet - e non solo - e quindi Netanyahu che ha una maggioranza aggrappata ad un solo voto – 61 seggi su 120 alla Knesset – è assolutamente obbligato a seguire la sua destra estrema.

D. – Israele, però, ha detto che continua a mantenere i contatti diplomatici con i singoli Paesi europei, come Germania, Francia e Gran Bretagna. Ma questo che significa?

R. – Israele non può permettersi di sospendere i rapporti con i grandi Paesi europei e nemmeno con i piccoli! Può solo cercare di introdurre un’artificiale distinzione tra l’Unione Europea e i singoli membri. Distinzione che in alcuni casi c’è, perché non è che tutti i Paesi dell’Unione abbiano una visione univoca sulla questione. Però Bruxelles ha deciso questa misura chiaramente con il consenso di tutti i Paesi interessati: altrimenti non avrebbe potuto farlo…

D. – Ci saranno delle ripercussioni economiche per questa decisione dell’Ue o – come affermano molti analisti – per le aziende dei Territorio cambierà veramente poco?

R. – Per le singole aziende potrebbe anche cambiare parecchio, dipende dalla loro misura di esportazione verso l’Unione. Cambia poco a livello globale, perché nella torta delle esportazioni questa è una fetta relativamente piccola. Certo introduce un principio che potrebbe domani essere allargato e non solo alla merci, ma anche alle persone. Occorrerebbe un’ulteriore decisione, ma se quello che proviene dagli insediamenti - le merci - ha bisogno di una etichetta e di un passaggio anche giuridico di tipo diverso, lo stesso potrebbe essere richiesto a persone che vivono fuori da una linea che non è riconosciuta come israeliana, ma come di là da Israele. Questo tecnicamente è possibile, non so quanto sarà politicamente applicabile...

D. – L’Europa, dal canto suo, continua a dire che è una questione meramente tecnica e non politica…

R. – Io credo che sia una questione tecnica. D’altra parte se noi in Italia vendessimo merci con etichetta italiana, ma si scoprisse poi che le abbiamo comprate in Marocco o in Tunisia, qualche consumatore e anche qualche politico farebbe questa osservazione…

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Brasile. Diga cede, tonnellate di fango e veleno nell'oceano

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Mentre il presidente del Brasile Dilma Rousseff è a Parigi per COP21, la conferenza sul clima, nel suo Paese un fiume di fango tossico ha raggiunto l’Oceano Atlantico. L’esondazione della diga nel Rio Dolce avvenuta il 5 novembre scorso rappresenta il più grave disastro ambientale mai avvenuto nel Sud America. Secondo la multinazionale mineraria che gestisce la diga, la Samarco, le sostanze non sono contaminate e anche per il governo federale si tratta di un disastro naturale. Tuttavia, sono morte 11 persone e migliaia di specie animali e secondo Greepeace ci vorranno 100 anni per smaltire il danno. Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Paolo Scintu che lavora in Brasile con Istituto Terra, la Onlus fondata dal fotografo Sebastiao Salgado per riforestare proprio il territorio del Rio Dolce: 

R. – Un disastro di proporzioni enormi. L’onda di fango in pochi giorni è arrivata già all’Oceano Atlantico, quindi ha percorso diverse centinaia di kilometri. La situazione del fiume è critica, con pesci e altre specie sterminate, di fatto il Rio Doce è biologicamente morto.

D. – Il governo federale sta cercando di far passare questo avvenimento come un disastro naturale, le due multinazionali (ovvero la brasiliana Vale, il più grande produttore di ferro al mondo e l'australiana Broken Hill, la più importante società mineraria del pianeta - ndr) che insieme compongono la Samarco però continuavano a scaricare nella diga materiali di scarto delle loro estrazioni. Quali sono le loro responsabilità? Ed era annunciato questo disastro?

R. – E' un po’ complicato definire naturale questa esondazione, quando si parla di una diga. E’ evidente che ci siano dei rifiuti di un certo tipo, che hanno colorato di rosso tutta la regione Mariana solo per colpa delle estrazioni e dello sfruttamento del territorio da parte dell’uomo. Sul posto vengono effettuati dei controlli istituzionali e nei report risultava essere tutto a norma nella diga. Quindi, andrebbe divisa la responsabilità tra le multinazionali che lavorano lì e chi effettua controlli.

