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Sommario del 14/05/2015
- Francesco: allenatori educhino giovani a valori autentici sport
- Allenatori, educatori di persone: al via il Seminario di studio sullo sport
- Caritas. Turkson: no a infatuazione per il Pil, serve sviluppo sostenibile
- Giustizia e Pace: Enciclica di Francesco incentrata su ecologia umana
- Francesco per il 70.mo di Pax Christi: servite la fraternità
- Francesco nomina il nuovo vescovo di Nottingham
- Tweet: genitori, abbiate pazienza e perdonate dal profondo del cuore
- Tauran: dialogo con i musulmani più che mai necessario
- La Libreria Editrice Vaticana al Salone del libro di Torino
- Nepal. Appello Caritas: non dimenticate terremotati
- Alta tensione in Burundi. I vescovi invocano il dialogo
- Raid contro l'Is: ucciso numero due dei jihadisti
- Immigrazione. Mons. Mogavero: buon accordo, ma fare di più
- Mattarella a Torino: Europa non esisterebbe senza libri
- Cannes. Sugli schermi "Il racconto dei racconti" di Garrone
- Parlamento Usa: suora irakena sul "genocidio" dei cristiani
- Vescovi Irlanda: contro persecuzione cristiani agire in fretta
- Dopo la Thailandia, la Malaysia chiude le porte ai boat-people
- Scalabriniani non condividono le misure Ue sull'immigrazione
- India. Madhya Pradesh: radicali indù attaccano tre chiese
Francesco: allenatori educhino giovani a valori autentici sport
Educate i giovani ai valori autentici dello sport, no alla rivalità troppo accesa e all’aggressività: è questa l’esortazione di Papa Francesco nel Messaggio rivolto ai partecipanti al Seminario Internazionale di studio sul tema “Allenatori: Educatori di persone”, organizzato a Roma dalla sezione Chiesa e Sport del Pontificio Consiglio per i Laici. Il servizio di Sergio Centofanti:
Buon allenatore è provvidenziale per educazione giovani
“La presenza di un buon allenatore-educatore – afferma Papa Francesco - si rivela provvidenziale soprattutto negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, quando la personalità è in pieno sviluppo e alla ricerca di modelli di riferimento e di identificazione”, quando “è più reale il pericolo di smarrirsi dietro cattivi esempi e nella ricerca di false felicità”. “In questa delicata fase della vita – sottolinea - è grande la responsabilità di un allenatore, che spesso ha il privilegio di passare molte ore alla settimana con i giovani e di avere grande influenza su di loro con il suo comportamento e la sua personalità. L’influenza di un educatore, soprattutto per i giovani, dipende più da ciò che egli è come persona e da come vive che da quello che dice”.
Saggezza di relativizzare sia le sconfitte che i successi
Dunque, osserva il Papa – è molto importante “che un allenatore sia esempio di integrità, di coerenza, di giusto giudizio, di imparzialità, ma anche di gioia di vivere, di pazienza, di capacità di stima e di benevolenza verso tutti e specialmente i più svantaggiati”. Ed è “importante che sia esempio di fede” perché la fede “ci aiuta ad alzare lo sguardo verso Dio, per non assolutizzare alcuna delle nostre attività, compresa quella sportiva, sia essa amatoriale o agonistica, ed avere così il giusto distacco e la saggezza per relativizzare sia le sconfitte che i successi”. La fede, inoltre, “ci dà quello sguardo di bontà sugli altri che ci fa superare la tentazione della rivalità troppo accesa e dell’aggressività, ci fa comprendere la dignità di ogni persona, anche di quella meno dotata e svantaggiata”.
Sport non si snaturi sotto la spinta di tanti interessi
L’allenatore – rileva Papa Francesco - può dare un contributo assai prezioso per creare un clima di solidarietà e di inclusione nei confronti dei giovani emarginati e a rischio di deriva sociale” e “se ha equilibrio umano e spirituale saprà anche preservare i valori autentici dello sport e la sua natura fondamentale di gioco e di attività socializzante, impedendo che esso si snaturi sotto la spinta di tanti interessi, soprattutto economici, oggi sempre più invadenti”.
Allenatori siano autentici testimoni di vita e di fede vissuta
L’allenatore – si legge ancora nel messaggio – come “ogni buon formatore deve ricevere una sua solida formazione. È necessario formare i formatori”. Occorre perciò “investire le necessarie risorse per la formazione professionale, umana e spirituale degli allenatori”. “Come sarebbe bello – conclude il Messaggio del Papa - se in tutti gli sport, e a tutti i livelli, dalle grandi competizioni internazionali fino ai tornei degli oratori parrocchiali, i giovani incontrassero nei loro allenatori autentici testimoni di vita e di fede vissuta!”.
Allenatori, educatori di persone: al via il Seminario di studio sullo sport
Molti gli interventi al quarto Seminario internazionale di studio sullo sport, in corso a Roma, sul tema “Allenatori: Educatori di persone”. All’evento, promosso dallla sezione "Chiesa e sport" del Pontificio Consiglio per i Laici, partecipano allenatori, atleti, studiosi e responsabili dello sport delle varie Conferenze episcopali. Il servizio di Michele Raviart:
Educare nello sport per educare alla vita quotidiana. Questo il compito dell’allenatore, un ruolo chiave nella formazione dei giovani atleti. Un “educatore di persone”, come spiega appunto il titolo del seminario, che insegna ai ragazzi non solo gli aspetti tecnici della disciplina sportiva, ma promuove valori validi anche fuori dal campo. Mons. Josef Clemens, segretario del Pontificio Consiglio per i Laici:
R. – Per tutti i ragazzi, i giovani, che esercitano lo sport, l’allenatore diventa una persona molto importante, non solo per la sua capacità tecnica. A causa, infatti, della mancanza delle famiglie, lui diventa un modello nel campo specifico dello sport, ma anche in altre cose. E allora la Chiesa si è sempre interessata all’educazione e i Papi lo hanno detto e ripetuto tante volte. A noi interessa in modo particolare questo aspetto educativo: i suoi valori, le sue virtù, giocare in una squadra, per esempio. Papa Francesco lo ha ripetuto poco tempo fa: fare una squadra, inserirsi in un insieme non solo di persone, ma anche in un progetto.
Anche a livello professionale l’allenatore deve fare da scudo agli atleti perché, spiega ancora mons. Clemens, lo sport sia solo sport e non diventi un fine in sé stesso o un veicolo di interessi politici o economici. Per la Chiesa infatti lo sport è un mezzo per promuovere la pace e lo sviluppo dei popoli. Chi gioca insieme non conosce differenze di cultura, lingua o credenza. Mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura, al microfono di Patricia Ynestroza:
R. – Il cardinal Ravasi ricorda spesso che lo sport è come l’esperanto dei popoli. Ed è vero. Basta dare un pallone ad un gruppo di ragazzi e, anche se tra di loro non si capiscono, giocano insieme. Lo sport, come la musica, è un linguaggio che unisce i popoli. Un ruolo chiave, nel mondo dello sport, spetta all’allenatore - il coach - che è a contatto con i giovani, spesso in un’età cruciale della loro crescita, del loro sviluppo. La figura dell’allenatore sportivo, soprattutto in ambito cattolico, ecclesiastico, va approfondita, studiata, rafforzata.
Lo Sport aiuta anche a superare le difficoltà della vita. Lo testimonia una delle relatrici, la spagnola Irene Villa, che ha perso l’uso delle gambe a causa di un attentato dell’Eta. Ora è una giornalista e una campionessa di sci paralimpico.
R. – El deporte es un lenguaje universal…
Lo sport parla un linguaggio universale: il rispetto del sacrificio, rispettando soprattutto l’altro, che è fondamentale, e fa parte del cristianesimo, ma dovrebbe far parte di tutte le religioni. L’essere umano si sforza, si sacrifica per quello che vuole, lotta per un obiettivo – sportivo, di vita o lavorativo – qualunque sia, e non si arrende mai. Lo sport ti aiuta in questo: a non arrenderti.
