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Sommario del 26/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: la fede è dono dello Spirito Santo trasmesso soprattutto dalle donne

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Sono principalmente le donne a trasmettere la fede: è quanto ha affermato il Papa nella Messa presieduta a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria dei Santi Timoteo e Tito, commentando in particolare la seconda Lettera di San Paolo al discepolo Timoteo. Il servizio di Sergio Centofanti

Sono le mamme e le nonne che trasmettono la fede
Paolo ricorda a Timoteo da dove viene la sua “schietta fede”: l’ha ricevuta dallo Spirito Santo “tramite la mamma e la nonna”. “Sono le mamme, le nonne” – afferma il Papa – che trasmettono la fede. E aggiunge: “Una cosa è trasmettere la fede e altra cosa è insegnare le cose della fede. La fede è un dono. La fede non si può studiare. Si studiano le cose della fede, sì, per capirla meglio, ma con lo studio mai tu arrivi alla fede. La fede è un dono dello Spirito Santo, è un regalo, che va oltre ogni preparazione”. Ed è un regalo che passa attraverso il “bel lavoro delle mamme e delle nonne, il bel lavoro di quelle donne” in una famiglia, “può essere anche una domestica, può essere una zia”, che trasmettono la fede:

“Mi viene in mente: ma perché sono principalmente le donne a trasmettere la fede? Semplicemente perché quella che ci ha portato Gesù è una donna.  E’ la strada scelta da Gesù. Lui ha voluto avere una madre: anche il dono della fede passa per le donne, come Gesù per Maria”.

Custodire il dono della fede perché non si annacqui
“E dobbiamo pensare oggi – sottolinea il Papa - se le donne … hanno questa coscienza del dovere di trasmettere la fede”. Paolo invita poi Timoteo a custodire la fede, il deposito, evitando “le vuote chiacchiere pagane, le vuote chiacchiere mondane”. “Tutti noi – afferma - abbiamo ricevuto il dono della fede. Dobbiamo custodirlo, perché almeno non si annacqui, perché continui a essere forte con la potenza dello Spirito Santo che ce lo ha regalato”. E la fede si custodisce ravvivando questo dono di Dio:

“Se noi non abbiamo questa cura, ogni giorno, di ravvivare questo regalo di Dio che è la fede, ma la fede si indebolisce, si annacqua, finisce per essere una cultura: ‘Sì, ma, sì, sì, sono cristiano, sì, sì…’, una cultura, soltanto. O una gnosi, una conoscenza: ‘Sì, io conosco bene tutte le cose della fede, conosco bene il catechismo’. Ma come tu vivi la tua fede? E questa è l’importanza di ravvivare ogni giorno questo dono, questo regalo: di farlo vivo”.

Timidezza e vergogna non fanno crescere la fede
Contrastano “questa fede viva” – dice San Paolo - due cose: “lo spirito di timidezza e la vergogna”:

“Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza. Lo spirito di timidezza va contro il dono della fede, non lascia che cresca, che vada avanti, che sia grande. E la vergogna è quel peccato: ‘Sì, ho la fede, ma la copro, che non si veda tanto…’. E’ un po’ di qua, un po’ di là: quella fede, come dicono i nostri antenati, all’acqua di rose, così. Perché mi vergogno di viverla fortemente. No. Questa non è la fede: né timidezza, né vergogna. Ma cosa è? E’ uno spirito di forza, di carità e di prudenza. Questa è la fede”.

La fede non si negozia
Lo spirito di prudenza – spiega Papa Francesco - è “sapere che noi non possiamo fare tutto quello che vogliamo”, significa cercare “le strade, il cammino, le maniere” per portare avanti la fede, ma con prudenza.

“Chiediamo al Signore la grazia – conclude il Papa - di avere una fede schietta, una fede che non si negozia secondo le opportunità che vengono. Una fede che ogni giorno cerco di ravvivarla o almeno chiedo allo Spirito Santo che la ravvivi e così dia un frutto grande”.

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Francesco: per unità cristiani non chiudersi in particolarismi

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Fermarsi e ascoltarsi. E’ questa la via indicata dal Papa per la piena unità dei cristiani, durante la celebrazione dei Vespri di ieri sera nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma. L’occasione è stata la conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il Papa ha ricordato i "nostri martiri di oggi", "perseguitati e uccisi perché cristiani". Alessandro Guarasci: 

Il Pontificato di Francesco si caratterizza anche per la ricerca dell’unità tra i cristiani. A San Paolo fuori le Mura a Roma sono arrivati i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, segno che prosegue il "cammino" per una vera comunione. Momento importante di questa celebrazione la preghiera comune davanti alla tomba dell'apostolo Paolo.

Mettere da parte atteggiamenti polemici
Il Papa fa notare che “tante controversie tra cristiani, ereditate dal passato, si possono superare mettendo da parte ogni atteggiamento polemico o apologetico e cercando insieme di cogliere in profondità ciò che ci unisce, e cioè la chiamata a partecipare al mistero di amore del Padre rivelato a noi dal Figlio per mezzo dello Spirito Santo”. Ed ancora:

“L’unità dei cristiani non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell'Uomo e ci troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno gli uni degli altri, di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti”.

Dare da bere a uomini e donne stanchi e assetati
Francesco ricorda quando Gesù, in viaggio dalla Giudea verso la Galilea, non esitò a chiedere da bere a una samaritana. Quella sete però non era solo fisica, ma anche di incontro per offrirle così la possibilità di un cammino di conversione interiore. Il Papa così fa notare che oggi “esiste una moltitudine di uomini e donne stanchi e assetati, che chiedono a noi cristiani di dare loro da bere. È una richiesta alla quale non ci si può sottrarre”:

“Nella chiamata ad essere evangelizzatori, tutte le Chiese e Comunità ecclesiali trovano un ambito essenziale per una più stretta collaborazione. Per poter svolgere efficacemente tale compito, occorre evitare di chiudersi nei propri particolarismi ed esclusivismi, come pure di imporre uniformità secondo piani meramente umani”.

Ecumenismo del sangue
E questo perché “siamo tutti al servizio dell’unico e medesimo Vangelo”. Quel Vangelo, per cui tanti cristiani, "vengono perseguitati e uccisi...Questo è l'ecumenismo del sangue". Dunque, “la ricerca dell’unità dei cristiani non può essere appannaggio solo di qualche singolo o comunità religiosa particolarmente sensibile a tale problematica. La reciproca conoscenza delle diverse tradizioni di vita consacrata e un fecondo scambio di esperienze può essere utile per la vitalità di ogni forma di vita religiosa nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali”.

Il saluto del card. Kock
Nel suo saluto, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha affermato che “l’acqua del battesimo diventa in noi sorgente zampillante che vuole scorrere verso i nostri fratelli, affinché anche la loro sete possa essere estinta. Questa esperienza rende necessaria una testimonianza comune di tutti i cristiani nel mondo odierno, così segnato dall’egoismo e dall’avidità, dai conflitti e dall’odio, dalla violenza e dalle aggressioni”.

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Udienze e nomine

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza:
- Em.mo Card. Lluís Martínez Sistach, Arcivescovo di Barcelona (Spagna);
- S.E. Mons. Gastone Simoni, Vescovo emerito di Prato (Italia);
- S.E. Mons. Francesco Miccichè, Vescovo emerito di Trapani (Italia);
- Il Rev.do Padre Alejandro Moral Antón, Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino (Agostiniani);
- Delegazione della "Hebrew University of Jerusalem".

