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Sommario del 31/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Auguri del Papa al presidente Mattarella: servizio a unità e concordia Italia

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Papa Francesco ha inviato un telegramma al nuovo presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, rivolgendo “deferenti espressioni augurali per la sua elezione”. Il Papa auspica che il capo di Stato “possa esercitare il suo alto compito specialmente al servizio dell’unità e della concordia del Paese” e invoca “sulla sua persona la costante assistenza divina per una illuminata azione di promozione del bene comune nel solco degli autentici valori umani e spirituali del popolo italiano”. “Con questi voti – conclude il Pontefice - invio a lei e all’intera nazione la benedizione apostolica”.

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Papa: la terra è madre, chi ha per dio il denaro vende anche la madre

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“Eliminare gli ostacoli” che penalizzano l’agricoltura e gli eccessi di sfruttamento della terra, perché questa attività possa essere svolta “a basso impatto ambientale”. È quanto Papa Francesco ha chiesto ai governanti del pianeta, durante l’udienza ai membri della Coldiretti, ricevuti in occasione dei 70 anni della Confederazione. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

C’è terra e terra. C’è la terra-merce, da cui risucchiare brutalmente ogni linfa per ingrassare gli utili, in barba al rispetto dei suoi cicli biologici, e poi abbandonarla “perché non serve a niente”. E c’è la terra coltivata con rispetto, perché è una “madre” nei cui solchi affondano non solo semi e bulbi ma anche le radici stesse della vita umana.

Senza agricoltura non c’è umanità
È questa distinzione che Francesco opera nel riproporre la visione cristiana del lavoro agricolo, al cospetto della Confederazione dei coltivatori diretti, che da 70 anni si lascia ispirare dall’etica cristiana promuovendo “un’agricoltura sociale dal volto umano, fatta di relazioni solide e vitali tra l’uomo e la terra”, come riconosce il Papa, che tratta l’argomento terra con parole di grande sensibilità. “Non c’è umanità senza coltivazione della terra – osserva – non c’è vita buona senza il cibo che essa produce per gli uomini e le donne di ogni continente”. Per cui, afferma, l’agricoltura merita di “essere valorizzata” da “concrete scelte politiche ed economiche”:

“Si tratta di eliminare quegli ostacoli che penalizzano un’attività così preziosa e che spesso la fanno apparire poco appetibile alle nuove generazioni (…) Nello stesso tempo occorre prestare la dovuta attenzione alla fin già troppo diffusa sottrazione di terra all’agricoltura per destinarla ad altre attività, magari apparentemente più redditizie. Anche qui domina il dio denaro, no? E’ come si dice di quelle persone che non hanno sentimenti, che vendono la famiglia, vendono la madre, ma qui è la tentazione di vendere la madre terra!”. 

Il pane è sacro, la terra di tutti
Il lavoro agricolo, nota il Papa, si collega con “due aree critiche”: povertà e fame. E qui entrano in rotta di collisione la visione cristiana, che parla di “destinazione universale dei beni della terra”, e il sistema economico “dominante” che, stigmatizza Francesco, “esclude molti dalla loro giusta fruizione”:

“L’assolutizzazione delle regole del mercato, una cultura dello scarto e dello spreco che nel caso del cibo ha proporzioni inaccettabili, insieme con altri fattori, determinano miseria e sofferenza per tante famiglie. Va quindi ripensato a fondo il sistema di produzione e distribuzione del cibo. Come ci hanno insegnato i nostri nonni, con il pane non si scherza! Ma, io ricordo, da bambino, quando cadeva il pane, ci insegnavano a prenderlo e baciarlo e riportarlo sul tavolo. Il pane partecipa in qualche modo della sacralità della vita umana, e perciò non può essere trattato soltanto come una merce”.

La terra va custodita non svenduta
La terra, dice e ribadisce più volte Papa Francesco,  deve essere custodita, con quella “passione” e quella “dedizione” che da tempo immemore le riservano i contadini. E oggi, in epoca di mutamenti e di eventi climatici sempre più estremi, questo tipo di attenzione è imprescindibile:

“Come continuare a produrre buon cibo per la vita di tutti quando la stabilità climatica è a rischio, quando l’aria, l’acqua e il suolo stesso perdono la loro purezza a causa dell’inquinamento? Davvero ci accorgiamo dell’importanza di una puntuale azione di custodia del creato; davvero è urgente che le Nazioni riescano a collaborare per questo scopo fondamentale”.

Agricoltura a basso impatto ambientale
Queste considerazioni portano Francesco a individuare una sfida: quella di realizzare, dice, “un’agricoltura a basso impatto ambientale”, per cui coltivare e custodire la terra siano attività capaci di andare di pari passo, permettendo alle prossime generazioni di continuare ad abitare il pianeta e a godere dei suoi frutti:

“Vorrei rivolgere un invito e una proposta. L’invito è quello di ritrovare l’amore per la terra come “madre” – direbbe san Francesco – dalla quale siamo tratti e a cui siamo chiamati a tornare costantemente. E da qui viene anche la proposta: custodire la terra, facendo alleanza con essa, affinché possa continuare ad essere, come Dio la vuole, fonte di vita per l’intera famiglia umana”.

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Nomine episcopali in Canada e Kazhakhstan

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, i cardinali Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht, in Olanda. Il Papa ha inoltre ricevuto mons. Yaser Rasmi Hanna Al-Ayyash, arcivescovo di Petra e Filadelfia dei Greco-Melkiti, in Giordania,  e il padre Abate Wolf D. Nokter, abate primate dei Benedettini Confederati.

In Kazhakhstan, Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Karaganda mons. Adelio Dell’Oro, trasferendolo dalla sede titolare di Castulo e conservandogli, donec aliter provideatur, l’incarico di amministratore apostolico di Atyrau. Il presule è nato il 31 luglio 1948 a Milano. Nel 1959 è entrato nel Seminario minore dell’Arcidiocesi di Milano. Nel 1967 ha completato gli studi per la maturità classica ed ha iniziato il percorso di formazione presso il Seminario maggiore della medesima Arcidiocesi, frequentando la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. E’ stato ordinato Sacerdote il 28 giugno 1972. Dal 1972 al 1983 è stato vicario parrocchiale della parrocchia di Sant’Andrea a Milano. Dal 1983 al 1997 – vicario parrocchiale della parrocchia di Santa Maria Assunta a Buccinasco. Dal 1974 al 1997, ha insegnato la Religione Cattolica presso alcune scuole medie ed istituti tecnici nell’Arcidiocesi. Dal 1978 al 1981 ha frequentato i corsi di formazione per gli Operatori di Pastorale liturgica presso l’Istituto Regionale Lombardo di Pastorale. Nel 1997 è stato inviato quale Sacerdote Fidei donum in Kazakhstan. Dal 1997 al 2007 vi ha ricoperto l’ufficio di Direttore spirituale del Seminario interdiocesano di Karaganda e di Direttore di Caritas Kazakhstan. Dal 2007 al 2009 ha svolto il ministero di Parroco a Vishniovka-Arshaly, nell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, e al medesimo tempo ha prestato servizio di collaboratore locale nella Nunziatura Apostolica ad Astana ed ha insegnato Teologia pastorale presso il Seminario maggiore a Karaganda. Dal 2010 al 2012 è stato Pro-Rettore del Collegio Guastalla di Monza, nonché Assistente della Fraternità di Comunione e Liberazione per l’Arcidiocesi di Milano. Il 7 dicembre 2012 è stato nominato Amministratore Apostolico di Atyrau ed elevato in pari tempo alla sede titolare vescovile di Castulo. Il 2 marzo successivo ha ricevuto l’ordinazione episcopale.