Tra gli ospiti del seminario anche Chris Tiu, campione di pallacanestro e una celebrità nelle Filippine. Lui si è emozionato per l’incontro con il Papa durante l’udienza generale:
R. – This is really a dream come true…
Questo è davvero un sogno che si realizza. Se anche solo avessi visto il Papa da lontano sarei stato molto felice. Poi, seduto in prima fila, mi sono detto: “Wow, è incredibile!”. Ho potuto dargli la mano e dirgli: “Santo Padre, vengo dalle Filippine, sono un giocatore di basket”. E lui: “Ah, davvero? Prega per me, prega per me”. Penso che sia l’esempio perfetto, per allenatori e leader, di cosa significhi essere al servizio del prossimo.
Caritas. Turkson: no a infatuazione per il Pil, serve sviluppo sostenibile
La comunità internazionale deve realmente impegnarsi per lo sviluppo sostenibile. E’ quanto affermato dal cardinale Peter Turkson all’assemblea generale della Caritas Internationalis in corso a Roma. Il presidente del dicastero “Giustizia e Pace” ha messo in guardia da un “infatuamento” per il Pil, esortando i Paesi più ricchi a promuovere un’economia inclusiva in favore dei più bisognosi. Il porporato africano ha inoltre ribadito la necessità di affrontare seriamente la pressante sfida dei cambiamenti climatici che pesano soprattutto sulle popolazioni più povere. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Abbiamo bisogno di “soluzioni tecnologiche ed economiche innovative e sostenibili”. Ne è convinto il cardinale Peter Turkson che, rivolgendosi all’assemblea generale di Caritas Internationalis, sottolinea che la Chiesa è “esperta in umanità” e per questo non si stanca di chiamare all’impegno per “la giustizia e la carità”.
Impegnarsi per un vero sviluppo sostenibile
Il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha evidenziato il paradosso di un mondo che produce più cibo di quanto ne servirebbe ai suoi 7,3 miliardi di abitanti ma che poi vede 800 milioni di persone affamate, oltre il 10 per cento della popolazione planetaria. Per questo, ha osservato, è necessario che finalmente la comunità internazionale “faccia proprio il concetto di sviluppo sostenibile” anche considerando quanto i cambiamenti climatici e i disastri ad essi correlati si abbattono su popolazioni già prostrate dalla povertà.
No all’infatuazione per il Pil, serve solidarietà
E’ tempo, ha esortato il cardinale Turkson, di “abbandonare” un’“irrazionale infatuazione per il Pil” e l’accumulazione di risorse per passare a lavorare “assieme ad uno sviluppo sostenibile, in un sistema che leghi la prosperità economica alla inclusione sociale e alla protezione” dell’ambiente naturale. Riprendendo le parole di Papa Francesco, il porporato africano ha ammonito che “senza una conversione morale e un cambiamento dei cuori, le leggi e le politiche” saranno inefficaci. “Senza un fondamento etico – ha ripreso – l’umanità sarà priva del coraggio, della sostanza morale” per portare avanti delle proposte politiche giuste. Se dominano “l’individualismo e l’egoismo”, ha detto ancora, “non potrà esserci sviluppo sostenibile”. Il progresso verso la sostenibilità, ha affermato, “richiede infatti una fondamentale apertura alla relazione”, alla “giustizia, alla responsabilità”, alla “solidarietà”. I “cittadini delle nazioni più ricche – è stata ancora la sua esortazione – devono stare spalla a spalla con i poveri sia nel proprio Paese sia all’estero”.
Proteggere l’ambiente per le generazioni future
Il cardinale Turkson ha quindi dedicato una parte importante del suo intervento alla protezione dell’ambiente, sottolineando che le nazioni ricche che hanno beneficiato dei combustibili fossili sono “moralmente obbligati a trovare e promuovere soluzioni per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici”. Ancor di più, sono obbligati a “ridurre le loro emissioni di biossido di carbonio” e ad impegnarsi per le future generazioni e per proteggere i “Paesi poveri dai disastri causati o esacerbati dagli eccessi dell’industrializzazione”.
Coltivare nuovi valori, avere il coraggio di scelte audaci
Il cardinale Turkson ha concluso il suo intervento ribadendo l’importanza di far prevalere la solidarietà sull’avidità per rendere la Terra un pianeta ospitale per ogni generazione. Per questo, ha detto, “abbiamo bisogno di coltivare un nuovo paradigma di valori e virtù, inclusa la conservazione dell’ambiente, la compassione per gli esclusi, il coraggio di assumere scelte audaci, e l’impegno a lavorare assieme per l’obiettivo condiviso del bene globale comune”.
Giustizia e Pace: Enciclica di Francesco incentrata su ecologia umana
A margine dei lavori dell’Assemblea generale della Caritas Internationalis, Stefano Leszczynski ha chiesto al cardinale Peter Turkson di soffermarsi sull’ormai imminente pubblicazione dell’Enciclica di Papa Francesco sull’ecologia umana e naturale:
R. - Credo proprio che il Papa resterà fedele al suo progetto originario, cioè quello di fare qualcosa sull’ecologia umana e quella naturale. Quindi, credo che questi due punti saranno presenti sempre nell’Enciclica: preoccupazione per la salvaguardia del Creato e salvaguardia per un’ecologia e un’antropologia sana. Le due vanno insieme: non si può trascurare la salvaguardia del Creato e poi pretendere di prendersi cura della vita umana, il suo benessere, la salute… Le due cose vanno sempre insieme.
D. - Secondo lei perché le persone sono così sensibili nei confronti del tema della prossima Enciclica?
R. - E’ un’esperienza che abbiamo fatto in dicastero… c’è sempre un gruppo di critici … Per questa Enciclica il tema è la salvaguardia del Creato e c’era già nel Pontificato di Paolo VI e Giovanni Paolo II ha promosso questa chiamata alla conversione ecologica che c’è stata già in quegli anni. Quello che ha fatto Papa Francesco è stato amplificare questo argomento e questo tema, visto che abbiamo tantissime prove adesso dell’effetto di questo trattamento abusivo dell’ambiente. Se la Bibbia utilizza il paradigma del “giardino” per la Terra, questo ci invita a conservare la sua bellezza ma anche la sua delicatezza e la possibilità di distruggere questo giardino convertendolo in deserto.
D. - Insomma il riscatto dell’uomo e il riscatto della natura vanno necessariamente di pari passo…
R. - Se non c’è la casa dove vivere, se non c’è un bel posto che si può chiamare casa, come riesco a vivere con questo corpo? La vita dell’uomo e l’ambiente di questa vita sono collegati: se si rovina l’ambiente si rovina la persona stessa.
Francesco per il 70.mo di Pax Christi: servite la fraternità
Il vostro incontro sia “un’occasione per aprire il cuore a Dio” e servirlo nelle comunità dove agite, perché la "vita sociale sia uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti”. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio inviato, a firma del cardinale Pietro Parolin, ai 150 delegati di 30 nazioni membri di Pax Christi International, riuniti da ieri a domenica prossima a Betlemme per celebrare i 70 anni dalla fondazione del Movimento. Fra loro, il coordinatore di Pax Christi Italia, don Renato Sacco, che riassume, nell’intervista di Alessandro De Carolis, la missione e lo stile che in questi decenni hanno distinto l’azione del Movimento in tutto il mondo:
R. – Penso a tutto il lavoro per i diritti umani, soprattutto nell’America Centrale e nell’America del Sud. Oggi abbiamo qui con noi anche alcuni che arrivano dal Salvador: se pensiamo alle dittature argentine, tra poco alla Beatificazione di mons. Romero, Marianela García… quindi, tutto un lavoro di anni sui diritti umani. Assieme a questo, un lavoro di impegno contro la guerra e non dimentichiamo, non molti anni fa, il Premio Nobel alla campagna contro le mine antipersona, che allora fu ritirato a Oslo dal rappresentante di “Pax Christi Italia”. Assieme a questo, tutto un lavoro – per esempio – sull’obiezione di coscienza. In questo caso, penso soprattutto all’Italia, quando ancora non c’era la legge e gli obiettori andavano in prigione. Quindi, un lavoro che possiamo sintetizzare così: i diritti umani, i diritti dei popoli e delle persone, un “no” alla guerra e insieme una preghiera per continuare un cammino, certo in salita, della pace. Settant’anni fa e anche oggi.