Il Santo Padre ha disposto l'unione formale della sede metropolitana di Cashel con l'antica diocesi di Emly nella nuova arcidiocesi metropolitana denominata "Arcidiocesi di Cashel and Emly" (Irlanda). S.E. Mons. Kieran O'Reilly, finora Arcivescovo Metropolita di Cashel e Amministratore Apostolico di Emly, diventa Arcivescovo Metropolita della nuova circoscrizione ecclesiastica.

Il Papa ha nominato Arcivescovo di Hamburg, in Germania, Mons. Stefan He$e, finora Vicario Generale dell’arcidiocesi di Köln e Canonico del Capitolo Metropolitano. Mons. Stefan Heße è nato il 7 agosto 1966 a Köln. Ha compiuto gli studi teologici a Bonn e Regensburg. È stato ordinato sacerdote il 17 giugno 1993, incardinandosi nel clero dell’arcidiocesi di Köln. In seguito, ha svolto la propria opera per quattro anni in qualità di Vice-Parroco a Bergheim an der Erft, prima di diventare Repetent ossia Vice-Rettore del Convitto arcivescovile Albertinum a Bonn. In pari tempo ha preparato una tesi dottorale in Teologia dogmatica presso l’Alta Scuola dei Pallottini a Vallendar, difesa nel 2001. Nel 2003 è stato chiamato nella Curia arcivescovile di Köln, presso la quale dal 2006 al 2012 è stato Direttore del dipartimento "Cura d’anime - Personale", svolgendo anche un servizio pastorale presso diverse parrocchie a Köln. Nel 2011 è stato nominato Canonico del Capitolo Metropolitano di Köln e, un anno dopo, Vicario Generale, prima del Cardinale Joachim Meißner, poi del suo successore, Cardinale Rainer M. Woelki. Dal marzo al settembre 2014, Mons. Heße è stato Amministratore diocesano, durante la vacanza della sede di Köln.

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Card. Filoni: Chiesa vietnamita viva e al servizio del Paese

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Il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il card. Fernando Filoni, è rientrato questa mattina in Vaticano dopo la sua visita pastorale di sei giorni in Vietnam. Il porporato - che ha incontrato tutte le realtà del Paese - al microfono di Roberto Piermarini spiega che risonanza ha avuto la sua visita da parte della Chiesa vietnamita: 

Fedeli vietnamiti hanno una straordinaria coscienza cristiana
R. – La Chiesa locale non solo mi ha accolto molto bene, ma ha superato anche tutte le mie aspettative. Da parte ovviamente dei vescovi, c’è stato un incontro fraterno molto, molto bello con i sacerdoti, con le religiose, con i seminaristi. Qui abbiamo una Chiesa veramente ricca di vocazioni - sia maschile, sia femminili – e i sacerdoti che mi sembra lavorino bene, stiano bene e che sono impegnati in tantissime attività, alcune delle quali ho avuto poi modo di visitarle nelle varie diocesi. E poi da parte dei fedeli: direi che l’affetto dei nostri fedeli del Vietnam è un po’ come uno tsunami. Prima di tutto hanno una straordinaria coscienza cristiana, una pietà invidiabile e poi un grande affetto che naturalmente hanno manifestato in forma travolgente. Questo è un po’ tipico anche della personalità di questi nostri fedeli, che sentono molto la vicinanza e l’amore per i sacerdoti, i vescovi, ovviamente in questo caso, per il prefetto della Congregazione e soprattutto c’è un grande affetto che mi hanno tante volte detto ed espresso, per il Papa. Quindi una Chiesa estremamente viva, impegnata, che giorno per giorno riesce a rispondere alle attese, anche sociali ed umane del Paese. Devo dire che per me il Vietnam è stato una scoperta, nonostante avessi avuto modo di conoscere e di leggere. Vorrei anche dire un grande apprezzamento per quello che è stato fatto e che si sta facendo.

Buona intesa tra Chiesa e autorità vietnamite
D. – Eminenza, c’è stato un riscontro, ci sono state delle reazioni sui suoi colloqui al massimo livello che ha avuto con le autorità di Hanoi?

R. – Devo dire che tutti i giornali locali – sia quelli in lingua vietnamita, sia anche quelli in lingua inglese – hanno riportato, anche in prima pagina, oltre alle foto, l’incontro, in apprezzamento della collaborazione che esiste, della buona intesa che esiste tra la Chiesa cattolica, la Santa Sede e naturalmente le autorità locali. Io poi personalmente ho avuto modo anche di riscontrarlo negli incontri che ho avuto: sono stato invitato, oltre che al più alto livello dell’Ufficio per gli affari religiosi del governo, anche dal primo ministro e dal segretario del Comitato del partito comunista di Hanoi. Addirittura, alla mia partenza, il vicepresidente dell’Ufficio per gli affari religiosi è venuto ad Hanoi a salutarmi all’aeroporto. Dunque, a tutti i livelli, mi è sembrato di trovare moltissima attenzione e vorrei dire anche soddisfazione, perché erano molto contenti degli incontri che abbiamo avuto, come poi il rappresentante pontificio non residente, mons. Girelli, ha avuto modo di vedere; così come il presidente della Conferenza episcopale che mi ha accompagnato ed anche gli altri vescovi presenti a questi incontri. Quindi direi che anche a livello mediatico – oltre che la stampa – anche la televisione ha ripreso – mi hanno detto – varie volte questi incontri.

Prospettive missionarie
D. – Cardinale Filoni, considerando anche le limitazioni che incontra la Chiesa vietnamita, che speranza apre la sua visita pastorale?

R. – Le limitazioni non sono in ordine alla fede e non sono in ordine a contrastare la fede: a volte sono – come loro stessi hanno detto – questioni particolari, sulle quali poi bisogna in qualche modo trovare giustamente un dialogo. Direi che le prospettive sono quelle soprattutto della missionarietà: è una società che sta cambiando velocemente a livello economico, a livello sociale, ma ancora tradizionalmente legata ai propri valori del mondo buddista e del mondo confuciano, comunque tradizionali del Vietnam. In questo l’annuncio del Vangelo ha bisogno di trovare forme, di incarnarsi in modo che sia comprensibile ed accettato. C’è poi la questione, invece, delle minoranze, dove effettivamente abbiamo più soddisfazioni sul piano proprio missionario: per esempio nella diocesi di Hung Hoa, visitando una parrocchia, abbiamo avuto la bellezza di oltre 200 nuovi battezzati, quasi tutti tribali; anche nell’incontro che c’è stato a Da Nang, per il 50.esimo della diocesi, oltre 50 tribali adulti sono stati battezzati. Dunque c’è un lavoro che si può fare bene in mezzo al mondo tribale. Ho visto anche tante religiose tribali e questa è una novità che naturalmente io non conoscevo e che – come dire – già interpreta in qualche modo l’attività pastorale di persone che vengono dal mondo tribale per i tribali stessi. Ancora non abbiamo dei sacerdoti in questo senso, ma c’è un impegno da parte di tutti affinché si possano trovare anche delle vocazioni sacerdotali che lavorino bene in questo ambiente stesso.

Terzo millennio dedicato all'evangelizzazione dell'Asia
D. – La sua visita è avvenuta dopo il secondo viaggio del Papa in Asia: quali prospettive si aprono per l’annuncio del Vangelo nel continente asiatico, eminenza?