D. – Questo dello tsunami di fango è un fatto contingente, ma quali sono gli altri problemi ambientali in Brasile, che esistono da molti anni?

R. – I problemi ambientali sono tantissimi. Il disastro del Rio Doce non nasce oggi con la rottura delle dighe, nasce da alcune decadi principalmente a causa di una deforestazione selvaggia e un’agricoltura troppo intensiva. Con Istituto Terra abbiamo iniziato con i terreni che erano della famiglia di Sebastiao Salgado, che erano ormai bruciati e senza più alberi, e poi abbiamo continuato a lavorare proprio sulla riforestazione. Abbiamo piantato già quasi cinque milioni di alberi. Questo metodo si può riprodurre anche in altre aree del mondo, ma già espanderlo a tutta la costa del Brasile, la più popolosa, sarebbe un grandissimo risultato.

Secondo Giuseppe De Marzo, fondatore e portavoce dell’associazione "A Sud" e direttore del Centro di documentazione sui conflitti ambientali, quando delle multinazionali compiono dei danni ambientali, come nel caso della diga del Rio Doce, stanno compiendo dei danni contro l'umanità. Ai microfoni di Veronica Di Benedetto Montaccini, De Marzo ha spiegato quale cambiamento culturale ci vorrebbe per preservare l'ambiente da questi disastri: 

R. – Non è un luogo comune mettere in evidenza come i danni che continuiamo a chiamare "ambientali" ormai abbiano un impatto sociale, concreto, nelle vite delle persone e nel futuro di queste persone nel cancellare la speranza delle future generazioni. Ormai, siamo davanti a casi come questo del Brasile in più parti del pianeta, senza che vi siano voci – se escludiamo Papa Bergoglio – a ricordare alla politica e ai governi che le ingiustizie sull’ambiente sono ingiustizie sulla società.

D. – Anche l’Onu ha attaccato i ritardi nelle azioni posteriori a questo disastro. I governi come si stanno muovendo rispetto alla conservazione dell’ambiente?

R. – In questo secolo, la temperatura potrebbe aumentare dai tre ai quattro gradi e sappiamo tutti i problemi che causerebbe a metà della specie umana. La maniera migliore per contrastare tutto questo, per creare giustizia ecologica, è cambiare il modello estrattivo, il modello economico che ora è fondato solo sul principio dell’efficienza monetaria. L’etica economica contrasta con l’etica della terra. Papa Francesco ne ha parlato nell’Enciclica "Laudato si'" e già da trent’anni le popolazioni indigene e le associazioni contadine del Sud del mondo, dell’India, dell’America Latina, parlano del "debito ecologico", cioè di come una parte dell’umanità si sia arricchita sfruttando la terra a scapito di un’altra.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: ad Erbil, una tenda come Porta Santa del Giubileo

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Una tenda aperta come Porta Santa da varcare pregando per le proprie vite, per quelle dei propri cari e per l’Iraq. La comunità cattolica irachena si appresta a vivere il Giubileo della Misericordia da sfollata all’interno del proprio Paese. Come riferisce l’agenzia Sir, persa Mosul, dove i terroristi del sedicente Stato Islamico (Is) hanno cancellato una presenza più che millenaria, quasi disabitata la Piana di Ninive, dopo che l’estate scorsa 120mila cristiani furono costretti alla fuga dall’avanzata dell’Isis, la minoranza cristiana oggi conta meno di mezzo milione di fedeli, rispetto al milione e mezzo che era prima dell’invasione dell’Iraq, nel 2003, da parte degli americani e dei loro alleati. La maggior parte ora si trova nelle zone curde ritenute più sicure, a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, in particolare nel sobborgo cristiano di Ankawa. Qui sono al sicuro, ma non hanno prospettive di sorta.