D. – Guardando invece all’oggi e al domani, su quale via di pace vi sentite pellegrini per stare al titolo del vostro incontro a Betlemme?
R. – Abbiamo proprio terminato oggi una piccola e breve tavola rotonda con voci che arrivavano da varie parti del mondo – dall’Uganda, al Medio Oriente, all’Italia, agli Stati Uniti, alla Nuova Zelanda – e, se possiamo riassumere, da una parte oggi la grande sfida è ancora quella dei diritti umani, ma ancor più grande, ce lo ricordava l’amico degli Stati Uniti, è un’educazione alla pace e alla non-violenza contro gli armamenti in una società sempre più militarizzata oggi – e ce lo ricorda anche Papa Francesco, continuamente. E quindi oggi, 70 anni dopo la Seconda Guerra mondiale, il tema delle armi, delle bombe, dei droni, dei sistemi per uccidere è ancora una grande sfida, assieme – ce lo ricordavano soprattutto quelli del Sud del mondo – al grande problema ambientale. Una sfida nuova, se vogliamo anche sulla scia di quello che ci ricorderà Papa Francesco con l’Enciclica. Queste due sfide sicuramente sono importanti in una luce che è specifica di Pax Christi che è la non-violenza.
D. – Concretamente, Pax Christi di fronte a un pianeta che conta centinaia di conflitti, grandi e piccoli, come si muove? Qual è il suo messaggio?
R. – Fare della non-violenza non una passività, o dire: i non-violenti sono quelli in finestra, che guardano o che agitano le margherite davanti a questo mondo così sofferente. No. La non-violenza è darsi impegno, coraggio, martirio anche – abbiamo ricordato oggi quante zone in cui le persone vengono uccise… Quindi, è esporsi in prima persona, mai accettando la logica della guerra, della violenza o della distruzione dell’ambiente. Non sappiamo come valutare, ma certo ci ha molto colpito e anche fatto soffrire che proprio all’attuale segretario internazionale di Pax Christi, Enriquez – originario del Salvador ma vive a Bruxelles, dove c’è la segreteria di Pax Christi – a lui, in questi giorni, è stato impedito di venire a Betlemme perché persona non gradita. Questo ci dice che forse, quando si lavora con fermezza, con non-violenza, forse si va a scalfire chi è al potere e ci fa pensare quante altre sofferenze le persone del posto vivono e quante volte vengono limitate nei loro diritti.
D. – Da molti anni lei vive e condivide l’esperienza di Pax Christi. Quale momento le ha, per così dire, cambiato il cuore?
R. – Sicuramente, Pax Christi mi ha dato forza, speranza anche per le grandi testimonianze: da don Tonino Bello a tanti altri testimoni che ho incontrato. E mi ha messo in contatto con tante situazioni dove la guerra e la sofferenza non hanno però spento la gioia, la speranza e l’umanità.
Francesco nomina il nuovo vescovo di Nottingham
In Inghilterra, Papa Francesco ha nominato vescovo di Nottingham mons. Patrick McKinney, del clero dell'arcidiocesi di Birmingham, finora parroco di Our Lady and All Saints a Stourbridge. Il nuovo presule nato a Birmingham, il 30 aprile 1954. Si è preparato al sacerdozio nel seminario di St.Mary's, Oscott. Successivamente ha studiato presso la Pontificia Università Gregoriana conseguendo la Licenza in Sacra Teologia (1984). È stato ordinato sacerdote, per l'arcidiocesi di Birmingham, il 29 luglio 1978. Dopo essere stato Assistente parrocchiale presso la parrocchia di Our Lady of Lourdes, Yardley Wood, dal 1978 al 1982, ha insegnato Teologia Fondamentale al Seminario di St. Mary's, Oscott, divenendone poi il Rettore dal 1989 al 1998. Dal 1998 al 2001 è stato Parroco di St. John's, Great Haywood, e Vicario Episcopale per la Zona Nord dell'arcidiocesi di Birmingham. Dal 2001 al 2006 è stato Vicario Episcopale a tempo pieno. Dal 2006 è Parroco di Our Lady and All Saints a Stourbridge e Vicario Foraneo del Decanato di Dudley. Il 24 gennaio 1990 era stato nominato Prelato d'Onore di Sua Santità.
Tweet: genitori, abbiate pazienza e perdonate dal profondo del cuore
Il Papa ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Cari genitori, bisogna avere molta pazienza, e perdonare dal profondo del cuore”.
Tauran: dialogo con i musulmani più che mai necessario
Il dialogo con i musulmani è più che mai necessario: è quanto ha affermato il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, parlando ieri ai vescovi e delegati delle Conferenze episcopali per i rapporti con i musulmani in Europa, riuniti a St. Maurice, in Svizzera. Il dialogo è necessario – ha detto il porporato – “in primo luogo, perché la stragrande maggioranza dei musulmani non si riconosce” negli “atti barbarici” dei terroristi; poi “perché proseguire il dialogo, anche in un contesto di persecuzione, può diventare un segno di speranza ".
In Europa oggi l'Islam fa paura
Negli ultimi anni – ha sottolineato - alcuni fenomeni hanno contribuito a creare un'immagine negativa dell'Islam come "l'arrivo di molti musulmani nel continente attraverso l'immigrazione clandestina; la comparsa di jihadisti nati in Europa, che diventano rapidamente ‘soldati di Allah’ e l'uso della religione musulmana di alcuni per giustificare tali pratiche che fanno si che ora, in Europa, l'Islam fa paura (troppo spesso, dire ‘religione’ significa dire ‘violenza’)". Il cardinale Tauran si chiede: "l'Europa è diventata un rifugio per i movimenti fondamentalisti che forniscono istruzione di base ai giovani musulmani, promuovendo nel contempo un ripiegamento comunitario e un rifiuto del contesto ambientale?".
Applicare i criteri dell'ermeneutica ai testi coranici
Ma in questo contesto in cui molti percepiscono solo ombre, il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso vede qualche luce, come "la convinzione che si afferma sempre più in Europa, vale a dire la necessità di applicare i criteri dell'ermeneutica ai testi coranici; un Ayatollah di Teheran che ha detto lo scorso novembre, che fede e ragione non sono incompatibili o la presentazione presso la Pontificia Università Gregoriana nel mese di gennaio della traduzione in Farsi del Catechismo della Chiesa cattolica".
Come essere un musulmano e diventare un europeo?
Per il cardinale Tauran, è chiaro che i primi attori interpellati per l'eradicazione di una certa islamofobia crescente in Europa, sono in primo luogo le comunità musulmane del continente: "Devono affrontare gli estremisti e terroristi che cercano una giustificazione religiosa per le loro azioni. In ogni caso, la domanda sorge spontanea: come essere un musulmano e diventare un europeo?".
Il cardinale Ricard: solo via del dialogo prepara futuro
Anche il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, ha detto che “solo la via del dialogo, della conoscenza, della collaborazione e della stima reciproca, prepara realisticamente il futuro". "Che ne è dell‘Islam, del suo vero volto?" - ha chiesto il cardinale: "Il dramma dell‘espulsione dei cristiani in aree passate sotto il controllo dello Stato Islamico ha toccato molti membri delle nostre comunità cristiane. L‘affermazione di un Islam, conquistatore e guerriero, da parte di leader di questo Stato ha turbato le coscienze". Da qui l‘aumento dell‘islamofobia in Europa. "Percepiamo nelle nostre società - constata il cardinale Ricard - un aumento di reazioni islamofobe. Mi colpisce che queste vengono espresse sempre più apertamente, anche nelle nostre comunità cristiane. Notiamo che un certo numero di musulmani vive male il fatto di essere continuamente sfidati a dimostrare la loro fedeltà alle leggi delle nostre società europee, quando non sono semplicemente considerati come ‘quinta colonna‘, i complici di un Islam duro e conquistatore". Per rispondere a queste domande la soluzione proposta dal cardinale Ricard è "analizzare con realismo la nostra situazione oggi" ed "esprimere nuovamente le nostre convinzioni con forza. Lo sappiamo che: solo la via del dialogo, della conoscenza, della collaborazione e della stima reciproca, prepara realisticamente per il futuro. Questo è sia una sfida per le nostre società sia una chiamata da parte del Signore".