R. – Il Papa ha a cuore l’evangelizzazione del continente asiatico, come ha a cuore in particolare - lo aveva già detto il Papa Giovanni Paolo II, oggi santo – che questo millennio debba essere dedicato all’evangelizzazione dell’Asia, con un impegno che sia adeguato a questo grande continente. Quindi la visita del Papa sia in Sri lanka, sia anche nelle Filippine rappresenta un’attenzione straordinaria che Papa Francesco ha per questo continente. Quindi speriamo e ci auguriamo, lo dicono anche i nostri stessi cristiani: quante volte mi hanno detto in Vietnam: “Dica al Papa di venire da noi. Che non voli solo sopra il Vietnam, ma che scenda pure da noi”. Questo è molto bello perché evidentemente sentono che il Papa porta con sé uno slancio missionario che in questo continente credo possa trovare ancora ampio spazio.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Ecumenismo del sangue: a conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani il Papa celebra i vespri a San Paolo e ricorda i martiri di oggi.

Anche Dio ha sete: l'Angelus con i ragazzi dell'Azione cattolica a conclusione del mese della pace.

Mario Benotti sul greco e l'Europa: l'affermazione elettorale di Alexis Tsipras.

Sul san Francesco ritrovato, intervista di Silvia Guidi al medievista Jacques Dalarun, autore della sensazionale scoperta.

Un articolo di Andrea Possieri dal titolo "Memoria vera e non un cliché": settant'anni fa venivano abbattuti i cancelli di Auschwitz.

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Oggi in Primo Piano



In Grecia vince la sinistra radicale. Tra le priorità la politica interna

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In Grecia, netta vittoria per il partito “Syriza” guidato da Alexis Tsipras che sarà il nuovo primo ministro ellenico. La formazione della sinistra radicale ha ottenuto 149 seggi, un risultato schiacciante ma non sufficiente per ottenere la maggioranza assoluta. Per formare il nuovo governo è stato raggiunto l’accordo con il partito di destra dei “Greci Indipendenti”, ribadendo la comune contrarietà alla politica di austerità dell’Unione Europea. Il servizio di Amedeo Lomonaco

“Ελλάδα…
“La Grecia ha voltato pagina. Il verdetto del popolo greco – ha detto Alexis Tsipras subito dopo l’esito del voto – pone fine al cammino di austerità e di distruzione”. “I greci hanno mostrato la strada del cambiamento all'Europa”, ha aggiunto Tsipras, che sarà ricevuto nel pomeriggio dal presidente greco per giurare come premier e ricevere l’incarico di formare il nuovo esecutivo. Nel pomeriggio, è prevista anche una riunione dei ministri delle Finanze dell'Eurozona, all’indomani del voto in Grecia. Tra gli obiettivi di Syriza, figurano la rinegoziazione del debito pubblico ellenico, che secondo stime indipendenti ha raggiunto i 330 miliardi di euro, l’aumento di stipendi e pensioni e la riduzione delle tasse. Ma quello che si profila con l’Unione Europea sarà un negoziato complesso. Nonostante alcuni aumenti negli ultimi anni, la pressione fiscale in Grecia – ha dichiarato stamani il presidente della Bce Mario Draghi – resta “ben inferiore alla media della zona euro”. Il governo tedesco – ha dichiarato il portavoce della cancelliera Angela Merkel – offrirà al futuro governo greco la propria collaborazione'', ma ''gli impegni presi – ha sottolineato – vanno mantenuti''.

Oltre alle questioni legate all’Unione Europea sarà cruciale per il nuovo governo greco la politica interna. E’ quanto sottolinea, al microfono di Emanuela Campanile, il giornalista della emittente pubblica greca "Ert", Dimitri Deliolanes, raggiunto telefonicamente ad Atene: 

R. – Oltre alle questioni economiche, di sviluppo, oltre a combattere l’emergenza umanitaria – come la chiama Tsipras stesso – c’è il problema di rendere questa sofferenza collettiva del popolo greco un po’ più equa. Questo significa, per esempio, cominciare a far pagare le tasse agli evasori fiscali, cominciare a togliere quegli scandalosi privilegi di cui tutti i greci sono a conoscenza e che nessuno governo, finora, ha osato toccare. E quindi, soddisfare l’esigenza dell’opinione pubblica, del popolo greco, di una maggiore giustizia sul piano retributivo, fiscale ma anche su quello della giustizia penale. Non lasciare che ci siano sacche di immunità tra i ricchi e i potenti. Questo è un punto centrale, secondo me, nel futuro operato del governo di Alexīs Tsipras.

D. – Sabato scorso, sul “Sole 24 ore” è stato pubblicato l’articolo di Adriana Cerretelli dal titolo: “E se fosse Atene a salvare l’Euro”?

R. – È esattamente la scommessa di Tsipras e dei suoi elettori rispetto all’Europa. Loro fanno il seguente ragionamento: abbiamo visto le elezioni europee, abbiamo visto questo sentimento di protesta che è emerso in maniera impetuosa non solo contro l’austerità, ma anche, addirittura, contro la stessa unificazione europea. All’indomani delle elezioni europee, abbiamo visto in fretta i governi europei cercare di “cancellare”, “mettere tra parentesi”, le elezioni europee. Hanno sbagliato, perché bisogna dare una risposta a questa esigenza degli elettori. Quindi, bisogna sicuramente cambiare politica economica, mettere da parte l’austerità, come sta chiedendo l’oramai legittimo governo greco, e procedere in tempi veloci verso l’unificazione anche politica dell’Unione Europea. Questo è esattamente il proposito di Alexīs Tsipras.

D. – Si dice che Tsipras possa in qualche modo trascinare i partiti populisti di altri Stati dell’Unione Europea…

R. – È probabile. Mi sembra che il "Fronte nazionale" di Marie Le Pen sia il primo partito in Francia e mi sembra che il partito di Farage sia il primo partito in Gran Bretagna. C’è un fortissimo rafforzamento dei partiti antieuropei e populisti. Ma, ne ha colpa Tsipras?

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Nigeria. Mons. Kaigama: Boko Haram uccide anche il dialogo

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A tre settimane dalle elezioni presidenziali, in Nigeria si registra una nuova violenta offensiva di Boko Haram. Le milizie islamiste hanno conquistano diversi villaggi nel nordest, compiendo atrocità e facendo un numero ancora imprecisato di vittime. I fondamentalisti hanno anche tentato di entrare a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, sono stati respinti dai militari. Secondo il vescovo della città, mons. Doeme, c’è il rischio che Boko Haram possa conquistare l’intero nordest del Paese. Marco Guerra ha chiesto un commento all'arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale locale, mons. Ignatius Kaigama: 

R. – The situation is not favourable…
La situazione non promette bene, perché stiamo ancora parlando di attacchi contro nigeriani innocenti, attacchi che hanno avuto “successo” perché le persone sono state uccise e loro hanno preso possesso della zona. Ora, le notizie dell’ultimo attacco a Maiduguri sono terribili e mi è stato detto che c’è stato un tentativo da parte dei gruppi militanti islamici Boko Haram di penetrare a Maiduguri e prendere il controllo. Prima di adesso, c’erano stati attacchi nei paesi attorno a Maiduguri, ma ora vogliono entrare e prendere il controllo di Maiduguri. Quindi, è molto pericoloso e abbastanza inquietante, perché una volta presa Maiduguri, la capitale dello Stato di Borno, tutta l’area intorno cadrà facilmente sotto di loro.

D. – E per quanto riguarda il dialogo tra cristiani e musulmani? Cosa chiede lei alla comunità internazionale per favorire questo dialogo e per aiutare i nigeriani?