In Canada, il Papa ha nominato ausiliare di London padre Józef A. Dąbrowski, della Congregazione di San Michele Arcangelo, superiore della Vice-Provincia per il Nord America del suo Istituto e parroco di St Mary, London (Ontario). Mons. Dąbrowski è nato il 17 luglio 1964 a Wysoka Strzyżowska, in Polonia, nella diocesi di Przemyśl. Ha terminato la scuola secondaria nel Seminario Minore della Congregazione di San Michele Arcangelo (Micaeliti), e dopo aver studiato italiano a Perugia (Italia), ha compiuto gli studi di Filosofia e Teologia presso l’Istituto Teologico San Pietro di Viterbo, ottenendo lì un Masterin Teologia nel marzo del 1991. È stato ordinato sacerdote il 4 maggio 1991 a Viterbo, in Italia.  Giunto in Canada dopo l’ordinazione sacerdotale, si è dedicato ad imparare l’inglese e ha ricoperto diversi incarichi sempre nella diocesi di London: Parroco-aggiunto di Our Lady of Częstochowa, London (1992-1993); Parroco-aggiunto di St. Michael e Cappellano della Cardinal Carter High School di Leamington (1993-1996); Parroco-aggiunto della Parrocchia St. Pius X e Cappellano della St. Thomas Aquinas High Schooldi London (1996-1997). Dopo un anno come Parroco-aggiunto, dal 1998 è Parroco di St. Mary (London) e Cappellano della Catholic High School di London. Dal 2002 al 2003 è stato anche Direttore Spirituale aggiunto del Seminario diocesano St. Peterdi London, e dal 2004 al 2006 membro del Consiglio presbiterale diocesano.  Il 19 giugno del 2013 è stato nominato primo Superiore della neonata Vice-Provincia dei Micaeliti“St. Kateri Tekakwitha”, per il Nord America.

Il Pontefice ha nominato consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede il padre gesuita, Pietro Bovati, segretario della Pontificia Commissione Biblica.

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Tweet: c’è urgente bisogno di testimonianza credibile del Vangelo

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “C’è un urgente bisogno di una testimonianza credibile della verità e dei valori del Vangelo”.

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Vaticano. Relazione promotore Giustizia apre anno giudiziario

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Dopo la Messa del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nell’Aula delle Udienze del Palazzo dei Tribunali, il promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, ha tenuto la sua Relazione introduttiva all’Anno giudiziario 2015 del Vaticano. Il servizio di Isabella Piro: 

Riforme avviate da Benedetto XVI e intensificate da Francesco

Il bilancio dell’anno giudiziario che va dal primo ottobre 2013 al 30 settembre 2014, tracciato dall’avv. Gian Piero Milano, si apre con un riferimento al Magistero di Papa Francesco su un tema di straordinaria attualità: l’inquietante incremento, nei repertori della giurisprudenza, della criminalità finanziaria e della corruzione. “Una vera e propria piaga”, sottolinea il promotore di Giustizia, che colpisce un bene inviolabile dell’individuo: la sua dignità umana. L’avv. Milano si sofferma, quindi, sul processo di riforme avviato da Benedetto XVI ed intensificato da Papa Francesco, ad esempio con l’istituzione del Consiglio e della Segreteria per l’Economia, o con il Motu proprio del luglio 2013 che sanziona alcuni reati commessi contro la sicurezza, gli interessi fondamentali o il patrimonio della Santa Sede e definisce significative innovazioni per l’ambito della giurisdizione dei Tribunali vaticani.

Delitti contro minori: in corso atti istruttori e accertamenti informatici
In questo quadro normativo, si inserisce l’iniziativa dell’Ufficio del promotore di Giustizia relativa ai delitti contro i minori perpetrati all’estero da un pubblico ufficiale della Santa Sede, investito di funzioni diplomatiche e rivestito della dignità arcivescovile. Una “fattispecie delicata e inedita”, sottolinea il promotore, sulla quale sono in corso atti istruttori e complessi accertamenti informatici che richiedono massima cautela e riservatezza e si ipotizza di attivare strumenti di cooperazione giudiziaria internazionale. In questo caso, spiega il promotore, non si può parlare di sovrapposizione con le competenze della Congregazione per la Dottrina della fede, perché per il Tribunale si realizza la giurisdizione dello Stato, mentre per il Dicastero quella sullo status della persona interessata. Quindi, non c’è violazione del principio “ne bis in idem”, ovvero l’impossibilità di giudicare due volte una persona per il medesimo reato, e la Congregazione ha potuto procedere alla condanna, in prima istanza, alla pena della riduzione allo stato laicale, contro cui è stato presentato appello.

Prevenzione e contrasto del reato di riciclaggio
La Relazione cita, poi, la legge n. XVIII dell’8 ottobre 2013, in materia di trasparenza, vigilanza e informazione finanziaria, e il Comitato di sicurezza finanziaria istituito con Motu proprio dal Pontefice nell’agosto di due anni fa: esempi di una “dimensione operativa che sta dando risultati significativi”, soprattutto nella prevenzione e nel contrasto del riciclaggio. Il promotore di Giustizia menziona la condanna per truffa aggravata, con pena in prima istanza a quattro anni di reclusione, di un soggetto avente la gestione di beni ecclesiastici, caso per il quale si attende l’esito del processo di appello. Sempre in questo ambito, sono state cinque le segnalazioni di operazioni sospette giunte al promotore di Giustizia dall’Aif (Autorità di informazione finanziaria) per le quali si sono attuate appropriate norme ed avviate indagini. La legge n. XVIII, inoltre, ha introdotto “prescrizioni rigorose” sul trasporto transfrontaliero di denaro contante, tanto che nell’anno appena trascorso sono stati eseguiti controlli su oltre 4mila persone e 7mila veicoli in entrata o in uscita dal Vaticano.

Criminalità “globalizzata”. Servono parametri uniformi per le rogatorie
Strategica, ribadisce l’avv. Milano, è la cooperazione nel campo giudiziario, poiché oggi la criminalità “presenta sempre più i connotati della globalizzazione”, fenomeno al quale “non è estraneo lo Stato Vaticano”. Al riguardo, nell’anno giudiziario appena concluso, il Tribunale della Santa Sede ha ricevuto dieci richieste di rogatoria da autorità straniere, di cui otto dall’Italia. Sette sono state le rogatorie eseguite, tre quelle negate, di cui una italiana, perché la giurisdizione vaticana aveva già avviato procedimenti nei casi a cui esse si riferiscono. Per le rogatorie, inoltre, l’avv. Milano auspica “parametri informativi comuni ed uniformi”, cosa che non sembra avvenuta in un caso concreto.  Ad aprile 2013, infatti, il promotore di Giustizia aveva chiesto alla giustizia italiana informazioni finanziare per un caso indagato in Vaticano, ma il materiale ottenuto era lacunoso e evidenziava modalità “improprie” di acquisizione di alcune prove.

Auspicata l’introduzione di norme specifiche per il reato di usura
Il promotore di Giustizia riferisce anche di “isolati tentativi”, neutralizzati sul nascere in Vaticano, in relazione al traffico internazionale di stupefacenti, ed auspica l’introduzione di una norma specifica per il reato di usura, attualmente non previsto dal Codice. Ulteriori riflessioni su eventuali modifiche normative vengono avanzate riguardo alle intercettazioni di comunicazioni, definite “strumento di indagine imprescindibile”, e all’attuazione più completa delle norme sul “giusto processo” adottate dal Consiglio d’Europa e dall’Onu.

Sei arresti disposti nel corso dell’anno
In ambito civile, l’avv. Milano si sofferma sulle questioni in materia di lavoro ed ipotizza di rendere obbligatorio il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio del lavoro. Quindi, il promotore di Giustizia ringrazia il Corpo della Gendarmeria per alcune operazioni compiute nel 2014. Infine, qualche dato statistico: sei gli arresti disposti nel corso dell’anno; uno l’ordine di cattura emesso dal Tribunale; tre invece i decreti di citazione per il rinvio a giudizio.

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Card. Parolin: legge è equa se unisce rigore e compassione

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La legge, pur nel suo rigore, abbia un fremito di compassione e sia sempre lontana dalle tentazioni della vendetta e del populismo penale: questo il richiamo del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nella Messa presieduta stamani in Governatorato per l’inaugurazione dell’86.mo anno giudiziario del Tribunale Vaticano. Il servizio di Isabella Piro

Giudizio equo ha fremito di compassione
Si richiama a Don Bosco e all’importanza del suo metodo preventivo, non repressivo, basato sull’ascolto e il dialogo, l’omelia del card. Parolin. Proprio oggi, infatti, si celebra la memoria liturgica del fondatore dei Salesiani, mentre l’anno 2015 festeggia il bicentenario della sua nascita. Il card. Parolin sottolinea dunque che “la legge pur necessaria, da sola non basta” poiché essa ha “carattere strumentale” e serve a guidare al bene. Solo “il riferimento alla dimensione soprannaturale” – ha affermato -  “consente la formulazione di un giusto ed equo giudizio nel quale – pur nel doveroso rispetto della legge, nella tutela dei diritti e nella imprescindibile difesa dell’ordine e della pace sociale – vibri tuttavia un fremito di compassione, cioè di amore e di capacità di farsi carico della sofferenza altrui, anche di quella di colui che viene giudicato”.