La Libreria Editrice Vaticana al Salone del libro di Torino
Al Salone Internazionale del Libro di Torino, la Libreria Editrice Vaticana è presente con uno stand di oltre 140 metri quadrati, portando in esposizione 400 titoli (per 130mila copie in totale), e un programma ricco di appuntamenti. Nel pomeriggio di oggi, si svolge la presentazione del libro “I Papi e lo Sport – Oltre un secolo di incontri e interventi, da San Pio X a Papa Francesco”, nel quale si ritrovano i discorsi e i messaggi che i Pontefici hanno rivolto al mondo dello sport dal 1903 ad oggi. Il volume, curato da Antonella Stelitano, Alejandro Mario Dieguez e Quirino Bortolato, sarà presentato dallo storico Stefano Pivato, docente presso l’università di Urbino, e da Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. L’incontro è moderato dal giornalista de La Gazzetta dello Sport Maurizio Nicita.
Intento dei curatori dell’opera è quello di proporre la visione che la Chiesa ha avuto dello sport nell’ultimo secolo, periodo in cui questa forma di attività e di incontro si è affermata come uno dei fenomeni sociali di maggior rilievo. “Emerge una visione dello sport fondata sulla centralità dell’uomo – spiegano i curatori – il rispetto della sua dignità, la sua crescita completa, la sua educazione, il suo rapporto con gli altri, andando a cogliere quel valore di universalità che rende il messaggio sportivo uno strumento di promozione di valori quali la fratellanza, la solidarietà, la pace”.
Su circa 600 testi individuati, gli autori propongono una selezione di 120 discorsi e messaggi: “quelli che abbiamo ritenuto i più significativi – spiegano –, vuoi per il soggetto a cui erano rivolti, vuoi per i contenuti di novità che hanno portato”.
Ogni capitolo corrisponde a un Pontefice e si apre con una breve introduzione che cerca di cogliere gli aspetti della sua “pastorale sportiva” e le novità rispetto ai predecessori. Segue l’elenco dei discorsi, messaggi e saluti rivolti ai diversi esponenti del mondo sportivo e la pubblicazione dei più significativi. Il volume ha inizio con San Pio X (1903-1914), riconosciuto come il primo Papa “sportivo”, e si chiude con la presentazione dei primi interventi di Papa Francesco, eletto nel 2013.
“Ciò che ci ha colpito nel fare questo lavoro è stata non solo l’attenzione, sempre crescente, dei Pontefici verso lo sport, ma anche l’attenzione dello sport verso i Pontefici” osservano i curatori. E aggiungono: “Nell’evoluzione dei rapporto tra Pontefici e sport si legge l’evoluzione dello sport nella società del XIX e del XX secolo, il suo progredire da strumento di educazione del singolo a strumento di pace e solidarietà. Vi si legge la necessità, che si fa sempre più pressante, di non perdere mai di vista un codice etico unico, universale e trasversale, che metta al centro l’uomo e la sua dignità. Un bisogno che il mondo dello sport reclama a gran voce”.
Non mancano elementi curiosi e interessanti, come il carteggio tra Pierre de Coubertin, fondatore dei moderni Giochi olimpici e il cardinale Merry del Val, segretario di Stato di Pio X, le scalate alpine di Achille Ratti, poi Papa Pio XI, l’incontro di Pio XII con i ciclisti che partecipano al Giro d’Italia, quello di Giovanni XXIII con i partecipanti all’Olimpiade di Roma, le tre funzioni dello sport individuate da Paolo VI (“migliorare se stessi, i rapporti con la comunità di appartenenza e contribuire a rendere più pacifici e cordiali i rapporti con le comunità diverse dalla nostra”), l’immagine di Giovanni Paolo II quale Papa “polisportivo”, l’attenzione di Benedetto XVI al mondo dello sport e il tifo di Papa Francesco per la squadra argentina del San Lorenzo de Almagro.
Il volume, nelle sue quasi 500 pagine, è arricchito da diversi inserti fotografici, con oltre 120 immagini che vanno da una foto del 1904 che ritrae Pio X che assiste a un saggio di ginnastica, fino ai recenti incontri di Papa Francesco con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano e con il calciatore suo connazionale Diego Armando Maradona.
Nepal. Appello Caritas: non dimenticate terremotati
Un accorato appello a non dimenticare la tragedia del Nepal è stato lanciato a Roma, durante l’assemblea di Caritas Internationalis. Il secondo terremoto del 12 maggio scorso ha causato circa 100 morti. Globalmente, dal sisma del 25 aprile, le vittime sono oltre 8 mila. Domenica prossima, in tutte le chiese d’Italia si terrà la colletta nazionale indetta dalla Cei in favore delle popolazioni nepalesi. Sui bisogni più urgenti, Giada Aquilino ha sentito il direttore della Caritas Nepal, Pius Perumana, presente all’incontro di Roma:
R. – The most urgencies…
I bisogni più urgenti per le persone sono quelli di avere un riparo: tende o teloni impermeabili per proteggersi dalla pioggia. Ce ne sono poi tantissimi altri: c’è bisogno di medicine, di cibo. Tutti, ma in particolare disabili, bambini, donne e anziani, richiedono tanti tipi di assistenza: dalle necessità materiali all’aiuto psicologico. I bisogni sono enormi. Le scosse di terremoto hanno portato grande devastazione ovunque. Proprio davanti a me ho assistito al crollo di molte costruzioni; ho visto persone piangere, chiedendo aiuto, e mi sono sentito del tutto impotente e perso, non sapendo davvero cosa fare. Le strade bloccate, comunicazioni ed elettricità fuori uso. In tre ore, il governo è riuscito ad aprire di nuovo le strade ed io sono stato in grado di raggiungere l’ufficio della Caritas. Ho visto quindi che l’ufficio era integro e che i volontari scavavano tra le macerie per cercare eventuali sopravvissuti. Purtroppo, proprio in coincidenza col terremoto le temperature si sono abbassate drasticamente con tanto freddo e pioggia. Siamo riusciti a trovare qualche telone impermeabile in uno dei negozi che siamo riusciti ad aprire e abbiamo cominciato a distribuirli. Più di 8 milioni di persone sono state colpite dal sisma e un milione sono per strada solo a Kathmandu. Le altre scosse hanno portato nuove distruzioni e crolli di case. La valle di Kathmandu si è spostata di tre metri a Sud. Ho visto tanta distruzione.
D. – La Caritas aiuta tutti, senza distinzioni?
R. – Well, 99,9%…
Il 99,9% di quelli che beneficiano del nostro aiuto non sono cristiani o non sono cattolici. Noi aiutiamo tutti, senza nessuna discriminazione. Adesso, le persone sono tutte traumatizzate, disperate, hanno bisogno di incoraggiamento e speranza. Per questo apprezziamo i media che aiutano a non abbassare l’attenzione su questa tragedia che continua. Io chiedo a tutti di pregare per noi.
Alta tensione in Burundi. I vescovi invocano il dialogo
Resta incerta la situazione in Burundi, dopo il tentato golpe da parte di militari guidati dal generale Niyombare, che ieri aveva annunciato la destituzione del presidente Nkurunziza. Oggi, si sono registrati nuovi scontri in varie zone della capitale Bujumbura. Il capo di Stato, in Tanzania per partecipare ad un vertice della Comunità dell’Africa orientale, ha lanciato un appello alla calma. Il Paese è scosso, da giorni, da forti proteste innescate dalla decisione di Nkurunziza di presentarsi per la terza volta alle elezioni presidenziali, in programma il prossimo mese. Il bilancio degli scontri, finora, è di almeno 20 vittime. La Chiesa esorta a percorrere la strada del dialogo, come sottolinea al microfono di padre Jean-Pierre Bodjoko, l’arcivescovo di Bujumbura, mons. Evariste Ngoyagoye:
R. – Nous constatons que parmi les différents leaders…
Abbiamo visto che tra i vari leader dei partiti politici c’è grande diffidenza e anche una certa intolleranza degli uni nei riguardi degli altri. E’ per questo che noi auspichiamo un dialogo che aiuti a risolvere i problemi, perché i problemi ci sono. Non possiamo affrontare le elezioni con questi problemi in atto, come le emittenti radiofoniche chiuse, le manifestazioni violente da una parte e dall’altra, con tanti arresti e perfino dei morti. Per questo noi speriamo – anche se sarà molto difficile – che per organizzare elezioni pacifiche, affidabili e credibili i leader politici facciano il possibile per allentare le tensioni.