R. – First of all, it has not anything to do…
Prima di tutto, questo non ha niente a che vedere con il dialogo perché si sta trattando con un gruppo irrazionale, che uccide le persone quando vuole: che siano cristiani, musulmani, li uccide indiscriminatamente. Non può, dunque, esserci dialogo in tale situazione. Perciò noi contiamo sull’intelligence, su una rete di contatti e un equipaggiamento adeguato che dia sicurezza, da parte del governo nigeriano e, se possibile, da parte della comunità internazionale. A questo punto, il dialogo è impossibile di fronte a gente che uccide, distrugge in nome di Dio: non riesci ad avere la sua attenzione, è difficile dialogare. Noi speriamo che la comunità internazionale ci aiuti ancora, anche se ufficiali nigeriani di spicco hanno detto di non avere bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Ma in questo posto ancora muoiono delle persone, quindi se il governo nigeriano non può controllare adeguatamente la situazione di violenza, penso che ci sia bisogno dell’assistenza internazionale.

D. – A febbraio, ci saranno le elezioni per il nuovo presidente della Nigeria. Quali sono le speranze delle persone, le speranze della Chiesa, aspettando queste elezioni?

R. – Now, there is a feverish campaign…
Adesso c’è una campagna elettorale febbrile a livello statale e a livello federale. La gente può scegliere a chi dare il potere, ma noi stiamo dicendo loro che ottenere il potere non è la nostra priorità. Diventare governatore o presidente non è la priorità della Nigeria. Dovrebbero essere politici che hanno voglia di servire la Nigeria, di usare la politica come strumento per lo sviluppo sociale e il progresso. Sfortunatamente, i politici si limitano a procurarsi ricchezza e non servono il popolo. Ecco perché c’è grande sofferenza, perché l’insicurezza è diffusa e così la corruzione: la politica non viene usata per il fine prefissato. Diciamo ai contendenti e a coloro che li votano di ricordare che ciò che veramente è cruciale è che i nigeriani vivano in pace e che abbiano cibo sufficiente, assistenza sanitaria e tutto questo. Quindi, se questa è la priorità, siamo insieme. Sfortunatamente, ripeto, molti dei nostri politici non vedono il bene comune e l’interesse della Nigeria al primo posto. Speriamo che questo cambi e che i leader che chiedono il nostro voto, ci convincano oltre ogni dubbio, di essere disinteressati e pronti a dare se stessi in favore della Nigeria e dei nigeriani.

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Ucraina: vittime nel sudest. Minatori bloccati sotto terra

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Si combatte senza sosta nell’Ucraina orientale, mentre tutto il Paese è in stato di massima allerta, ha detto il premier Arseniy Yatseniuk. All’indomani della giornata di lutto nazionale indetta dalle autorità di Kiev per i 30 civili morti nell'attacco missilistico separatista di sabato contro Mariupol, città portuale del Sud-Est, nelle ultime ore nella regione sono stati uccisi sette militari governativi. Altre due vittime a Donetsk, per bombardamenti su postazioni filo russe che hanno causato anche un’interruzione d’elettricità: per questo, al momento 500 lavoratori rimangono bloccati sotto terra, in una miniera di carbone. Le violenze si sono intensificate negli ultimi giorni, nonostante il cessate il fuoco sottoscritto a Minsk a settembre scorso. Il presidente statunitense Barack Obama si è detto preoccupato per la violazione della tregua, proprio mentre Papa Francesco - all’Angelus domenicale in Piazza San Pietro - ha rinnovato il proprio accorato appello “perché si riprendano i tentativi di dialogo e si ponga fine ad ogni ostilità”. In queste ore la Nato si riunisce a Bruxelles per un vertice straordinario, mentre il presidente russo Putin accusa Kiev di rifiutare una soluzione politica alla crisi. Della situazione sul terreno hanno poi parlato telefonicamente stamani il presidente ucraino Petro Poroshenko, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il capo di Stato francese Francois Hollande. Ribadita la necessità del rispetto di un cessate il fuoco. Ce ne parla Riccardo Mario Cucciolla, studioso dell’Istituto di studi avanzati IMT di Lucca ed esperto di area ex sovietica, intervistato da Giada Aquilino: 

Trovare al più presto accordo per una tregua
R. – Adesso c’è l’esigenza di trovare al più presto un altro accordo per il cessate il fuoco, dopo che sono saltati anche le intese dello scorso mercoledì, a Berlino, dove si sono incontrati i ministri degli Esteri di Russia, Ucraina, Francia e Germania, perché non sembrano aver portato ad un punto di svolta. Rimane un problema sostanziale che è quello appunto di trovare una soluzione non soltanto di breve periodo ma anche per il lungo termine. E una soluzione non può che non essere federale, ma deve contemplare anche la Crimea e questo non sembra che sia ancora sul tavolo dei negoziati.

Situazione strategica complessa
D. – Come può essere analizzato l’attuale momento di crisi?

R. – Sul piano strategico siamo in una situazione molto complessa. Innanzitutto, sembra sempre più difficile credere alla versione che i separatisti nel Donbas siano fuori del controllo di Mosca. La posizione russa, al momento, è quella di prendere più tempo possibile e tenere una situazione di conflitto congelato; un po’ come era avvenuto nei conflitti in Abkhazia, in Ossezia del sud o anche nella Transnistria, in modo da poter creare uno Stato cuscinetto alleato, che riuscirebbe a creare un ricongiungimento territoriale con la Crimea, la quale attualmente comporta pure un costo più che oneroso al bilancio di Mosca. Inoltre, c’è un interesse russo a tenere il conflitto congelato, un interesse di destabilizzazione dell’Ucraina, nel momento in cui si sta negoziando un possibile ingresso nella Nato. Dal punto di vista di Kiev, questa è una situazione molto complessa perché l’esercito ucraino si trova in una sorta di cul de sac: i militari non possono avanzare ulteriormente in quanto temono una situazione simile a quella che si è creata in Crimea a marzo – cioè, improvvisamente iniziano ad apparire truppe senza insegne, di cui ovviamente si sa la provenienza - e, soprattutto, l’Ucraina ancora non ha un supporto logistico da parte dell’occidente. Al momento, la risposta più forte è stata quella di Federica Mogherini, l'Alto rappresentante Ue per la Politica estera, che ha promesso di inasprire ulteriormente i rapporti tra l’Unione europea e la Russia.

Mobilitazione internazionale è importante
D. – Sono state indette riunioni straordinarie da parte della Nato, da parte dei ministri degli Esteri europei. A queste si aggiungono gli appelli del Papa, la preoccupazione di Obama… Quanto è importante questa mobilitazione internazionale?

R. – La mobilitazione internazionale è importante. Adesso gli ucraini ricercano - e non ottengono al momento - un supporto materiale e un supporto diplomatico effettivo, perché nessuno potrebbe mai accettare una soluzione di smembramento dell’Ucraina. Ricordiamoci anche che i Paesi europei, nonché gli Stati Uniti, si sono impegnati negli anni ’90 per mantenere l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Quello è già un punto su cui non si può cedere.

Incertezza nel Sud-Est
D.  – Di fatto sul terreno nel Sud-Est dell’Ucraina la situazione poi qual è?

R. – Di grande incertezza, nel senso che ci sono truppe di separatisti, al momento, che sembrano essere fuori controllo, che hanno annunciato un’offensiva su vasta scala, soprattutto dopo l’episodio di Donetsk, dove sono morti 13 civili sotto i colpi dell’artiglieria, probabilmente di Kiev. Attualmente permane una situazione di grande incertezza, in cui nessuna delle due parti si vuole più di tanto scoprire e nessuno sembra essere deciso a risolvere una situazione nel breve periodo. Tutti cercano di prendere tempo e tutti cercano un supporto in una questione che, anche dal punto di vista internazionale, è ancora molto confusa.