No a incitazione vendetta e populismo penale
Il segretario di Stato cita la “geniale intuizione di Don Bosco, che risolutamente condannava il metodo repressivo e puramente vendicativo e proponeva quello preventivo, basato sull’ascolto, il dialogo e una naturale benevolenza. Il sistema repressivo – scriveva Don Bosco – può impedire apparentemente un disordine, ma difficilmente farà migliori i delinquenti… Ho avuto sempre paura di chi ama la giustizia ad ogni costo, pronto a mettere in croce chi sbaglia, convinto che l’inasprimento delle pene cambi le persone”. E il card. Parolin ricorda anche l’appello di Papa Francesco contro “l’incitazione alla vendetta ed al populismo penale” ed in favore del primato della dignità della persona umana sopra ogni cosa. D’altronde, aggiunge il porporato, la fonte principale del diritto dello Stato della Città del Vaticano è il Diritto canonico, il cui fine ultimo è la salvezza delle anime.

Coniugare rigore legge e benevolenza
Di qui, il richiamo ad unire alla certezza del diritto l’equità del diritto naturale, in base al bene comune ed al principio di carità e misericordia. Si tratta, dunque, di “coniugare il necessario rigore della legge con la certezza giuridica che ne deriva, con l’aequitas che, in ultima analisi - conclude il card. Parolin - non si discosta da quell’esortazione di Don Bosco alla fermezza, unita alla benevolenza”.

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La Santa Sede all'Onu: in aumento stupri come arma di guerra

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Le donne, vittime due volte dei conflitti: a ricordare il dramma degli stupri e dei rapimenti nel dramma delle guerre è l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, mons. Bernardino C. Auza. Il suo intervento è stato letto da mons. Janusz Urbanczyk al dibattito del Consiglio di Sicurezza Onu dedicato alla protezione dei civili nei conflitti armati, ieri a New York. Il servizio di Fausta Speranza: 

Violenze contro le donne in aumento
“Donne e ragazze soffrono in modo sproporzionato le devastazioni dei conflitti”. Mai la Santa Sede pensa alle guerre come via di soluzione di dispute, ma in caso di conflitto, oltre a cercare una via di pace, bisogna cercare il modo di fermare il flagello delle violenze che subiscono le donne, anche giovanissime. Sono più vulnerabili - denuncia mons. Auza - come risultato delle situazioni di ingiustizia che vivono. L’osservatore della Santa Sede ricorda che, attraverso una serie di risoluzioni, il Consiglio di Sicurezza ha riconosciuto che “ulteriori passi devono essere fatti per la protezione delle donne e delle ragazze nei conflitti e anche nelle situazioni di post conflitto” e per far emergere “l’unicità dell’impatto dei conflitti armati sul mondo femminile”. Il presule ribadisce: le cronache dimostrano che “le violenze commesse contro le donne sono in aumento nel mondo”.

Stupro, orrendo crimine che viola la donna nel corpo e nello spirito
Mons. Auza parla con estrema chiarezza di violenza “nelle forme più orrende e brutali”. Cita la schiavitù sessuale, lo stupro, il traffico di esseri umani, i rapimenti di giovanissime. Poi, ricordando le forti denunce e gli appelli di Papa Francesco su questi temi, parla di “abominevoli commerci” e definisce lo stupro “orrendo crimine che viola la donna nel corpo e nello spirito”.  Quindi, chiede che gli esponenti di fedi religiose e leader di governo facciano sentire la loro chiara condanna di tutto ciò.

Non c'è abbastanza attenzione per le minoranze
La violenza è sempre un assalto alla dignità della persona – ribadisce – ma la violenza sessuale è anche “uno strappo al tessuto della società”. Il richiamo di mons. Auza è concreto e forte: “Non c’è abbastanza attenzione, così come non c’è abbastanza considerazione per le minoranze maggiormente esposte nei conflitti. In particolare, ricorda quanti sono perseguitati per il loro credo, tra questi innanzitutto i cristiani.  

Comunità internazionale lotti contro stupro e schiavitù
In definitiva, due appelli alla comunità internazionale: “sradicare il flagello dello stupro come arma nelle guerre” e fermare la cultura della schiavitù e della violenza”. Appello che – ricorda mons. Auza – Papa Francesco ha lanciato anche nel discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede a inizio anno. Un impegno per cui mons. Auza chiede di “raddoppiare gli sforzi”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, "Sorella e madre terra; Il Papa torna a denunciare lo spreco inaccettabile del cibo e chiede di ripensare il sistema di produzione e distribuzione". La sfida è riuscire a realizzare un’agricoltura a basso impatto ambientale.

Di spalla, sempre in prima pagina, "Con Pietro per la famiglia. Davanti alla grande sfida del sinodo" di Gualtiero Bassetti. Sotto, Sergio Mattarella presidente della Repubblica italiana; gli auguri del Papa per l’unità e la concordia del Paese

A pagina quattro "L’uomo che ispirò don Camillo. Paolino Beltrame Quattrocchi Monaco sacerdote scout e partigiano" di Silvia Gusmano, una segnalazione della mostra «1938-1945. La persecuzione degli ebrei in Italia. Documenti per una storia» in corso nella basilica di Santa Croce a Firenze e "Se anche i tamburi parlano. Peter Eötvös all’Accademia nazionale di Santa Cecilia e alla Scala di Milano" di Marcello Filotei.

A pagina otto, il discorso integrale che sabato 31 gennaio Papa Francesco ha tenuto davanti a duecento rappresentanti della Confederazione nazionale dei coltivatori diretti, ricevuti nella Sala Clementina. Francesco ha chiesto ai presenti: «Come fare in modo che il nostro coltivare la terra sia al tempo stesso anche custodirla?» e ha aggiunto: «L’invito è quello di ritrovare l’amore della terra come “madre”».

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Oggi in Primo Piano



Sergio Mattarella eletto presidente della Repubblica italiana

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Sergio Mattarella è il 12.mo presidente della Repubblica italiana. Al quarto scrutinio, il nuovo capo dello Stato ha superato in modo molto ampio il quorum dei 505 voti dei grandi elettori necessario per salire al Colle: 665 infatti i consensi ricevuti. Nella sua prima dichiarazione, il neo presidente afferma: "Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. E' sufficiente questo". Il giuramento martedi alle 10.00. Alessandro Guarasci: 

Un esponente del cattolicesimo impegnato in politica, un esempio di rigore sale al Colle. Dunque Sergio Mattarella succede a Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica. Un applauso quasi liberatorio arriva da buona parte dell’aula di Montecitorio dove sono riuniti i grandi elettori. Impassibili Lega e Movimento Cinque Stelle. La svolta questa mattina quando anche Area Popolare aveva detto che avrebbe scritto sulla scheda il nome del giudice della Corte Costituzionale. Alfano però aveva precisato che il metodo di Renzi rimaneva sbagliato. Questo ha provocato molti malumori in Ncd, con relative dimissioni, tra cui quelle di Sacconi da capogruppo. Renzi ha subito twittato: “Buon lavoro presidente Mattarella, w l’Italia”. Il vicepresidente del Pd ha affermato: l'elezione di Mattarella non avrà conseguenze sulle riforme e non porta "nessun livido per la maggioranza". Dunque oltre al Pd, a favore dell’esponente siciliano, si sono espressi Area Popolare (ovvero Ncd e Udc), Scelta Civica e Sel, che però ha confermato di rimanere all’opposizione. E visto l’ampio consenso sul nome di Mattarella, è molto probabile che non pochi voti siano arrivati anche da Forza Italia.

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Mattarella, scelta di altissimo profilo: commenti di Antonetti e Bonini

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Molti messaggi al neo-presidente Mattarella sono arrivati anche da associazioni cattoliche. Per un commento sulla sua figura Alessandro Guarasci ha sentito il presidente dell’Istituto Sturzo Nicola Antonetti: 

R. – E’ un figlio di una cultura democratica, di democrazia politica a tutto tondo, dal tema sociale al tema delle istituzioni. Una bella giornata per la Repubblica Italiana, secondo me. E  ovviamente non solo per i cattolici, ma per il Paese, per l’intera Repubblica. E  mi sembra un po’ ozioso questo affannarsi nel dire “un uomo della Prima Repubblica, che chiude la Seconda Repubblica”: sono un po’ artifici giornalistici.