D. – Nel comunicato dei vescovi del Burundi si legge che “se non si dovessero trovare risposte adeguate”, la Chiesa non sarà più in grado di “accompagnare questo processo elettorale”…
R. – C’est à dire que nous avons pour le moment…
Noi abbiamo assunto, in questo momento, la responsabilità di svolgere il ruolo di osservatori del processo elettorale. In secondo luogo, abbiamo accolto la richiesta esplicita della Commissione elettorale nazionale indipendente di inviare un certo numero di preti nei diversi dipartimenti della Commissione stessa, a livello provinciale e comunale. Ma ora siamo costretti a dire che, nel momento in cui dovessimo constatare che non ci fossero le condizioni necessarie, cioè di trasparenza, di tranquillità e di pacificazione, chiederemmo ai nostri preti di ritirarsi, perché noi non possiamo avallare una situazione che, a lungo andare, rischierebbe di provocare derive ancora più gravi.
D. – Il messaggio dei vescovi, richiama a al dialogo. La loro voce sarà ascoltata?
R. – La première fois nous n’avons pas été entendus...
La prima volta non siamo stati ascoltati. Forse, la seconda volta qualcuno ci ascolterà…
Raid contro l'Is: ucciso numero due dei jihadisti
Il sedicente Stato Islamico ha rivendicato una serie di sanguinose azioni, tra i quali l’attentato contro gli sciiti a Karachi, in Pakistan, e l’attacco in Siria all’esercito di Damasco. I jihadisti, dopo aver devastato diversi siti archeologici in Iraq, ora minacciano il sito siriano di Palmira, dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità. Intanto ieri, in un raid della coalizione internazionale tra Iraq e Siria, è stato ucciso il numero due dell’Is, Abu Alaa al-Afri. L’eliminazione del leader rappresenta realmente un duro colpo alle capacità operative dell’Is? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Andrea Margelletti, presidente del Centro Sudi Internazionali:
R. – Lo è sicuramente, perché non è vero che dopo un leader se ne trovi poi immediatamente un altro. Le capacità delle persone sono peculiari del singolo individuo e quindi chi lo va a sostituire non necessariamente ha le stesse attitudini o visioni. Al Afri era uno dei principali responsabili operativi e l’organizzazione dell'Is sicuramente ne sentirà molto la mancanza.
D. - Questo raid può far pensare che ci siano "infiltrazioni occidentali" all’interno dello Stato islamico, secondo lei?
R. – Ho più la sensazione che il colpo dell’intelligence sia dovuto a spionaggio elettronico, più che a fonti umane di informatori all’interno dell’Is.
D. – C’è un reale coordinamento tra i vari gruppi che compongono il "pianeta" Stato islamico e i gruppi affiliati?
R. – Chiamarlo “coordinamento”, come lo intendiamo noi occidentali, cioè un tavolo permanente di ordini e di disposizioni, direi proprio di no. C’è sicuramente una strategia comune molto chiara, che però lascia alle realtà regionali ampio margine di manovra.
D. - Ci sarà ora un potenziamento degli interventi occidentali, oppure si continuerà la tattica attuale?
R. - La mia sensazione è che l’Occidente si stia prendendo tutto il tempo possibile. Siamo di fronte a un’operazione che durerà moltissimo tempo e sulla quale forse nessun Paese occidentale pone il punto sull’urgenza. Dall’altra parte, è ingenuo pensare di sconfiggere solo militarmente l’Is. Occorrerà che in Siria e in Iraq, principalmente, ci sia un dialogo tra le diverse parti locali al fine di trovare un punto di contatto.
Immigrazione. Mons. Mogavero: buon accordo, ma fare di più
Per il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, l'Italia è pronta “a un'azione di polizia internazionale contro gli scafisti". Alfano ha anche definito “la caduta del 'muro' di Dublino” l’accordo raggiunto ieri a Bruxelles sulla redistribuzione dei migranti. Sull'intesa Alessandro Guarasci ha sentito mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo:
R. – Ritengo che questo provvedimento sia da apprezzare sotto il profilo del metodo. Sotto il profilo del merito, quindi circa la ripartizione delle quote o circa il numero massimo di persone che possono essere accolte, non ci siamo ancora. In ogni caso è già un segnale positivo che arriva dall’Europa e che muta in modo determinante gli orientamenti, le determinazioni di "Dublino II", che imponeva la residenza dei richiedenti asilo lì dove avevano ricevuto il provvedimento di accoglienza.
D. – Però, il problema che ci siano alcuni Stati europei che non vogliono comunque accogliere i migranti rischia di far saltare l’intero quadro, secondo lei?
R. – Credo sia importante una revisione dell’approccio culturale al fenomeno migratorio. Mi pare che il mutato atteggiamento della Germania, che sta aprendo un po’ gli orizzonti, possa essere molto importante per il peso che ha dal punto di vista politico e anche dal punto di vista economico e culturale.
D. – Il ministro Alfano ha detto anche che sono previsti, e così dice l’accordo, anche dei rimpatri. Non c’è il rischio di far passare tra i rimpatriati anche coloro che invece avrebbero diritto all’asilo?
R. – Bisognerà stare molto attenti e bisognerà evitare che questa situazione dei fenomeni migratori venga trattata in maniera approssimativa e con orientamenti che non tengano conto in maniera puntuale delle reali situazioni. I numeri oggi impongono anche un’accelerazione nelle procedure, perché troppo tempo si impiega per il riconoscimento dello stato di rifugiato.
D. – Come vede l’Italia alla testa di una coalizione internazionale, seppure sotto l’autorizzazione dell’Onu, che vada ad agire contro i trafficanti e magari anche a distruggere i barconi?
R. – Non so se distruggere i barconi sia un gesto che abbia una rilevanza significativa. Andare a bombardare i barconi mi pare più un gesto teatrale che un gesto efficace. Il contrasto all’azione devastante dei trafficanti deve essere fatto agendo sulle cause che determinano il trasmigramento di tanta gente. Bisogna che l’Europa abbia una voce sola e forte nei confronti dei Paesi che non rispettano i diritti delle persone con torture, con persecuzioni, perché sono questi la maggior parte dei migranti. I migranti di natura economica sono una parte residuale.
Mattarella a Torino: Europa non esisterebbe senza libri
L’importanza della lettura e della cultura per reagire alla solitudine di massa e all’individualismo che disgrega la società, al centro del discorso con cui questa mattina il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inaugurato il 28.mo Salone del Libro di Torino. Tema di quest’anno: “Italia salone delle meraviglie”. La giornata del capo dello Stato prosegue nel capoluogo piemontese con la visita alla Sindone, al Museo Egizio e in serata all’arsenale della pace del Sermig. Il servizio di Paolo Ondarza:
Il paesaggio, i monumenti, l'innovazione, l'eccellenza, caratteristiche italiane protagoniste del 28.mo Salone Internazionale del libro di Torino. Quattro padiglioni, trentanove sale, ospite d’onore la Germania, patria di Wolfgang Goethe affascinato visitatore delle meraviglie italiane tra Sette e Ottocento: il ritratto del poeta attorniato dai moderni simboli del Made in Italy campeggia sul logo dell’edizione di quest’anno: l’Italia, allora meta del grand tour è ancora oggi Salone delle meraviglie, immensa Wunderkammer della bellezza. “L’Europa non esisterebbe senza i libri”, ricorda il presidente Mattarella che cita il lavoro di recupero dei testi antichi da parte dei monaci e la scoperta di Gutenberg come fonti della cultura europea, ma chiede anche all’Ue di favorire la cultura tagliando le tasse sull’editoria e costruire un sistema in cui sia più agevole pubblicare.“Il libro è, dalla sua nascita, veicolo di cultura, trasmissione dei valori e di civiltà. I libri sono una straordinaria ricchezza immateriale, che alimenta la crescita umana e sociale”. “Sarebbe un errore, culturale ed economico, contrapporre il libro stampato all’e-book”.“Il libro è un libro, quale che sia il suo formato, e il libro va sostenuto nella sua diffusione, perché il suo valore – ripeto – arricchisce l’intera comunità”. Dal capo dello Stato “sì” alle edizioni economiche per raggiungere il grande pubblico. “I libri infatti” – spiega Mattarella, ricordando i roghi di biblioteche da parte di regimi toralitari – “aiutano a raggiungere la libertà, ma “se l'idea di libertà tende a coincidere con l'espansione dei desideri individuali, se insomma ai diritti non sono legati i doveri, se alle opportunità non corrispondono le responsabilità, non riusciremo ad avere più libertà per tutti. Avremo probabilmente più ingiustizie”.