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Giornata Memoria. Graziano Sonnino: salvato da un sacerdote

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Ricorre domani, nel 70.mo anniversario della liberazione dal campo di concentramento di Auschwitz, la Giornata internazionale in memoria della vittime della Shoah. Instancabile l’impegno degli ormai pochi testimoni ebrei reduci dai campi di concentramento nazista nel tenere vivo tra i giovani il ricordo di una minaccia sempre viva. Graziano Sonnino all’età di 9 anni, insieme al fratello Mario e al cugino Marco Pavoncello, riuscì a sfuggire ai rastrellamenti del 16 ottobre 1943, trovando rifugio nel Collegio gesuita di Mondragone, vicino Frascati, grazie all’ospitalità di padre Raffaele de Ghantuz Cubbe, riconosciuto poi “giusto fra le nazioni”.  “I miei genitori – racconta Sonnino – trovarono rifugio nella Basilica Vaticana”. Ascoltiamolo  nell’intervista di Paolo Ondarza: 

R. – Se riesco a parlare, se sono vivo è perché, precedentemente al 16 ottobre, mia mamma, che era incinta, aveva il terrore dei bombardamenti – e noi eravamo totalmente all’oscuro di quanto sarebbe accaduto dopo, il 16 ottobre con la deportazione – e mio padre decise di allontanarsi dalla casa di nostra proprietà. Siamo scappati. Andando dove? Siamo andanti a Monte Porzio Catone, dove c’era una vecchia balia delle sorelle di mio padre, che ci ha ospitati in casa… Per questo motivo – la paura di mia madre – noi non ci trovammo il 16 ottobre a Roma, dove arrivarono i tedeschi, con i fascisti vicino e l’elenco delle persone ebree che abitavano nel nostro palazzo di Via Arenula 41. Purtroppo, una sorella di mio padre non era fuggita, si trovò nella casa e fu deportata, assieme ai bambini: l’età totale delle quattro persone – mia zia e tre bambini – formava 30 anni. Da quell’ora, da quel minuto, in cui sono stati presi dai nazisti, sono spariti. E spariti significa drammaticamente uccisi e non si è più saputo dove, quando e perché…

D. – Di loro non avete avuto notizie?

R. – Non abbiamo avuto notizia alcuna: il marito, per tutta la vita, li ha cercati in tutta l’Europa, in tutto il mondo, in tutta la Germania, per capire se fossero morti, dove fossero morti o se si fosse salvato qualcuno.

D. – Poi, però, anche da Monte Porzio siete dovuti scappare…

R. – Era invaso dai tedeschi anche questo paesino. Con l’intento di fuggire dai tedeschi, di allontanarci dai tedeschi, andammo via da Monte Porzio per andare nella campagna romana, dove c’era un podere, il podere di un amico di mio padre. Ci trasferimmo in questo nuovo locale, dove fisicamente siamo rimasti per qualche tempo…

D. – Abitazione che, comunque, non era al riparo dalla minaccia nazista?

R. – No, no, assolutamente no. Però, isolati dal mondo… A questo punto mio padre – sempre tramite amicizie, perché mio padre era ben voluto a Roma – prese contatti con alcuni cattolici di Frascati e riuscì per me, Graziano Sonnino, e l’altro fratello mio, Mario Sonnino, a organizzarsi e farci entrare nel Nobile Collegio di Mondragone, che in fase molto ristretta – dati i tempi e data la guerra – funzionava ancora per i bambini cattolici di tutto il mondo. Abbiamo nascosto i nostri veri cognomi e a Mondragone siamo entrati col nome di Sbardella Graziano e Sbardella Mario, come collegiali normali e nessuno sapeva – salvo padre Cubbe – della nostra identità religiosa e del fatto che fossimo ebrei.

D. – La vostra vita familiare fu completamente sconvolta…

R. – No, non c’era più! Papà – me lo ricordo adesso – quando ci accompagnò in questo Collegio ci disse: “Ragazzi, state qua, state buoni, siate sereni. E se il mondo va bene, ci rivedremo quando sarà possibile”. Sparirono per tutto il resto dell’anno…

D. – Avete trovato accoglienza in particolare nella persona di padre Cubbe?

R. – Padre Cubbe era l’unico che sapeva della nostra identità religiosa. La nostra circoncisione è stato per noi un dramma: non potevamo far vedere agli amici e agli altri bambini che eravamo circoncisi. Abbiamo sempre, sempre, sempre nascosto la nostra identità religiosa, che eravamo cioè degli ebrei.

D. – Quando foste accolti da padre Cubbe, la sua fu una ospitalità generosa e incondizionata…

R. – Uguale agli altri alunni, perché lì facevamo scuola come tutti.

D. – Cosa significò vivere nascosti tra compagni di scuola che non conoscevano la vostra reale identità?

R. – C’erano i figli Galeazzo Ciano, c’erano i Pio di Savoia, c’erano i nipoti del principe abissino… Eravamo coetanei, giocavamo, stavamo tutti insieme. Io servivo la Messa, ero accanto al prete che diceva la Messa in latino: ho imparato tutto della religione cattolica… Una volta a pranzo ci diedero il prosciutto: tutti i ragazzi – i 200 che eravamo – fecero festa a queste fette di prosciutto che ci avevano servito. Uno dei ragazzi, siccome noi avevamo lasciato il prosciutto sul nostro piatto, ci disse: “Ma siete ebrei, che non mangiate il prosciutto?”. Naturalmente quel momento – personalmente lo ricorderò per tutta la vita... un’ossessione! – presi questo prosciutto e lo misi in bocca per far vedere che lo stavo mangiando e dicevo: “Ma che dici, ma che sei scemo? Io lo mangio il prosciutto!” e lo misi in bocca. Purtroppo mastica, mastica, mastica, ma non riuscivo a ingoiarlo: in quel momento ci fu un mitragliamento-bombardamento a Roma tra gli aerei tedeschi e gli aerei americani, tutti i ragazzi uscirono nel terrazzo per vedere questi aerei, allora io presi il boccone di prosciutto, che non mi scendeva giù e lo buttai, senza farmi vedere, nel bagno… E lì fini l’episodio. Ma avevamo il terrore di essere scoperti.

D. – Padre Cube ha rischiato?

R. – Ha rischiato la vita! Abbiamo saputo, dopo, che se avessero saputo che eravamo nascosti là, sarebbe stato ucciso.

D. – Controlli ce ne furono mai?

R. – Mai. Per fortuna Mondragone, per volontà dell’allora Papa Pio XII, non fu mai bombardata e i tedeschi non entrarono mai nel portone di Mondragone.

D. – E in seguito, lei ha potuto riabbracciare i suoi genitori?

R. – Sì, dopo…

D. – Come si erano nascosti?

R. –. Oltre a noi quattro figli – due maschi dai preti e due femmine dalle monache – mio padre e mia madre, col mio fratellino Sergio, piccolo, appena nato, riuscirono ad entrare dentro la Basilica di San Pietro: lì si nascosero e v rimasero fino alla liberazione. Poi, ci vennero a riprendere…

D. – Che cosa vuol dire, alla luce di questo dramma enorme, essere un sopravvissuto?

R. – Da buoni italiani e da buoni romani siamo rimasti a Roma, ma sempre con questo timore, che potesse riaccadere…

D. – Si sente di lanciare un messaggio per le giovani generazioni?

R. – Che il mondo, le generazioni, gli uomini, tutti, facciano qualcosa affinché quello che noi abbiamo subito, solo perché di religione ebraica, non possa più avvenire.