D. – Qualcuno dice che questa, tutto sommato, è una nuova vittoria di Renzi. Lei è d’accordo?

R. – Renzi, adesso, a prima vista, ha fatto un’operazione politica magistrale: il fatto di aver desacralizzato quello che i giornalisti sacralizzano come il “patto del Nazareno”. E questa scelta di Mattarella era, secondo me, la scelta contro la quale era molto difficile opporsi. Mi sembra che Forza Italia stia franando su questa scelta antimattarelliana fatta ieri. In mattinata si diceva: probabilmente adesso Renzi dovrà pagare ad una finestra interna per una revisione della legge elettorale… Però il canone fondamentale di una legge che vada dal bipolarismo al bipartitismo è questo. E non credo che Mattarella lo fermi, lo ostacoli. Lui conosce bene le dinamiche: il “Mattarellum” lo ha fatto lui, salvando una quota dei partiti attraverso il proporzionale, ma concentrando la maggior parte della legge sui collegi uninominali.

D. – Ma possiamo dire che ci sarà un serrato confronto tra il presidente Mattarella e Renzi, anche su un tema fondamentale come la legge elettorale?

R. – Mattarella è stato un teorico, sì, della collaborazione da parte del presidente della Repubblica con il governo e con il parlamento, ma anche il teorico della non prevaricazione sul parlamento. Probabilmente con un governo che, bene o male, ha una sua forza autonoma i poteri del presidente della Repubblica, in qualche modo, si ritraggono.

Luca Collodi ha sentito il rettore della Lumsa Francesco Bonini: 

R. – E’ una scelta positiva, è una scelta serena, è una scelta seria. Credo che tra le persone di età – perché il presidente della Repubblica non può che essere una persona di età – e le persone di esperienza – perché il presidente della Repubblica deve avere una esperienza istituzionale – Sergio Mattarella sia certamente una scelta di altissimo profilo. Nonostante sia stata complessa, questa scelta, alla fine, però, è una scelta che vede un po’ tutti consapevoli e vede un po’ tutti partecipi.

D.  – Sergio Mattarella faceva parte di una delle tante correnti della Democrazia Cristiana, la corrente morotea, che era nota per unire la tensione morale alla ricerca di concretezza nella proposta sociale e culturale. Forse Mattarella ancora oggi raccoglie questo patrimonio e lo trasporta in questo terzo millennio …

R. – Io credo che questa scelta, anche tra vent’anni, sarà in certo qual modo emblematica di un ponte. Mattarella è noto ormai soprattutto per il cosiddetto “Mattarellum”, cioè la legge elettorale che si è incaricato di scrivere a conclusione della Prima Repubblica, ed è il primo presidente – probabilmente – di una nuova fase, che peraltro è tutta da inventare, ancora incertissima. E quindi, sicuramente porterà in questa nuova fase e in questo ruolo così importante che, con grande suffragio, gli è stato attribuito, porterà appunto i valori, ma anche lo stile, un certo stile, appunto quello stile moroteo che non è fatto di fanfare, di bande, di lustrini; non è fatto di immagini ma è fatto di sostanza ed è fatto di lavoro. In realtà, la gente e le persone, gli elettori, i cittadini italiani, dal presidente della Repubblica si aspettano che faccia molto bene il suo lavoro ma anche che risponda alle istanze della gente; e le istanze della gente, oggi, sono quelle di moralità, concretezza di risultati e di una politica che, appunto, lavori per il bene della gente e non semplicemente per auto-perpetuarsi.

D. – Il neo-presidente della Repubblica italiana, Mattarella, potrà dare al Paese quell’unità e quella serenità che anche la Chiesa auspica?

R. – E’ il quarto “fuciino” presidente della Repubblica, cioè c’è anche una storia personale di impegno cattolico, da cattolico. Credo che l’impegno dei cattolici nella vita pubblica, nelle istituzioni, non possa che essere proprio quello di dare corpo, di dare concretezza nella produzione legislativa e negli atti istituzionali, proprio a questa tensione al bene comune. Abbiamo una strana coppia ai vertici della nostra Repubblica: una figura, appunto, come Sergio Mattarella, come il grande pubblico sta cominciando a conoscerla e tutti noi la conoscevamo per questo suo rigore anche nell’aspetto, nel tratto, e invece poi un presidente del Consiglio esuberante. Credo che l’uno e l’altro saranno chiamati nei prossimi mesi a prendere delle decisioni importanti, proprio per cercare di risolvere i tanti problemi che sono nell’agenda dell’Italia e dell’Europa.

D. – Questo ci dice che Mattarella non sarà un presidente-notaio …

R. – Assolutamente no! E’ anche vero, però, che Giorgio Napolitano ha lasciato sottolineando che una figura del presidente della Repubblica come lui è stato per molti aspetti costretto ad interpretare, cioè un presidente della Repubblica molto interventista, molto presente, è un dato eccezionale. E quindi, il nuovo settennato incomincerà proprio riprendendo la grande tradizione dei presidenti della Repubblica che non sono notai, ma che sono in qualche modo registi e garanti dell’assetto istituzionale.

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Il no della Merkel a Tsipras: niente cancellazione del debito

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La Germania torna a bocciare qualsiasi ipotesi di cancellazione del debito greco. Oggi lo ha ribadito la cancelliera tedesca Angela Merkel, all’indomani della chiusura verso le istituzioni internazionali che il neo ministro delle finanze di Atene, Yanis Varoufakis, ha manifestato al presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Il servizio è di Eugenio Bonanata: 

E’ muro contro muro tra Atene e Berlino. La cancelliera tedesca esclude l’ipotesi della riduzione del debito greco, aggiungendo che d’altra parte è impensabile la fuoriuscita del paese dall’Euro. Una situazione che sembra difficile da ricomporre alla luce del pugno duro mostrato dal governo Tzipras in queste ore. Germano Dottori, docente di Studi Strategici all’Università Luiss di Roma, intervistato da Manuela Campanile:

“Ovviamente verrà raggiunto un punto di compromesso anche perché se non gli si dà qualche cosa rischia di mettersi in moto un meccanismo a catena che è estremamente distruttivo per l’Unione europea. Questo è il rischio che deve essere scongiurato e che verosimilmente anche la Merkel ha ben presente”.

Il premier Tzipras punta ad allentare il rigore, pur proseguendo sulla strada delle riforme. Ed proprio con l’obiettivo di cercare sostegno alla sua politica che martedì si recherà a Roma e il giorno successivo a Parigi.

“Anche Hollande ha interesse all’attenuazione dell’austerità. Io credo comunque che Hollande sia già un appoggio piuttosto importante per Tsipras nella ricerca di un punto di equilibrio nei rapporti con la Germania e nella definizione di un pacchetto che permetta alla Grecia di sopravvivere”.

Il ministro delle finanze ellenico, però, ieri è stato duro ad Atene di fronte al numero uno dell’Europarlamento chiedendo lo stop delle trattative con gli ispettori della troika, il rifiuto dell’ultima tranche del piano di salvataggio, che scade a fine febbraio, e l’apertura di una conferenza internazionale.

In questo modo, non rispettando gli impegni, Tzipras “mette il suo Paese in pericolo”, ha detto il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, che ieri ha organizzato una cena a Strasburgo con il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel.

“Tsipras sembra avere una certa spregiudicatezza dal punto di vista geopolitico e ho l’impressione che sia tutt’altro che un profeta disarmato, si presenta, cioè, al negoziato con la Merkel e con il partito europeo del rigore avendo alcune carte in mano piuttosto interessanti: una certa solidarietà della Francia dentro l’Unione Europea e una rete di sostegno di emergenza di cui la Russia e la Cina sono evidentemente i pilastri fondamentali. Io credo che sia una forma di rassicurazione, che permette a Tsipras di giocare con maggior vigore e con minori timori”.