In controtendenza con il calo delle vendite e della lettura, in Italia regge il mercato dei libri di soggetto religioso: rappresentano, infatti, il 9% dei titoli pubblicati. Oggi al Salone del Libro la presentazione dell’Osservatorio sull’editoria religiosa condotto dall’Unione Editori e Librai Cattolici Italiani. Al presidente Gianni Cappelletto, Antonella Palermo ha chiesto chi sono i lettori di libri religiosi:
R. – Dalle ricerche di Istat e dalle ricerche che poi noi abbiamo fatto con Ipsos emergeva che il numero di persone che leggevano un libro religioso all’anno era in crescita. Mentre altri settori della lettura scendevano, l’editoria religiosa - attenzione, non parlo di editoria cattolica -, i lettori crescevano. C’era una domanda di senso di approfondimento culturale o di fede che rendeva questo segmento decisamente interessante. E allora ci siamo incontrati per decidere di organizzare un incontro in cui confrontarci, editori cattolici e editori laici, attorno a questo argomento. L’editoria religiosa degli editori cattolici rappresenta il 6,6 per cento del totale dei titoli pubblicati; se aggiungiamo i titoli realizzati dagli editori laici, arriviamo quasi al 9 per cento.
D. – Chi legge oggi i libri religiosi?
R. – Dalle ricerche che abbiamo fatto arriviamo a circa 5,7 milioni. Quindi vuol dire che quasi 9 italiani su 10, e in modo particolare il 37,7 per cento, hanno letto un libro di argomento religioso. Una fetta non indifferente - stiamo parlando quasi del 38 per cento - è composta da persone che dichiarano di non essere praticanti o di non essere credenti.
D. – Come si spiega questa tendenza?
R. – Stiamo parlando di persone che hanno un livello culturale medio o medio alto che sono impegnate nel mondo del lavoro, quindi hanno incarichi professionali, sono professionisti, che a un certo punto si pongono domande sul senso della vita.
D. – Qualcuno mette dentro anche l’effetto Papa Bergoglio…
R. – Sicuramente l’influenza di Papa Francesco con il suo linguaggio, con la sua capacità di comunicare ha influenzato questo mercato. Però era un cambiamento che era già in atto prima dell’arrivo di Papa Bergoglio.
D. – Come guardano le case editrici “laiche” a questo trend?
R. - Con un certo interesse per un semplice motivo: perché in un momento di profonda crisi, dove i numeri scendono il nostro segmento rimane un segmento che potremmo “dire perde meno degli altri”. Gli editori si sono divisi in due segmenti: gli editori quelli più importanti che si sono concentrati nella ricerca del cosiddetto best seller, cioè l’autore importante, quindi in questi ultimi due anni Papa Francesco; però c’è un’altra parte di editori che invece sono entrati in questo segmento, in questo settore, cercando di affrontare soprattutto l’area divulgativa, entrando nella spiritualità in tanti aspetti della storia della Chiesa e in parte anche nella teologia, creando proprio delle piccole collane che credo diano dei risultati sicuramente soddisfacenti.
Cannes. Sugli schermi "Il racconto dei racconti" di Garrone
Entra nel vivo il Festival di Cannes, aperto ieri sera con molti grandi nomi del cinema hollywoodiano e non presenti alla cerimonia di inaugurazione. Oggi primi film in competizione per la Palma d'oro, dove spicca la presentazione dell'italiano Matteo Garrone e di “Il racconto dei racconti”, dal testo seicentesco di Giambattista Basile. Il servizio di Miriam Mauti:
Streghe, draghi, principesse e labirinti, storie di madri e figli, di padre e figlie, di orchi e di circensi. Le storie de “Lo cunto del li cunti” rivivono dal 600 napoletano di Giambattista Basile sulla croisette di Cannes, dove oggi viene presentato al 68.mo Festival del Cinema, “Il racconto dei racconti”, di Matteo Garrone, che dopo aver sfiorato per due volte la Palma d'oro con “Gomorra” e “Reality”, torna al Festival con un inatteso fantasy e con uno stuolo di attori internazionali, da Salma Hayek a Toby Jones, a Vincent Cassel. E dopo le difficoltà iniziali nel girare in inglese il regista promuove l'esperienza:
“Credo sia stato importante che non sia andato io da loro, ma siano venuti loro in Italia a girare. Nei castelli pugliesi, sul confine tra Lazio e Umbria, nelle gole dell'Alcantara in Sicilia. Li ho portati nel mio mondo, nella mia cultura, nel mio paese... Per me è stato così più facile riuscire a gestire questo enorme carrozzone”.
Malgrado gli effetti speciali, Il racconto dei racconti, che esce in contemporanea oggi nei cinema in Italia, mantiene nel suo tessuto la poetica di Garrone, regista che riflette sulle ossessioni, usando un testo di ieri che parla all'oggi. Ancora Matteo Garrone:
“La scelta del testo di Basile è stata per me naturale. Un autore che ho subito sentito famigliare. L'umanità dei suoi personaggi, l'originalità delle storie, e infine la ricchezza visiva. Io nasco pittore e per me l'aspetto visivo è centrale nella scelta di un progetto. Nei miei film precedenti partivo dal reale per portare la storia in una dimensione più visionaria e onirica, qui accade l'inverso. Ma ho affrontato questo progetto allo stesso modo, concentrandomi sulle storie, sull'umanità dei personaggi, e cercando di vivere emotivamente il film, come vorrei che accadesse anche agli spettatori. Spero si emozionino”.
Parlamento Usa: suora irakena sul "genocidio" dei cristiani
I cristiani in Iraq sono sono vittime di un “genocidio umano e culturale” che rischia di trascinare “l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe”. È quanto ha detto ieri suor Diana Momeka, religiosa domenicana irakena a Mosul, in un intervento davanti al Parlamento statunitense riunito a Washington. La religiosa, cui era stato rifiutato in un primo momento il visto dalle autorità Usa - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha raccontato il dramma della popolazione cristiana, vittima delle atrocità perpetrate dai jihadisti del sedicente Stato islamico. La situazione del Paese e del suo popolo è “grave”, conferma la suora, “ma non priva di speranza”. Al termine dell’intervento suor Diana si è rivolta alla comunità internazionale e al governo degli Stati Uniti, perché “la diplomazia e non il genocidio, il bene comune e non le armi” possano determinare “il futuro dell’Iraq e di tutti i suoi figli”.
Profughi cristiani nel corpo e nell'anima senza umanità e dignità
"Nel giugno dello scorso anno, - ha detto nel suo intervento la suora domenicana - il cosiddetto Stato islamico in Iraq e in Siria (Is), ha invaso la piana di Ninive. Iniziando con la città di Mosul, l’Is si è impadronita di una città dopo l’altra, dando ai cristiani della regione tre alternative: convertirsi all’islam; pagare un tributo (jizya) allo Stato islamico; abbandonare le città (come Mosul), con nient’altro che i propri vestiti. Dal giugno 2014 in avanti, più di 120mila persone si sono ritrovate sfollate e senza casa nella regione del Kurdistan irakeno, lasciandosi alle proprie spalle il loro patrimonio e tutto ciò per cui avevano lavorato nel corso dei secoli. Questo sradicamento, la depredazione di ogni bene appartenuto sino ad allora ai cristiani, li ha resi profughi nel corpo e nell’anima, strappando via la loro umanità e la loro dignità".