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Tasse aumentate del 70%: scuole private a rischio chiusura

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Le prime bollette del 2015 sono state decisamente più salate del solito per le scuole paritarie e private. Senza il minimo preavviso, infatti, l’Ama ha aumentato del 70% le tasse sui rifiuti dovute dalle scuole non statali. Al microfono di Corinna Spirito, la presidente del Forum delle Associazioni Familiari, Emma Ciccarelli, spiega il peso che avranno per le scuole private gli oltre 14 mila euro in più da pagare al Comune di Roma: 

R. – Peserà tantissimo. Già stiamo ricevendo telefonate sia di scuole allarmate che di famiglie, anche perché gli aumenti sono sensibili. Sappiamo già la situazione in cui versano le nostre scuole paritarie e private per riuscire a garantire uno standard di educazione elevato a fronte di costi contenuti: quindi, gli impatti saranno molto importanti sulle scuole.

D. – Oggi, quanto contribuiscono le scuole paritarie e private all’educazione italiana?

R. – Contribuiscono in modo sensibile, intanto perché garantiscono un livello di formazione di qualità e poi garantiscono la continuità didattica, cosa che invece non sempre ci si può aspettare dalla scuola pubblica.

D. – Dalla politica è già arrivato qualche sostegno alla vostra causa?

R. – Stiamo incontrando esponenti politici a livello trasversale, di vari partiti, proprio per presentare le nostre preoccupazioni e la gravità di questa iniziativa, che è calata – come al solito – dall’alto, non è stata condivisa e non è stata soprattutto discussa prima di essere proposta. Per cui, stiamo portando avanti le nostre preoccupazioni e la paura che questo sia uno strumento poco democratico, quello cioè di decidere queste iniziative senza condividerle con le parti interessate prima.

D. – C’è il rischio che venga minata anche la libertà scolastica? L’Unione Europea ha spesso ricordato negli scorsi anni l’importanza per le famiglie di poter scegliere l’offerta educativa…

R. – Sì. Questo è un principio che è sancito anche dalla nostra Costituzione e che continuamente viene rimesso in discussione. Siamo un po’ stanchi di dover sempre ritornare su questi temi. La scuola privata e paritaria svolge un servizio che è pubblico, a favore della cultura e dell’educazione dei nostri figli: riteniamo quindi che sia una ingiustizia penalizzare questo servizio con queste manovre poco lungimiranti, anche perché mettono in crisi un servizio che non è solo educativo, ma che è anche un indotto economico notevole, perché questo si rifletterà non solo sulle scuole, ma sulle famiglie che portano i propri figli a scuola, ma anche su tutti quei lavoratori che sono alle dipendenze della scuola privata.

D. – C’è anche il rischio che qualcuna di queste scuole sia costretta a chiudere?

R. – C’è effettivamente questo problema. O dovremmo aspettarci un aumento delle rette scolastiche e quindi il problema ricadrà direttamente sulle famiglie, col rischio che alcune famiglie saranno costrette a rinunciare al diritto di libertà educativa. O cadrà sulla scuola, che oltre a costretta a chiudere, sarà anche costretta a licenziare una fetta o tutto il proprio personale. Quindi, comunque avrà degli effetti negativi sia a livello economico che a livello di sistema educativo.

D. – Come si muoverà il Forum delle Associazioni familiari per far sentire la propria voce?

R. – Noi siamo usciti con dei comunicati stampa e in questi giorni stiamo incontrando le forze politiche, affinché riflettano su questa decisione e che venga ritirata al più presto, perché il contenimento della spesa cittadina non deve essere fatta a scapito dei servizi. Siamo disposti a dialogare per aiutare l’amministrazione a ridefinire e a ridisegnare i tagli della spesa, ma non in questi termini com’è stata proposta.

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Istat. Droga: politiche di contrasto più efficaci

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"Migliorare la comprensione del fenomeno droga: quali dati per le politiche". Il titolo del Seminario organizzato questa mattina nella sede dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), a Roma. Roberta Gisotti ha intervistato la dott.ssa Roberta Crialesi, dirigente del Servizio salute e sanità dell’Istat: 

D. – Quanto è poco compreso il fenomeno droga, rispetto alle politiche di contrasto in atto?

R. – Il fenomeno droga sappiamo che è un fenomeno molto sfuggente e difficile da misurare, proprio perché molto spesso si consuma in spazi privati. Ci sono numerosi enti istituzionali e Ministeri che producono una mole molto importante di informazioni, tuttavia hanno il vizio di guardare solo da un’angolazione particolare, per cui c’è il rischio di avere molte informazioni, ma poco coerenti e molto frammentate. Il senso di questo Seminario è proprio di riflettere su quali dati siano più utili e su questo ci danno elementi anche lavori internazionali che hanno individuato alcuni indicatori chiave. E su questi noi possiamo lavorare per migliorare la qualità dei dati. In primo luogo, riguardo l’impatto sulla salute del fenomeno della tossicodipendenza. In questo settore stiamo lavorando su indicatori di qualità, perché provengono da flussi consolidati nel tempo. Ad esempio, possiamo stimare il numero delle morti indotte da droga o correlate alla droga: qui vediamo una grande riduzione, a partire dagli anni ’80, quando solamente 250 casi erano stati registrati, si era toccato poi un massimo negli anni ’90, superando i 1.200 casi di mortalità e ora si sta di nuovo decrescendo rapidamente. Alcune criticità nella rilevazione riguardano invece, per esempio, il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, i cosiddetti “drug user”, quelli cioè sopravvissuti all’epidemia dell’eroina degli anni ’80. Altre difficoltà riguardano il problema del sommerso e delle attività illegali, che è un altro aspetto da indagare con metodi di stima che vanno approfonditi.

R. – Il rapporto tra gli istituti di ricerca e le autorità politiche sta funzionando? Anche quello va migliorato? Mi riferisco sia a livello italiano che a livello europeo…

R.  – C’è, sì, una relazione abbastanza forte, ma va migliorata. Come Istat, stiamo inaugurando una nuova fase di cooperazione col Dipartimento delle politiche antidroga. C’è poi una stretta connessione anche a livello internazionale. Lo "European Monitoring Center" per le tossicodipendenze dà strumenti e metodi e su quelli noi stiamo lavorando in maniera condivisa con i diversi soggetti che appunto si occupano di tossicodipedenze.

D. – Ci sono dei dati salienti su cui appuntare l’attenzione?

R. – Sulla fluidità del mercato e sull’immissione di nuove sostanze, soprattutto di sintesi, che stanno invadendo il mercato. Ma l’aspetto più critico e problematico riguarda i giovani. Da uno studio del Cnr emerge che l’insieme dei consumi giovanili, molto vario e fluido, e soprattutto che scelte e modelli di consumo, sembrano fortemente condizionati tanto dalle mode quanto dal mercato. Quindi, è bene porre grande attenzione a questa fascia giovanile.

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Nella Chiesa e nel mondo



Niger: Messe senza paramenti nelle chiese distrutte dai roghi

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Teloni, sedie affittate, tavoli come altari: sono state allestite così ieri alcune chiese a Niamey, nel Niger, dove il 16 e 17 gennaio parrocchie cattoliche e protestanti e comunità religiose sono state prese di mira da alcuni manifestanti dopo le caricature pubblicate dal settimanale Charlie Hebdo e le stragi di Parigi. Nelle diverse chiese i parroci hanno celebrato l’eucaristia domenicale senza paramenti liturgici (andati perduti negli incendi) ed organizzandosi con l’aiuto dei fedeli. Una liturgia è stata concelebrata dall’arcivescovo Laurent Lompo e dall’arcivescovo emerito Michel Cartatéguy che hanno incoraggiato i fedeli ad alimentare la speranza, perché non si verifichino altre violenze ed atti vandalici.