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Yemen: proteste di piazza contro i ribelli sciiti houthi

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In migliaia in piazza a Saana, capitale dello Yemen, in segno di protesta contro i ribelli sciiti Houthi che controllano la città. Numerosi gli arresti, tra cui il leader dell’unione universitaria. Intanto, proseguono gli incontri tra il mediatore dell’Onu e i partiti yemeniti per la costituzione di un organismo che guidi il Paese dopo le dimissioni dei vertici istituzionali, avvenute lo scorso 22 gennaio. Quali i motivi della forte destabilizzazione che sta vivendo il Paese yemenita? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Vittorio Parsi, docente di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di Milano: 

R. – Lo Yemen è stato in questi anni e continua a essere un’importante base operativa e addestrativa di al-Qaeda, quindi un punto di irradiazione del messaggio qaedista verso diverse declinazioni. E dunque, uno Yemen instabile mantiene elevata questa pericolosità. La seconda prospettiva è quella della guerra tra Iran e Arabia Saudita: in qualche misura, l’Arabia Saudita sta facendo guerra all’Iran in Siria e in un certo modo l’Iran replica portando la minaccia all’Arabia Saudita nella Penisola arabica, nel cono sud della Penisola arabica.

D. – Nell’ambito del panorama sciita, questa frangia degli huti che cosa rappresenta?

R. – Non è così semplice individuarli, intanto perché dobbiamo fare molta attenzione quando parliamo di un panorama sciita a intenderlo come un insieme eccessivamente omogeneo. Anche perché – dal mio punto di vista – la questione settaria, cioè la divisione sunniti-sciiti, non è il motore principale di quello a cui stiamo assistendo nel Medio Oriente: il motore principale è la contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, tra i poteri più tradizionali, nel caso dei sauditi, o più rivoluzionari nel caso dell’Iran. Nel caso iraniano, sono tra l’altro molto vicini ai tentativi di riforma sunnita: pensiamo alla Fratellanza musulmana… Per cui, non collocherei una chiave di lettura principale di questo movimento all’interno del panorama sciita organicamente inteso.

D. – C’è il rischio che lo Yemen torni a essere diviso tra Yemen del Sud e Yemen del Nord, come era una volta?

R. – Sì. Se consideriamo che perfino Paesi che sono stati sempre – dalla loro nascita postcoloniale – uniti e unitari, stanno correndo il rischio di essere divisi. Stiamo discutendo seriamente la possibilità che, come uscita dalla guerra civile siriana, possa esserci una spartizione effettiva della Siria e la stessa cosa potrebbe avvenire per l’Iraq, con la nascita di un Kurdistan iracheno. Un’altra ragione c’è per lo Yemen, la cui unità è stata molto più recente e mai completamente accettata unanimemente all’interno del territorio. Tra l’altro, i due Yemen hanno una storia molto diversa dal punto di vista coloniale e quindi per un lungo periodo di tempo.

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Africa: sale l'allarme per il jihadismo radicato nel Sahel

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È di oltre 120 jihadisti uccisi il bilancio di due giorni di scontri tra le milizie di Boko Haram e l’esercito del Ciad ai confini della Nigeria. Intanto, la città di Michika, di recente al centro di nuovi massacri da parte degli integralisti, è stata riconquistata dalle truppe nigeriane. Ma le fila delle diverse formazioni jihadiste continuano a ingrossarE nelle zone desertiche e del Shael africano, lungo i confini di numerosi Paesi. Una vastissima area che alcuni commentatori hanno ribattezzato "Sahelistan". Marco Guerra ne ha parlato con l’africanista e ricercatore dell’Ispi, Giovanni Carboni: 

R. – Il “Sahelistan” richiama un po’ “l’Afrighanistan” che era stato coniato dall’Economist due o tre anni fa, quando ci si è accorti che sembrava arrivata alle porte dell’Europa la minaccia che sembrava più lontana - appunto in Afghanistan – che adesso è in Africa nel Sahara e nel Sahel, un’area per definizione dai confini sono molto labili, porosi, che nella fascia più prettamente desertica o saheliana sono pressoché inesistenti e consentono una grande mobilità di questi movimenti. Il primo caso in cui è emersa questa nuova realtà di movimenti legati ad Al Qaeda – specificatamente con Al Qaeda nel Maghreb islamico – è stato nell’ondata recente di mobilitazione di jihadisti in seguito della crisi del Mali nel 2013, quando si è avuta un’insurrezione da prima dei Tuareg – e in questo si è inserita l’attività dei jihadisti che già avevano delle cellule operative nella regione. Poi, questo è andato estendendosi verso la Nigeria. Dobbiamo pensare che sostanzialmente quello che è emerso in questi anni è una linea in qualche modo di instabilità su cui si sono concentrate le crisi africane, che corre appunto dal Mali, dal Nord della Nigeria, e attraversa il continente fino a muoversi verso il Corno d’Africa, verso la Somalia, che ha una storia di instabilità ben più lunga che risale ai primi anni Novanta.

D. – Poi, c’è il Kenya, la Somalia con gli assalti degli Shabaab e la Nigeria con Boko Haram, il gruppo jihadista più temuto del continente, che fra l’altro ha giurato fedeltà allo Stato islamico…

R. – È importante che si comprenda sempre che le radici di queste iniziative armate terroristiche o di guerriglia non sono la proiezione di realtà che vengono da lontano, da altre aree in cui in precedenza movimenti jihadisti sono stati attivi, ma che nascono da rivendicazioni, da problematiche, da conflitti che sono maliani, nigeriani, somali. La Somalia ha visto il collasso del governo all’inizio degli anni’90, ma la questione dell’emergere delle forze islamiche, del radicalismo islamico, si pone a partire dal 2006-2007. In Mali, la ribellione contro il governo centrale avviene a opera dei Tuareg, non dei movimenti jihadisti. Poi, si innesta un’iniziativa jihadista. Per quanto riguarda la Nigeria, il problema su cui si radica il jihadismo di Boko Haram è quello di un malessere diffuso nelle regioni del nord, e specificamente nel nordest che è l’area più povera della Nigeria, politicamente marginalizzata, che rappresenta il contesto – questo come quello della Somalia, del Mali – nel quale poi questi movimenti riescono a dare vita alle loro iniziative.

D. – Invece, quali sono gli eventuali collegamenti, se ci sono, tra lo Stato islamico e questo universo jihadista africano?

R. – È molto difficile dirlo, perché nelle analisi che si leggono su questi movimenti c’è sempre questa componente del network e molto raramente l’evidenza di qualche scambio, ad esempio di militanti, che sono stati addestrati in aree distanti da quelle dove finiscono a operare. Detto questo, è certo che esistono dei contatti, degli scambi e finanziamenti che vengono dai Paesi arabi, ma questo non deve fuorviarci e intenderlo come qualche cosa che sia il riflesso di iniziative internazionali. La mia lettura è quella dell’origine fortemente locale. Quello del jihadismo internazionale diventa il un veicolo a cui agganciarsi per evidenziare iniziative, problematiche, che però stanno con i piedi per terra in posti come la Nigeria, la Somalia o il Mali.

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Giornata vita. Convegno al Gemelli sulle diagnosi prenatali

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Capire fin dove è arrivata la diagnosi prenatale grazie alle nuove scoperte sul Dna umano e comprendere l’etica di queste ricerche. Questi i temi principali del Convegno promosso dai Dipartimenti di ginecologia ed ostetricia di Roma, dal titolo “Le nuove frontiere della diagnosi genetica”, che si è svolto presso il Policlinico Gemelli. Marina Tomarro ne ha parlato con Domenico Arduini, direttore del Dipartimento di ginecologia ed ostetricia dell’Università Tor Vergata: 

R. – Il punto nel quale oggi la scienza è arrivata è quello di cercare di dimostrare che con un prelievo di sangue materno si possono fare indagini genetiche, quantomeno per tre anomalie cromosomiche. Il 30%  di tutte le anomalie è quella legata al "down" e queste tecniche permetterebbero di individuare, con elevata possibilità, le gravidanze che sono a rischio di avere un feto con una patologia "down". E’ chiaro che in questi casi la diagnosi non è assolutamente definitiva, questo è importante che venga precisato: è semplicemente un’informativa che in quel determinato caso vi è un rischio maggiore di avere un bambino "down".

D. – Fin dove arriva l’etica di questa diagnosi, secondo lei?

R. – L’etica della informazione è proprio legata al fatto che, se correttamente utilizzata, questa indagine permetterebbe di rassicurare moltissime coppie di evitare inutili diagnosi invasive e quindi abbattere quegli aborti conseguenti a una diagnostica di tipo invasivo, come per esempio l’amniocentesi, che ha un rischio di aborto, che è dello 0,5-1%.