Il ringraziamento alla Chiesa del Kurdistan
"Grazie a Dio - ha affermato la religiosa - la Chiesa nella regione del Kurdistan si è fatta avanti e ha curato in prima persona i cristiani sfollati, facendo davvero del proprio meglio per far fronte al disastro. Gli edifici appartenenti alla Chiesa sono stati aperti e messi a disposizione per fornire un riparo agli sfollati; hanno fornito loro cibo e altri generi di prima necessità, per far fronte ai bisogni immediati della gente; hanno anche fornito assistenza sanitaria gratuita. Inoltre, la Chiesa ha lanciato appelli cui hanno risposto molte organizzazioni umanitarie, le quali hanno fornito aiuti alle migliaia di persone in situazione di estremo bisogno. Oggi siamo grati per tutto ciò che è stato fatto, con la maggior parte delle persone che hanno trovato un riparo in piccoli container prefabbricati o in alcune case".
Lo Stato islamico vuole il genocidio umano e culturale dei cristiani
"La persecuzione che la nostra comunità si trova oggi a fronteggiare - osserva suor Diana - è la più brutale della nostra storia. Non solo siamo stati derubati delle nostre case, proprietà e terre, ma è stato distrutto anche il nostro patrimonio. L'Is ha distrutto e continua a demolire e bombardare le nostre chiese, i reperti archeologici e luoghi sacri come Mar Behnam e Sara, un monastero del quarto secolo e il monastero di San Giorgio a Mosul. Sradicati e cacciati a forza, abbiamo capito che il piano dello Stato islamico è di svuotare la terra dai cristiani e ripulire il terreno di ogni minima prova che testimoni la nostra esistenza nel passato. Questo è un genocidio umano e culturale. I soli cristiani che sono rimasti nella piana di Ninive sono quelli che sono stati trattenuti come ostaggi".
Misure urgente per la comunità cristiana irachena
"La perdita subita dalla comunità cristiana nella piana di Ninive ha portato l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe. Oggi per ripristinare, riparare e ricostruire la comunità cristiana in Iraq - ha concluso la religiosa irachena - bisogna adottare con la massima urgenza le seguenti iniziative: liberare le nostre case dalla presenza del sedicente Stato islamico e favorire il nostro rientro; promuovere uno sforzo comune e coordinato per ricostruire ciò che è stato distrutto - strade, acqua, forniture elettriche, ivi compresi i nostri monasteri e le nostre chiese e incoraggiare le imprese per contribuire alla ricostruzione dell’Iraq e del dialogo interreligioso. Questo può essere fatto attraverso le scuole, le accademie e progetti pedagogici ed educativi mirati". (R.P.)
Vescovi Irlanda: contro persecuzione cristiani agire in fretta
L’attuale persecuzione dei cristiani e di altre minoranze religiose in Medio Oriente è un caso senza precedenti, un fenomeno barbaro e scioccante che richiede un’azione urgente: questo, in sintesi, l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale irlandese. Ieri, infatti, mons. John McAreavey, presidente del Consiglio Giustizia e pace dei vescovi di Dublino, ha rivolto al Comitato congiunto per gli Affari ed il commercio estero un discorso intitolato “L’attuale persecuzione dei cristiani”.
Ogni ora, 11 cristiani vengono uccisi a causa della fede
Drammatici i dati ricordati dal presule: ogni anno, almeno 100mila cristiani vengono uccisi a causa della loro fede, ovvero 273 al giorno, pari ad undici vittime ogni ora. Altri vengono torturati, imprigionati, esiliati, minacciati, emarginati, attaccati, discriminati. Attualmente, il cristianesimo è la religione maggiormente oppressa al mondo ed i suoi fedeli sono perseguitati in almeno 110 Paesi. Non solo: oggi, l’80% di tutti gli atti discriminatori che si perpetrano nel globo è diretto contro i cristiani. Ad aggravare la situazione, ha sottolineato mons. McAreavey, c’è “l’avanzare del sedicente Stato Islamico che ha accelerato il brutale genocidio contro i cristiani ed altre minoranze religiose”, soprattutto in Medio Oriente, proprio “nella culla della cristianità e della civiltà”.
Persecuzione religiosa mette a rischio la pace nel mondo
Di qui, l’appello del vescovo irlandese affinché il governo di Dublino avvii “un’azione urgente, coordinata e determinata”, insieme alla comunità internazionale, per risolvere tale drammatica situazione che rappresenta “una minaccia per tutta l’umanità e per il patrimonio religioso e culturale delle future generazioni nel mondo”. La persecuzione religiosa, inoltre, “mette a rischio la pace e la stabilità dell’intero pianeta” e per questo richiede “uno sforzo chiaro e globalizzato che risolva le cause originarie del conflitto”. Ciò che occorre, ha aggiunto il presidente del Consiglio episcopale irlandese per la Giustizia e la pace, è “offrire aiuti diretti alle comunità religiose minoritarie”, poiché esse “hanno il diritto di ricostruire le Chiese, le scuole, gli ospedali, le case”, per continuare a contribuire “al patrimonio educativo, economico e culturale dei loro Paesi”.
Tutelare il diritto alla libertà religiosa e di coscienza
Il punto di partenza, ha sottolineato ancora il presule, deve essere “l’impegno in favore della dignità umana e dell’inestimabile valore di ciascuna persona davanti a Dio, senza distinzioni”. “La preoccupazione della Chiesa riguarda tutta l’intera umanità – ha spiegato, infatti, mons. McAreavey – Noi condanniamo allo stesso modo le brutali uccisioni perpetrate dall’Is contro le persone omosessuali e siamo solidali con gli Yazidi e con tutte le comunità religiose che subiscono lo sterminio, lo sfollamento, la mancanza di rispetto nei confronti del loro diritto alla libertà di religione e di coscienza”. Un diritto, quest’ultimo, definito “principio fondamentale del vero pluralismo genuino in una società tollerante” perché, come affermava Giovanni Paolo II, senza di esso anche altri diritti umani finiscono per essere violati. Inoltre, “negare la libertà religiosa può portare all’esclusione culturale della religione dal contesto pubblico”.
Urgono aiuti diretti ed immediati alle Chiese cristiane in Medio Oriente
L’intervento di mons. McAreavey si è concluso con cinque raccomandazioni alle istituzioni: fornire aiuto diretto ed immediato alle Chiese cristiane in Medio Oriente; sostenere le agenzie caritative irlandesi che operano nel settore, senza timore di ledere la laicità dello Stato; usare l’influenza politica per risvegliare una maggiore consapevolezza sul dramma delle persecuzioni religiose; incoraggiare la comunità internazionale a dare priorità politica a questo tema ed infine aprire le porte all’accoglienza dei rifugiati in fuga dal Medio Oriente. (I.P.)
Dopo la Thailandia, la Malaysia chiude le porte ai boat-people
Con gli oltre 500 boat-people arrivati ieri su un barcone e rimessi in mare questa mattina insieme a altri 300 dopo essere stati riforniti di viveri e carburante, entra nel vivo la nuova politica di respingimento dichiarata da Kuala Lumpur. Una reazione al blocco delle coste agli sbarchi della vicina Thailandia, che per anni aveva consentito un lucroso flusso di migranti irregolari attraverso il suo territorio, gestito da bande transnazionali con appoggi locali a vari livelli. Da sabato - riferisce l'agenzia Misna - la pressione sulle coste malesi e su quelle indonesiane è cresciuta, ma la coscienza che la maggior parte dei fuggiaschi di etnia Rohingya provenienti da Myanmar e Bangladesh hanno le coste malesi come meta prioritaria, ha posto il Paese in una condizione difficile.