Danni alle parrocchie di Niamey per oltre 2 milioni di euro
Durante la settimana scorsa, riferisce il portale www.eglisecatholiqueauniger.org, le comunità parrocchiali hanno ripulito le chiese e costatato i diversi danni provocati dai roghi: mura danneggiate, soffitti distrutti, suppellettili e banchi bruciati. E’ stato stimato che le perdite ammontano ad oltre 2 milioni di euro. Per ricostruire le parrocchie e rimediare ai danni alcuni fedeli hanno deciso di donare parte dei loro salari, c’è chi offrirà del materiale necessario alla ricostruzione o chi si metterà a disposizione per aiutare. Per l’arcivescovo di Niamey si dovrà ricostruire non solo quanto è stato distrutto ma anche cercare di coltivare la fraternità e il dialogo fra le religioni. Mons. Lompo e mons. Cartatéguy in questi giorni visiteranno tutte le parrocchie di Niamey per portare un messaggio di pace e perdono.

Preghiera davanti ad una statua incendiata della Madonna 
Giovedì scorso tutti i sacerdoti dell’arcidiocesi si sono ritrovati, per una cerimonia simbolica, davanti alla statua della Vergine Maria rovinata dalle fiamme ma non totalmente distrutta che si trovava nella parrocchia di Sant’Agostino. Si tratta di uno dei rari oggetti di pietà non consumati dagli incendi. Recuperata, la statua è stata portata a mons. Cartatéguy che l’ha definita il simbolo di tutte le statue delle chiese bruciate. Il presule ha chiesto a tutto il clero di offrire a Maria la sofferenza ma anche la speranza della comunità cristiana duramente provata ed ha poi invitato i parroci a depositare davanti la statua di Maria le ceneri di ogni chiesa data alle fiamme.

Rafforzare amicizia e fraternità con i musulmani
Il presule ha sollecitato anche al perdono e alla benevolenza verso i musulmani e ha esortato a non considerare vani gli sforzi per alimentare il dialogo con i musulmani. “Ciò che è successo non è frutto del dialogo – ha detto mons. Cartatéguy – ciò che è accaduto deve impegnarci a rinforzare i nostri legami d’amicizia e di fraternità con i musulmani”. (T.C.)

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Egitto: copti uccisi e chiese assaltate nei disordini

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Ci sono almeno tre cristiani copti – compreso un bambino di 10 anni - tra le vittime degli scontri esplosi al Cairo e in altre città egiziane in occasione del quarto anniversario della sollevazione che il 25 gennaio 2011 provocò la fine del lungo regime del Presidente Hosni Mubarak. Fonti locali consultate dall'agenzia Fides aggiungono che, durante i disordini, sono stati esplosi colpi di arma da fuoco contro la chiesa di San Raffaele arcangelo, nel distretto cairota di Maadi. Mentre in altre aree urbane, come quella di Beni Suef, le forze di sicurezza hanno chiuso le strade intorno alle chiese per prevenire eventuali assalti da parte di bande islamiste.

La responsabilità dei gruppi legati ai Fratelli Musulmani
Il bambino rimasto ucciso si chiamava Mina Rafaat ed è rimasto colpito da un proiettile vagante. Il bilancio ufficiale diffuso dai media egiziani parla di 18 morti e più di cinquanta feriti. “In buona parte - conferma all'agenzia Fides Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh - gli scontri sono avvenuti tra la polizia e i gruppi legati ai Fratelli Musulmani, che puntano a accreditare l'immagine di un Egitto ancora destabilizzato”. (R.P.)

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Pakistan: consacrata nuova chiesa in area di famiglie povere

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La comunità cattolica in Pakistan esulta per la consacrazione di una nuova chiesa dedicata a Santa Teresa Benedetta della Croce a Pansara, nella diocesi di Faisalabad, nel Punjab pakistano. Lo riferisce all’agenzia Fides padre Emmanuel Parvez, parroco a Pansara, cittadina a 25 km da Faisalabad, riferendo che la celebrazione di consacrazione è stata presieduta dal vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Arshad, il 17 gennaio.

L'aiuto della Chiesa italiana
Circa tre anni fa padre Parvez aveva acquistato quattro ettari di terreno per accogliere centoquattro famiglie di poveri e senzatetto, perlopiù lavoratori nelle fornaci di argilla nel territorio del Punjab. Grazie all’aiuto della Conferenza episcopale italiana, sono stati costruiti sul terreno alcuni moduli abitativi che accolgono oltre duecento famiglie, perlopiù cristiane.

Gli sforzi della comunità locale
“Vi era dunque bisogno di una chiesa in quell’area” spiega il parroco a Fides. Grazie anche al sostegno dell’organizzazione di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, è stata così edificata una chiesa dedicata a Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein). Il vescovo Arshad è venuto con gioia a consacrare la chiesa, elogiando gli sforzi della comunità locale: i fedeli si sono detti “molto orgogliosi e felici per la nuova chiesa”. Mons. Arshad ha sottolineato “l’importanza della formazione spirituale della comunità”.

Sostenere le famiglie povere con un lavoro dignitoso e libero
Il piano della comunità a Pansara non è finito: in una seconda fase “si vogliono affrancare queste famiglie che vivono una vita di schiavitù e miseria”, dice padre Emmanuel. Risultano infatti gravate da pesanti debiti contratti con i datori di lavoro, che essi ripagano con un lavoro massacrante e un salario minimo. Infine, sottolinea il parroco a Fides, “vogliamo fornire loro gli strumenti e la possibilità di lavorare e guadagnare il proprio pane con dignità e libertà”, aiutandoli ad avviare aziende agricole e permettendo ai loro figli di avere un’istruzione. (R.P.)

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Centrafrica: liberati operatrice umanitaria e religioso

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Sono stati liberati i due membri dell'Ong cattolica Coordination diocesaine de la santé (Codis), rapiti il 19 gennaio a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Si tratta - riferisce l'agenzia Fides - dell’operatrice umanitaria Claudia Priest, di nazionalità francese, e di fratel Gustave Reosse, religioso centrafricano della Congregazione dello Spirito Santo.

Ministro degli Esteri francese ringrazia mons. Nzapalainga
È stato il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius – riferisce l’agenzia Fides - ad annunciare la liberazione della signora Priest, precisando che anche il religioso centrafricano è stato liberato. Il Ministro ha ringraziato “il governo centrafricano, le autorità religiose e, in particolare, l’arcivescovo di Bangui - mons. Dieudonné Nzapalainga - che ha contribuito attivamente alla liberazione”.

Sequestrato un Ministro
A Bangui, due giorni dopo la liberazione di una volontaria francese, risalente a venerdì scorso, ieri è stato sequestrato un ministro della Repubblica Centrafricana. Armel Sayo, questo il nome del dirigente, titolare del dicastero per la Gioventù e lo sport, è stato sequestrato da un commando di uomini armati che ha bloccato la sua automobile nel quartiere di Galabadja. Prima di entrare a far parte di un esecutivo di unità nazionale nato l’anno scorso, Sayo aveva guidato il gruppo ribelle Mouvement Révolution Justice.