Ma fondamentale è anche il ruolo dell’organizzazione sanitaria nel supportare quelle famiglie con bambini nati con handicap. Giuseppe Zampino, docente presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, tra i relatori del Convegno:

R. – Quando nasce un bambino con una malformazione o una malattia genetica, in realtà più che una malattia è una condizione, quindi bisogna passare attraverso un’accettazione. Un’accettazione che passa attraverso la famiglia ma anche da parte di tutto il sistema, di chi opera, chi lavora, con il bambino. Per cui, si passa da una dimensione che è quella classica della medicina, del guarire, a una dimensione del prendersi cura. E prendersi cura significa valutare lo stato del benessere del bambino e garantirlo a 360 gradi, in modo particolare sul territorio dove vivrà, garantendogli tutto quello che può far bene, a lui e alla famiglia, per poter realizzare se stesso.

D.  – Quali sono attualmente le carenze verso l’assistenza di questi piccoli?

R.  – Il punto è che non viene quantificato il tempo impiegato per la gestione di un bambino complesso nell’interno della sanità e quindi questo significa che quello che fai, lo fai come un atto di volontariato. Questo significa che la famiglia si sente sempre in debito con il sistema che gli dà un aiuto. In realtà, no, bisogna ribaltare la questione: la famiglia ha il diritto di essere gestita, il bambino ha il diritto di essere gestito, e l’operatore ha il diritto di poter fare una migliore gestione per avere risorse e tempo necessario per permettere la presa in carico.

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Festa don Bosco. Don Artime: Salesiani siano come lui oggi

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Ricorre oggi la memoria liturgica di San Giovanni Bosco, sacerdote, fondatore dei Salesiani e maestro dei giovani. La memoria liturgica ha un carattere particolare quest’anno in cui si festeggia il bicentenario della nascita del Santo: l’intera famiglia salesiana si ritrova infatti per la prima volta nel rione torinese di Valdocco in cui sorge la Casa madre. Quale l’attualità di don Bosco? Paolo Ondarza lo ha chiesto a don Angel Fernandez Artime, rettore maggiore dei Salesiani: 

Don Bosco, dono per la Chiesa in uscita
R.  – Crediamo che don Bosco veramente sia un dono di Dio per tutta la Chiesa, per il mondo. Noi famiglia salesiana nel mondo oggi rinnoviamo il nostro impegno per i giovani e per le ragazze e i ragazzi, specialmente quelli più bisognosi. Devo dire che qualcosa di speciale e storico avrà luogo qui oggi a Valdocco: infatti, ci troviamo qui tutti e 30 i gruppi della famiglia salesiana, di tutte le Congregazioni di questo grande albero, da tutte le parti del mondo. E ci troviamo per essere vicini a don Bosco per la prima volta nella storia. Lui ha fondato 4 gruppi, oggi siamo 30, e questa è una realtà bella, ma allo stesso tempo è un grande impegno e una sfida per noi come famiglia salesiana, in una Chiesa "in uscita", come chiede Papa Francesco.

Rimanere fedeli a don Bosco, sfida per i Salesiani
D. – Come vive la famiglia salesiana questo bicentenario? E’ tempo di guardare a mete future, a guardare a quello che si è costruito finora…

R. – La grande sfida e la più bella realizzazione di questo bicentenario sarà per noi una grande fedeltà a don Bosco, al Signore Gesù in don Bosco.

Don Bosco, un santo per i giovani di oggi
D. – Don Bosco, maestro dei giovani: cosa viene a dire questa dimensione pedagogica ai nostri tempi caratterizzati da un’emergenza educativa?

D. – Don Bosco e il carisma salesiano hanno una grande attualità, perché i giovani saranno sempre nel mondo. E’ certo che i giovani non sono gli stessi di oggi, ma allo stesso tempo sono gli stessi, perché il cuore del giovane è lo stesso: quando un giovane vede che abbiamo fiducia in lui, quando un giovane si sente veramente voluto bene, il cuore del giovane è aperto a tutto ciò che di buono gli si può offrire. Per questo, crediamo che don Bosco sia di grande attualità nel suo avvicinare i giovani a Dio e volere la loro felicità.

Don Bosco, esempio di educazione rispettosa dei giovani in un'epoca minacciata da sperimentazione educativa
D. – La scuola insieme alla famiglia è chiamata ad accompagnare, a guidare il giovane nella crescita e nel processo di evoluzione affettiva. In proposito, il Papa recentemente ha messo in guardia da ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Ha detto: i giovani, i bambini non sono cavie da laboratorio. Cosa dice don Bosco in merito?

R. – Quando don Bosco dice che vuole che i suoi giovani possano essere onesti cittadini e buoni cristiani parla di un’educazione veramente integrale. Noi crediamo che la scuola, l’educazione, siano una grande opportunità per educare l’uomo e la donna pienamente, con un’apertura al senso di Dio e con una umanità profonda. La scuola insegna ad avere uno sguardo veramente di fraternità con gli altri, di giustizia. Questo è compito, prima della famiglia, ma poi anche della scuola. Noi siamo convinti che questa sia una grande opportunità. Per la società l’educazione è una risosrsa: l’assenza dell’educazione è un pericolo per una nazione, un Paese.

I Salesiani chiamati a trasformare il cuore in fedeltà a don Bosco
D. – Dunque, il suo augurio alla famiglia salesiana per quest’anno?

R. – Essere oggi altri don Bosco. Certo che in tutto il mondo oggi ci sono tanti eventi, tante cose bellissime. Ma veramente ciò che conta è, come ho detto, questa fedeltà a don Bosco e quella trasformazione del cuore in ciascuno di noi.

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Cinema. "Still Alice": la Moore e l'Alzheimer, film da Oscar

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Anche in Italia è stato accolto con critiche assai positive e un’ottima risposta del pubblico “Still Alice”, il film in cui Julianne Moore si impegna, con una indimenticabile recitazione, a ritrarre una donna felice e appagata alla quale viene improvvisamente diagnosticata una forma di Alzheimer precoce. Il servizio di Luca Pellegrini

(Clip - Dialogo tra Alice e i figli)
“‘Che succede?’
‘Vi separate o…’
‘No… Ho il morbo di Alzheimer, esordio precoce...’
‘Mio Dio!’
‘Posso vedere le parole che galleggiano davanti a me e non riesco a raggiungerle e non so più chi sono e cosa perderò ancora. Odio quello che mi sta succedendo!’.

Una vita sconvolta
Quello che sta per succedere, in cuor suo, Alice lo sa: davanti alla famiglia confessa la sua malattia e le sue angosce, perché a cinquant’anni e un matrimonio fortunato e un’appagante carriera universitaria e la felicità toccata ogni giorno, l’Alzheimer, in una forma precoce e devastante, l’assale lentamente, iniziando a distruggere tutto di lei, non solo la memoria, ma le prospettive di un’intera vita, costruite pazientemente giorno dopo giorno.

Julianne forte e fragile
Il film, scritto e diretto della coppia Glatzer-Wetmoreland – il primo con gli effetti della Sla che già ne aveva minato il fisico – tratto dal romanzo omonimo di Lisa Genova è, però, nel suo rigore formale, nella sua tensione drammatica, nella perfetta scansione dei tempi, degli umori e dei sentimenti, un riconoscimento di quanto con coraggio, nobiltà, forza, si possano affrontare esperienze così tragiche e sconvolgenti all’interno di un gruppo familiare. E il ritratto di questa donna insieme forte e fragile, che Julianne Moore costruisce nella più totale dedizione a un personaggio così difficile – lei sicuramente una delle più grandi attrici americane e giustamente candidata all’Oscar – è di un’empatia totale.

Dolore sì, pietismo no
Il pregio di “Still Alice” è che non si scade mai in un eccesso di patetismo lacrimevole: c’è sì tanta tristezza, ci sono la perdita, lo smarrimento, la ribellione, Alice si allontana dal passato, il presente le si sfarina davanti, il futuro non le apparterrà più, così come i figli, il marito, le amiche. Eppure la sua battaglia per la vita non deflette mai dinanzi all’irrazionalità della malattia e del male.