L'assistenza delle istituzioni caritative islamiche
Sono circa 150.000 (45.000 rohingya) gli immigrati irregolari accolti in strutture pubbliche nel Paese, finora generoso nell’accoglienza, pure non avendo ratificato la Convenzione internazionale sui rifugiati. La simpatia locale per la comune fede musulmana dei Rohingya e il supporto di istituzioni caritative islamiche avevano concesso a chi arrivava un’ospitalità, seppure essenziale.
Sul problema dei boat-people la Malaysia teme di restare sola
La situazione è ora cambiata. Il Paese teme l’invasione e di essere lasciato solo davanti al problema che ha origine nel rifiuto del governo birmano a integrare i Rohingya e a fermare la persecuzione contro di essi, i vasti interessi aggregati attorno al loro traffico e sfruttamento e, infine le opportunità anche politiche del governo malese che ha incentivato l’esodo senza regolamentarlo e in anni recenti non ha premuro sul governo birmano per un cambio di linea verso la minoranza musulmana perseguitata.
Accuse della Malaysia contro Myanmar e Bangladesh
La Malesia ha raddoppiato la sua presenza attorno all’isola di Langkawi e la più settentrionale Penang, oltre che sulla costa prossima al confine thailandese “per impedire ogni intrusione illegale”, ha confermato l’ammiraglio Tan Kok Kwee, comandante della regione settentrionale della marina militare malese. Chiaro il messaggio del vice-ministro dell’Interno Wan Junaidi ai governi coinvolti e che vanno verso un incontro sulla questione con poche aspettative il 29 maggio: “Voi parlate di democrazia ma trattate i vostri cittadini come rifiuti, come criminali fino a quando sono costretti a fuggire dal Paese”.
Impegno contro i trafficanti ed i funzionari corrotti
Intanto, nessun risultato concreto dall’incontro di ieri tra polizia thailandese e malese, se non l’impegno a rilanciare la cooperazione contro i trafficanti, che a decine sono stati arrestati o sono ricercati in questi giorni ma i cui capi e i referenti istituzionali sono alla macchia. Il centinaio di funzionari e di poliziotti finora individuati in Thailandia come parte del racket sono solo pedine, in maggioranza trasferite altrove come da prassi ma non puniti, oppure indagati a piede libero. Sempre in Thailandia, da segnalare oggi l’opposizione delle comunità locali all’apertura di campi profughi permanenti nel Sud thailandese dopo che la possibilità era stata ventilata dal premier in alternativa all’allontanamento in mare dei boat-people. (C.O.)
Scalabriniani non condividono le misure Ue sull'immigrazione
Mentre la Commissione Ue approva un insieme di misure che i Paesi europei del Mediterraneo potranno utilizzare per gestire le emergenze dei flussi migratori, i missionari scalabriniani, pur notando un primo segno positivo, non riescono a condividere appieno l’annuncio della vice presidente dell’esecutivo Ue e rappresentante per gli Affari esteri, Federica Mogherini, che ha sottolineato come «di fronte a un’emergenza drammatica» l’Europa abbia «finalmente capito l’urgenza» e negli ultimi tempi abbia «compiuto passi da gigante» verso una «risposta globale» alle sfide in atto nel Mediterraneo.
Chi parte per disperazione è disposto a rischiare anche la vita
"Uomini e donne come noi” che cercano la felicità ha ricordato papa Francesco meno di un mese fa, dopo la più grave tragedia nella storia dell'immigrazione nel Mediterraneo, con la scomparsa tra le acque libiche di un peschereccio con circa 800 persone. “Chi parte per disperazione è disposto a rischiare anche la vita, pur di vedere riconosciuto il diritto ad una vita degna di questo nome, dal momento che troppo spesso la patria non da più nulla”. Così si esprime padre Alessandro Gazzola, superiore generale della Congregazione dei Missionari di San Carlo-Scalabriniani, dopo aver appreso dell’approvazione da parte della Commissione Ue dell’agenda per una nuova politica dell’immigrazione che dovrebbe arrivare sul tavolo del Vertice europeo del 25 e 26 giugno.
Il defilarsi di alcuni Paesi europei e l'esportazione delle armi
“Se dobbiamo parlare in questi termini, allora è urgente che tutti i Paesi dell’Unione, e non solo alcuni come si profila all’orizzonte, mettano in agenda prima di tutto la persona umana con il bagaglio di riconoscimento pieno e duraturo dei diritti più basilari”. Ed aggiunge: “Il defilarsi di nazioni come Regno Unito, Danimarca e Irlanda, o la continuativa esportazione di armi finalizzata ad intrattenere relazioni di buon vicinato con alcuni Governi, non fa che “garantire” altre strutture mortifere, all’insegna dell’oppressione di popoli, obbligando alla fuga come unica speranza di sopravvivenza”.
Costruire una comunità locale capace di accogliere e integrare
Gli fa eco padre Gianni Borin, superiore della regione europea ed africana, evidenziando che “accanto ad un timido plauso perché qualcosa si è finalmente messo in moto, l’attenzione deve focalizzarsi anche su le tante persone che già si trovano in diversi Paesi dell’Unione, evidenziando le diverse buone pratiche in atto”. La lezione di umanità che associazioni, movimenti e comunità religiose stanno dando nel gestire l’emergenza dei numerosi richiedenti asilo, mostra sempre più lo sforzo di compiere un secondo passo, necessario, al di fuori delle strutture di prima accoglienza, al fine di condurre i richiedenti asilo e i rifugiati alla piena autonomia. “Si tratta di agire concordemente per costruire una comunità locale capace di accogliere, includere e integrare le diversità attraverso l’interiorizzazione responsabile e partecipativa di quella che chiamerei la cultura dell’incontro” ha concluso padre Borin. (A cura di Gabriele Beltrami)
India. Madhya Pradesh: radicali indù attaccano tre chiese
Martedì notte i radicali indù hanno attaccato tre chiese a Indore, la più grande città del Madhya Pradesh. Gli estremisti hanno lanciato pietre, distrutto croci, compiuto atti vandalici di vario genere e tentato di dare fuoco a uno dei luoghi di culto, ma la polizia è intervenuta prima che potessero portare a termine il piano. All'agenzia AsiaNews Sajan George, presidente del Global Council of Indian Chistians (Gcic), condanna “con fermezza” gli attacchi.
Il gesto contro l'inaugurazione di un orfanatrofio gestito da missionari
Le aggressioni sono avvenute poche ore prima che Sonia Gandhi, presidente del Congress (primo partito dell’opposizione), inaugurasse un orfanotrofio gestito da missionari. Il principale sospettato per questi episodi è il Sanskritik Jagran Manch, organizzazione locale della destra indù, che ieri aveva minacciato una “azione diretta” se Gandhi avesse “davvero” inaugurato la struttura. L’orfanotrofio sorge in un luogo che prima era di proprietà di un’organizzazione privata. L’edificio è stato preso dall’amministrazione del distretto, che poi l’ha affidato ai missionari. Padre Ramesh Chandekar, sacerdote anglicano della chiesa di St. Paul, riferisce che i militanti hanno danneggiato il crocifisso e distrutto utensili sacri e il microfono.
Attacchi ad altre due chiese protestanti
I gruppi hanno poi tentato di dare fuoco a una seconda chiesa protestante, gettando stracci accesi all’interno. Subito allertata, la polizia ha agito in fretta e ha spento il rogo prima che si propagasse. Alla terza chiesa, anch’essa protestante, gli estremisti hanno rotto pannelli di vetro e finestre lanciando contro delle pietre.
Attacchi alla libertà religiosa nel Madhya Pradesh
Secondo Sajan George, gli attacchi alle chiese “riflettono la spirale discendente in cui sta precipitando la libertà religiosa della minuscola comunità cristiana, nel Madhya Pradesh guidato dai nazionalkisti indù del Bharatiya Janata Party”. Ricordando il Rapporto 2015 sulla libertà religiosa in India presentato il 1 maggio scorso dalla Commissione Usa per la libertà religiosa nel mondo, il presidente del Gcic afferma: “Il governo del Bjp deve controllare i suoi quadri più estremisti e agire con rapidità per fermarli, usando il Codice penale indiano come deterrente e avvertimento per gli altri gruppi radicali, che senza essere provocati aggrediscono la minoranza cristiana”. (N.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 134