Rapimento per ottenere la liberazione di un capo anti-balaka
I sequestri del Ministro ma anche dell’operatrice umanitaria e del religioso rientrano nell’ambito di una campagna di rapimenti in atto nella capitale centrafricana per fare pressioni per la liberazione del generale Andjilo, arrestato lo scorso 18 gennaio dalle forze Onu stanziate in Centrafrica. Andjilo è uno dei diversi capi delle milizie anti-balaka che durante la guerra civile si sono contrapposti ai ribelli Seleka. (R.P.)

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Sudan: bombardamento mirato su ospedale Msf sui monti Nuba

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Un ospedale gestito dall’organizzazione medico-umanitaria Medici Senza Frontiere (Msf) in Sudan è stato colpito in modo mirato da un bombardamento aereo, alcuni giorni fa, con conseguente arresto delle attività mediche. L’ospedale del villaggio di Frandala, situato tra le Montagne di Nuba nel Kordofan meridionale - riferisce l'agenzia Sir - è stato bombardato dalla Forza aerea sudanese (Saf). I bombardamenti ripetuti e mirati nella regione impediscono lo svolgimento in sicurezza delle attività mediche, privando la popolazione locale delle necessarie cure salvavita.

Pazienti scioccati. Si temono nuovi attacchi
“Condanniamo nel modo più assoluto il bombardamento dell’ospedale di Frandala - ha dichiarato Marc Van der Mullen, capo missione di Msf in Sudan -. Con più di 100 pazienti presenti al momento del bombardamento, siamo stati molto fortunati a non subire un maggior numero di feriti. Le persone non hanno assolutamente avuto tempo di cercare rifugio. Sono tutti scioccati e temono attacchi futuri”. Circa 150 persone, tra pazienti e personale, si trovavano nell’ospedale durante le attività di mezzogiorno quando un jet della Saf ha sganciato un gruppo di 13 bombe di cui due sono cadute all’interno dell’area dell’ospedale e le altre appena al di là della recinzione. Un operatore di Msf e un paziente sono stati feriti e la struttura è stata danneggiata. 

Guerra in Kordofan non risparmia le strutture sanitarie
Questo attacco è parte di una campagna di bombardamenti indiscriminati che colpisce regolarmente il Kordofan meridionale a causa della guerra tra le autorità di Khartoum e i gruppi ribelli nelle Montagne di Nuba. La popolazione subisce regolarmente raid aerei e nemmeno le strutture sanitarie vengono risparmiate. L’ospedale di Frandala era già stato bombardato nel giugno 2014, un attacco sferrato sebbene le autorità di Khartoum sapessero della presenza di Msf e delle attività nell’ospedale. Un paziente fu ucciso, diversi furono feriti e l’ospedale subì danni significativi. In quell’occasione Msf aveva condannato pubblicamente l’attacco e aveva chiesto rispetto per le strutture sanitarie.

Atto deliberato e mirato
“Oggi non c’è alcun dubbio che si sia trattato di un bombardamento deliberato e mirato contro un ospedale civile, nell’ambito di una strategia specifica per terrorizzare la comunità - ha affermato Van der Mullen -. Msf chiede di nuovo alle autorità di Khartoum di rispettare l’assistenza che portiamo alla popolazione. Nonostante la battuta d’arresto di oggi, cercheremo il modo di continuare a fornire cure alla popolazione, che si è trovata nel mezzo di una guerra di cui pochissimo si parla”. Msf è uno dei pochi attori a fornire assistenza sanitaria nel Kordofan meridionale. La struttura di Msf a Frandala ha iniziato le attività nel 2012. (R.P.)

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Centramerica: i vescovi sull’assistenza ai migranti

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I vescovi di Messico, Guatemala, El Salvador, Honduras e Nicaragua si incontreranno dal 28 al 30 gennaio nella città di Tapachula (Messico), per "discutere la realtà sempre dolorosa di molte migliaia di migranti provenienti dall'America Centrale che attraverso il Messico cercano di raggiungere gli Stati Uniti". Lo comunica all'agenzia Fides il vescovo di San Cristóbal de Las Casas, in Chiapas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel.

Migranti esposti a umiliazioni e ricatti
"Siamo addolorati e preoccupati perché i migranti sono esposti a tante umiliazioni attraversando il nostro Paese: li maltrattano, li ricattano, a volte li rapiscono, costringendoli a lavorare per il business della droga. Qualcuno viene ucciso e molti rimangono senza poter raggiungere il loro sogno" ha detto in una conferenza stampa mons. Arizmendi. "Siamo particolarmente preoccupati per il traffico di donne, che vengono violentate e abbandonate quando sono in gravidanza, o che vengano usate per affari sporchi" ha sottolineato.

Gli sforzi della Chiesa per l'assistenza ai migranti
Questo incontro dei vescovi centramericani servirà "per uno scambio di informazioni sulla situazione della migrazione, ma soprattutto per condividere gli sforzi che, come Chiesa, facciamo nelle nostre diocesi" ha spiegato mons. Arizmendi, che ha proseguito: "ogni giorno promuoviamo sempre più Centri per i migranti, non solo fornendo cibo e alloggio, ma assistenza medica, un luogo dove poter riposare e dove trovare, se necessario, il sostegno legale. I nostri servizi sono offerti non solo ai cattolici, ma a tutte le persone, a prescindere da credo, razza e nazione. Siamo fratelli, e condividiamo quel poco che abbiamo". (R.P.)

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Perù: appello vescovi contro corruzione e insicurezza

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I vescovi peruviani sono preoccupati dal livello allarmante raggiunto dalla corruzione, dal narco-traffico e dall’insicurezza che violano i diritti umani, ostacolano lo sviluppo e mettono a repentaglio la pace del Paese. E’ quanto si legge in una nota pastorale diffusa al termine della 105.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale a Lima.

Restituire dignità alla politica e lavorare per la pace
Il documento, intitolato “Annunciamo la Buona Notizia della Pace”, rileva che diversi “esponenti delle autorità a tutti i livelli sono in custodia cautelare, interrogati o sotto inchiesta per la loro gestione amministrativa e finanziaria” e un numero significativo di candidati alle elezioni regionali dell’autunno scorso, alcuni dei quali eletti, risultavano implicati nel narcotraffico e in casi di corruzione. Di qui l’appello alle autorità ad intraprendere un’azione decisa contro queste piaghe sociali che minacciano la pace e a restituire quindi dignità alla politica. “Lavorare per la pace - affermano i presuli, ricordando i moniti di Papa Francesco - significa lottare contro la corruzione in tutte le sue forme”. Un appello che però riguarda tutti: “Siamo tutti chiamati a costruire la pace nei diversi ambiti della nostra vita: la famiglia, il lavoro, la scuola, quartiere, città, nell’ambito sociale, culturale, politico e religioso”, affermano i vescovi peruviani.

Cinque sacerdoti minacciati di morte per avere denunciato la corruzione
L’intervento dell’episcopato giunge a cinque giorni dalla decisione delle autorità peruviane di mettere sotto scorta cinque sacerdoti minacciati di morte per avere denunciato casi di corruzione e criminalità nella città portuale di Callao, vicina a Lima, una delle zone più violente nel Paese.

Delinquenza e insicurezza preoccupano i peruviani
La criminalità e l’insicurezza sono in cima alle preoccupazioni dei peruviani e stanno mettendo in seria difficoltà il Predente Ollanta Humala, come confermano diversi sondaggi. Secondo l’Onu, il Perù è uno dei principali produttori mondiali di cocaina, con più di 300 tonnellate all’anno. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 26

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.