Patriarca Sako: il martirio, carisma della Chiesa in Iraq
“La gente vorrebbe tornare nelle proprie città e villaggi ma ciò è semplicemente impossibile”, testimonia il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Sako che nella lettera pastorale intitolata “La Misericordia è il cammino del cristiano” esorta i fedeli a vivere il Giubileo nella memoria dei martiri come l’arcivescovo di Mosul, Paolo Faraj Rahho, i padri Raghid Ganni, Wassim e Thair e tanti fedeli che hanno perso la vita per la  loro fede. “Per noi cristiani dell’Iraq il martirio è il carisma della nostra Chiesa – spiega il Patriarca – in quanto minoranza siamo di fronte a difficoltà e sacrifici, ma siamo coscienti di essere testimoni di Cristo e ciò può significare arrivare al martirio”.

Lasciare sempre aperta la Porta della Misericordia
Per Cristo, secondo il Patriarca Sako, “bisogna andare sempre oltre, fino al sacrificio come hanno fatto i cristiani di Mosul e dei villaggi della piana di Ninive un anno fa. Sono per noi un onore e un segno di generosità. Per questo la porta della Misericordia deve essere sempre aperta!”.

19 dicembre, apertura Porta Santa a Baghdad
A Baghdad la Porta Santa sarà aperta dal patriarca Sako il 19 dicembre nella prima cattedrale del Paese, intitolata alla “Madonna Addolorata”, da poco restaurata e dove sono sepolti i patriarchi della chiesa irachena. Tanti gli eventi che la chiesa caldea ha proposto ai propri fedeli per prepararsi a vivere spiritualmente il Giubileo. Tra le iniziative future, invece, “la più importante – dice mons. Basilio Yaldo, vescovo ausiliare del Patriarcato – sarà un pellegrinaggio a Ur dei caldei, la patria di Abramo. Chiederemo misericordia per i nostri rifugiati, non solo cristiani ma anche musulmani. Offriremo penitenze per chiedere il dono della pace per tutti e faremo gesti concreti. Per esempio a Natale daremo alle nostre famiglie più bisognose una piccola somma di denaro come gesto di vicinanza. Nelle chiese del Paese verranno aperte le Porte della Misericordia, per tutti, cristiani e musulmani”. 

Necessario dialogo con musulmani per una vita in pace ed armonia
“Ho chiesto a tutti di vivere la misericordia per avere pace – sottolinea con forza il Patriarca caldeo Sako – siamo per servire tutti, cristiani e musulmani, anche questa è la nostra missione che è un impegno assoluto”. Vivere la misericordia oggi in Iraq significa “essere più attenti ai nostri fratelli e sorelle sofferenti, sfollati, emigrati, ai poveri, agli orfani e alle vedove, accompagnarli con tutto ciò che abbiamo come forza e denaro e dare loro segni di speranza. Dobbiamo mostrare amicizia, solidarietà e sostegno ai nostri fratelli musulmani, collaborare con loro per una vita in pace e in armonia. La nostra sofferenza comune diventa allora una forza affinché passi la tempesta”.

13 dicembre, apertura Porta Santa ad Erbil
Ne sanno qualcosa le decine di migliaia di sfollati cristiani che vivono a Erbil. L’arcivescovo caldeo Bashar Matti Warda, aprirà la Porta Santa nella cattedrale di san Giuseppe, nel sobborgo cristiano di Ankawa, il 13 dicembre. “In questi mesi – racconta – abbiamo intrapreso un cammino di preparazione con tanti nostri fedeli rifugiati. Ogni settimana quattro ore di formazione. Essi hanno bisogno di supporto spirituale e materiale, hanno bisogno di pregare, di raccontare le loro storie, di rielaborare ciò che è accaduto per prendere coscienza della situazione in cui oggi si trovano. Hanno bisogno di tutto perché non hanno più nulla. Sono aggrappati alla fede in Cristo. Questa li sostiene e dà loro forza per andare avanti, nonostante tutto”.