(Clip- Alice)
“Non sto soffrendo. Io sto lottando! Sto lottando per rimanere parte della vita, per restare in contatto con quella che ero una volta. “Cosi, vivi il momento!”, è quello che mi dico. E’ davvero tutto quello che posso fare: vivere il momento!

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella quarta domenica del Tempo ordinario la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù insegna nella sinagoga di Cafarnao e tutti erano stupiti perché insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. C’è lì un uomo posseduto da uno spirito impuro che gli grida contro. Gesù dice:

«Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

C’è una pagina del Vaticano II che può essere posta qui come commento al Vangelo di oggi: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum, 2). È proprio ciò che Marco racconta nel Vangelo di oggi: l’amore di Dio si manifesta nella parola del Signore, pronunciata con autorità – non le chiacchiere vuote di giornali e televisioni, ed anche nostre –, una parola che opera, che libera chi è vittima del male, che lo strappa dal potere del Maligno per restituirlo alla sua dignità, alla sua libertà di figlio di Dio. “Taci, esci da lui!”. Anche oggi siamo invitati a incontrare, nella Liturgia, il Signore che viene con la sua parola, detta con autorità, per liberarci dal potere del Maligno che si insinua dentro di noi per strapparci il dono del battesimo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Venezuela: attacchi a 4 chiese in Mérida, scritte contro il nunzio

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Quattro chiese cattoliche sono state bersaglio d'attacchi con bombe molotov e su tre di esse ci sono ancora graffiti contro il nunzio apostolico, mons. Aldo Giordano che si trova in visita nella città di Mérida. Il fatto è avvenuto ieri al alba, come segnala all'agenzia Fides padre Luis Sánchez, parroco della parrocchia El Llano, nel quartiere omonimo di Merida. Il sacerdote ha detto che, dopo avere sentito forti rumori e sirene, ha visto agenti di polizia che cercavano di spegnere un fuoco divampato a causa dell'esplosione di una bomba molotov.

Mons. Giordano a Mérida per il 30° della visita di Giovanni Paolo II
Nei locali della parrocchia sono apparse scritte in rosso contro il nunzio apostolico che da mercoledì scorso si trova in Mérida, per celebrare il 30° anniversario della visita di san Giovanni Paolo II in questa città.

Attacco contro la libertà religiosa e il patrimonio storico di Mérida
Fides ha ricevuto anche il comunicato di Villca Fernández, del Movimiento Liberación (degli studenti universitari), che condanna “l'attacco vile e codardo” subìto da diverse chiese: “L’attacco, che cerca di seminare terrore e paura nella popolazione credente di Mérida, dovrebbe avere una risposta di rifiuto da parte di tutti. Un attacco a un luogo di fede è un attacco alla libertà religiosa e contro il patrimonio storico di Mérida”.

Veglia di preghiera contro gli attacchi
Il Movimento Universitario ha subito convocato attraverso i social network una Veglia di preghiera davanti la chiesa El Llano per esprimere sostegno alla Santa Sede e rifiutare la violenza di questi atti.

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Sud Sudan. I vescovi: rispettare gli accordi di pace

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Un invito ai politici sud sudanesi perché si “assumano i rischi di portare la pace” è stato espresso ieri dai vescovi cattolici del Sud Sudan al termine dell’incontro che li ha visti per tre giorni riuniti a Juba. Presente all’Assemblea, iniziata giovedì scorso, anche mons. Charles Daniel Balvo, nunzio apostolico in Kenya e Sud Sudan. Il vescovi si dicono “preoccupati per l’escalation del conflitto” scoppiato nel dicembre del 2013 e tuttora in corso. Una scontro “per il potere e non per il bene del popolo”, nato all’interno del partito di governo - il Sudan People Liberation Movement (Splm) che vede contrapposto l’esercito, fedele al Presidente Salva Kiir, e le truppe fedeli all’ex vice-Presidente Riek Machar.

Un milione e 900mila profughi
Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite gli sfollati interni sarebbero 1,4 milioni e 474 mila i profughi nei Paesi confinanti. “Ancora una volta - si legge nel messaggio dei vescovi ripreso dall'agenzia Sir - noi ribadiamo che questa guerra deve finire immediatamente. Alcune persone sono sedute ad Addis Abeba (il riferimento è alla città dove sono in corso i negoziati di pace, ndr.) discutendo di politica mentre sul terreno altre persone stanno combattendo e morendo. I negoziati politici non possono continuare come nulla fosse, mentre le uccisioni continuano. Solo quando le uccisioni finiranno sarà accettabile discutere di ruoli e posizioni”. (R.P.)

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Sri Lanka: vescovo Mannar chiede rilascio prigionieri politici

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Mons. Joseph Rayappu, vescovo di Mannar, ha esortato il nuovo governo ad abrogare il Prevention Terrorism Act (Pta) il più presto possibile e rilasciare tutti i prigionieri politici attraverso una procedura legale, come primo passo verso un processo di riconciliazione. Dopo aver chiesto un incontro con il Presidente per il prossimo mese - riferisce l'agenzia Misna - mons. Rayappu ha detto ai media locali che intende consegnare una lettera in cui indica alcuni fatti e questioni che devono essere presi in considerazione.

La difficile situazione dei prigionieri politici
“Il presidente Maithripala Sirisena, allora candidato comune per le elezioni presidenziali, mi ha incontrato in Mannar, dove ho esposto la difficile situazione dei prigionieri politici. La maggior parte dei prigionieri politici avevano lasciato il movimento Ltte, ma sono stati costretti a rientrare durante l’ultima fase della guerra perché minacciati e intimiditi dai leader del movimento separatista. Mantenere questi uomini e donne, senza un’adeguata procedura legale è una situazione patetica” ha spiegato il vescovo, sottolineando che alcuni dei prigionieri sono genitori di giovani ragazzi. Secondo la stima di mons. Rayappu, ci sono circa 500 prigionieri politici rinchiusi a Boosa, Kandy, Vavuniya, Jaffna e Anuradhapura. “Anche nel carcere Welikada, a Colombo, ci sono quasi 124 prigionieri politici” ha detto il vescovo di Mannar.

Appello al neo Presidente Sirisena
Affermando che “giustizia ritardata è giustizia negata” il vescovo ha continuato a dire che sotto il nuovo governo di Maithripala la Commissione sulle persone scomparse può essere attendibile. “Dobbiamo dare giustizia alle persone colpite. Io non sono preoccupato di un meccanismo locale o un meccanismo internazionale, ma di un meccanismo credibile che ponga fine a tutti i problemi brucianti dei Tamil” ha detto mons. Rayappu, esprimendo la sua fiducia in questo nuovo governo guidato da un leader non ambizioso come Sirisena che dovrebbe, come primo provvedimento, eliminare il Pta perché “calpesta i diritti fondamentali del popolo”. (P.L.)

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Filippine. Card. Quevedo: chiarezza sul "massacro" di Mamasapano

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Il card Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato, chiede di fare chiarezza sul "massacro" dei giorni scorsi a Mamasapano, nella provincia di Maguindanao, nel sud delle Filippine, sotto la giurisdizione del porporato. Lo Stato, attraverso i suoi organi di governo e le istituzioni, deve illustrare le cause che hanno portato alla morte di 44 agenti dei corpi speciali (Saf) della polizia nazionale filippina (Pnp). Per il cardinale filippino- riferisce l'agenzia AsiaNews - è essenziale trovare una soluzione pacifica e duratura all'annoso conflitto, in atto da tempo nell'isola di Mindanao fra Manila e ribelli musulmani.

Il porporato chiede chiarezza
Il card. Quevedo esprime il proprio cordoglio "alle famiglie dei valorosi Pnp-Saf", che sono "caduti in battaglia a favore della giustizia". Il porporato aggiunge che "le circostanze e le cause di questa orrenda tragedia sono ancora da chiarire nei minimi particolari". Egli invoca una indagine imparziale, per capire come una operazione di polizia si sia trasformata in una "tragedia inimmaginabile".