Una tenda a rappresentare la Porta Santa dei cristiani sfollati
A rappresentare questa nuova condizione di vita è una tenda, l’unico riparo che hanno avuto dopo essere fuggiti. Anche se oggi in tanti vivono in piccoli appartamenti e caravan, doni delle Chiese del mondo e del Governo curdo. Per questo, rivela mons. Warda, “vorremmo ci fosse anche una tenda a rappresentare la Porta Santa della Misericordia”. Un desiderio che l’arcivescovo sta cercando di realizzare insieme a padre Douglas Al Bazi, sacerdote caldeo della diocesi, che in passato fu rapito e torturato da terroristi islamici. “Abbiamo una vocazione – ribadisce mons. Warda – testimoniare la gioia del Vangelo anche se viviamo in un Paese dilaniato dall’odio e dalla guerra. L’Anno Santo sarà un tempo di benedizioni”. (A cura di Isabella Piro)

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Filippine. Lettera vescovi per Giubileo: misericordia per i poveri

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“Genuflettersi di fronte alle famiglie povere”, non solo “per chiedere misericordia per i nostri peccati, ma anche come gesto di compassione verso le persone ferite che come noi hanno peccato”. E’ l’esortazione rivolta ai fedeli dai vescovi filippini in una lettera pastorale pubblicata in vista del Giubileo della Misericordia e del Congresso Eucaristico internazionale che si celebrerà il prossimo gennaio a Cebu, nell’ambito dell’Anno dedicato alla famiglia e all’Eucaristia indetto dalla Chiesa locale per il 2016. 

La genuflessione come gesto di umiltà e di misericordia
Il documento, firmato da mons. Socrates Villegas, presidente della Conferenza episcopale (Cbcp), sottolinea il valore della genuflessione per il rinnovamento interiore, un gesto di umiltà e di misericordia che l’attuale “cultura dello scarto” ha dimenticato. “Inginocchiarci umilmente – afferma - ci dispone a ricevere e condividere la misericordia. Ci ricorda che siamo caduti e che nella nostra caduta che ci viene perdonata, dobbiamo mostrarci reciprocamente misericordia”.

Pregare insieme per dare forza alla famiglia
​La lettera esprime anche preoccupazione per la situazione della famiglia nella Filippine che i vescovi vorrebbero “missionaria dell’Eucaristia”, ma che è oggi minacciata dal suo interno e dall’esterno. Di qui l’invito ai fedeli “ad inginocchiarsi per pregare e a praticare la lavanda dei piedi in famiglia”, aprendosi “ai miracoli dell'amore per il bene di tutte le famiglie”, come ha esortato Papa Francesco a Philadelphia. “La famiglia che si unisce in preghiera – sottolinea - rimane unita, resta giovane, fresca e si rinnova, perché genuflettersi le dà la forza di affrontare le vicissitudini della vita”. (L.Z.)

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Vescovi Mauritius: sistema economico guardi a solidarietà umana

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Coniugare la misericordia con la redditività sembra impossibile, ma non lo è: questa la riflessione pubblicata sul sito web della diocesi di Port-Louis, nelle Mauritius, in vista della prossima apertura, l’8 dicembre, del Giubileo straordinario della misericordia. “Questi due termini – si legge – sembrano contraddirsi ed annullarsi reciprocamente”, e la domanda di fondo sembra essere: “Un uomo d’affari può praticare la misericordia e, al tempo stesso, far sì che la sua impresa sia redditizia?”.
 
La società attuale non dà peso agli obiettivi etici della misericordia

Per rispondere a questo interrogativo, la Chiesa cattolica delle Mauritius sottolinea che attualmente “la logica economica e finanziaria predominante dà sempre più importanza alla massimizzazione del profitto, perché le imprese devono soddisfare i diritti dei loro dipendenti; gli investitori cercano un ritorno dai loro investimenti; i consumatori vogliono un rapporto qualità/prezzo vantaggioso”. E così “in una società in cui i valori sono diventati relativi ed i diritti più importanti dei doveri, gli obiettivi etici della misericordia non hanno peso”.
 