Condanna dei vescovi contro l'atto di violenza
Già nei giorni scorsi i vertici della Conferenza episcopale filippina hanno condannato "l'atto di violenza contro la vita umana" che ha causato la morte di almeno 44 poliziotti, uccisi dalle milizie del ribelli Milf (Moro Islamic Liberation Front) e Biff (Bangsamoro Islamic Freedom Fighters). Lo scontro a fuoco è avvenuto lo scorso 25 gennaio a Mamasapano, nella provincia di Maguindanao, situata nella Regione Autonoma nel Mindanao Musulmano, nel sud delle Filippine. I poliziotti avevano fatto irruzione in un villaggio, alla ricerca di due sospetti estremisti islamici: Zulkifli bin Hir, meglio noto come Marwan, appartenente alla Jemaah Islamiyah (Ji) e Basit Usman, esperto di esplosivi. Tuttavia, essi non avrebbero chiesto l'autorizzazione alle milizie del Milf, che controllano la zona come prevede l'accordo di pace; da qui la risposta dei miliziani.

Giornata di lutto nazionale
Ieri le Filippine hanno celebrato una giornata di lutto nazionale per la morte degli agenti dei reparti speciali, i cui corpi sono stati restituiti alle famiglie. A guidare la cerimonia d'onore il presidente Benigno Aquino, che conferma l'attualità e l'importanza del trattato di pace sottoscritto lo scorso marzo, anche se tensioni latenti e nuovi scontri potrebbero far vacillare l'accordo. (R.P.)

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India: vescovi chiedono un Paese laico e rispettoso dei diritti

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Urge sostenere la laicità della nazione indiana e costruire insieme una nazione in cui i diritti e le libertà fondamentali di ogni uomo siano rispettati: è quanto scrivono i vescovi indiani al governo guidato dal premier Narendra Modi e dal suo partito nazionalista “Baratiya Janata Party”. A conclusione di una Assemblea speciale, tenutasi nei giorni scorsi e presieduta dal presidente della Conferenza episcopale dell'India (Cbci), il card. Baselios Cleemis, i vescovi hanno rilasciato un comunicato, inviato all’agenzia Fides, in cui si ricorda che “la Costituzione indiana garantisce che tutti i cittadini del nostro Paese possono professare, praticare e diffondere una religione di propria scelta”.

Il cristianesimo al servizio del Paese
“L'India è una terra in cui diverse fedi religiose esistono da secoli” e “ il cristianesimo ha le sue radici nel suolo indiano da oltre Duemila anni”, ponendosi “al servizio disinteressato del popolo nel campo dell’istruzione, della sanità, senza alcuna discriminazione di casta, credo o religione”.

Condannate le violenze contro i cristiani
“Gli incidenti accaduti negli ultimi mesi in varie parti del nostro Paese – prosegue il testo – contro le chiese, i sacerdoti e i laici in Chhattisgarh, Madhya Pradesh, Odisha, Uttar Pradesh e Delhi, hanno causato grande preoccupazione. Le cerimonie di ‘riconversioni religiose’ danno un'immagine negativa dell’India. La polarizzazione tra comunità e il tentativo di omologare l’India sono una minaccia per tutte le minoranze: donne, dalit e tutte le minoranze linguistiche, culturali e religiose”.

Nazionalismo indù minaccia la laicità del Paese
I vescovi notano che i programmi di “Ghar Wapsi” (che significa “ritorno a casa” ed è una cerimonia di riconversione di massa all’induismo, ndr) e la “zafferanizzazione” dell'istruzione e della cultura (cioè programmi educativi e culturali secondo l’approccio nazionalista indù, ndr) “pongono sfide per l'etica laica del nostro amato Paese”. Mentre le “conversioni di natura religiosa sono un esercizio della propria libera volontà e dei propri diritti costituzionali e di coscienza”, il “Ghar Wapsi è un processo politico, portato avanti dai potenti esponenti del nazionalismo religioso” affermano i vescovi.

I cristiani chiedono protezione allo Stato
“I cristiani di questo Paese – conclude il testo – hanno bisogno di certezze da parte del governo” e chiedono di essere “protetti e sicuri in patria”, auspicando che “questa grande nazione laica rimanga un luogo in cui le persone di religioni e culture diverse possano vivere liberamente, praticando la loro fede senza paura o minaccia e in armonia”. (P.A.)

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Iraq: la Chiesa caldea verso un difficile Sinodo

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Il prossimo 6 febbraio si terrà a Baghdad la cerimonia di ordinazione dei due nuovi vescovi della Chiesa caldea: mons. Emanuel Hana Shaleta, vescovo della diocesi canadese di Sant’Addai e di mon. Basel Yaldo che sostituirà, come vicario patriarcale a Baghdad, mons. Jacques Isaac che già lo scorso anno aveva raggiunto i 75 anni di età.

Il caso dei sacerdoti trasferitisi senza permesso nelle più sicure diocesi occidentali
Il giorno dopo si terrà un Sinodo straordinario con vari punti in programma. 
Tra questi le decisioni prese nel Sinodo caldeo del 2013 per il gruppo di sacerdoti e monaci che nel corso degli ultimi anni avevano lasciato le proprie diocesi e le proprie case religiose in Iraq senza il permesso dei superiori e si erano trasferiti negli Usa e in altri Paesi occidentali, per svolgere il loro inistero, nelle 'più sicure' diocesi della diaspora caldea.

Le misure canoniche disciplinari
Lo scorso ottobre, il patriarca Louis Raphael Sako aveva pubblicato un decreto in cui ordinava loro di rientrare in patria o di concordare con vescovi e capi delle comunità la regolarizzazione del proprio trasferimento. Il mancato accoglimento delle disposizioni patriarcali avrebbe fatto scattare misure canoniche disciplinari come la sospensione dal servizio sacerdotale e l’annullamento di ogni forma di retribuzione. Ma a tutt'oggi, nella maggior parte dei casi, le indicazioni del Patriarca sono state disattese.

La Chiesa caldea ha bisogno di sacerdoti capaci e fedeli
In un’intervista su Baghdadhope il patriarca Sako spiega che i monaci “dovranno tornare in monastero per riprendere la vita monastica di preghiera e riflessione cui si sono votati; non è concepibile, infatti, che essi operino come sacerdoti diocesani". Il loro ritorno dovrà essere valutato caso per caso, perché, dichiara il patriarca Sako, “la Chiesa ha bisogno di sacerdoti capaci e fedeli, è meglio che chi non lo è, la abbandoni di sua volontà” .

Chi fugge nega ai fedeli iracheni il necessario conforto morale e spirituale
“Attualmente – riferisce nell’intervista il patriarca Louis Raphael - in Iraq vivono circa 400mila cristiani di cui più della metà caldei, e questi ultimi possono contare su 75 sacerdoti diocesani e 15 monaci. Una realtà in sofferenza, visti gli avvenimenti degli ultimi anni, che ha bisogno di tutte le forze che la Chiesa può mettere in campo. Un sacerdote o un monaco che fugge non solo dà un cattivo esempio, ma nega ai fedeli in patria quel conforto morale e spirituale che oggi è più che mai necessario”. (R.P.)

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Sant'Egidio: Messa per ricordare Modesta ed i clochard

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Modesta Valenti, un simbolo per i senza dimora, morta a causa dell’abbandono e del pregiudizio. In memoria di Modesta e di tutte le persone senza dimora che hanno perso la vita, la Comunità di sant’Egidio organizza una cerimonia domani a Roma, alle 10, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere invitando “le istituzioni e tutta la popolazione ad avere attenzione nei confronti di chi vive sulla strada prendendo iniziative che possano proteggere la loro vita, a partire dai rifugi notturni durante la stagione invernale”.

Ricordo dei senza fissa dimora che sono morti
Il nome di Modesta - si legge in un comunicato ripreso dall'agenzia Sir - verrà ricordato durante la liturgia insieme a quello di tanti altri abitanti della strada che, come lei, hanno perso la vita negli ultimi anni. E davanti all’icona che è stata dipinta in suo onore, verranno accese le candele della memoria e della compassione. Proprio questo sentimento venne a mancare tragicamente il 31 gennaio 1983, trentadue anni fa: l’ambulanza chiamata per soccorrere Modesta Valenti, 71 anni, si rifiutò di portarla in ospedale perché era sporca, con i pidocchi, e morì davanti alla stazione Termini dopo ore di agonia. Da allora la Comunità di Sant’Egidio la ricorda ogni anno. La celebrazione di Santa Maria in Trastevere è solo il primo di tanti appuntamenti in programma in numerosi quartieri di Roma e in altre città italiane ed europee, là dove è presente la Comunità di Sant’Egidio. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 31

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