Costruire modello economico in nome della solidarietà umana
Di qui, il richiamo dei vescovi a quanto scrive Papa Francesco nell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, ovvero “il denaro deve servire e non governare!” (n. 58), nella consapevolezza che “la Dottrina sociale della Chiesa non è contraria agli affari, ma a favore dell’uomo”. Ed in quanto “pro-umana”, essa può “promuovere e rendere redditizie quelle imprese che assumono pienamente il loro ruolo sociale”. In tal modo, conclude la Chiesa di Port-Louis, “la misericordia non si ridurrà a chiedere perdono per il male commesso o a fare la carità nei confronti dei poveri che lo stesso sistema economico produce”, bensì la misericordia “diverrà ispiratrice di un modello economico in nome della solidarietà umana”. (I.P.)

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Canada: dichiarazione ebrei e cattolici per 50. mo Nostra Aetate

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Cinquanta anni fa, nel 1965, Papa Paolo VI promulgava la “Nostra Aetate”, la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, frutto del Concilio Vaticano II. A mezzo secolo di distanza, la Conferenza episcopale ed il Comitato dei rabbini del Canada hanno diffuso un comunicato congiunto, impegnandosi a “lavorare insieme” a quattro obiettivi.

No all’antisemitismo ed a tutte le forme di odio
Il primo è quello di “rafforzare la comprensione ed i legami tra le rispettive comunità, sostenendo il dialogo intercomunitario ed incoraggiando iniziative locali in tutto il Paese, al fine di sensibilizzare le persone sulle fruttuose relazioni tra la Chiesa cattolica e gli ebrei”. Il secondo obiettivo è quello di “opporsi all’antisemitismo ed a tutte le forme di odio che sono essenzialmente contrarie ai principi di entrambe le religioni ed al benessere di tutta la società canadese”.

Promuovere libertà religiosa e giustizia sociale
Il comunicato congiunto richiama, quindi, la necessità di “promuovere questioni di interesse pubblico relative al bene comune, in particolare quelle che esprimono i valori e l’impegno di cattolici ed ebrei in favore dell’uguaglianza, la tolleranza, la giustizia sociale, la compassione, la libertà religiosa, la dignità ed il valore inalienabile di ogni vita umana”.

Dialogo tra cattolici ed ebrei sia sempre fruttuoso
​Infine, cattolici ed ebrei canadesi sottolineano l’importanza di “incoraggiare la partecipazione sociale e la cooperazione tra i rispettivi fedeli”, affinché si possa “lavorare insieme per contribuire ai temi di pubblico interesse”. “Le comunità cattoliche ed ebraiche – conclude la nota – ringraziano Dio Onnipotente del dono di questo dialogo e pregano affinché esso sia sempre fruttuoso”. (I.P.)

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Pakistan: appello dei giuristi per abrogare legge sulla blasfemia

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In Pakistan urge abrogare la legge sulla blasfemia: lo chiede un rapporto inviato a Fides dalla “International Commission of Jurists”, organizzazione formata da oltre 60 eminenti giuristi di tutto il mondo, con sede a Ginevra. L’organizzazione ha criticato questa normativa definita “crudele” anche per le pene che prevede, l’ergastolo o la pena di morte.

Non rispettati standard internazionali su libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione
I giuristi - riferisce l'agenzia Fides - invitano il governo a “modificarla in modo sostanziale perché siano in linea con gli standard internazionali sulla libertà di espressione; la libertà di pensiero, di coscienza e di religione”, ricordando che è molto comune in Pakistan l’abuso di tale legge, usata per risolvere controversie private, su affari o proprietà. Come riporta il testo, il giudice Asif Saeed Khosa ha dichiarato: “E’ spiacevole e non può essere contestato il fatto che, in molti casi registrati per il reato di blasfemia, alla base ci sono false accuse per scopi estranei alla normativa”

Il numero di cristiani accusati è sproporzionato rispetto al numero dei musulmani 
Secondo dati della Commissione nazionale “Giustizia e pace”, 200 cristiani, 633 musulmani, 494 ahmadi e 21 indù sono stati accusati di reati relativi alla "blasfemia" dal 1987. Ma, dato che le minoranze religiose rappresentano una piccolissima percentuale della popolazione a maggioranza musulmana, “il numero di cristiani e membri di altre minoranze religiose accusati è massicciamente sproporzionato rispetto al numero di musulmani accusati, anche se il numero di musulmani accusati è nel complesso più alto”. Esaminando 25 casi di appelli presentati all’Alta Corte per blasfemia, la Corte internazionale di giustizia – osserva il rapporto – ha scoperto che nella maggior parte dei casi (60%), i ricorrenti sono stati assolti dopo che i giudici hanno stabilito che le accuse mosse contro di loro erano state “fabbricate o portate per motivi personali o politici”.

Chiesta abolizione della pena di morte per reati di blasfemia
​La Commissione dei giuristi chiede subito l’abolizione della pena di morte per reati di blasfemia e nota l’urgenza di stabilire con certezza l’intenzionalità del reo, prima di condannarlo. Inoltre denuncia gli omicidi extragiudiziali, rimasti impuniti, di cui spesso sono vittime le persone accusate di blasfemia, anche se innocenti. (P.A.)

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InfoGiubileo: tutti gli appuntamenti quotidiani della Radio Vaticana

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Dal 1° dicembre è in onda 'InfoGiubileo', il giornale radio dedicato a pellegrini,  romani e turisti. Si potrà ascoltare a casa, in auto, in metro e sul treno. 6 notiziari radio al giorno, di base, alle 9.05 e gli altri 5 ogni due ore a partire dalle 10.30, per informazioni in tempo reale su mobilità urbana e ferroviaria, trasporti, viabilità, servizi offerti dalla città con notizie relative all'Anno Santo. ll servizio di pubblica utilità sarà tramesso ogni giorno, dal lunedì al sabato, per tutta la durata del Giubileo. 

Come ascoltare Infogiubileo
Sarà possibile ascoltare 'InfoGiubileo' sul network formato da Radio Vaticana, in Fm e sulla radio digitale, il Dab+, su Roma e in Italia, su Roma Radio e il circuito Telesia all'interno delle stazioni della metropolitana, sul circuito Luceverde Aci e su FsNews Radio. Il servizio, promosso da Roma per il Giubileo, vede coinvolti Radio Vaticana, l'Agenzia per la Mobilita' di Roma, Aci Infomobility e le Ferrovie dello Stato Italiane.

Prefetto Gabrielli: una buona niziativa per accompagnare Roma durante il Giubileo
"Questo è un Giubileo straordinario che si vuole caratterizzare per il tentativo di mettere a fattore comune le tante esperienze e le buone pratiche che nel corso del tempo la città di Roma ha prodotto” spiega il Prefetto di Roma Franco Gabrielli. Diciamo che questo tipo di informazione era una buona pratica sperimentata addirittura nel Giubileo del 2000: nasce proprio con  la Radio Vaticana, che nel tempo non è stata soltanto un’emittente radiofonica ma è anche uno strumento per gestire le situazioni che riguardavano le vicende di Piazza San Pietro o di via della Conciliazione; un’iniziativa che poi ha trovato alcuni significativi compagni di strada, come l’Agenzia per la mobilità, Luce verde e Aci e oggi, grazie al Giubileo straordinario della Misericordia, anche Ferrovie italiane. Quindi, come Istituzioni, riteniamo ‘InfoGiubileo’ una buona pratica che vogliamo proseguire e che, nella nostra ambizione, dovrà accompagnare la città di Roma non soltanto per l’anno giubilare ma per gli anni a seguire.  

P. Lombardi: la RV non guarda solo al mondo ma anche alla comunità di Roma
​"Radio Vaticana - afferma il direttore della Radio Vaticana Padre Federico Lombardi - ha un'attività molto ampia di trasmissione. Non guarda però solo al mondo intero ma anche alla comunità della città di Roma. Durante il Giubileo la Radio serve concretamente la comunità che vive questo grande evento ed è pronta a servirla non solo dal punto di vista spirituale ma anche con informazioni di servizio come la mobilità. Si tratta concretamente di notiziari brevi trasmessi più volte al giorno da Radio Vaticana e poi condivisi da emittenti locali". (A cura di Luca Collodi)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 334

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.